Aggiornamento 13-apr-2024

 

 

Comitato Scientifico     Comitato di redazione       I link      Rapporti    

ieri Guernica oggi Kiev e Gaza

Lo Sviluppo sostenibile:                                 Storia e tendenze                    La Green economy                  Agenda 2030                   Bibliografia

I cambiamenti globali:                     Clima           Energia          Trasporti          Territorio

Indicatori e metodologie                                     Oltre il PIL 

Homepage del Comitato scientifico >   Clima >      Il negoziato sul clima       Il V Rapporto IPCC       I dati globali       I dati italiani

 

 

 

Cronologia

degli eventi storici  rilevanti per i cambiamenti climatici

 

2021: La COP 26 di Glasgow

La COP 21 di Parigi

 

I documenti

 

L'ACCORDO DI PARIGI

versione italiana

Il testo dell'accordo come entra a Parigi

 

CONOSCERE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il clima globale (2014)

Principi (2014)

La questione climatica (2015)

Le basi fisiche del cambiamento climatico (ppt, 2018)

Il cambiamento climatico (2019)

Energia e Clima (ppt, 2019)

Clima e Green Deal (2021)

Adattamento (ppt, 2022)

 

CRONACA E STORIA DEL NEGOZIATO CLIMATICO

Il negoziato in breve (ppt)

La governance del Cambiamento climatico

Volume I. Da Bali a Varsavia

Volume II. Da Varsavia a Lima

Volume III. Parigi

Volume IV. Il ruolo dell'Europa

Volume V. Madrid e Glasgow

 

IL V RAPPORTO IPCC

 

Il Rapporto di sintesi

ll sommario del Rapporto di sintesi in italiano

Il Rapporto del WKG III

Il sommario in italiano

Il Rapporto del WKG II

Il sommario in italiano

Il Rapporto del WKG I

Il Sommario in italiano

 

I DATI CLIMATICI

I dati globali

I dati italiani

LE PUBBLICAZIONI GUIDA DELLA SCIENZA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

 

UNEP.  La serie dei Rapporti sul Emissions Gap

Rapporto 2018

Rapporto 2017

Rapporto 2016

Rapporto 2015

Rapporto 2014

Rapporto 2013

Rapporto 2012

Il Sommario in italiano (2012)

Rapporto 2010

 

2015: OECD IEA. World Energy Outlook - Energy and Climate Change

 

2014: World Bank. Terzo rapporto sullo stato del pianeta qualora la temperatura media superficiale si alzi di 4°

Il Rapporto 2014

Il Rapporto 2013

Il Rapporto 2012

Il Sommario in italiano (2012)

2013: Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio:“Progressi nella realizzazione degli obiettivi di Kyoto”

2011: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al CESE e al Comitato delle Regioni

"Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse"

2011: Il rapporto McKinsey

"Resource Revolution"

Il Sommario

Il Rapporto completo

 2010: McKinsey&Company: Impact of the financial crisis on carbon economics: Version 2.1 of the global greenhouse gas abatement cost curve

2006: Il Rapporto Stern

Le cronache del clima

2015, agosto

Tromba d'aria a Genova

o

2015, luglio.

Tromba d'aria in Veneto

2014, febbraio. L'alluvione sommerge il Regno Unito

filmato 

2014, gennaio.  Il grande freddo in nordamerica

2013, novembre. Il tifone Cleopatra investe la Sardegna 

filmato          

filmato          

2013, novembre. Il tifone Hayian colpisce le Filippine

 

2012, dicembre. Il tifone Bohpa nelle Filippine

2012, novembre. Tromba d'aria a Taranto

 

2012, novembre.  Il ciclone Medusa

 2012, novembre. Albinia

 

  L'alluvione di Albinia del 2012 nei disegni dei bambini

2012, Ottobre. L'uragano Sandy

 

Filmati sul cambiamento climatico

 

 

IL CLIMA GLOBALE, LA SFIDA PRIMARIA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

 

LA COP 28 di DUBAI (resoconti in diretta da COP 28 UAE live e dalle Nazioni Unite)

 

15 Aprile 2024. A valle dell'approvazione del Regolamento EU Case Green l'Economist di questa settimana

 "Global warming is coming for your home. Who will pay for the damage?"

 

Circa un decimo delle proprietà residenziali del mondo in termini di valore è minacciato dal riscaldamento globale, comprese molte case che non si trovano affatto vicino alla costa. Dai tornado che colpiscono i sobborghi del Midwest americano ai chicchi di grandine grandi come palline da tennis che fracassano i tetti delle ville italiane, il maltempo causato dalle emissioni di gas serra sta scuotendo le fondamenta della più importante asset class del mondo.

I costi potenziali derivano da politiche volte a ridurre le emissioni delle case, nonché dai danni legati al clima. Sono enormi. Secondo una stima, il cambiamento climatico e la lotta contro di esso potrebbero spazzare via il 9% del valore delle abitazioni mondiali entro il 2050, che ammonta a 25mila miliardi di dollari, non molto meno del Pil annuale americano. Si tratta di un conto enorme che incombe sulla vita delle persone e sul sistema finanziario globale. Chi dovrebbe pagare?

I proprietari di case sono un candidato. Ma se si guarda ai mercati immobiliari di oggi, non sembrano sostenere i costi. I prezzi delle case mostrano scarsi segnali di adeguamento al rischio climatico. A Miami, oggetto di molte preoccupazioni per l’innalzamento del livello del mare, questi sono aumentati di quattro quinti in questo decennio, molto più della media americana. Inoltre, poiché l’impatto del cambiamento climatico è ancora incerto, molti proprietari potrebbero non sapere quanto rischio stavano correndo quando hanno acquistato le loro case.

Tuttavia, se invece i contribuenti tirassero fuori i soldi, salverebbero i proprietari benestanti e ridurrebbero gli incentivi utili per adattarsi alla minaccia incombente. Ripartire i costi sarà difficile per i governi, anche perché sanno che gli elettori tengono molto al valore delle loro case. L’intervento è composto da tre parti: pagare le riparazioni, investire nella protezione e modificare le case per limitare il cambiamento climatico.

Gli assicuratori di solito sostengono i costi delle riparazioni a danno avvenuto. Con il peggioramento del clima e l’aumento della frequenza delle catastrofi naturali, l’assicurazione sulla casa diventa sempre più costosa. In alcuni punti, potrebbe diventare così caro da far crollare i prezzi delle case; alcuni esperti avvertono di una “bolla climatica” che colpisce un terzo delle case americane. I governi devono fronteggiare le perdite che impongono ai proprietari di case o sottoscrivere essi stessi i rischi, come già accade in alcune parti della California a rischio di incendi e della Florida a rischio di uragani. L’esposizione combinata degli “assicuratori di ultima istanza” in questi due stati è esplosa da 160 miliardi di dollari nel 2017 a 633 miliardi di dollari. I politici locali vogliono trasferire il rischio al governo federale, che di fatto oggi gestisce l’assicurazione contro le alluvioni.

I danni fisici potrebbero essere prevenuti investendo nella protezione delle proprietà stesse o delle infrastrutture. Mantenere le case abitabili può richiedere l’aria condizionata. Finanziare questo investimento è la seconda sfida. I proprietari di casa che non avevano idea di essere a rischio dovrebbero pagare, ad esempio, per il sostegno concreto di una casa che crolla? Oppure è giusto tutelarli da costi così imprevisti e non equamente distribuiti? Le città costiere densamente popolate, che hanno maggiormente bisogno di protezione dalle inondazioni, sono spesso i gioielli della corona delle economie e delle società dei loro paesi: basti pensare a Londra, New York o Shanghai.

