Comitato Scientifico Comitato di redazione I link Rapporti
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Sviluppo sostenibile Storia e tendenze La Green economy Agenda 2030 Bibliografia |
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cambiamenti globali Clima Energia Trasporti Territorio |
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INDICATORI dati statistici e metodologie Oltre il PIL verso gli SDG |
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Gli eventi che hanno fatto la storia dello sviluppo sostenibile |
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1968 Aurelio Peccei e il Club di Roma - 1972 Stoccolma - 1992 Rio de Janeiro UNCED - 1997 Kyoto - 2000 L'Assemblea del Millennio 2002 Johannesburg WSSD - 2012 Rio de Janeiro UNCSD, Rio+20 - 2015 L'Agenda 2030 |
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Gli orientamenti del dibattito internazionale sullo sviluppo sostenibile: i testi guida sullo sviluppo sostenibile 1972 The limits to growth - 1980 IUCN World Conservation Strategy - 1987 WCED: Il Rapporto Brundtland 1992 L'Agenda 21 di Rio - 1993 Il libro bianco di J. Delors 2000 The Millennium Declaration - 2002 La Strategia italiana - 2004 La seconda modernità 2005 Il Millennium Ecosystem Assessment - 2006 Il Rapporto Stern - 2006 Riflessività 2009 Il Rapporto Stiglitz - 2009 Planetary boundaries 2011 UNEP: La green economy - 2011 Il manifesto di Milano - 2012 Amartya Sen: Capacitazione e conoscenza 2012 Rio+20: The future we want - 2015 New York. L'Agenda 2030 |
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Le basi ambientali, economiche e sociali e la governance dello sviluppo sostenibile nel mondo di Toni Federico (> scarica la presentazione)
Prima della Brundtland, WCED, 1987
Gro Harlem Brundtland, 1987, Our Common Future
Rio de Janeiro 1992, UNCED – Earth Summit
Rio de Janeiro. I 27 principi dello sviluppo sostenibile
Rio de Janeiro, le Agende 21 locali
Rio de Janeiro 1992, le Convenzioni quadro
New York 2000, L’Assemblea del Millennio
New York 2000, i Millennium Development Goals
Rio de Janeiro (+20) 2012, la UNCSD
Rio de Janeiro (+20) 2012, la decisione finale
New York, 2015, 70° UN GASS, l’Agenda 2030
L’Agenda 2030: trasformare il nostro mondo
Gli SDG, i Sustainable development goals
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Stoccolma 1972
Brundtland 1987 "Our Common Future"
La 70° Assemblea Generale dell'ONU, l'Agenda 2030 e gli SDG
Il VI Piano di Azione Ambientale
2017: La Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile 2002: La Strategia di azione ambientale per lo sviluppo sostenibile
Libri e articoli sullo Sviluppo sostenibile 2018 2018
2007
2003
2002
2000
Lo Sviluppo sostenibile sul WEB
ECOSISTEMI srl
The WWW Virtual Library
OECD SD Links
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Sustainability Webring
International Institute for Sustainable Development
Sustainable development online
People in action
Google SD
Friends of the Earth UK
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Senato della Repubblica Bibliografia
Ontario Producers Sustainable Energy
Toscana sostenibile
Università Federico II Napoli |
I post dello sviluppo sostenibile Invito alla discussione: i commenti spediti a federico@susdef.it saranno pubblicati
L’ECONOMIA HA ASSUNTO I PRINCIPI DELLA SOSTENIBILITÀ?
