Le basi ambientali, economiche e sociali e la
governance
dello sviluppo sostenibile nel mondo
di Toni Federico (>
scarica la presentazione)
Prima della Brundtland, WCED, 1987
1968,
Aurelio Peccei e il Club di Roma.
MIT,
1972,
The Limits to Growth. A report to the
Club of Rome,
The
exponential growth model.
STOCCOLMA, 1972,
Man
has the fundamental right to freedom, equality and adequate conditions
of life, in an environment of a quality that permits a life of dignity
and well-being, and he bears a solemn responsibility to protect and
improve the environment for present and future generations. In this
respect, policies promoting or perpetuating apartheid, racial
segregation, discrimination, colonial and other forms of oppression and
foreign domination stand condemned and must be eliminated.
IUCN,
UNEP, WWF, 1980,
World Conservation Strategy.
The
aim of the is to help advance the achievement of
sustainable development
through the conservation of living resources.
1982?
Nel dicembre 1983,
il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuéllar,
chiede al primo ministro norvegese, Gro Harlem Brundtland, di creare
un'organizzazione indipendente delle Nazioni Unite per trattare problemi
e soluzioni ambientali e perseguire lo sviluppo sostenibile. È la
Commissione Brundtland, la Commissione mondiale per l'ambiente e lo
sviluppo (WCED). La Commissione si chiude nel dicembre 1987 dopo aver
rilasciato nel mese di ottobre
Our
Common Future,
il Rapporto Brundtland, una risposta al conflitto tra l'ordine nascente
che promuoveva la crescita economica globalizzata e l'accelerazione del
degrado ecologico su scala globale.
Gro Harlem Brundtland, 1987,
Our Common Future
Sustainable development
is development that meets the needs of the present without
compromising the ability of future generations to meet their own needs
… It implies economic growth together with the protection of
environmental quality, each reinforcing the other. The essence of this
form of development is a stable relationship between human activities
and the natural world, which does not diminish the prospects for future
generations to enjoy a quality of life at least as good as our own …
participatory democracy, undominated by vested interests, is a
prerequisite for achieving sustainable development … it does imply
limits imposed by … technology and social organization on environmental
resources and by the ability of the biosphere to absorb the effects of
human activities … The satisfaction of human needs and aspirations in
the major objective of development … meeting essential needs requires
not only a new era of economic growth for nations in which the majority
are poor (not less than 3%/y), but an assurance that those poor get
their fair share of the resources required to sustain that growth…
Sustainable global development requires that those who are more affluent
adopt life-styles within the planet's ecological means ... Yet in the
end, sustainable development is not a fixed state of harmony, but rather
a process of change in which the exploitation of resources, the
direction of investments, the orientation of technological development,
and institutional change are made consistent with future as well as
present needs.
… Environment and
development are not separate challenges; they are inexorably linked.
Development cannot subsist upon a deteriorating environmental resource
base; the environment cannot be protected when growth leaves out of
account the costs of environmental destruction … No single blueprint of
sustainability will be found, as economic and social systems and
ecological conditions differ widely among countries. Each nation will
have to work out its own concrete policy implications ...
Rio de Janeiro 1992, UNCED – Earth Summit
Il Summit della Terra
fu convocato a Rio de Janeiro nel giugno 1992 con la
Risoluzione
dell’Assemblea Generale ONU n°44/228 del 22
dicembre 1989 che recepisce le conclusioni del rapporto Brundtland. È
stata la più grande Conferenza della storia per numero di partecipanti:
183 paesi rappresentati da oltre 10.000 delegati ufficiali, 108 tra Capi
di Stato e di Governo, 2400 tra rappresentanti di NGO e di
Organizzazioni Internazionali, nonché 17.000 persone che presero parte
al forum parallelo organizzato dalle NGO. Il tema conduttore è stato il
rapporto tra protezione ambientale e sviluppo economico e sociale e i
risultati ottenuti si sono concretizzati in tre documenti di natura
giuridicamente non vincolante: la
Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo,
l’Agenda
21 e la controversa
Dichiarazione sulle foreste.
L’Agenda 21 guiderà la
governance dello sviluppo sostenibile fino al 2015, quando sarà
sostituita dall’Agenda 2030. È un documento di 350 pagine con 40
capitoli raggruppati in 4 sezioni:
1.
Dimensioni sociali ed economiche: combattere la povertà
specialmente nei PVS, cambiando i modelli di consumo,
promuovendo la salute, una demografia e dei processi decisionali
sostenibili.
2.
Conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo:
comprende la protezione atmosferica, la lotta alla
deforestazione, la protezione degli ambienti fragili, la
conservazione della biodiversità, il controllo
dell'inquinamento, la gestione delle biotecnologie e dei rifiuti
radioattivi.
3.
Rafforzamento del ruolo dei major groups della società
civile: bambini e giovani, donne, NGO, autorità locali,
imprese, industria e lavoratori, le popolazioni indigene e le
loro comunità, degli agricoltori.
4.
Mezzi di attuazione: scienza, trasferimento tecnologico,
istruzione, istituzioni internazionali e meccanismi finanziari.
Rio de Janeiro. I 27 principi dello sviluppo sostenibile
Compongono la
Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo e vanno sempre
ricordati. Sono stati confermati da tutte le istanze successive a Rio de
Janeiro. Tra essi:
1. Human beings are
at the centre of concerns for sustainable development. They are
entitled to a healthy and productive life in harmony with nature.
7. CBDR.
States shall cooperate in a spirit of global partnership to
conserve, protect and restore the health and integrity of the
Earth's ecosystem. In view of the different contributions to global
environmental degradation, States have common but differentiated
responsibilities. The developed countries acknowledge the
responsibility that they bear in the international pursuit of
sustainable development in view of the pressures their societies
place on the global environment and of the technologies and
financial resources they command.
15.
Precautionary. In order to protect the environment, the
precautionary approach shall be widely applied by States according