L’ultima domanda è come finanziare le modifiche interne che impediscono ulteriori cambiamenti climatici. Le case rappresentano il 18% delle emissioni globali legate all’energia. Molti probabilmente avranno bisogno di pompe di calore e di uno spesso isolamento. Sfortunatamente, ristrutturare le case è costoso. Chiedere ai proprietari di casa di pagare può portare a una reazione negativa. L'anno scorso il governo tedesca ha tentato di vietare le caldaie a gas, solo per cambiare rotta quando gli elettori si sono opposti ai costi. L’Italia ha seguito un approccio alternativo, offrendo aiuti straordinariamente generosi e mal progettati alle famiglie che ristrutturano. Ha speso l’incredibile cifra di 219 miliardi di euro, pari al 10% del suo pil, per il suo programma “superbonus”.

Il pieno impatto del cambiamento climatico è ancora lontano. Ma prima i politici riusciranno a risolvere questi problemi, meglio sarà. L’evidenza mostra che i prezzi delle case reagiscono a questi rischi solo dopo che il disastro si è verificato, quando è troppo tardi per investimenti preventivi. L’inerzia rischia quindi di riservare brutte sorprese. L’edilizia abitativa è un bene troppo importante per essere valutato erroneamente in tutta l’economia, anche perché è così vitale per il sistema finanziario.

I governi dovranno fare la loro parte. Solo i governi possono risolvere questi problemi di azione collettiva costruendo infrastrutture, e devono farlo soprattutto nelle città ad alta produttività. I proprietari avranno bisogno di incentivi per spendere ingenti somme per ammodernare le loro case per inquinare meno, a vantaggio di tutti. Allo stesso tempo, però, i politici devono stare attenti a non sovvenzionare la follia offrendo grandi garanzie implicite e schemi assicurativi espliciti sostenuti dallo Stato. Questi non solo rappresentano un rischio inaccettabile per i contribuenti, ma indeboliscono anche l’incentivo a investire per rendere le loro proprietà più resilienti. E sopprimendo i premi assicurativi, non fanno nulla per scoraggiare le persone dal trasferirsi in aree che già oggi sono note per essere ad alto rischio. I presagi non sono buoni, anche se la posta in gioco è così alta. Per decenni i governi non sono riusciti a disincentivare la costruzione nelle pianure alluvionali.

Il conto da 25mila miliardi di dollari porrà problemi in tutto il mondo. Ma non fare nulla oggi non farà altro che rendere il domani più doloroso. Sia per i governi che per i proprietari di case, la risposta peggiore all’enigma abitativo sarebbe quella di ignorarlo.

TORNA SU

 

15 dicembre 2023. I prossimi passi per l’Italia dopo le decisioni della Cop 28, di Ivan Manzo     

Il vertice di Dubai ha stabilito finalmente l’allontanamento dal settore fossile. Per accelerare il processo di decarbonizzazione dobbiamo dotarci di una Legge sul clima, rivedere il Pniec e trasformare i Sussidi ambientalmente dannosi. Il documento finale della Cop 28 per la prima volta associa la causa, i combustibili fossili, all’effetto, il riscaldamento globale. Può sembrare strano ma, in 30 anni di negoziati, non si era ancora riusciti a mettere nero su bianco che non solo occorre tagliare le emissioni climalteranti, ma che bisogna anche spingere forte sulla transizione da un sistema basato sulle energie fossili, che oggi soddisfano circa l’80% della domanda energetica globale, a uno pulito e rinnovabile. l testo definitivo del primo inventario delle azioni compiute dagli Stati, quel Global stocktake che va effettuato ogni cinque anni (il prossimo si avrà dunque nel 2028) e che ricorda che i Paesi sono ampiamente fuoristrada sull’Accordo di Parigi e devono presentare nuovi contributi determinati a livello nazionale (impegni di riduzione delle emissioni) entro il 2025, indica che bisogna ridurre le emissioni climalteranti del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto al 2019, per centrare l’obiettivo degli 1,5 °C. Inoltre, la decisione Onu “richiama i Paesi” a effettuare politiche di “allontanamento dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questa decade - entro il 2030, così da raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, come indicato dalla scienza”.  Sempre sotto al profilo della mitigazione, la Cop 28 suggerisce di: triplicare le fonti rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030; accelerare la riduzione graduale del carbone non abbattuto (“unabated”); ridurre le emissioni di metano – anch’esso menzionato per la prima volta - e quelle sul trasporto su strada; eliminare gradualmente e il prima possibile i sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili. i tratta di un pezzo importante dell’accordo, ma che presenta aspetti controversi. Senza dubbio è positivo il fatto che per la prima volta nel testo negoziale si associ la riduzione delle emissioni ai combustibili fossili. Soprattutto alla luce del fatto che questa decisione è stata presa in un Paese direttamente interessato, gli Emirati Arabi, e che il presidente della Cop 28, Sultan Al-Jaber, è anche l’amministrazione delegato della compagnia petrolifera di casa, l’Adnoc. Resta però l’amaro in bocca per la presenza nel testo finale di “transitioning away” (allontanarsi) piuttosto che di un “phase out” (eliminazione) accanto a combustibili fossili – il phase out era la principale speranza riposta in questa Cop prima dell’inizio, e per un semplice “phase down” (riduzione graduale) dal carbone persino “unabated”, e cioè solo quello che non si è in grado di catturare attraverso soluzioni tecnologiche, peraltro ancora poco efficaci e costose, come la Ccs (Carbon capture and storage), che al momento coprono solo lo 0,12% delle emissioni mondiali. Non rassicura nemmeno il termine “inefficienti” associato a sussidi ai combustibili fossili che, senza una definizione chiara significa tutto e nulla, restando così un parametro parecchio interpretabile. In sostanza, questa parte sul Gst permette ancora l’utilizzo di parecchie vie di fuga e resta lontana da quanto chiede la comunità scientifica.

Per quanto riguarda l’attività di adattamento ci sono dei miglioramenti rispetto al passato, sebbene la strada sia ancora lunga, soprattutto rispetto al tema dei finanziamenti. Viene stabilito che entro il 2030 ogni Paese dovrà completare una propria valutazione sui rischi legati al clima basata sugli impatti dei cambiamenti climatici e su quanto siamo esposti e vulnerabili. Nei prossimi dieci anni tutti dovranno mettere in piedi dei piani di adattamento chiari e trasparenti, che devono integrare ecosistemi, settori economici, persone e comunità. Un aspetto cruciale sarà appunto la questione finanziaria legata a questi obiettivi, soprattutto nell’ottica di sostenere i Paesi meno sviluppati nell’implementazione di tali strategie di adattamento.

A inizio summit ha sorpreso l’approvazione fulminea del fondo “Loss and damage”, quello destinato ai danni e alle perdite subite dai Paesi vulnerabili, a cui l’Italia ha dichiarato di voler contribuire per una somma pari a 100 milioni di euro, riconoscendo in questo modo la responsabilità storica detenuta dai Paesi industrializzati nell’aver provocato la crisi climatica. Il fondo fino a ora ha raggiunto la cifra di 655,9 milioni di dollari, “mancano però regole, obiettivi e target per passare dalla elargizione occasionale ad un finanziamento strutturale”, ha commentato Toni Federico nelle sue Cronache della Cop” pubblicate dall’ASviS. Un fondo diverso dal Green climate fund che copre le attività di mitigazione e di adattamento e che ha l’obiettivo, fino a ora mancato, di raccogliere 100 miliardi di dollari ogni anno. In generale, però, ci vorrebbero molti più soldi: la Cop 28 ricorda che in termini di finanza climatica servirebbero 4mila 300 miliardi di dollari l’anno per la mitigazione e 215-387 miliardi di dollari all’anno (da qui al 2030) per l’adattamento.