Il cammino dello sviluppo sostenibile non ha ancora un passo sufficiente per contrastare il degrado ambientale. il ruolo delle economie mondiali e' determinante. la transizione deve partire dal riconoscere i limiti del pianeta e contemplare gli orizzonti della green economy e dell’economia circolare di Toni Federico per Ecoscienza, Dicembre 2017, n° 5 C'è un'unica risposta al quesito nel titolo e si chiama “transizione”. Si può fare un’analisi più o meno spregiudicata sull’economia attuale, la globalizzazione, il neoliberismo e il resto, vexate quaestiones in ogni angolo del mondo. Quello che è certo è che veniamo dall’ennesima crisi, la più grave del secolo e che questa economia non ha dimostrato capacità adeguate per assicurare un futuro alle generazioni che verranno, per usare le parole di Gro Harlem Brundtland. Del resto parlare di economia è troppo semplice e ovest-centrico, perché di economie ce ne sono tante e nessuna è immune da queste stesse critiche. Si è rivelata fallace la previsione che l’economia del mondo sviluppato, caduto il muro di Berlino, avrebbe innalzato il livello del del mare sollevando tutte le barche, grandi e piccole. Era l’idea dell’Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992 (> vedi la pagina), del quale il Rapporto Brundtland ha costituito le basi teoriche. Le diseguaglianze sono aumentate dappertutto, tra paesi e anche entro i paesi più ricchi. Gli altri indici legati alla qualità dell’ambiente, biodiversità, concentrazioni di gas serra in atmosfera ecc. puntano da allora verso il basso. A Rio+20 sono caduti nel vuoto gli ultimi tentativi di stabilire una governance dell’economia sostenibile dall’alto, con un modello green unico per tutti, per l’opposizione della Cina e degli altri paesi poveri e in via di sviluppo. Un processo parallelo avveniva, negli stessi tempi, nei negoziati sulla lotta ai cambiamenti climatici: falliva la Cop15 di Copenhagen nel tentativo di sostituire il Protocollo di Kyoto con un nuovo trattato per l’abbassamento delle emissioni serra, avente valore legale per tutti. I nuovi negoziati post Rio+20 e post Copenhagen si sono posti su un sentiero diverso, basato sui fini e non sui mezzi, quindi rispettoso delle diversità tra le economie e i livelli di sviluppo, fissando target eguali per tutti e lasciando ai singoli paesi il compito di fare del loro meglio ma con la massima trasparenza e ogni possibile uniformità nel rendere noti i risultati. I due processi hanno avuto un esito comune nel 2015. A settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni unite vara l’Agenda 2030, un blueprint in 17 parti che fissa i Sustainable Development Goals (Sdg) al 2030 mediante 169 target sorvegliati da una popolazione di ben 240 indicatori (> vai alla pagina). Nello slot del goal 13 dell’Agenda si inserisce a dicembre 2015 lo spettacolare risultato dell’Accordo globale sul clima di Parigi (> vai al resoconto), che fissa un unico obiettivo a fine secolo: “il contenimento dell’incremento della temperatura media globale molto al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali”. > leggi tutto Democrazia e sviluppo sostenibile di Carlo Donolo Prendiamo di petto una questione spinosa e ricca di equivoci pericolosi. Quale il ruolo dei regimi democratici nella transizione green e specificamente nel contrasto alle crisi ambientale e climatica? La democrazia ce la può fare a governare questi passaggi, le relative emergenze, a preservare le future generazioni, a rendersi sostenibile? Sappiamo che in questa fase di metamorfosi del capitalismo tra globalizzazione, finanziarizzazione e mercificazione totalizzante la democrazia è entrata in una delle sue crisi storiche più problematiche. Nel senso che ha dovuto cedere di fronte alla potenza fattuale del capitale e dei suoi imperativi. Molte acquisizioni del