to their capabilities. Where there are threats of serious or
irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be
used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent
environmental degradation.
20. Women
have a vital role in environmental management and development. Their
full participation is therefore essential to achieve sustainable
development.
25. Peace,
development and environmental protection are interdependent and
indivisible.
La governance
dello sviluppo sostenibile fu affidata a Rio alla CSD, la
Commissione per lo Sviluppo sostenibile,
un organismo di livello modesto entro l'ECOSOC,
che sarà sciolta nel 2013 alla XX sessione, e ai Summit a scadenza
decennale.
Rio de Janeiro, le Agende 21 locali
Nel capitolo
28 dell’Agenda 21 si legge: "Ogni amministrazione locale
dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le
imprese private e adottare una propria Agenda 21 locale. Attraverso la
consultazione e la costruzione del consenso, le amministrazioni locali
dovrebbero apprendere e acquisire dalla comunità locale e dal settore
industriale, le informazioni necessarie per formulare le migliori
strategie".
Nel 1994, alla
Conferenza di Aalborg nasce la
Campagna europea delle città sostenibili.
Firmando la
Carta di Aalborg, le
amministrazioni locali si impegnano a promuovere processi di Agenda 21
locale sul proprio territorio. La compatibilità con le procedure
ordinarie, democratiche o no, è rimasta da chiarire.
La spinta a questo tipo
di soft law ha un leader nell’International Council for Local
Environmental Initiatives,
ICLEI, che era stato fondato un
paio d'anni prima di Rio. Più di 6.000 organizzazioni governative
statali, provinciali e municipali di tutto il mondo sono membri ICLEI
hanno portato avanti negli anni questa radicale agenda ambientale con
regole severe e vincolanti. In Italia ha avuto uno straordinario
successo il
Coordinamento delle Agende 21 locali. I
principali elementi che costituiscono il processo di costruzione della
Agenda 21 locale sono:
1. Attivazione
di un Forum con tutti gli stakeholder rilevanti a livello
locale.
2. Audit
territoriale e redazione di un Rapporto sullo stato
dell'ambiente.
3. Il Piano di
azione ambientale dotato di obiettivi e target.
4. Il
Monitoraggio, la valutazione e l’aggiornamento del Piano di
azione.
Rio de Janeiro 1992,
le Convenzioni quadro
Sulla falsariga della
Convenzione di Vienna (1985 – 88) e del relativo e fortunato Protocollo
di Montreal (1987 - 89) per la protezione della fascia antartica
dell’ozono, sono state aperte per la firma a Rio tre Convenzioni quadro
vincolanti, parte integrante e fondativa dello sviluppo sostenibile: la
Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UN
FCCC)
il
cui fine ultimo è di stabilizzare … le concentrazioni di gas ad effetto
serra nell’atmosfera a un livello tale che sia esclusa qualsiasi
pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico.
Questa Convenzione, ratificata nel 1994, attraverso il Protocollo di
Kyoto (1997) e l’Accordo di Parigi (2015) segna la storia stessa dello
sviluppo sostenibile e del negoziato multilaterale sull’ambiente. Per
ora siamo ben lontani dalle finalità dell’UNFCCC il cui obiettivo è
stato ridefinito e quantificato nell’anomalia termica al 2100 che deve
restare ben al di sotto dei 2 °C.
L’altra è la
Convenzione sulla diversità biologica (UN CBD),
ratificata nel 1993, il cui fine è conservare la biodiversità, la
variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia
gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i
complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità
nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi. Inoltre
assicurare l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione
giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse
genetiche, mediante, tra l’altro, un accesso adeguato, e, infine, il
trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, tenendo conto di
tutti i diritti su tali risorse e tecnologie, e mediante finanziamenti
adeguati.
La terza è la
Convenzione per la lotta alla desertificazione
nei Paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o dalla desertificazione,
in particolare in Africa (UN CCD), ratificata nel 1996, definita come
la degradazione delle terre in aree aride, semi aride, e subumide
principalmente causata dalle attività umane e dal cambiamento climatico.
Johannesburg 2002, WSSD
Dieci anni dopo Rio,
nel 2002, l’ONU convoca un nuovo vertice mondiale a Johannesburg, il
Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile
il cui scopo principale è quello di verificare se e come quanto deciso
a Rio si stesse portando a compimento, con specifico riferimento
all’attuazione dell’Agenda 21, all’analisi delle nuove sfide del secolo,
in particolare della globalizzazione, e alle misure e agli strumenti
concreti da mettere in moto in tempi precisi. Analizzando la situazione
mondiale prima dell’inizio del vertice ci si rende conto che il degrado
ecologico è peggiorato e la lotta alla povertà si sta rivelando poco
efficace. La liberalizzazione commerciale e la globalizzazione degli
anni ’90 hanno influito negativamente sullo stato dell’ambiente. Sono
aumentati il divario e le divergenze tra i Paesi del Nord, orientati a
stili di vita e di produzione fortemente consumistici, e i PVS, poco
disponibili al rispetto delle norme e delle politiche ambientali, causa
di rallentamento della crescita economica e di aumento dei costi delle
risorse.
Il Summit adotta una
Dichiarazione sullo sviluppo sostenibile
in 34 punti e 6 parti ma con scarso impatto giuridico e un
Piano d’attuazione, articolato in
10 capitoli, contenenti raccomandazioni in merito ai temi della
conservazione delle risorse naturali, dell’accesso all’acqua potabile e
ai servizi igienici per i PVS, della povertà e del ricorso ad energie
rinnovabili. Il Piano che avrebbe dovuto fissare obiettivi concreti e
scadenze temporali precise, non fa altro che puntare su ipotetici
comportamenti volontari e sulla promozione di intese bilaterali
piuttosto che su impegni globali concreti soprattutto a causa degli
ostacoli frapposti dagli Stati Uniti del neo presidente Bush, sordo agli
appelli di Nelson Mandela. L’Italia, essa pure con Berlusconi da poco
tornato al governo, si presenta al WSSD con una nuova
Strategia di azione ambientale per lo sviluppo
sostenibile, promossa quattro anni prima dal ministro Edo
Ronchi.
New York 2000, L’Assemblea
del Millennio
Le Nazioni Unite alla
fine del XX secolo individuano sei sfide: Sei miliardi di esseri umani.
Rapida globalizzazione. Conflitti intrattabili. Genocidio e pulizia
etnica. Lotta contro la povertà e l'AIDS. Controllare i cambiamenti