Il documento punta inoltre ad arrestare la deforestazione e il degrado delle foreste entro il 2030, riconoscendo l'importanza del ruolo degli ecosistemi per il benessere umano e nello stoccaggio dei gas serra, in linea con quanto stabilito dall'Accordo di Montreal della Convezione sulla diversità biologica lo scorso anno. Male, infine, che dopo due settimane di discussioni non si sia trovato nessun accordo sui meccanismi del mercato deldi carbonio. La Cop 28 ha infatti rinviato tutte le decisioni alla Cop 29 di Baku, in Azerbaigian, sia per quanto riguarda la cooperazione bilaterale sui crediti di carbonio sia per quanto riguarda la costituzione di un meccanismo globale di scambio dei permessi di emissione. Tuttavia, per quanto imperfetto il testo negoziato a Dubai può vantare comunque un certo peso politico. Adesso organizzazioni e società civile hanno un’arma in più per obbligare i 198 Stati che hanno firmato l’accordo ad accelerare nell’immediato le politiche di transizione, ricordando che anche in sede Onu è stata finalmente riconosciuta la stretta connessione che intercorre tra riscaldamento globale, emissioni gas serra e combustibili fossili. Per centrare l’Accordo di Parigi non c’è dunque soluzione alternativa che dismettere carbone, gas e petrolio nei prossimi anni. Come dovrà procedere dunque il nostro Paese e quali sono i prossimi passi fondamentali?

Rafforzare e approvare quanto prima il Pniec e il Pnacc. Quest'ultimo è stato presentasto in versione finale nei primi giorni del 2024.  Per attuare il processo di transizione ecologica ed energetica, l’ASviS nel suo Rapporto 2023 L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile sottolinea che è ancora possibile centrare gli obiettivi climatici europei al 2030 (-55% di emissioni rispetto al 1990) e al 2050 (neutralità carbonica). Per portare il Paese all’avanguardia nella lotta alla crisi climatica occorrerebbe però rivedere i Piani per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici, il Pniec e il Pnacc. L’ASviS ricorda che questi Piani necessitano di ulteriori sviluppi per orientare le politiche economiche, sociali e ambientali in direzione dello sviluppo sostenibile. La bozza di Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima), per esempio, inviata alla Commissione europea a giugno, rivela diverse criticità che richiedono urgenti correzioni. Gli obiettivi sulle energie rinnovabili per il 2030 sono inferiori rispetto ai suggerimenti di esperti e operatori del settore e mostrano una mancanza di enfasi sul ruolo delle comunità energetiche. Mancano poi indicazioni chiare riguardo all'uso dell'elettricità rinnovabile derivante da idrogeno verde, nonché riguardo all'abbattimento delle emissioni gas serra, allo stop dei veicoli inquinanti; il tema della "giusta transizione", poi, è trattato in modo superficiale (come si intende attuarla?). Bene la chiusura confermata al 2025 delle centrali a carbone, anche se non vengono indicate alternative basate sulle fonti rinnovabili. In sostanza, il Pniec necessita di miglioramenti significativi per diventare uno strumento efficace nel guidare l'Italia verso la decarbonizzazione. Il Pnacc (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici), invece,  va soprattutto finanziato dato che, al momento, non sono previste risorse dedicate a questo importante Piano di adattamento alla crisi climatica.

All’Italia serve subito una Legge sul clima. Affinché il nostro Paese sviluppi realmente unatransizione energetica ed ecologica, è vitale dotarsi di una Legge per il clima, come fatto da altri gradi Paesi europei, delineando obiettivi e una governance efficace e coinvolgendo attivamente soggetti economici e sociali nella definizione delle politiche climatiche. Esistono attualmente diverse proposte di varia origine riguardo ai contenuti e all'approccio al problema. Di conseguenza, è cruciale che il Governo dia un immediato sostegno all'idea di una Legge sul clima. Questo consentirebbe al Parlamento di agire nei prossimi mesi, portando all'approvazione entro maggio 2024, prima delle elezioni europee e amministrative. La Legge dovrebbe includere: obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, con traguardi intermedi e budget settoriali per eliminare le emissioni di gas serra; una governance istituzionale definita attraverso il coinvolgimento del Governo, del Parlamento e delle Regioni, in modo da allinearsi alla nuova struttura costituzionale dopo la modifica degli articoli 9 e 41; la costituzione di un Consiglio scientifico per il clima, per assistere i decisori e valutare l'allineamento tra obiettivi e risultati.

Iniziare finalmente ad eliminare e convertire i sussidi ambientalmente dannosi. L’Italia deve trovare nuove modalità di coinvolgimento attivo di soggetti economici e sociali per la definizione e la realizzazione delle politiche climatiche e di un programma temporale per eliminare i sussidi dannosi all’ambiente (Sad) legati ai combustibili fossili. Secondo il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica al momento sono presenti all’interno del bilancio dello Stato circa 22,4 miliardi di euro di Sad. I soldi provenienti sia dalla riconversione dei Sad sia da una nuova fiscalità ecologica attenta alla tutela del capitale naturale e premiare le imprese virtuose, potrebbero essere utilizzati per finanziare l’innovazione tecnologica low carbon e per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali fortemente presenti nel Paese, come tra l’altro confermato dal Rapporto sui Territori pubblicato il 13 dicembre sempre dall’ASviS.

Favorire lo sviluppo di un sistema industriale italiano completo delle rinnovabili. Il progressivo contrasto ai cambiamenti climatici aumenterà la domanda di energia elettrica, poiché l'elettricità offre rendimenti superiori e può essere prodotta senza generare emissioni di CO2. Tuttavia, la decisione di prolungare l'uso predominante del gas naturale nella produzione elettrica rischia di portate l'Italia fuori dalla rotta stabilita dalle direttive dell'Unione europea e dagli accordi internazionali. Una scelta ancor più azzardata considerando i prezzi elevati e instabili del gas. Anche per questo motivo occorre favorire lo sviluppo di un sistema industriale italiano delle rinnovabili, che si dice pronto a superare il raddoppio delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili elettriche) entro il 2030 al ritmo annuale di 8-10 GW (Gigawatt) all’anno. Grazie a un uso intelligente dei fondi del Pnrr, il nostro Paese ha l’opportunità di costruire una politica industriale basata sulla fabbricazione di tecnologie centrali al processo di transizione, come pannelli solari e batterie. La rete elettrica futura sarà notevolmente diversa dall'attuale. Sarà infatti basata sulle fonti rinnovabili, sull'autoconsumo, sull'accumulo dell'energia e sull'efficienza energetica programmata supportata da tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale. Le comunità energetiche rinnovabili, concepite in un'ottica solidaristica offrono, infine, un'opportunità democratica e partecipativa per affrontare nuove e vecchie forme di disuguaglianze, come la povertà energetica.

TORNA SU

11-13 dicembre 2023. Il documento finale dell'Accordo di Dubai - Transitioning away from fossil fuels

Conta poco quello che è successo nei giorni 11 e 12. Conta invece la plenaria del 13 mattina, Santa Lucia, (video) in cui al Jaber ha presentato il frutto del suo lavoro, il documento finale della COP 28. Dalle COP tutti si aspettano risultati trasformativi, capaci cioè di far fare al mondo intero passi in avanti sostanziali. Questo in realtà è avvenuto poche volte, solo 2 su 28, a Kyoto e a Parigi. Poi si è trattato più che altro di un riflesso dell’esistente o, come è stato detto dallo stesso Presidente, di una politica del “minimo comune denominatore”. Anche qui a Dubai, con molti sforzi, si è riusciti a fatica in una presa d’atto di eventi ormai in corso, si prende cioè atto di una transizione ormai in cammino per abbandonare i combustibili fossili. Non si dice come e in quanto tempo deve avvenire la transizione in armonia con i risultati scientifici condivisi. Ha un indubbio valore che la presa d’atto sia condivisa da tutti, compresi Iran, Russia, Arabia Saudita, Bolivia, Venezuela e via carogneggiando. Che ci sia la importante benedizione della Cina, dell’India e degli Stati Uniti, al netto delle opinioni degli americani e dei vari trumpisti in agguato, questo conta. Conta anche la fermezza dell’Europa e perfino della UK, che ha appena finito di smantellare la sua di transizione. Il wording di Dubai pesa in fondo come un phase-down, meno del phase-out che a Glasgow fu cancellato all’ultimo momento dall’India, ma più di quello perché comprende petrolio e gas.