II dopoguerra stanno evaporando, tra diritti del lavoro, crescenti diseguaglianze, e atrofia della funzione pubblica. Anche lo stato di diritto sta subendo seri colpi, per lo spostamento della sovranità oltre i confini nazionali e sopratutto per il prevalere di regolazioni mercatorie rispetto a quelle fondate sulle costituzioni repubblicane. Dobbiamo preoccuparci per questi sviluppi, al momento dominanti e difficilmente contrastabili? Come potrà una democrazia impoverita e ampiamente manipolata reggere al confronto con grandi questioni nazionali e continentali e globali che tutte insieme presentano i loro conti? Il tutto in un contesto in cui ci sono populismi rampanti, radicale affievolimento di ogni istanza riformista di radice socialdemocratica, estremo impoverimenti del lessico politico e delle ragioni ammesse nella sfera pubblica, e in cui - come da tempo è stato notato - la politica appare decisamente subalterna alle ragioni dell'economia. Per paesi come l'Italia è chiaro che l'unificazione europea rispondeva anche al bisogno di costruzione e manutenzione di un modello sociale in cui la coesione e i processi capacitanti avessero un certo peso. Da tempo però, e almeno dal “governo” Barroso, anche l'UE si è adeguata ai parametri imposti dall'economicismo finanziario più spietato, come si è visto in modo esemplare nel trattamento inflitto alla Grecia. Molti segnali inducono a pensare che la crisi della democrazia non consista tanto nel suo impoverimento come regime parlamentare e rappresentativo (data la supremazia quasi incontestata di componenti oligocratiche, plutocratiche e tecnocratiche), quanto nella sua fragilità o vulnerabilità di fronte alle sfide dell'epoca. In parte del resto la stessa forza acquisita da fattori non democratici (il mercato, il denaro, la tecnica ed altro ancora) registra già una forma implicita di supplenza alla democrazia: la dove essa non è in grado di governare processi (veloci, complessi, pluriscalari), subentrano “naturalmente” altre forze, più adatte a dirigerli. Siamo già abbastanza avanti in questo de-potenziamento democratico e del resto analisti ed osservatori convergono su queste preoccupazioni e su queste critiche. Tutto questo appare in contraddizione con quanto predicato formalmente dalle grandi istituzioni globali tra FMI e BM, e a altre agenzie NU, che nei loro documenti danno per acquisito che si può avere sviluppo solo se equo e sostenibile, e solo sul fondamento di solide istituzioni democratiche e dentro le regole dello stato di diritto. I fatti mostrano che la realtà è ben più variegata, anche solo pensando al caso cinese, che poi è quello dirimente. E inoltre anche il riferimento crescente (OCSE per esempio) a sostenibilità, equità e coesione, e infine a libertà come capacitazioni (A. Sen) sembra quasi un richiamo ai processi reali perché non dimentichino il proprio fondamento liberale. Dobbiamo dare per verosimile il fatto che il capitalismo sia anche in grado di assorbire queste istanze, sotto molti aspetti più esigenti di quelle precedenti, evolvendo in varie dimensioni e riciclando anche le esigenze apparentemente più critiche, come quelle della sostenibilità. Viceversa non sappiamo come si comporterà la democrazia. Non dobbiamo farci oscurare la vista dalle tendenze attuali in cui la subalternità della democrazia e la sua funzionalità nelle forme attuali perfino alle forme più violente ed esasperate accumulazione globale sono così evidenti. Ci interroghiamo sulla sostenibilità democratica. Cioè se la democrazia sia capace di governare la transizione ecologica (un lungo passaggio storico caratterizzato dal diventare più sostenibile di ogni processo, ed insieme da una strategia di adattamento e contenimento dei rischi da mutamento climatico), e se lo stesso regime democratico debba intendersi come un