climatici. Ad esse viene dedicata la 55° Assemblea generale del
Millennio a partire dal 5 settembre 2000. Secondo il Segretario generale
Kofi Annan, è essenziale che il Vertice del Millennio offra
un'opportunità per un rinnovato impegno morale ai principi della Carta
delle Nazioni Unite ed alla cooperazione internazionale. Per preparare
l'Assemblea del Millennio, sono state organizzate cinque audizioni
regionali a Beirut per l'Asia occidentale; Addis Abeba, per l'Africa;
Ginevra, per l'Europa; Santiago, per l'America Latina e i Caraibi e
Tokyo, per l'Asia e il Pacifico.
Siamo nella grande
tradizione dell’ONU ma lontani dalle tematiche dello sviluppo
sostenibile che non è nelle priorità. Si legge nella
Risoluzione finale,
votata da tutti i 192 paesi, soltanto che:
We
reaffirm our support for the principles of sustainable development,
including those set out in Agenda 21, agreed upon at the Rio 1992 UNCED.
Il problema centrale è la povertà inasprita dalla globalizzazione. Tutti
i Paesi avanzati vengono richiamati al rispetto dell’ODA
al 7 permille
del PIL, obiettivo
stabilito 30 anni prima nel 1970, e violato apertamente dagli Stati
Uniti (nessun impegno, ribadito a Monterey nel 2002, prima del WSSD;
0,18% nel 2017), Australia (0,5%; 0,23 nel 2017), Italia (0,29% nel
2017) in contrasto con EU (0,51% nel 2016) che aveva assicurato il suo
impegno per il 7 permille al 2015. La media è allo 0,35% nel 2017.
L’Assemblea (punti 19 e sgg.) impegna tutti i Paesi a una
new
global partnership to reduce extreme poverty, and set out a series of
eight time-bound targets - with a deadline of 2015 - the Millennium
Development Goals (MDGs).
Il 7°, il solo
ambientale, è:
Ensure the environmental sustainability.
New York 2000, i Millennium Development Goals
Il metodo stabilito
dall’Assemblea del Millennio taglia fuori tutte le esitazioni e le
incertezze che avevano caratterizzato la vicenda decennale dello
sviluppo sostenibile, l’Agenda 21 e il vari Piani di attuazione. Fissa
con forza 8 oviettivi prioritari, MDG, ne quantifica i
target,
e dà loro una scadenza al 2015.
Nel 2015 è stato fatto
l’assessment
programmato degli MDG, pubblicato dall’UNDP nel
Millennium Development Goals Report 2015.
È manifesto che
gli obiettivi del Millennio abbiano intenzionalmente riguardato I paesi
svantaggiati. Il giudizio sugli MDG è
mixed. Dice Ban
ki-moon:
2015 is a milestone year. We will complete the MDG forging a bold vision
for sustainable development, including a set of sustainable development
goals. And we are aiming for a new, universal climate agreement.
Alla scadenza del 2015 le Nazioni Unite decidono di trasferire il metodo
MDG allo sviluppo sostenibile su scala mondiale e varano l’Agenda 2030.
A Parigi si fissa il nuovo
target
dell’anomalia termica per limitare il cambiamento climatico.
Rio de Janeiro (+20) 2012, la UNCSD
Gli anni che seguono il
WSSD non sono senza storia. Il 2008 apre la più grave crisi economica
dopo quella degli anni ‘30. Il sistema delle Nazioni Unite prova ad
ispirarsi a Keynes suggerendo un
Green New Deal (Thomas
Friedman, 2007;
New Economic Foundation, 2008;
Barbier, 2009;
UNEP per il G20, 2009;
Verdi Europei, 2010;
Ronchi, Federico, 2013)
basato sul rilancio degli investimenti di stimolo e sulla
Green economy (UNEP,
2008).
Ma sono soprattutto anni segnati dalle traversie del negoziato sul
clima, prima frenato, poi rilanciato dagli Stati uniti a Bali (COP
13, 2007),
infine sabotato dalla Cina a Copenhagen (COP
15, 2009)
fino al limite del fallimento definitivo per essere poi salvato
dall’opera instancabile del Presidente Obama e della Francia (Parigi,
2015).
Il Summit
UNCSD del 2012,
noto come Rio+20, si colloca nel pieno di questi accadimenti, mentre lo
sviluppo sostenibile sembrava stesse perdendo la sua spinta storica per
l’ambiente e lo sviluppo. L’attenzione è sullo stato dell’economia
mondiale e sul deficit di
governance dello
sviluppo sostenibile. Il negoziato preparatorio, di tipo
bottom up, ha
avuto inizio nell’autunno del 2011 con la raccolta delle proposte dei
governi e della società civile, conclusa con oltre 6000 contributi
consegnati al
Bureau. Il 10
gennaio il
Bureau mette sul
tavolo una sintesi di 17 pagine che in entrata alla CSD risulterà
gonfiato in un
documento fortemente incompleto
di oltre 50 pagine. Le conclusioni sono nel testo della decisione finale
The Future we want
(anche
in italiano)
e documentano la
caduta della
Roadmap europea
per la Green economy e che l’UNEP non otterrà lo status di Agenzia per
lo sviluppo sostenibile, per effetto dei veti combinati di Cina e Stati
Uniti. Viene varato il
Forum ad alto
livello HLPF in area ECOSOC che sarà ministeriale e che porterà
finalmente a New York i ministri economici. L’UNEP sarà il riferimento
rafforzato per la protezione dell’ambiente e per il coordinamento degli
accordi multilaterali sull’ambiente, ed avrà rappresentanza universale.
Rio de Janeiro (+20) 2012, la decisione finale
Al di là delle attese
polemiche, ad unire i giudizi delle delegazioni e le convinzioni della
società civile c’è stata a Rio la presa di coscienza che i governi da
soli non sono in grado di perseguire lo sviluppo sostenibile. Nel testo
finale, il
The Future we want, viene infatti
riconosciuto un ruolo negoziale rafforzato ad un ampio movimento globale
per la sostenibilità, compresa la società civile di cui, nel sistema
ONU, fanno parte le imprese.
Il testo finale
comprende un accordo per avviare un processo intergovernativo
nell'ambito dell’Assemblea Generale ONU per proporre opzioni su
strategie efficaci di finanziamento dello sviluppo sostenibile, e per
richiedere alle agenzie ONU di identificare un meccanismo di
agevolazione che promuove lo sviluppo, il trasferimento e la diffusione
di tecnologie pulite nel rispetto dell'ambiente. Alla fine il testo di
decisione proclama un’ovvietà: i paesi che vogliono affrontare la strada
della green economy come uno sforzo comune (common undertaking)
sono liberi di farlo. Conclusione debole, ma a Rio resta chiaro che la
green economy come noi la intendiamo è ormai una via obbligata e
condivisa. Senza impegni per gli aiuti allo sviluppo per il
riconoscimento anche in economia del Principio di Rio CBDR, senza una
politica chiara e leale in materia di trasferimento di tecnologie e di
protezione dei diritti di proprietà intellettuale, Cina e PVS non
daranno strada ad alcun progetto globale di green economy e la
praticheranno in proprio.
L’accordo sul processo
per sviluppare entro il 2015 gli obiettivi generali dello sviluppo
sostenibile internationally agreed, gli SDG, basato su un testo
di compromesso brasiliano (Sezione B, pag.46, punti 245 - 251), è