Quasi 200 paesi al vertice sul clima della COP 28 hanno concordato un documento che per la prima volta invita tutte le nazioni ad abbandonare i combustibili fossili per evitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico e a incrementare rapidamente le energie rinnovabili. Il testo del documento ve lo riproponiamo nei punti salienti, come si deve, in lingua originale. Subito notiamo che di fossil fuels, un neologismo importante per la COP, si parla una sola volta al punto 28:

28. Further recognizes the need for deep, rapid and sustained reductions in greenhouse gas emissions in line with 1.5 °C pathways and calls on Parties to contribute to the following global efforts, in a nationally determined manner, taking into account the Paris Agreement and their different national circumstances, pathways and approaches: 

(a) Tripling renewable energy capacity globally and doubling the global average annual rate of energy efficiency improvements by 2030;

(b) Accelerating efforts towards the phase-down of unabated coal power;

(c) Accelerating efforts globally towards net zero emission energy systems, utilizing zero and low-carbon fuels well before or by around mid-century;

(d) Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science;

(e) Accelerating zero- and low-emission technologies, including, inter alia, renewables, nuclear, abatement and removal technologies such as carbon capture and utilization and storage, particularly in hard-to-abate sectors, and low-carbon hydrogen production;

(f) Accelerating and substantially reducing non-carbon-dioxide emissions globally, including in particular methane emissions by 2030;

(g) Accelerating the reduction of emissions from road transport on a range of pathways, including through development of infrastructure and rapid deployment of zero and low-emission vehicles;

(h) Phasing out inefficient fossil fuel subsidies that do not address energy poverty or just transitions, as soon as possible;

29. Recognizes that transitional fuels can play a role in facilitating the energy transition while ensuring energy security;

L’accordo non include un impegno esplicito a eliminare né a ridurre gradualmente i combustibili fossili. Ha invece raggiunto un compromesso che invita i paesi a contribuire agli sforzi globali per la transizione via dai combustibili fossili nei sistemi energetici. Al Jaber ricorda che: “Per la prima volta in assoluto nel nostro accordo finale è presente un testo sui combustibili fossili”. Il documento rafforza l’obiettivo degli 1,5 °C e riconosce necessario un taglio delle emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, aumentando il livello richiesto per gli NDC di tutti i paesi quando si presenteranno al GST del 2025. Di grande rilievo il riconoscimento della urgenza di triplicare l’energia rinnovabile globale e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.

L’affermazione secondo cui le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 è stata abbandonata. La Cina si è opposta, pur se sembra essere sulla buona strada per raggiungere il picco delle proprie emissioni entro quella data. Le argomentazioni in difesa dei combustibili fossili si sono fatte strada nel testo con i carburanti di transizione (il gas naturale, è ovvio) e la immaginifica CCS. Pochi o nulli i progressi sull’adattamento e sui finanziamenti necessari, peraltro ciclopici. Il fondo per perdite e danni, grande successo di al Jaber all’apertura della COP, non si capisce come dovrebbe essere strutturato e finanziato dopo le generosità della prima ora. I paesi del sud del mondo e i sostenitori della giustizia climatica constatano che non si quantifica il necessario in termini di riduzione delle emissioni globali e finanziamenti per aiutare i più vulnerabili a far fronte al peggioramento delle dei condizioni meteorologiche estreme e delle ondate di calore. L’Alleanza dei piccoli stati insulari (AOSIS), che rappresenta 39 paesi, ha lamentato di non essere stata presente quando l’accordo è stato adottato poiché impegnata a formulare le sue proposte. Alla fine ha accettato il testo, dichiarandolo però pieno di scappatoie, come è del resto facile constatare.

Raccogliamo dalla stampa alcuni commenti. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha twittato: “Piaccia o non piaccia, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi”.  Johan Rockström, del Potsdam Institut: “L’accordo non consentirà al mondo di mantenere il limite degli 1,5 °C (opinione condivisa dal mainstream scientifico), ma il risultato è un punto di riferimento fondamentale. Questo accordo mira a chiarire a tutte le istituzioni finanziarie, imprese e società, che ora siamo finalmente, otto anni in ritardo rispetto al programma di Parigi, al vero inizio della fine dell’economia mondiale basata sui combustibili fossili”. Al Jaber gliene sarà riconoscente. John Kerry, inviato speciale di Biden, ha dichiarato: “Anche se nessuno qui vedrà pienamente rispecchiate le proprie opinioni, il fatto è che questo documento invia un segnale molto forte al mondo”. Molti paesi sviluppati si sono uniti ai più vulnerabili e ai più poveri, un’alleanza del tutto inedita, nello spingere apertamente per l’eliminazione graduale del carbone, del petrolio e del gas. L’Unione Europea ha affermato che c’è una “supermaggioranza” a sostegno dell’idea, ma molti paesi ricchi vorrebbero che si applicasse solo ai combustibili fossili unabated, quelli in cui le emissioni derivanti dalla loro combustione non vengono catturate. Catturate come? L’Arabia Saudita e paesi alleati si sono opposti all’inclusione di qualsiasi riferimento alla riduzione della produzione e del consumo di combustibili fossili nel testo dell’accordo ottenendo un successo, va detto, tanto grande quanto deleterio. Il capo della UN FCCC, Stiell, ha affermato che la COP 28 che avrebbe dovuto segnare un duro stop ai combustibili fossili lascia alla fine molto spazio all’interpretazione e che quindi spetta ai paesi impegnarsi nella sua lettura più ambiziosa. Dall’Africa si segnala che l’accordo invia un segnale forte al pianeta ma ci sono troppe lacune su tecnologie non provate e costose come la CCS, l’ultimo escamotage del mondo dei fossili che hanno dichiaratamente tutte le intenzioni di proseguire nei loro commerci. Però, aggiungono, questo risultato sarebbe stato impossibile solo due anni fa, specialmente in una COP in un petrostato.

Dal nostro paese, che non ha giocato come al solito un grande ruolo a Dubai, Edo Ronchi dichiara che la sostituzione di phase-down con transitioning away non pare un cedimento sostanziale: sia la fuoriuscita dai fossili, sia l’accelerazione, sia l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette, sono obiettivi affermati chiaramente. È ormai palese, dice, che le azioni chiave necessarie per ridurre le emissioni al 2030 sono ampiamente conosciute e nella maggior parte dei casi molto convenienti e che è ormai largamente diffusa nelle opinioni pubbliche in tutto il mondo e fra i governi la convinzione che dobbiamo abbandonare i fossili, che dobbiamo accelerare la decarbonizzazione e che, in modo articolato, con tappe diverse, per i diversi livelli di sviluppo, siamo in grado di farlo, tecnicamente ed economicamente. Italy for climate lamenta l’assenza di una roadmap chiara per il transitioning away. L’unico anno citato è il 2050, troppo lontano per tradursi davvero in impegni concreti e stringenti. Mancano date e numeri certi e ci sono degli accrediti ambigui di soluzioni tecnologiche discutibili, nucleare, CCS. Si tratta alla fine di un traguardo probabilmente storico, ma di una vittoria figlia di un compromesso, peraltro forse inevitabile portato del multilateralismo in un quadro di enorme complessità. Mariagrazia Midulla, per il WWF Italia, dichiara pessima la menzione dei combustibili per la transizione, una transizione che gli interessi del gas tendono a rendere infinita ed enormemente più dispendiosa, proprio perché consistenti fondi tengono in piedi il sistema fossile. Per un pianeta vivibile abbiamo bisogno della completa eliminazione di tutti i combustibili fossili e della transizione verso un futuro di energia rinnovabile nonché a un sistema votato a risparmiare energia e risorse e a usarle nel modo più efficiente possibile. Nel testo sentiamo ancora gli interessi non solo dei Paesi produttori di idrocarburi, ma soprattutto delle potenti compagnie occidentali, incluse le nostre, che i combustibili fossili li estraggono, gestiscono e vendono. La Legambiente approva l’impegno a triplicare le rinnovabili e il raddoppio dell’efficienza energetica. L’accordo sancisce per la prima volta l’uscita dalle fonti fossili in modo da raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, con un’accelerazione dagli anni di qui al 2030, triplicando le rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica. La scelta di prevedere una “transition away” graduale per la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone rappresenta un timido passo avanti. Per l’Italia ci aspettiamo la rimodulazione e la cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030. Tre talloni d’Achille dell’accordo sono, segnala Legambiente, la CCS, il  ricorso al gas come combustibile di transizione e la mancanza di un serio impegno per la finanza climatica per aiutare i paesi più poveri.