sistema sostenibile (nel tempo ed ora anche nello spazio): s'intende con tutta la varianza macroregionale possibile, pensando alle grandi culture “universali” indiane o cinesi o islamiche. Si tratta di due questioni distinte ma correlate: solo se la democrazia è regime sostenibile può affrontare le questioni critiche della sostenibilità. Naturalmente non blocchiamoci su esigenze apodittiche, inutili e perverse in queste materie. Enunciamo qui solo gli statement basilari, rinviando ad altro intervento i necessari approfondimenti e qualificazioni. La democrazia è un regime politico che esige la progressiva democratizzazione di tutti gli ambiti di vita nella società. Ciò viene ottenuto con progressive capacitazioni delle sue componenti e dei suoi membri visti come cittadini attivi. Tutto ciò è già indicato anche nei primi articoli della nostra Costituzione. La democrazia è un regime di apprendimento di preferenze progressivamente “migliori”in un qualche senso ragionevole del termine. E perciò la democrazia è un regime che tende all'autoriforma, alla costante miglioria delle proprie istituzioni (come delle culture politiche, della cultura civica, dei diritti fondamentali). Sotto questo profilo la democrazia è l'unico regime in grado di affrontare questioni complesse come la crisi ambientale. Regimi autoritari o autocratici, per converso, che possono localmente esser funzionali anche al capitalismo, non sono in grado di fare fronte a sfide che richiedono mobilitazione di risorse cognitive e civiche notevoli. Ma nelle condizioni attuali la democrazia si sta allontanando dal suo profilo ideale (che qui vuol dire: normativo e costituzionale) e quindi quelle sue inerenti capacità in realtà risultano molto più modeste. E per contro in Cina un regime decisamente autoritario, anche se di fatto non più totalitario, è in grado di ante vedere molti sviluppi e di pianificarne con efficacia i percorsi, anche verso una maggiore sostenibilità (Stern, Piketty). Si vede che il giudizio deve essere molto più articolato. Ma intanto ne deriva che per poter affrontare seriamente la transizione abbiamo bisogno di una democrazia un po' più seria e più “sostenibile” di quella corrente. Potremo anche dire, se non appare troppo estremo, che la democrazia va rivitalizzata anche e soprattutto per questo scopo, se i rischi di questa epoca vanno presi sul serio. La ricchezza delle nazioni: quali progressi verso lo sviluppo sostenibile? è trascorso poco meno di un quarto di secolo dal Summit della terra di Rio de Janeiro e il concetto di sviluppo sostenibile continua ad essere l'idea guida per orientare il progresso. Da allora ad oggi il quadro economico sociale mondiale è completamente cambiato con la globalizzazione dei mercati e l'aggravamento dei divari tra Nord e Sud, la transizione "a nord" di alcune economie, prima di tutto la Cina, e delle diseguaglianze interne ai vari paesi. Sono corsi fiumi di inchiostro su questi fenomeni ed anche scenari, idee e prospettive sono cambiate. In questa stessa pagina ci sono alcune riflesssioni sul cambiamento globale (> vedi) e sulla green economy (> vai alla sezione dedicata). Ma l'evoluzione di maggior portata concettuale è quella relativa al concetto stesso di ricchezza. Negli anni '90 si adottò l'approccio del prodotto interno lordo che non è altro che il flusso di denaro che ogni nazione registra sotto forma di scambi commerciali su base annua. Il concetto di PIL, già criticato dai suoi stessi proponenti (> vai alla sezione dedicata "Oltre il PIL"), non può in effetti dare conto dello stato dell'effettiva ricchezza di un Paese o d una comunità, ricchezza che si basa sui patrimoni (stock) che sono molto più ampi di quelli monetari. L'approccio alla ricchezza delle nazioni attraverso gli stock si deve alla World Bank ed in particolare al rapporto del 