probabilmente la principale tra le decisioni politiche della Conferenza,
data la sua centralità nel contribuire a definire il programma che nel
2015 dovrà dare continuità in forma condivisa agli obiettivi del
Millennio, gli MDG.
New York, 2015,
70°
UN GASS, l’Agenda 2030
Già
nel settembre 2013 ECOSOC, il Consiglio Economico e sociale dell’ONU,
prende in mano il processo di attuazione delineato a Rio+20 sostituendo
la vecchia CSD con un nuovo
Forum di governo
ad alto livello, lo HLPF, composto da rappresentanti nominati
dall’Assemblea Generale. Il
Forum HLPF terrà
riunioni annuali ed ogni quattro anni sarà convocato nella Assemblea
Generale, a cui fornirà orientamenti politici che dovranno individuare i
progressi e le sfide emergenti e mobilitare ulteriori azioni volte ad
accelerare le fasi di implementazione dello sviluppo sostenibile. Il
mandato del HLPF, che si sta riunendo nel luglio 2018, è:
•
fornire una
leadership
politica e le raccomandazioni per lo sviluppo sostenibile;
•
il
follow-up e
l’esame dei progressi compiuti nell'attuazione degli impegni per lo
sviluppo sostenibile;
•
il miglioramento dell'integrazione delle dimensioni economica,
sociale e ambientale dello SD;
•
lo sviluppo di un programma dinamico e orientato all'azione;
I negoziati per dare
corso agli impegni di Rio+20, serrati e difficili, impegnano i Paesi
sottoscrittori in tutto il periodo 2013 – 2015 entro un
Open Working Group,
costituito ad-hoc con
solo 30 seggi per 70 Stati, che tiene una serie di otto sessioni
negoziali di una settimana solo per preparare il
Summit delle
Nazioni Unite nel 2015. Nel settembre 2015 la
70° sessione dell’Assemblea generale
può infine ospitare il
Summit, oltre ad
una riunione parallela informale di dialogo sul clima,
e votare il 27
settembre per acclamazione in plenaria il documento finale. Il testo in
entrata, frutto di un negoziato interminabile, non viene toccato. Tale
documento,
Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo
sviluppo sostenibile,
contiene gli
ormai ben noti 17 SDG che, accompagnati da 169
target che ne
quantificano in parte gli obiettivi, sostituiscono ed integrano gli otto
MDG del Millennio. Gli SDG vanno a scadenza dopo altri 15 anni, nel
2030.
L’Agenda 2030: trasformare il nostro mondo
L’Agenda 2030, che
ribadisce tutti i
principi della Dichiarazione di Rio,
è ambiziosa al di là delle sue potenzialità effettive. Si propone di
sconfiggere la fame, garantire una vita sana e un’istruzione per tutti,
raggiungere la parità di genere, garantire a tutti la disponibilità e la
gestione sostenibile di acqua, assicurare la disponibilità di servizi
energetici, promuovere una crescita economica inclusiva sostenuta e
sostenibile, assicurare un lavoro dignitoso per tutti, assicurare
infrastrutture solide e un’industrializzazione inclusiva e sostenibile,
ridurre le diseguaglianze, creare città sostenibili, garantire modelli
di consumo e produzione sostenibili, adottare misure urgenti per
combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze, conservare e
utilizzare in modo sostenibile i mari e le risorse marine, proteggere
gli ecosistemi terrestri e arrestare la perdita di biodiversità,
rafforzare gli strumenti di attuazione e rivitalizzare il partenariato
globale per lo sviluppo sostenibile.
Tra i mezzi di
implementazione (MOI) l'Agenda assegna alla finanza pubblica
internazionale un ruolo importante nel completare gli sforzi dei paesi
per mobilitare risorse pubbliche a livello nazionale, in particolare nei
paesi più poveri e più vulnerabili con risorse interne limitate. Il
ruolo importante della finanza pubblica internazionale, in particolare
degli ODA, che conservano il target del 7 permille del PIL, è quello di
catalizzare ulteriore mobilitazione delle risorse da altre fonti,
pubbliche e private. Tutti i paesi hanno rinnovato l'impegno a
sviluppare misure di progresso più ampie ed inclusive in sostituzione
del PIL.
Il primo passo
ufficiale dell'Europa sull'obiettivo 2015 per un'Agenda globale per lo
sviluppo sostenibile dal 2015 in avanti viene compiuto nel marzo 2013
con la Comunicazione della Commissione
A decent life
for all. Ending poverty and
giving the world a sustainable future.
L’Europa rilancia la
Green economy
inclusiva come la propria via maestra per lo sviluppo sostenibile,
confermando l’ispirazione che l’aveva guidata a Rio+20.
Gli SDG, i
Sustainable development goals
La
critica maggiore all’Agenda 21 del 1992 è stata a lungo la mancanza di
obiettivi concreti e quantificati per lo sviluppo sostenibile. Il Summit
di Rio+20 vuole superare questo limite con l’Agenda 2030 e con un nuovo
tipo di
governance, ma
resta nello spazio della
moral suasion e,
senza esercitare particolari pressioni né imporre scadenze, deve contare
sull’assunzione di responsabilità da parte dei singoli Stati. Il quadro
degli SDG è ecumenico, pletorico, inevitabilmente piatto, privo di
priorità operative e talvolta contraddittorio per effetto delle
complesse interazioni tra fini diversi, come la forte crescita dei PVS
(e la Cina?) e le emissioni (cfr. Ronchi, pp. 42 - 49). Sulla questione
climatica, il SDG 13 dell’Agenda 2030 cede il passo al (in quel momento
futuro) Accordo di Parigi che, in virtù dell’urgenza dei suoi fini,
porrà una priorità di fatto sull’intera questione dello sviluppo
sostenibile. Un possibile ordinamento degli obiettivi nella chiave delle
ineludibili priorità ambientali è stato proposto dal
Resilience Centre
di Rockstrom.
Mancano meccanismi,
anche modesti, per assicurare la
compliance. Il
programma di
assessment, pur
votato all’unanimità, confligge inevitabilmente con la reticenza,
l’arretratezza o addirittura l’inesistenza delle autorità
statistiche di
molti paesi.
È stata
istituita nel 2015 una sezione speciale della Commissione statistica
dell’ONU, lo
Inter-agency Expert Group
IAEG-SDG, con il
compito di collaborare o sussidiare le autorità regionali e locali. Il
compito è gravoso perché la
lista degli indicatori,
approvata nel marzo 2017 dalla Commissione centrale statistica,
comprende ben 232 elementi, a cui bisogna aggiungere gli indicatori di
ispirazione locale che i Paesi hanno il diritto di proporre. L’Istat si
è impegnata per l’Italia a popolare almeno una parte degli indicatori e
a sottoporli ad aggiornamento annuale. Sulla falsariga degli
indicatori BES
per il benessere equo e sostenibile dell’Istat è stato sviluppato un
metodo matematico
per la combinazione dei
232 indicatori della lista in 17 indicatori compositi, uno per ogni SDG.
Nel 2017, sostituendo
l’omonimo documento del 2002 di chi vi parla, l’Italia adotta l’Agenda
2030 con la sua
Strategia per lo sviluppo sostenibile.
|
NAZIONI
UNITE
Stoccolma 1972