TORNA SU

 

10 dicembre 2023. Cibo, agricoltura ed acqua

Oggi è l’ultimo giorno in cui la COP 28 è dedicata ad uno specifico tema. I prossimi giorni vedranno una rincorsa affannosa ad un testo finale e ad un rendiconto, lo stocktaking che, ricordiamo, è obbligatorio ai sensi dell’Accordo di Parigi. La Cina sembra più morbida su un possibile accordo sulla eliminazione dei fossili. La Federazione Russa non dovrebbe rendere impossibile con opposizioni eccessive la COP 29 di Baku, che è sua zona di influenza. L'osso duro è l'Arabia Saudita, vicina di casa e fratello maggiore degli UAE, patron dell'OPEC+, che vuole che si scriva eliminazione delle emissioni e non dei fossili. Al Jaber ha chiesto a tutti i paesi di riunirsi questo pomeriggio per trovare un terreno comune a fronte dei profondi disaccordi sul futuro dell’azione per il clima. Tutti verranno ascoltati, ha affermato, sottolineando che l’esperienza di tutti e le circostanze nazionali sono decisive e saranno prese in considerazione. Nessuno resterà inascoltato. La questione dell’eliminazione o della riduzione graduale dei combustibili fossili è irrisolta. Lunedì mattina la presidenza ha promesso un nuovo testo e in anticipo convocherà tutte le parti per elaborare un compromesso sulle questioni chiave. Come tutti gli anni, è facilmente documentabile, il Presidente di una COP vicina al nulla di fatto dichiara che il fallimento, la mancanza di progressi o l’annacquamento delle ambizioni non sono un’opzione.

Lo IISD osserva che ieri sera i ministri, che hanno guidato il GST e le discussioni sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, non avevano niente di sostanziale da dire sul sistema energetico al di là della eterna divergenza di opinioni sull’opportunità o meno dei combustibili fossili di essere eliminati più o meno gradualmente. In questo momento il negoziato è organizzato con i “majlis”, una cerchia molto ristretta di ministri e capi delegazione con al centro il presidente al Jaber. I majlis sono, molto opportunamente, aperti agli osservatori. IISD prevede che i colloqui proseguiranno oltre l’ultimo giorno nominale di martedì e si estenderanno fino a mercoledì e forse giovedì. Qualcuno ha notato che il testo negoziale reso noto utilizza per il riscaldamento globale fino ad oggi un dato obsoleto di 1,1 °C, la media del periodo dal 2011 al 2020 calcolata dal IPCC AR6, mentre è di almeno 1,3 °C (UK Met Office). Le emissioni, le concentrazioni e il riscaldamento globale hanno continuato ad aumentare dal 2020. La vicinanza a quel numero simbolico ci dice che sarà presto superato e aumenta l’angoscia che circonda tutta l’azione climatica.

Cibo ed agricoltura. È la prima volta a Dubai che la COP climatica si occupa di food. La ragione sta nel fatto che un quarto delle emissioni globali hanno a che fare con quel mondo e che la COP 28 si appresta a tirare le somme. Gli obiettivi a lungo termine dell’accordo di Parigi non possono essere raggiunti senza un’azione climatica sul cibo, a parere del IPCC. I lobbisti delle aziende agricole industriali e dei gruppi commerciali si sono presentati in numero record. Si stima che siano 340 e molti sono embedded nelle delegazioni nazionali. Sono presenti partecipanti provenienti da alcune delle più grandi aziende agroalimentari del mondo, come l’azienda confezionatrice di carne JBS, il gigante dei fertilizzanti Nutrien, la Nestlé e l’azienda di pesticidi Bayer, e molti altri potenti gruppi commerciali del settore. Gli interessi dell’industria della carne e dei derivati del latte sono particolarmente ben rappresentati con 120 delegati a Dubai, il triplo del numero registrato alla COP 27. Il bestiame emette infatti circa un terzo della produzione globale di metano. La carne non è l’unico settore sotto accusa. Agricoltori, rivenditori e trasformatori contribuiscono alle emissioni di gas serra anche abbattendo alberi, utilizzando i fertilizzanti sintetici derivati ​​da combustibili fossili e con il trasporto, imballaggio e stoccaggio del cibo. Si stima che le emissioni delle cinque principali aziende produttrici di carne al mondo siano significativamente maggiori di quelle di giganti petroliferi come Shell e BP, mentre il contributo del 3,4% dell’industria lattiero-casearia alle emissioni globali indotte dall’uomo è superiore a quella del trasporto aereo. Anche le aziende produttrici di pesticidi hanno partecipato in gran numero quest’anno, con un aumento del 30% rispetto al 2022. Bayer, Syngenta, BASF e la loro associazione di categoria CropLife, che si è opposta ai tentativi di attuare nuove misure climatiche, hanno inviato 29 delegati. Anche l’industria dei fertilizzanti sintetici ha registrato un forte aumento dei rappresentanti.

La produzione alimentare in tutto il mondo subirà gravi conseguenze a causa della crisi climatica, anche se il mondo riuscisse a contenere l’anomalia della temperatura globale a 1,5 °C. Il warming influenzerà tutti gli aspetti della produzione alimentare e tutto il ciclo di crescita delle piante, dalla germinazione alla maturazione, fino al momento dello sviluppo. La produttività agricola è in calo in alcune aree dell’Africa e, a livello globale, aumenta di circa l’1,14% l’anno, mentre sarebbe necessario aumentare di almeno il 2% l’anno per soddisfare il fabbisogno alimentare mondiale entro il 2050. In alcune parti dell’Africa, l’arresto della crescita infantile per la denutrizione colpisce circa un terzo dei bambini e crea enormi problemi per il loro futuro sviluppo mentale e per il destino dei loro paesi. La chiave per prevenire l’arresto della crescita infantile è la diversità nella dieta: non si tratta solo di fornire più calorie ai bambini, ma di includere nella loro dieta diversi tipi di alimenti, come una varietà di frutta e verdura e amidi di base.