2006 "Where is the Wealth of Nations? . Measuring Capital for the 21st Century". La sistemazione concettuale dell'approccio al benessere mediante gli stock la dobbiamo al Gruppo di lavoro capitanato da Joseph Stiglitz, cui è dedicata un'ampia sezione di questo sito (> vai al Rapporto Stiglitz). Nel nuovo quadro nel quale si ridefiniscono gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile si iscrivono le iniziative dell'UNEP, la green economy, e lo stesso Summit dello Sviluppo sostenibile del 2012, ormai noto come Rio+20 (> vai alla sezione Rio+20). L'approccio al nuovo concetto di ricchezza - estesa secondo Stiglitz, inclusiva secondo le Nazioni Unite - è sviluppato e documentato nei Rapporti UNU - UNEP "Inclusive Wealth Report. Measuring progress toward sustainability" pubblicati finora in due edizioni, 2012 e 2014. La pubblicazione inaugurale sulla ricchezza inclusiva (IWR 2012), rilasciato congiuntamente da UNU-IHDP e UNEP, dava un quadro di riferimento e guida per quanto è idealmente è necessario per costruire un rapporto completo sulla ricchezza di un Paese. Le procedure raccomandate sono state messe alla prova per valutare le variazioni della ricchezza pro-capite nel periodo 1990 - 2008 in 20 paesi rappresentativi di vari stadi di sviluppo. Per l'Europa era compresa la Germania ma non l'Italia. Lo studio ha rivelato che i governi nazionali e le agenzie internazionali dovrebbero andare al di là dei PIL verdi, riclassificare certe classi di prodotti e servizi e aggiungerne altri che sono attualmente mancanti. I dati su molti elementi appaiono necessariamente solo in termini fisici, mentre molti altri elementi di rilevanza (ecosistemi naturali diversi dalle foreste, per esempio) continueranno ad essere mancanti anche in termini fisici. Le valutazione in termini monetari mediante i prezzi ombra (shadow prices) comportano inevitabilmente approssimazioni, ma è essenziale per buona norma sapere dove esse sono e quanto incidono. La IWR 2012 offre una serie di conti patrimoniali simili ai bilanci delle imprese private. La Ricchezza Inclusiva è il valore sociale del capitale fisso di un'economia. Le attività comprendono (i) Capitale costruito, infrastrutture (strade, edifici, macchine e attrezzature), (ii) il capitale umano (competenze, educazione, la salute), e (iii) il capitale naturale (risorse del sottosuolo, gli ecosistemi e l'atmosfera). Gli altri beni durevoli come la conoscenza, le istituzioni, la cultura, la religione, e più in generale, il capitale sociale, sono stati per ora considerati solo come risorse abilitanti; ossia attività che consentono la produzione e allocazione delle attività nelle categorie (i) - (iii) e la cui efficacia si riflette nei prezzi ombra delle attività in categorie (i) - (iii). Ad esempio, il prezzo ombra di un'attrezzature agricola è basso in un paese tormentato da conflitti civili, mentre è alto altrove. Il sistema dei conti nazionali (SNA), che sono ancora in fase di sviluppo dalle Nazioni Unite e dall'Eurostat non contengono molte delle aggiunte e delle riclassificazioni introdotte dall'IWR 2012. Trattandosi di un primo tentativo, le stime sono state effettuate principalmente con in mente il capitale naturale . Anche in tale categoria, l'attenzione era rivolta alle foreste, ai suoli, alle risorse del sottosuolo, e all'atmosfera come deposito per il carbonio. Le stime del capitale umano sono state limitate all'educazione, la cui misura ha una lunga storia in economia. La pubblicazione dell'IWR 2014 estende la la precedente in tre modi:
Segnaliamo al lettore in particolare il Capitolo 5: "Health capital", curato da Kenneth J. Arrow, Partha Dasgupta, e Kevin J. Mumford; ed il Capitolo 7: "Challenges to ecosystem service valuation for wealth accounting", di Edward Barbier, ormai il maggiore specialista sull'argomento.