Brundtland 1987
"Our Common Future"

Rio de Janeiro 1992

Assemblea del
Millennio 2000

Johannesburg 2002

Rio + 20 2012

La 70° Assemblea Generale dell'ONU, l'Agenda 2030 e
gli SDG

EUROPA
Il VI Piano di Azione Ambientale
La Strategia di Goteborg:
Consiglio
Commissione
La nuova strategia SDS
ITALIA
2017: La Strategia nazionale per lo sviluppo
sostenibile
2002:
La Strategia di azione ambientale per lo
sviluppo sostenibile
Libri
e articoli sullo Sviluppo sostenibile
2018

2018

2007

2003

2002

2000

Lo Sviluppo sostenibile sul
WEB

ECOSISTEMI
srl

The
WWW Virtual Library

OECD
SD Links

Best
environmental directories

Sustainability
Webring

International
Institute for Sustainable Development

Sustainable
development online

People
in action

Google
SD

Friends
of the Earth UK

Envirolink

Senato
della Repubblica
Bibliografia

Ontario
Producers Sustainable Energy

Toscana sostenibile

Università Federico II Napoli
|
I post
dello sviluppo sostenibile
Invito alla
discussione: i commenti spediti a
federico@susdef.it saranno
pubblicati
L’ECONOMIA
HA ASSUNTO
I PRINCIPI DELLA SOSTENIBILITÀ?
Il cammino
dello
sviluppo
sostenibile
non ha ancora
un
passo
sufficiente per contrastare
il degrado
ambientale.
il ruolo
delle economie
mondiali e' determinante.
la transizione deve
partire
dal
riconoscere
i limiti
del pianeta
e contemplare
gli orizzonti
della green
economy
e dell’economia
circolare
di Toni Federico per Ecoscienza, Dicembre 2017, n° 5
C'è un'unica risposta
al
quesito
nel
titolo
e
si
chiama
“transizione”.
Si
può
fare
un’analisi
più
o meno
spregiudicata
sull’economia
attuale,
la
globalizzazione,
il
neoliberismo
e
il
resto,
vexate
quaestiones
in
ogni
angolo
del
mondo.
Quello
che
è
certo
è
che
veniamo dall’ennesima
crisi,
la
più
grave
del
secolo
e
che
questa economia
non
ha
dimostrato
capacità
adeguate
per
assicurare
un
futuro
alle
generazioni
che
verranno,
per
usare
le
parole
di
Gro
Harlem
Brundtland.
Del
resto
parlare
di
economia
è
troppo
semplice
e
ovest-centrico,
perché
di
economie
ce
ne
sono
tante
e
nessuna
è immune
da
queste
stesse
critiche.
Si è rivelata
fallace
la
previsione
che
l’economia
del
mondo
sviluppato, caduto
il
muro
di
Berlino,
avrebbe
innalzato
il
livello
del del mare
sollevando tutte le barche, grandi e
piccole.
Era
l’idea
dell’Earth
Summit di
Rio
de Janeiro del
1992 (>
vedi la pagina),
del quale il Rapporto
Brundtland
ha
costituito le basi
teoriche.
Le diseguaglianze sono aumentate
dappertutto,
tra
paesi e anche
entro i
paesi
più ricchi.
Gli
altri
indici legati alla
qualità dell’ambiente,
biodiversità, concentrazioni
di gas serra
in
atmosfera ecc.
puntano
da allora
verso il basso.
A Rio+20 sono
caduti nel vuoto gli
ultimi
tentativi
di stabilire una governance
dell’economia sostenibile
dall’alto, con
un
modello
green unico per
tutti,
per
l’opposizione
della
Cina e degli
altri
paesi
poveri
e in via
di
sviluppo. Un
processo
parallelo
avveniva,
negli stessi
tempi, nei
negoziati
sulla
lotta
ai cambiamenti
climatici:
falliva
la
Cop15
di Copenhagen
nel
tentativo
di
sostituire
il Protocollo
di Kyoto
con
un
nuovo
trattato
per l’abbassamento
delle
emissioni
serra,
avente valore
legale
per
tutti.
I
nuovi negoziati
post
Rio+20 e
post
Copenhagen
si sono
posti
su
un
sentiero
diverso,
basato sui
fini e
non
sui
mezzi,
quindi rispettoso
delle diversità
tra
le
economie
e i livelli
di sviluppo,
fissando
target
eguali
per
tutti e lasciando ai singoli
paesi il compito
di fare del loro meglio
ma con la massima
trasparenza e
ogni possibile
uniformità
nel rendere noti i risultati. I due processi hanno avuto un esito
comune nel 2015. A settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni unite
vara l’Agenda 2030, un blueprint in 17 parti che fissa i Sustainable
Development Goals (Sdg) al 2030 mediante 169 target sorvegliati da
una popolazione di ben 240 indicatori (>
vai alla pagina).
Nello slot del goal 13 dell’Agenda si inserisce a dicembre 2015 lo
spettacolare risultato dell’Accordo globale sul clima di Parigi (>
vai al resoconto), che fissa un unico
obiettivo a fine secolo: “il contenimento dell’incremento della
temperatura media globale molto al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli
pre-industriali”. >
leggi tutto
TORNA
SU
Democrazia
e sviluppo sostenibile
di Carlo Donolo
Prendiamo di petto una questione spinosa e
ricca di equivoci pericolosi. Quale il ruolo dei regimi democratici nella
transizione green e specificamente nel contrasto alle crisi ambientale e
climatica? La democrazia ce la può fare a governare questi passaggi, le
relative emergenze, a preservare le future generazioni, a rendersi
sostenibile? Sappiamo che in questa fase di metamorfosi del capitalismo tra
globalizzazione, finanziarizzazione e mercificazione totalizzante la
democrazia è entrata in una delle sue crisi storiche più problematiche. Nel
senso che ha dovuto cedere di fronte alla potenza fattuale del capitale e
dei suoi imperativi. Molte acquisizioni del II dopoguerra stanno evaporando,
tra diritti del lavoro, crescenti diseguaglianze, e atrofia della funzione
pubblica. Anche lo stato di diritto sta subendo seri colpi, per lo
spostamento della sovranità oltre i confini nazionali e sopratutto per il
prevalere di regolazioni mercatorie rispetto a quelle fondate sulle
costituzioni repubblicane. Dobbiamo preoccuparci per questi sviluppi, al
momento dominanti e difficilmente contrastabili? Come potrà una democrazia
impoverita e ampiamente manipolata reggere al confronto con grandi questioni
nazionali e continentali e globali che tutte insieme presentano i loro
conti? Il tutto in un contesto in cui ci sono populismi rampanti, radicale
affievolimento di ogni istanza riformista di radice socialdemocratica,
estremo impoverimenti del lessico politico e delle ragioni ammesse nella
sfera pubblica, e in cui - come da tempo è stato notato - la politica appare
decisamente subalterna alle ragioni dell'economia. Per paesi come l'Italia è
chiaro che l'unificazione europea rispondeva anche al bisogno di costruzione
e manutenzione di un modello sociale in cui la coesione e i processi
capacitanti avessero un certo peso. Da tempo però, e almeno dal “governo”
Barroso, anche l'UE si è adeguata ai parametri imposti dall'economicismo
finanziario più spietato, come si è visto in modo esemplare nel trattamento
inflitto alla Grecia.
Molti segnali inducono a pensare che la
crisi della democrazia non consista tanto nel suo impoverimento come regime
parlamentare e rappresentativo (data la supremazia quasi incontestata di
componenti oligocratiche, plutocratiche e tecnocratiche), quanto nella sua
fragilità o vulnerabilità di fronte alle sfide dell'epoca. In parte del
resto la stessa forza acquisita da fattori non democratici (il mercato, il
denaro, la tecnica ed altro ancora) registra già una forma implicita di
supplenza alla democrazia: la dove essa non è in grado di governare processi
(veloci, complessi, pluriscalari), subentrano “naturalmente” altre forze,
più adatte a dirigerli. Siamo già abbastanza avanti in questo
de-potenziamento democratico e del resto analisti ed osservatori convergono
su queste preoccupazioni e su queste critiche. Tutto questo appare in
contraddizione con quanto predicato formalmente dalle grandi istituzioni
globali tra FMI e BM, e a altre agenzie NU, che nei loro documenti danno per
acquisito che si può avere sviluppo solo se equo e sostenibile, e solo sul
fondamento di solide istituzioni democratiche e dentro le regole dello stato
di diritto. I fatti mostrano che la realtà è ben più variegata, anche solo
pensando al caso cinese, che poi è quello dirimente. E inoltre anche il
riferimento crescente (OCSE per esempio) a sostenibilità, equità e coesione,
e infine a libertà come capacitazioni (A. Sen)
sembra quasi un richiamo ai processi reali perché non dimentichino il
proprio fondamento liberale.
Dobbiamo dare per verosimile il fatto che
il capitalismo sia anche in grado di assorbire queste istanze, sotto molti
aspetti più esigenti di quelle precedenti, evolvendo in varie dimensioni e
riciclando anche le esigenze apparentemente più critiche, come quelle della
sostenibilità. Viceversa non sappiamo come si comporterà la democrazia. Non
dobbiamo farci oscurare la vista dalle tendenze attuali in cui la
subalternità della democrazia e la sua funzionalità nelle forme attuali
perfino alle forme più violente ed esasperate accumulazione globale sono
così evidenti.
Ci interroghiamo sulla sostenibilità