La FAO ha pubblicato oggi la prima parte della sua roadmap sulla riforma dell’alimentazione e dell’agricoltura. L’agricoltura e l’allevamento sono importanti fonti di emissioni di gas serra, contribuendo direttamente a circa un decimo della produzione globale di carbonio e più del doppio se si include la conversione degli habitat naturali in agricoltura. Fino ad ora, tuttavia, l’ONU non si è misurata col problema di descrivere in dettaglio come il mondo possa soddisfare i bisogni nutrizionali di una popolazione in crescita, che si prevede raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050, e ridurre nello stesso tempo i gas serra globali a zero. La tabella di marcia sarà precisata nei prossimi due o tre anni, a partire dal documento di oggi che contiene 20 obiettivi chiave da raggiungere tra il 2025 e il 2050, ma pochi dettagli su come possono essere raggiunti. Gli obiettivi includono: ridurre le emissioni di metano derivanti dal bestiame del 25% entro il 2030; garantire che tutta la pesca mondiale sia gestita in modo sostenibile entro il 2030; acqua potabile sicura ed economica per tutti entro il 2030; dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030; eliminare entro il 2030 l’uso delle biomasse tradizionali per cucinare. Scarso non solo nei dettagli, secondo gli esperti, il rapporto non è sufficiente a farci uscire dal percorso ad alto inquinamento, ad alto contenuto di combustibili fossili e dal problema della fame nel mondo. Nutrire il pianeta senza distruggerlo è una delle sfide più grandi che abbiamo davanti, secondo l’Agenda 2030. La roadmap FAO è un promemoria del fatto che la risposta implica l’aumento sostenibile dei raccolti, la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e il cambiamento delle diete. I paesi ricchi dovranno spingere le persone verso diete meno incentrate sulla carne e promuovere tecnologie e pratiche per ridurre le emissioni agricole. I paesi a basso reddito dovranno aumentare in modo sostenibile la produttività delle colture e del bestiame. I piccoli agricoltori avranno bisogno di molta più assistenza per adattarsi alle condizioni meteorologiche estreme. E tutti questi cambiamenti dovranno avvenire senza sacrificare ulteriormente le foreste a favore dell’agricoltura. Preparare un piano per eliminare la fame estrema e un terzo delle emissioni di gas serra provenienti dai sistemi alimentari non è un compito facile. La roadmap pone un’enorme enfasi sui miglioramenti incrementali dell’attuale sistema alimentare industriale, ma è improbabile che queste proposte improntate all’efficienza siano sufficienti. Il rapporto della FAO menziona una serie di questioni critiche, tra cui il reddito agricolo, i diritti dei lavoratori agricoli e l’emancipazione delle donne. In modo deludente, il rapporto trascura di invitare le grandi aziende agricole a realizzare riduzioni reali delle emissioni, soprattutto nei paesi ricchi dove la riduzione delle emissioni di metano e protossido di azoto derivanti dagli allevamenti di animali industriali sarebbe a portata di mano.

Adattamento. ll mondo si è già riscaldato a 1,3 °C rispetto ai livelli preindustriali e alcuni degli impatti dell’attuale riscaldamento sono irreversibili, quindi anche se riuscissimo a ridurre drasticamente le emissioni, dovremo comunque adattarci agli impatti di fattori più estremi. Le infrastrutture, compresi i trasporti, le reti di telecomunicazioni, le abitazioni e le aree rurali dovranno essere adattate e protette, ad esempio costruendo ferrovie che abbiano meno probabilità di cedere al caldo o pavimentazioni stradali che abbiano meno probabilità di sciogliersi e costruendo case che non si surriscaldino. L’obiettivo globale sull’adattamento (GGA), un impegno collettivo proposto dal gruppo africano nel 2013 e stabilito nell’ambito dell’accordo di Parigi, vuole portare l’azione politica e il finanziamento sulla stessa scala della mitigazione, proprio a partire da Dubai. Le questioni chiave sulla progettazione, la portata, l’attuazione, il monitoraggio e chi dovrebbe pagare hanno ostacolato i progressi negli ultimi otto anni. La bozza del testo è stata finalmente pubblicata questa mattina e, come sempre, si tratta di un compromesso. Viene evidenziato il gap finanziario e i paesi sviluppati sono invitati a raddoppiare i finanziamenti rispetto ai livelli del 2019 entro il 2025, ma il testo non riflette l’urgenza né menziona l’ultimo rapporto sul gap di adattamento dell’ONU, secondo il quale i finanziamenti per l’adattamento dovrebbero raggiungere i 290 miliardi all'anno. Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate (CBDR) è stato, come sempre, contrastato da alcuni paesi sviluppati, che hanno voluto inserito un’opzione deresponsabilizzante  “nessun testo” nella bozza. Stabilire obiettivi misurabili specifici per l’adattamento globale è fondamentale affinché il GGA abbia senso, ma sembra che ciò potrebbe essere ulteriormente ritardato con un altro programma di lavoro biennale per sviluppare parametri per misurare i progressi nell’adattamento legati alla scarsità d’acqua, ai rischi legati all’acqua, salute, cibo, agricoltura ed ecosistemi. Vi sono importanti riferimenti ai diritti umani, ai diritti intergenerazionali, alla giustizia sociale, ai gruppi vulnerabili, ai rischi a cascata e alle misure di protezione sociale.

L’adattamento è il tema più importante per i paesi poveri che, poveri di emissioni, subiscono gravi danni dalle emissioni altrui, specie in Africa e nel Pacifico. Le COP climatiche, dominate dalle grandi potenze, hanno finora dato poca attenzione all’adattamento anche se l’Accordo di Parigi ne stabilisce la parità operazionale con la mitigazione. Alcuni paesi stanno frapponendo ostacoli al negoziato, timorosi dei grandi costi in gioco.  Gli obiettivi di adattamento, secondo le delegazioni Africane, devono essere concordati in questa COP 28, altrimenti vorrebbe dire che la vita delle persone nel Sud del mondo non ha importanza. Siamo già in fase di adattamento, il clima sta già cambiando. Ecco perché gli 1,5 °C sono fondamentali. Superato quel limite, l’adattamento sarà estremamente costoso o impossibile. I delegati dei paesi vulnerabili sono molto preoccupati per gli scarsi progressi compiuti alla COP 28 sull’adattamento e sui piani e i finanziamenti necessari per proteggere le persone dagli impatti crescenti della crisi climatica. Il Programma ambientale delle Nazioni Unite ha dichiarato a novembre che sarebbero necessari da 215 a 387 miliardi di dollari all’anno , ma nel 2021 sono stati erogati solo 21 miliardi di dollari. Le comunità vulnerabili hanno un disperato bisogno di più finanziamenti per costruire la resilienza agli impatti della crisi climatica ma il testo si limita a ribadire l’appello di lunga data rivolto ai paesi sviluppati a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento senza fornire una tabella di marcia chiara per realizzarli. Nel testo mancano anche obiettivi globali concreti. I paesi sviluppati si sono impegnati a raddoppiare almeno i finanziamenti per l’adattamento entro il 2025: una tabella di marcia dettagliata è l’unico modo per raggiungere questo obiettivo. Occorre definire quali fondi i singoli paesi sviluppati intendono fornire entro il 2025 e come questo potrà arrivare ad almeno 40 miliardi di dollari all’anno. È preoccupante anche vedere mancato l’obiettivo di proteggere il 30% del territorio entro il 2030. La natura è un’alleata nel limitare gli impatti della crisi climatica e questo deve essere riconosciuto e affrontato. È deludente vedere che i negoziati sull’adattamento si stanno impantanando in un dannoso fallimento globale che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per le comunità in prima linea nella crisi climatica, soprattutto in Africa. Inoltre è chiaro a tutti che il mancato investimento nell’adattamento, compresi i sistemi di allarme rapido, le difese contro le inondazioni e le colture resistenti alla siccità, non farà altro che aumentare i costi delle perdite e dei danni nel lungo termine. Il testo, di cui riportiamo un estratto (Carbonbrief) sembra definitivo, infatti non registra nessuna parentesi e solo 3 opzioni, sui principi. È fortemente qualitativo, non quantitativo, solo gli obiettivi di governance sono quantitativi. Il dettato sui finanziamenti è vago. Avvia un programma di lavoro, come abbiamo detto, di addirittura due anni sugli indicatori di progresso.