Figura 1 Variazioni dell'indice IWR nel periodo 1990 - 2010
Da Rio 1992 al Global Green New Deal e alla Green economy Modernità industriale e globalizzazione sono gli ingredienti del modello di sviluppo degli anni novanta che entra in una crisi profonda e pericolosa proprio nel momento della sua massima espansione. Con la crisi del 2008 tramonta il mito della crescita economica senza regole che ha riempito il dibattito internazionale dopo la caduta del muro di Berlino. La crisi aggrava le contraddizione croniche di questo modello di sviluppo: l'insufficienza delle risorse naturali, la povertà crescente, l'iniquità distributiva, l'incapacità di assicurare la pace e la sicurezza agli uomini e di contrastare il degrado dell'ambiente. Si può ipotizzare una transizione verso una modernità di tipo nuovo, capace di contemperare il progresso umano con la natura in un quadro di equità e di sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile è un concetto che si sviluppa storicamente nell'alveo del pensiero ecologico ed ecosistemico. La data di nascita di un pensiero ecosistemico sullo sviluppo viene comunemente collegata alla pubblicazione de i "Limiti allo sviluppo", in realtà limiti alla crescita (growth), (Rapporto del MIT al Club di Roma; 1972). Il rapporto pone su basi sistemiche il problema dell'esaurimento delle risorse senza chiudere la porta allo sviluppo tecnologico. Seguiranno le crisi petrolifere, Seveso, Bhopal, Chernobyl. La questione ambientale diviene centrale nelle scelte di politica economica a livello mondiale. Il governo dell'ambiente si costituisce le sue sedi istituzionali autonome nei governi, in Europa ed alle Nazioni Unite e nelle Agenzie per la protezione dell'ambiente. Il decennio di fine secolo è ricco di grande fervore ed ottimismo, che segna profondamente il pensiero ecologico. Si parte da Rio de Janeiro, Kyoto e l'Assemblea del Millennio fino ai G8 e a Copenhagen. In questo arco di anni e di eventi si spegne l'illusione che l'accrescimento generalizzato della ricchezza, il progresso scientifico e la tecnologia avrebbero portato il pianeta oltre i limiti del Rapporto del MIT. Una risposta adeguata a quel Rapporto non c'è in realtà ancora stata. Ci sono state critiche severe e manifestazioni di scetticismo che hanno convinto gli autori ad affinare questa loro prima analisi nelle pubblicazioni successive. Il lettore non può privarsi del "gusto" di osservare nelle elaborazioni del MIT del 1972 quelle stesse curve a campana che oggi sono diventate patrimonio comune con la teoria di Hubbert sul picco di produzione dei combustibili fossili. I modelli di crescita esponenziale del primo Rapporto erano forse grossolani, infatti le elaborazioni più recenti del MIT li hanno sostituiti con strumenti più sofisticati. Ma leggere nel vecchio rapporto una previsione per la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera all'anno 2000 pari a 365 ppmv contro i 369 ppmv misurati sperimentalmente non manca di dare emozioni particolari al lettore di oggi.
Il libro di E. Ronchi "Sviluppo capace di futuro" del 2000 è la prima sistemazione concettuale dello sviluppo sostenibile rapportata con molta concretezza, documenti, dati e riferimenti, alle vicende del governo delle politiche ambientali in Italia negli anni '90, molte delle quali vissute dall'autore in prima persona come Ministro dell'ambiente. Nello stesso anno della pubblicazione del libro viene fondato ISSI, Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, per raccogliere e promuovere quei contenuti. L'Istituto pubblica nel 2002 il suo primo Rapporto 2002; "Un futuro sostenibile per l'Italia", nel quale presenta una valutazione quantitativa dello stato della sostenibilità in Italia ed una metodologia nuova per il calcolo di un indice unico di sostenibilità, ISSI, Indice dello Sviluppo Sostenibile in Italia basato sulla combinazione di trenta indicatori chiave cui vengono associati serie storiche, trend e target. L'idea di una Seconda modernità nasce in ISSI con la pubblicazione del saggio di Ronchi "Ecologia come seconda modernità" e con il Convegno dell'aprile 2003, (> ascolta gli interventi ...) che