democratica. Cioè se la democrazia sia capace di governare la transizione
ecologica (un lungo passaggio storico caratterizzato dal diventare più
sostenibile di ogni processo, ed insieme da una strategia di adattamento e
contenimento dei rischi da mutamento climatico), e se lo stesso regime
democratico debba intendersi come un sistema sostenibile (nel tempo ed ora
anche nello spazio): s'intende con tutta la varianza macroregionale
possibile, pensando alle grandi culture “universali” indiane o cinesi o
islamiche. Si tratta di due questioni distinte ma correlate: solo se la
democrazia è regime sostenibile può affrontare le questioni critiche della
sostenibilità. Naturalmente non blocchiamoci su esigenze apodittiche,
inutili e perverse in queste materie. Enunciamo qui solo gli statement
basilari, rinviando ad altro intervento i necessari approfondimenti e
qualificazioni.
La democrazia è un regime politico che
esige la progressiva democratizzazione di tutti gli ambiti di vita nella
società. Ciò viene ottenuto con progressive capacitazioni delle sue
componenti e dei suoi membri visti come cittadini attivi. Tutto ciò è già
indicato anche nei primi articoli della nostra Costituzione. La democrazia è
un regime di apprendimento di preferenze progressivamente “migliori”in un
qualche senso ragionevole del termine. E perciò la democrazia è un regime
che tende all'autoriforma, alla costante miglioria delle proprie istituzioni
(come delle culture politiche, della cultura civica, dei diritti
fondamentali). Sotto questo profilo la democrazia è l'unico regime in grado
di affrontare questioni complesse come la crisi ambientale. Regimi
autoritari o autocratici, per converso, che possono localmente esser
funzionali anche al capitalismo, non sono in grado di fare fronte a sfide
che richiedono mobilitazione di risorse cognitive e civiche notevoli. Ma
nelle condizioni attuali la democrazia si sta allontanando dal suo profilo
ideale (che qui vuol dire: normativo e costituzionale) e quindi quelle sue
inerenti capacità in realtà risultano molto più modeste. E per contro in
Cina un regime decisamente autoritario, anche se di fatto non più
totalitario, è in grado di ante vedere molti sviluppi e di pianificarne con
efficacia i percorsi, anche verso una maggiore sostenibilità (Stern, Piketty).
Si vede che il giudizio deve essere molto più articolato. Ma intanto ne
deriva che per poter affrontare seriamente la transizione abbiamo bisogno di
una democrazia un po' più seria e più “sostenibile” di quella corrente.
Potremo anche dire, se non appare troppo estremo, che la democrazia va
rivitalizzata anche e soprattutto per questo scopo, se i rischi di questa
epoca vanno presi sul serio.
TORNA
SU
La
ricchezza delle nazioni: quali progressi verso lo sviluppo sostenibile?
è trascorso poco meno di un quarto di secolo dal Summit della terra
di Rio de Janeiro e il concetto di sviluppo
sostenibile continua ad essere l'idea guida per orientare il
progresso. Da allora ad oggi il quadro economico sociale mondiale è
completamente cambiato con la globalizzazione dei mercati e l'aggravamento
dei divari tra Nord e Sud, la transizione "a nord" di alcune economie, prima
di tutto la Cina, e delle diseguaglianze interne ai vari paesi. Sono corsi
fiumi di inchiostro su questi fenomeni ed anche scenari, idee e prospettive
sono cambiate. In questa stessa pagina ci sono alcune riflesssioni sul
cambiamento globale (>
vedi) e sulla
green economy (>
vai alla sezione dedicata).
Ma l'evoluzione di maggior portata
concettuale è quella relativa al concetto stesso di ricchezza. Negli anni
'90 si adottò l'approccio del prodotto interno lordo che non è altro che il
flusso di denaro che ogni nazione registra sotto forma di scambi
commerciali su base annua. Il concetto di PIL, già criticato dai suoi stessi
proponenti (>
vai alla sezione dedicata "Oltre il PIL"), non può in
effetti dare conto dello stato dell'effettiva ricchezza di un Paese o d una
comunità, ricchezza che si basa sui patrimoni (stock) che sono molto
più ampi di quelli monetari. L'approccio alla ricchezza delle nazioni
attraverso gli stock si deve alla World Bank ed in particolare al
rapporto del 2006 "Where
is the Wealth of Nations? . Measuring Capital for the 21st Century".
La sistemazione concettuale dell'approccio al benessere mediante gli stock
la dobbiamo al Gruppo di lavoro capitanato da Joseph Stiglitz, cui è
dedicata un'ampia sezione di questo sito (>
vai al Rapporto
Stiglitz).
Nel nuovo quadro nel quale si
ridefiniscono gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile si iscrivono le
iniziative dell'UNEP, la green economy,
e lo stesso Summit dello Sviluppo sostenibile del 2012, ormai noto come
Rio+20 (>
vai alla sezione Rio+20).
L'approccio al nuovo concetto di
ricchezza - estesa secondo Stiglitz,
inclusiva secondo le Nazioni Unite - è
sviluppato e documentato nei Rapporti UNU - UNEP "Inclusive Wealth
Report. Measuring progress toward sustainability" pubblicati finora
in due edizioni,
2012 e
2014.
La
pubblicazione inaugurale sulla ricchezza inclusiva (IWR 2012), rilasciato
congiuntamente da UNU-IHDP e UNEP, dava un quadro di riferimento e guida per
quanto è idealmente è necessario per costruire un rapporto completo sulla
ricchezza di un Paese. Le procedure raccomandate sono state messe alla prova
per valutare le variazioni della ricchezza pro-capite nel periodo 1990 -
2008 in 20 paesi rappresentativi di vari stadi di sviluppo. Per l'Europa era
compresa la Germania ma non l'Italia. Lo studio ha rivelato che i governi
nazionali e le agenzie internazionali dovrebbero andare al di là dei PIL
verdi, riclassificare certe classi di prodotti e servizi e aggiungerne altri
che sono attualmente mancanti. I dati su molti elementi appaiono
necessariamente solo in termini fisici, mentre molti altri elementi di
rilevanza (ecosistemi naturali diversi dalle foreste, per esempio)
continueranno ad essere mancanti anche in termini fisici. Le valutazione in
termini monetari mediante i prezzi ombra
(shadow prices) comportano
inevitabilmente approssimazioni, ma è essenziale per buona norma sapere dove
esse sono e quanto incidono.
La IWR 2012 offre una serie di conti
patrimoniali simili ai bi lanci
delle imprese private. La Ricchezza Inclusiva è il
valore sociale del capitale fisso di un'economia. Le attività comprendono
(i) Capitale costruito, infrastrutture (strade, edifici, macchine e
attrezzature), (ii) il capitale umano (competenze, educazione, la salute), e
(iii) il capitale naturale (risorse del sottosuolo, gli ecosistemi e
l'atmosfera). Gli altri beni durevoli come la conoscenza, le istituzioni, la
cultura, la religione, e più in generale, il capitale sociale, sono
stati per ora considerati solo come risorse abilitanti; ossia
attività che consentono la produzione e allocazione delle attività nelle
categorie (i) - (iii) e la cui efficacia si riflette nei prezzi ombra
delle attività in categorie (i) - (iii). Ad esempio, il prezzo ombra di
un'attrezzature agricola è basso in un paese tormentato da conflitti civili,
mentre è alto altrove.
Il sistema dei conti nazionali (SNA), che
sono ancora in fase di sviluppo dalle Nazioni Unite e dall'Eurostat non
contengono molte delle aggiunte e delle riclassificazioni introdotte dall'IWR
2012. Trattandosi di un primo tentativo, le stime sono state effettuate
principalmente con in mente il capitale naturale . Anche in tale
categoria, l'attenzione era rivolta alle foreste, ai suoli, alle risorse del
sottosuolo, e all'atmosfera come deposito per il carbonio. Le stime del
capitale umano sono state limitate all'educazione, la cui misura ha
una lunga storia in economia.
La pubblicazione dell'IWR 2014 estende la
la precedente in tre modi:
-
la copertura è 140 paesi. Questa
volta l'Italia c'è pur non avendo nessun relatore tra gli autori;
-
la base per le stime dell'educazione
come bene capitale è l'approccio più sofisticato sviluppato dalla
Harvard University;
-
la salute come forma essenziale del
capitale umano riceve attenzione nel corpo principale del lavoro. Salute
pone problemi di stima particolari e complessi, ai quali lo studio si
dedica a fondo.
Segnaliamo al lettore in particolare il
Capitolo 5: "Health capital", curato da
Kenneth J. Arrow, Partha Dasgupta, e Kevin J. Mumford; ed il Capitolo 7: "Challenges
to ecosystem service valuation for wealth accounting", di Edward
Barbier, ormai il maggiore specialista sull'argomento.
Figura 1 Variazioni
dell'indice IWR nel periodo 1990 - 2010