Il mercato del carbonio. Viene fuori una proposta sul mercato del carbonio che consentirebbe lo scambio di emissioni da paese a paese. Se ci dovessero essere, i grandi inquinatori come il Regno Unito e l’Arabia Saudita potranno acquistare crediti di carbonio da stati con importanti risorse naturali che assorbono carbonio (sink) come Brasile e Indonesia per aggiustare i propri contributi nazionali NDC. Ma si teme che, se il testo riporterà regole deboli, il sistema potrebbe generare crediti senza valore, minando gli sforzi per affrontare la crisi climatica. Sabato sera è stato pubblicato il nuovo testo sullo scambio di emissioni tra paesi, disciplinato dall’articolo 6.2 dell’accordo di Parigi. Non include più regole o linee guida sulla riservatezza degli accordi sul carbonio, il che significa che i governi non dovranno mai rendere pubblici i dettagli dell’accordo, fatto alquanto preoccupante.  Anche dopo un anno di scandali che hanno messo in luce diffusi fallimenti e frodi nel mercato del carbonio (cfr. ASviS: Greenwashing), i negoziatori sembrano non aver imparato alcuna lezione. Le ultime proposte per lo scambio di emissioni in discussione mancano di qualsiasi controllo e trasparenza significativi. Accettarli sarebbe una vittoria per i furbetti del carbonio e un indebolimento enorme per l’azione climatica. L’articolo 6.2 di Parigi non può essere una scatola nera. Per far luce sugli scambi di carbonio, abbiamo bisogno almeno di avere limiti chiari sulle disposizioni in materia di riservatezza, conseguenze reali per i paesi che non rispettano le regole e barriere contro i paesi che vogliono fare marcia indietro sulle attività che hanno autorizzato. Il testo attuale non include nulla di tutto ciò. 

TORNA SU

9 dicembre 2023. Natura, uso del suolo e oceani

Siamo alla tornata finale, finiti i tempi dei proclami e delle belle anime, ora si combatte all’arma bianca nelle stanze dei negoziati dove i ministri confrontano le loro posizioni e i loro interessi e poco trapela al di fuori. Guardando da lontano COP 28 sembra più una fiera del fossile che una Conferenza sul clima. Sembra una impresa titanica che i paesi pro-fossili, più potenti e molto più ricchi, accompagnati dalla Cina che non vuole imposizioni, possano lasciare che si decreti la fine dei fossili in casa loro. Gli occidentali di buona volontà proclamano alta la necessità che i fossili vengano terminati in fretta ma sono i primi ad essere sgomenti di fronte all’enormità del compito e si cautelano nell’unico modo che conoscono, stringere i cordoni della borsa e rifiutare ogni assunzione di responsabilità storica nell’aver prodotto tutto questo dramma. La scienza, in gran parte nelle mani dei paesi ricchi, ha dato tutti i verdetti e gli avvisi ed ha calcolato quanto tempo ci resta per esaurire il carbon budget residuo sull’obiettivo degli 1,5 °C. L’industria è lo snodo che forse ci porterà fuori dalla palude. Impermeabile alle ideologie, restia a buttar via i soldi nelle amenità come il nucleare e la cattura e il sequestro del carbonio, ha capito che la transizione è perfettamente possibile in tempi rapidi e, soprattutto che è conveniente per i suoi guadagni e per l’occupazione. Lamenta con ragione le posizioni ondivaghe e retrograde dei governi che continuano con i loro giochi geopolitici e le loro guerre e con la caccia ai voti nelle democrazie in terreni popolari devastati dalla disinformazione e dalle retrotopie. Senza solidi accordi multilaterali e condivisi e la protezione convinta ed attiva dei governi nazionali, il sistema industriale non può avanzare né con le ristrutturazioni tecnologiche, né con i mercati in rapido divenire, né con gli investimenti mirati. Non risulta nemmeno troppo chiaro l’atteggiamento del sistema bancario, che, pur al riparo che i profitti straordinari gli assicurano, è restio ad abbandonare i vecchi e sicuri clienti fossili.

L’altro versante della storia è quello dei diritti e della società civile. La COP 28 è di nuovo una istanza chiusa e diffidente, come la COP 27 di Sharm. Centinaia di delegati hanno marciato per chiedere giustizia climatica e per chiedere un cessate il fuoco immediato a Gaza (Guardian). La giustizia climatica è un diritto non solo per i ricchi e i bianchi, cantava la folla, in una protesta emotivamente carica, accompagnata con tamburi tradizionali, cerimonie di fumo e danze, gli indigeni dell’Amazzonia brasiliana e degli altopiani guatemaltechi hanno marciato insieme agli attivisti di base camerunensi e ai leader contadini del Pakistan. È la prima protesta pubblica che ha luogo negli Emirati Arabi Uniti in oltre un decennio dopo una settimana di durissime trattative con lo staff e con la Convenzione ONU. Sono qui oggi per stare insieme a tutte le persone della società civile che lottano per le nostre vite, il nostro pianeta, ogni singolo giorno, ha detto una dei manifestanti. Quindi siamo qui insieme per abbracciare tutti coloro che non sono qui alla COP e perché dobbiamo fare qualcosa adesso. Non abbiamo più tempo. Al tramonto un minuto di silenzio per onorare le migliaia di civili palestinesi che sono stati uccisi negli ultimi due mesi, tra cui 70 giornalisti e molte delle loro famiglie, si è concluso con gli appelli a porre fine all’occupazione perché nessuno sarà libero finché la Palestina non sarà libera. Nobile sgrammaticatura a quelle latitudini!

Intanto ieri, dopo l’accordo Armeni – Azeri per assegnare a Baku la COP 29, si è deciso che la sede della COP 29 sarà l’Azerbaigian, un paese produttore di fossili, legato a filo doppio con la Federazione Russa. Putin intanto viaggia libero come l’aria tra gli stati arabi e i suoi alleati mediorientali per fare affari … sui fossili. Perfino l’OPEC, formato da Arabia Saudita, UEA, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Venezuela, cui si è aggiunto il Brasile del presidente Lula, ha creduto di emettere il suo diktat in una lettera intercettata dal Guardian venerdì. Lo scritto mostra l’estremo livello di preoccupazione dei petrostati per una potenziale decisione di eliminare gradualmente i combustibili fossili: significherebbe che la pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili, ha avvertito l’Opec. Ha esortato i paesi a rifiutare in modo proattivo qualsiasi testo o formula che miri all’energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni. Gli Emirati Arabi Uniti sono un membro fondamentale dell’Opec. Qualcuno pensa che al Jaber vorrà distinguersi da questo gruppo di paesi, tra cui il suo? Forse per motivi etici e per essere ricordato dalla storia?  Giovedì la von der Leyen è andata a Pechino da Xi a parlare di affari, auto elettriche e dei porti della via della seta. Nessun passo avanti sulla questione climatica sulla quale la Cina pensa di imporre la sua visione. Ma l’ex primo ministro francese e presidente della COP 21, Laurent Fabius, ha ammonito che il mondo è fuori strada per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, come concordato nell’accordo di Parigi, e pensa che il riscaldamento raggiungerà tra 2,8 e 3 °C a fine secolo se non agiamo adesso.