rinnova la tradizione del pensiero ecologico collegandolo ad elaborazioni di matrice politico-sociale sulla "Società del rischio" ed al ruolo di una nuova scienza per la sostenibilità, tanto possibile quanto necessaria. In questa visione assume un ruolo di rilievo essenziale la questione della riflessività e dei beni comuni cui è dedicato un saggio di Carlo Donolo. Altri saggi ed articoli sono disponibili su questa materia nelle pagine collegate. Richard Feynman, un grande fisico del secolo scorso, disse una volta: “Whoever says that he understands quantum theory, in all probability does not” Lo stesso vale per lo sviluppo sostenibile. Posto che un mondo sostenibile è piuttosto una fiction (Martens; 2006), il concetto di sviluppo sostenibile "... does not contemplate any statistical state of affairs or finite stocks, but rather emphasizes a positive evolution and positive lines of development. Sustainable development can, in fact, be described as the capacity of a society to move itself, in a certain time period, between satisfactory, adaptable and viable conditions”. Il pensiero ecologico è un pensiero sistemico ma non è un pensiero unico. Ne fa parte il ragionamento in condizioni di incertezza ma nessuna evasione esoterica o millenaristica è consentita. Si tratta con ogni probabilità di una forma di pensiero debole, ma chi potrà rinunciare all'istanza di base della sostenibilità, non un teorema né una congettura, ma un'azione diversificata, complessa, sperimentale per trovare una via per la possibile sopravvivenza della specie umana, delle altre specie viventi e della natura sulla terra. La conoscenza delle dinamiche globali e locali del pianeta è insufficiente, quindi si pone la necessità di un nuovo tipo di scienza, non riduzionista, interdisciplinare, sistemica, precauzionale, capace di interiorizzare il rischio e l'incertezza e di creare le basi conoscitive per guidare l'azione pratica mentre le cose stanno accadendo ed i cambiamenti sono in atto. La conoscenza è una risorsa scarsa ma rinnovabile e capace di futuro, è una condizione indispensabile per la sostenibilità per lo sviluppo e per il progresso umano.
* * * La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, convocata dalle Nazioni Unite, affermò solennemente i Principi dello sviluppo sostenibile ed approvò Agenda 21, la guida per l'attuazione dei principi enunciati nella Dichiarazione Politica. La Conferenza di Rio rimase in realtà del tutto interna all'ipotesi che la crescita dell'economia e della ricchezza globale avrebbe determinato un avanzamento generale per l'ambiente, la pace e lo sviluppo. A tal proposito fu deciso che sette parti su mille del reddito prodotto dai paesi più ricchi del Nord industrializzato sarebbero state destinate allo sviluppo dei paesi poveri del resto del mondo. Alla fine del secolo, otto anni dopo Rio, la Dichiarazione dell'Assemblea Generale del Millennio delle Nazioni Unite segna una data di svolta nella consapevolezza dei gravi problemi procurati dall'estendersi della povertà e del degrado ambientale. Caduta l'illusione della crescita benefica, i conti con i cambiamenti globali restano da fare, l'adozione dei Principi di Rio è ancora ai primi passi, come il Summit di Johannesburg ha stabilito dieci anni dopo Rio, in un clima profondamente mutato. In Europa, in particolare nel versante nord dei paesi più ricchi, sta la forza viva del pensiero ecologista e della sostenibilità, ma le differenze da paese a paese sono davvero grandi. Il pensiero ecologista ha trovato una moderata udienza presso le istituzioni dell'Unione, Consiglio, Parlamento e Commissione, più convinta in quest ultima nel periodo compreso tra la pubblicazione del Libro Bianco di Jaques Delors nel 1993 e la Presidenza Prodi nella quale si iscrivono tre importanti processi, di Cardiff (1998), di Lisbona (2000) e di Goteborg (2001), che prendono il nome dalle città nelle quali si è riunito il Consiglio europeo. E' di assoluto rilievo osservare che lo sviluppo sostenibile è inserito nei Trattati costitutivi dell'Unione Europea di Maastricht (1993), nel quale l'atto finale fa riferimento ad un curioso principio