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Da
Rio 1992 al Global Green New Deal
e alla Green economy
Modernità industriale e globalizzazione sono gli ingredienti del modello di
sviluppo degli anni novanta che entra in una crisi profonda e
pericolosa proprio nel momento della sua massima espansione. Con la
crisi del 2008 tramonta il mito della crescita economica senza regole che ha
riempito il dibattito internazionale dopo la caduta del muro di Berlino. La
crisi aggrava le contraddizione croniche di questo modello di
sviluppo: l'insufficienza delle risorse naturali, la povertà crescente,
l'iniquità distributiva, l'incapacità di assicurare la pace e la sicurezza
agli uomini e di contrastare il degrado dell'ambiente. Si può ipotizzare una
transizione verso una modernità di tipo nuovo, capace di contemperare il
progresso umano con la natura in un quadro di equità e di sostenibilità.
Lo sviluppo sostenibile è un concetto che si sviluppa storicamente
nell'alveo del pensiero ecologico ed ecosistemico.
La data di nascita di un pensiero ecosistemico sullo sviluppo viene comunemente
collegata alla pubblicazione de i
"Limiti allo sviluppo", in realtà limiti alla crescita (growth), (Rapporto del MIT al
Club di Roma; 1972). Il rapporto pone su basi sistemiche il problema dell'esaurimento delle risorse senza chiudere la porta allo
sviluppo
tecnologico.
Seguiranno le crisi petrolifere, Seveso, Bhopal, Chernobyl. La questione
ambientale diviene centrale nelle scelte di politica economica a livello
mondiale. Il governo dell'ambiente si costituisce le sue sedi istituzionali
autonome nei governi, in Europa ed alle Nazioni Unite e nelle Agenzie per la
protezione dell'ambiente. Il decennio di fine secolo è ricco di grande
fervore ed ottimismo, che segna profondamente il pensiero
ecologico. Si parte da Rio de Janeiro, Kyoto e l'Assemblea del Millennio
fino ai G8 e a Copenhagen. In questo arco di anni e di eventi si spegne
l'illusione che l'accrescimento generalizzato della ricchezza, il
progresso scientifico e la tecnologia avrebbero portato il pianeta
oltre i limiti del Rapporto del MIT.
Una risposta adeguata a quel Rapporto
non c'è in realtà ancora stata. Ci sono state critiche severe e
manifestazioni di scetticismo che hanno convinto gli autori ad
affinare questa loro prima
analisi nelle pubblicazioni successive. Il lettore non può privarsi del "gusto" di osservare nelle elaborazioni del MIT
del 1972 quelle
stesse curve a campana che oggi sono diventate patrimonio comune con
la teoria di Hubbert sul
picco di produzione dei combustibili fossili. I modelli di
crescita esponenziale del primo Rapporto erano forse
grossolani, infatti le elaborazioni più recenti del MIT li hanno sostituiti con
strumenti più sofisticati. Ma leggere nel vecchio rapporto una previsione per la concentrazione di anidride
carbonica in atmosfera all'anno 2000 pari a 365 ppmv contro i 369 ppmv
misurati sperimentalmente non manca di dare emozioni particolari al lettore
di oggi.