della "crescita sostenibile" e di Amsterdam (1997), che recita "... promuovere il progresso economico e sociale ... tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile e ... del rafforzamento della coesione e della protezione dell'ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell'integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori". "... promuovere un progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione e pervenire a uno sviluppo equilibrato e sostenibile". Il Trattato prescrive che "le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie ... in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile". Lo sviluppo sostenibile è pertanto un principio costituzionale per l'Europa, in anticipo rispetto a gran parte dei Paesi membri. Nella tradizione europea, in particolare in alcuni paesi del nord ed in Germania, si sono sviluppate importanti esperienze di pianificazione ambientale e territoriale di cui sono espressione i "Green Plan" della fine degli anni '80 del secolo scorso. Questi stessi paesi oggi hanno una strumentazione amministrative e scientifica per il governo dello sviluppo, dell'ambiente e della sostenibilità di livello superiore alla stessa Commissione Europea. La tradizione comunitaria di una forte ed autorevole direzione per gli affari ambientali, si è costituita quindi con il solido riferimento ad alcune realtà nazionali. La competenza dello sviluppo sostenibile è stata a lungo appannaggio della DG Ambiente della Commissione. Nel 1993, poco dopo Rio, fu prodotto il V Piano d'Azione Ambientale per lo sviluppo sostenibile (V EAP), sotto la duplice influenza dei Green Plan e del modello PSR dell'OECD (1991), ma piuttosto poco coerente al coevo approccio allo sviluppo sostenibile di Rio con Agenda 21. Nello stesso anno, con lo stesso stile, anche l'Italia produsse un analogo piano, che, privo di risorse gestionali e finanziarie, finì per avere una eco prevalentemente nella cultura ecologista piuttosto che nelle amministrazioni. Economia e società sono "fattori di pressione sull'ambiente" secondo il modello PSR, un modello concettuale che ha avuto successo. Questa visione fu causa involontaria di una sorta di "invasione di campo" da parte delle autorità ambientali in settori di competenza diversa, sociale ed economica. Il Processo di Cardiff nel 1999 ristabilì con il "Principio di integrazione dell'ambiente in tutte le politiche dell'Unione", che il fattore ambientale è responsabilità diretta di ogni settore e che lo sviluppo sostenibile è materia coordinata dalla Presidenza. Accade così che i processi base di Cardiff, integrazione delle politiche ambientali e di Lisbona, Europa dell'innovazione e della conoscenza, si saldino a Goteborg nel 2001 in un unico programma strutturale per lo sviluppo, l'occupazione e l'ambiente in Europa (EU SDS). Il Consiglio ha prodotto nel giugno del 2006 un importante documento di valutazione dell'implementazione di tale strategia. La pianificazione dello sviluppo sostenibile in Italia è appannaggio del CIPE che la legge ha dotato di strutture amministrative dedicate. Per iniziativa del Ministro dell'Ambiente E. Ronchi è stata messa a punto la sezione ambientale del Piano Nazionale per lo Sviluppo sostenibile adottata con la delibera CIPE 57/02 del 2 agosto 2002, vigilia del Summit di Johannesburg. La genesi del Piano, denominato "Strategia di azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia", ha per la prima volta compreso un Forum nazionale di consultazione di tutte le categorie, le parti sociali e le associazioni ambientaliste. Una buona discussione del Piano, dei contenuti e delle prospettive si trova nel saggio di F. La Camera, "Sviluppo sostenibile. Origini, teoria e pratica", pubblicato dagli Editori Riuniti.
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Comitato Scientifico della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile Via dei Laghi 12, 00198 Roma Tel.: +39 06 8414815 www.fondazionesvilupposostenibile.org |
Coordinatore: Toni Federico (email:federico@susdef.it) Storia e tendenze dello sviluppo sostenibile La Green economy Clima Energia Trasporti Territorio |