Il
libro di E. Ronchi "Sviluppo capace di futuro" del 2000 è
la prima sistemazione concettuale dello sviluppo sostenibile rapportata con
molta concretezza, documenti, dati e riferimenti, alle
vicende del governo delle politiche ambientali in Italia negli anni '90,
molte delle quali vissute dall'autore in prima persona come Ministro dell'ambiente. Nello stesso anno
della pubblicazione del libro viene fondato ISSI, Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, per
raccogliere e promuovere quei contenuti. L'Istituto pubblica nel 2002
il suo primo Rapporto 2002; "Un futuro sostenibile per l'Italia", nel
quale presenta una valutazione quantitativa dello stato della sostenibilità
in Italia ed una metodologia nuova per il calcolo di un indice unico di
sostenibilità, ISSI, Indice dello Sviluppo Sostenibile in Italia basato
sulla combinazione di trenta indicatori chiave cui vengono associati serie
storiche, trend e target.
L'idea di una
Seconda
modernità nasce in ISSI con la pubblicazione del saggio di Ronchi "Ecologia
come seconda modernità" e con il Convegno dell'aprile
2003, (>
ascolta gli interventi ...) che rinnova la tradizione del pensiero
ecologico collegandolo ad elaborazioni di matrice politico-sociale sulla
"Società del rischio" ed al ruolo di una nuova scienza per
la sostenibilità, tanto possibile quanto necessaria. In
questa visione assume un ruolo di rilievo essenziale la questione della
riflessività
e dei beni comuni
cui è dedicato un
saggio di Carlo Donolo.
Altri
saggi ed articoli sono disponibili su questa materia nelle pagine
collegate.
Richard Feynman, un grande fisico del secolo scorso, disse
una volta: “Whoever says that he understands quantum theory, in all
probability does not” Lo stesso vale per lo sviluppo sostenibile. Posto
che un mondo sostenibile è piuttosto una fiction (Martens; 2006), il
concetto di sviluppo sostenibile "... does not contemplate any
statistical state of affairs or finite stocks, but rather emphasizes a
positive evolution and positive lines of development. Sustainable
development can, in fact, be described as the capacity of a society to move
itself, in a certain time period, between satisfactory, adaptable and viable
conditions”.
Il pensiero ecologico è un
pensiero sistemico ma non è un pensiero
unico. Ne fa parte il ragionamento in condizioni di incertezza ma nessuna
evasione esoterica o millenaristica è consentita. Si tratta con ogni probabilità di una forma
di pensiero debole, ma chi potrà rinunciare all'istanza di base della
sostenibilità, non un teorema né una congettura, ma un'azione
diversificata, complessa, sperimentale per trovare una via per la possibile sopravvivenza della specie umana,
delle altre specie viventi e della natura sulla terra. La conoscenza delle dinamiche globali e locali del
pianeta è insufficiente, quindi si pone la necessità di un nuovo tipo di
scienza, non riduzionista, interdisciplinare, sistemica, precauzionale, capace di interiorizzare il rischio
e l'incertezza e di creare le basi conoscitive per guidare l'azione pratica mentre le cose
stanno accadendo ed i cambiamenti sono in atto. La conoscenza è
una risorsa scarsa ma rinnovabile e capace di futuro, è una condizione
indispensabile per la sostenibilità per lo
sviluppo e per il progresso umano.
* * *
La
Conferenza
di Rio de Janeiro del 1992, convocata dalle Nazioni Unite, affermò
solennemente i Principi dello sviluppo sostenibile ed approvò
Agenda
21, la guida per l'attuazione dei principi enunciati nella
Dichiarazione Politica. La
Conferenza di Rio rimase in realtà
del tutto interna all'ipotesi che la crescita dell'economia e della
ricchezza globale avrebbe determinato un avanzamento generale per
l'ambiente, la pace e lo sviluppo. A tal proposito fu deciso che sette parti
su mille del reddito prodotto dai paesi più ricchi del Nord industrializzato
sarebbero state destinate allo sviluppo dei paesi poveri del resto del mondo. Alla
fine del secolo, otto anni dopo Rio, la
Dichiarazione dell'Assemblea
Generale del Millennio delle Nazioni
Unite segna una data di svolta nella consapevolezza dei gravi problemi
procurati dall'estendersi della povertà e del degrado ambientale. Caduta
l'illusione della crescita benefica, i conti con i cambiamenti globali restano
da fare, l'adozione dei
Principi di Rio è ancora ai primi passi, come il
Summit di Johannesburg
ha stabilito dieci anni dopo Rio, in un clima profondamente mutato.
In
Europa, in particolare nel versante nord dei paesi più
ricchi, sta la forza viva del pensiero ecologista e della sostenibilità, ma
le differenze da paese a paese sono davvero grandi. Il pensiero
ecologista ha trovato una moderata udienza presso le istituzioni
dell'Unione, Consiglio, Parlamento e Commissione, più convinta in quest ultima nel periodo compreso tra la pubblicazione del
Libro
Bianco di Jaques Delors nel 1993 e la Presidenza Prodi nella quale si
iscrivono tre importanti processi, di
Cardiff (1998), di
Lisbona
(2000)
e di
Goteborg
(2001), che prendono il nome dalle città nelle quali si è riunito
il Consiglio europeo.
E'
di assoluto rilievo osservare che lo sviluppo sostenibile è inserito nei
Trattati costitutivi dell'Unione Europea di
Maastricht (1993),
nel quale l'atto finale fa riferimento ad un curioso principio della "crescita
sostenibile" e di
Amsterdam
(1997), che recita "... promuovere il progresso economico e sociale ...
tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile e ... del
rafforzamento della coesione e della protezione dell'ambiente, nonché ad
attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via
dell'integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri
settori". "... promuovere un
progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione e
pervenire a uno sviluppo equilibrato e sostenibile".
Il Trattato prescrive che "le
esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella
definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie ... in
particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile".
Lo sviluppo
sostenibile è pertanto un principio costituzionale per l'Europa, in anticipo
rispetto a gran parte dei Paesi membri.
Nella tradizione europea, in particolare in alcuni paesi del nord ed in
Germania, si sono sviluppate importanti
esperienze di pianificazione ambientale e territoriale di cui sono
espressione i
"Green
Plan" della fine degli anni '80 del secolo scorso. Questi
stessi paesi oggi hanno una strumentazione
amministrative e scientifica per il governo dello sviluppo, dell'ambiente e
della sostenibilità di livello superiore alla stessa
Commissione Europea. La tradizione comunitaria di una forte ed autorevole
direzione per gli affari ambientali, si è costituita quindi con il solido
riferimento ad alcune realtà nazionali. La competenza dello sviluppo sostenibile
è stata a lungo appannaggio della
DG
Ambiente della Commissione. Nel 1993, poco
dopo Rio, fu prodotto il V Piano d'Azione Ambientale per lo sviluppo sostenibile (V EAP) , sotto la duplice influenza dei
Green Plan e del modello PSR
dell'OECD (1991), ma piuttosto poco coerente al coevo approccio allo
sviluppo sostenibile di Rio con Agenda 21. Nello stesso anno, con lo stesso
stile, anche l'Italia produsse un analogo piano, che, privo di risorse
gestionali e finanziarie, finì per avere una eco prevalentemente
nella cultura ecologista piuttosto che nelle amministrazioni.
Economia
e società sono "fattori di pressione
sull'ambiente" secondo il modello PSR, un modello concettuale che ha avuto successo. Questa visione fu causa involontaria di una sorta di
"invasione di campo" da parte delle autorità ambientali in settori di
competenza diversa, sociale ed economica. Il Processo di Cardiff nel
1999 ristabilì con il "Principio di
integrazione dell'ambiente in tutte le politiche dell'Unione", che
il fattore ambientale è responsabilità diretta di ogni settore e che lo sviluppo
sostenibile è materia coordinata dalla Presidenza. Accade così che i
processi base di Cardiff, integrazione delle politiche ambientali e di
Lisbona, Europa dell'innovaz ione e della conoscenza, si saldino a Goteborg
nel 2001 in un unico programma strutturale per lo sviluppo, l'occupazione e
l'ambiente in Europa (EU SDS). Il Consiglio ha prodotto nel giugno del 2006
un importante
documento
di valutazione dell'implementazione di tale strategia.
La
pianificazione dello sviluppo sostenibile in Italia è appannaggio del CIPE
che la legge ha dotato di strutture amministrative dedicate. Per iniziativa
del Ministro dell'Ambiente E. Ronchi è stata messa a punto la
sezione ambientale del Piano Nazionale per lo Sviluppo sostenibile adottata
con la delibera CIPE 57/02 del 2 agosto 2002, vigilia del Summit di
Johannesburg. La genesi del Piano, denominato "Strategia
di azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia", ha per
la prima volta compreso un Forum nazionale di consultazione di tutte le
categorie, le parti sociali e le associazioni ambientaliste. Una buona
discussione del Piano, dei contenuti e delle prospettive si trova nel saggio
di F. La Camera, "Sviluppo sostenibile. Origini, teoria e pratica",
pubblicato dagli Editori Riuniti.
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