Il global stocktaking. La nuova bozza di testo, patrocinata dalla coppia di ministri danese e sudafricano nominati dal Presidente, è stata resa nota ieri pomeriggio ed è arrivata a 27 pagine. Il testo offre diverse opzioni per una graduale eliminazione dei fossili. Quantomeno al Jaber si è assicurato che alcune opzioni progressiste fossero sul tavolo e che ciò che i paesi hanno detto, sia incluso in gran parte. Al resto penserà l’entropia. Largamente citato il resoconto di Romain Ioulalen di Oil Change int., in cui riporta le posizioni dei vari paesi traducendole in un linguaggio per la gente comune. Arabia Saudita: l’Accordo di Parigi riguarda le emissioni, non le fonti delle emissioni. Abbiamo molte fonti di emissioni, quindi ci piacerebbe molto continuare a venderle. Brasile: diventeremo il quarto produttore di petrolio al mondo e entreremo a far parte dell’OPEC+, ma Lula vuole essere l’eroe del Sud del mondo, quindi lasciateci urlare contro gli Stati Uniti; Australia: di recente abbiamo iniziato a preoccuparci del cambiamento climatico, ma esportiamo tonnellate di carbone e gas, quindi lasciateci parlare di ambizione senza menzionare i combustibili fossili; Canada: quindi siamo uno stato petrolifero ma siamo anche gentili, quindi siamo d’accordo con l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, ma alla nostra industria del petrolio e del gas piace molto la CCS, quindi piace anche a noi; Cina: siete tutti carini. Pensate davvero di dirci come gestire il nostro settore energetico? Comprate i nostri pannelli solari e lasciateci bruciare il carbone in pace, grazie. India: vaff… nord globale, non diteci cosa fare. Inoltre, il nostro Primo Ministro è davvero un buon amico dei baroni del carbone indiano, quindi non siamo entusiasti di tutta questa faccenda dell'eliminazione graduale; Iraq: l’eliminazione graduale dei combustibili fossili distruggerebbe la nostra economia. È un grande no per noi; Russia: Niet. Il gas naturale è ottimo e ne abbiamo bisogno ancor di più; Santa Sede: Papa Francesco è un cripto-comunista che dice che dobbiamo eliminare gradualmente i combustibili fossili, quindi facciamolo; Turchia: rinnovabili? Mai sentito parlare; UE: la vostra insalata di parole sui combustibili fossili non è abbastanza buona, vorremmo un’insalata di parole migliore, allineata alla scienza; USA: siamo andati tutti alla Columbia Law School, quindi lasciate che vi insegniamo il diritto internazionale, idioti. Ridere o piangere? Carbonbrief ha implementato una pagina web che consente di seguire l’evolversi dei testi negoziali della COP 28, mediante una tabella interattiva che sarà costantemente aggiornata, in tempo quasi reale.

Il phase-out dei fossili. Abbiamo detto tutto. Sui tavoli del negoziato ci sono il diavolo e l’acqua santa. La coppia dei ministri sorveglianti sono un norvegese e un ministro di Singapore. È altissimo il timore che non se ne faccia di niente col solito stucchevole metodo dei rinvii, tornando indietro a prima di Glasgow. Del resto se la Cina dice no … E che dire dei traffici dell’ENI con i paesi del golfo. Secondo il post ECCO di oggi Eni è presente in UAE dal 2018 ed è impegnata sia in attività di esplorazione che di produzione in più di 18 mila km2, agendo principalmente come operatore di superficie. L'azienda detiene la quota maggiore di risorse di petrolio e gas negli Emirati dopo ADNOC (622 miliardi di barili equivalenti di petrolio, il 5,1%). Un progetto il cui avvio è previsto per il 2025, con una produzione stimata di oltre 450 milioni di metri cubi di gas al giorno e più di 120.000 barili di olio e condensati al giorno si farà in un giacimento offshore situato nella Riserva della biosfera di Marawah, la più grande riserva marina naturale del Medio Oriente. Eni e ADNOC stanno investendo nella cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) per ora solo a scopo di enhancing dell’estrazione di petrolio e gas, come avviene negli Stati Uniti. 

I finanziamenti. Partiti i grandi leader, l’afflusso di fondi si è fermato. Anche qui il settore più vivo è quello industriale privato, così come la società civile che, però, di soldi non ne ha. Per quanto riguarda i SAD il FMI informa che i fossili hanno beneficiato di sussidi record per 13 milioni di dollari al minuto nel 2022, nonostante siano la causa principale della crisi climatica. Una dozzina di paesi guidati dai Paesi Bassi hanno annunciato un giro di vite sui SAD ai combustibili fossili. Il testo della dichiarazione e l'elenco dei firmatari non sono ancora stati pubblicati, ma Canada, Antigua e Barbados e diversi paesi europei si sono uniti ai Paesi Bassi nell'annuncio. Il ministro canadese del clima ha esortato i paesi a rinunciare rapidamente ai sussidi per garantire che la spesa sia allineata con le ambizioni climatiche. Christiana Figueres, che era a capo delle Nazioni Unite a Parigi, dice che stiamo ancora pagando 7 trilioni di dollari all’anno in sussidi globali ai combustibili fossili. Se rimuovessimo tutto questo e lo reindirizzassimo verso la protezione dell’umanità, saremmo molto, molto più avanti. Il dato è del FMI che ha rilevato i 7 trilioni di dollari, pari al 7% del PIL globale e quasi al doppio della spesa mondiale per l’istruzione. I paesi si sono impegnati a eliminare gradualmente i sussidi per garantire che il prezzo dei combustibili fossili rifletta i loro reali costi ambientali, ma finora hanno ottenuto poco. I sussidi espliciti, che riducono il prezzo dei combustibili per i consumatori, sono raddoppiati nel 2022 quando i paesi hanno risposto ai prezzi più elevati dell’energia derivanti dalla guerra della Russia in Ucraina. Le famiglie ricche ne hanno beneficiato molto di più rispetto a quelle povere, ha affermato il FMI. I sussidi impliciti, che rappresentano i costi enormi dei danni causati dai combustibili fossili attraverso il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico, rappresentano l’80% del totale di 7mila miliardi di dollari. In tema di fondi per l’adattamento la COP 28 non ha dato risultati, ha avvertito il capo negoziatore del gruppo africano. L’adattamento viene discusso sotto la sorveglianza della coppia dei ministri di Cile ed Australia nell’ambito del GST, la valutazione dello stato in cui il mondo sta rispettando gli impegni assunti nell’accordo di Parigi del 2015. Dovrebbe essere completato anche il tanto atteso obiettivo globale sull’adattamento (GGA), un impegno collettivo proposto dal gruppo africano nel 2013 e stabilito nell’ambito dell’accordo di Parigi per guidare l’azione politica e il finanziamento per l’adattamento sulla stessa scala della mitigazione. Ma i progressi sono stati lenti e i paesi devono ancora concordare obiettivi e linee guida misurabili, ed elaborare un quadro praticabile di accordi finanziari che riflettano equamente l’impegno per i paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa.

Un ennesima iniziativa per tentare di rianimare gli sforzi per l’adattamento ha messo capo ad una Coalition of Ambition on Adaptation Finance di 13 paesi, tra cui l’Italia, un paese che non riesce a impostare nemmeno una iniziativa di adattamento al suo interno. Eppure il nostro è un paese che, mentre non fa aiuti allo sviluppo confacenti al suo status di membro del G7, fa business con l’export green. ECCO ha calcolato che nel 2022 abbiamo esportato tecnologie verdi per 65,5 G€, +12,7% su base annua. Nei primi 7 mesi del 2023, l'export di beni ambientali ha subito un'ulteriore impennata, raggiungendo i 40,5 G€, con una crescita ulteriore del 7,6%. Sono dati resi pubblici alla COP 28 durante l’evento Sustainabitaly, organizzato in collaborazione con l’ambasciata italiana negli UAE. Intanto però secondo il rapporto annuale di Germanwatch, l'Italia fa passi indietro sulla decarbonizzazione e scende dal 29° al 44°posto nell’indice CCPI di performance climatica,  perdendo ben 15 posizioni a causa dei ritmi inadeguati di abbattimento delle emissioni e di sviluppo delle fonti rinnovabili.

TORNA SU

8 dicembre 2023. La giornata dei giovani che a Dubai non ci sono voluti venire, della scuola e dei green job

Nella parte finale della COP 28, i negoziati si concentreranno su alcune delle questioni più difficili. Per la prima volta, i paesi si stanno assumendo l’enorme compito di valutare i propri progressi climatici e cosa resta da fare, mentre le decisioni da prender sulla riduzione graduale dei combustibili fossili continuano a dividere i paesi. Si segnalano ben 90 opzioni sul tavolo che discute il GST e il documento finale. Il presidente della COP 28 al Jaber si sta facendo carico di nominare per ogni questione coppie di ministri, ciascuna delle quali comprende un paese sviluppato e uno in via di sviluppo, con il compito di mantenere i contatti e trovare compromessi. Ciò include il bilancio e il linguaggio sui combustibili fossili ma anche l’adattamento, la mitigazione e i mezzi di attuazione, cioè l’accesso ai finanziamenti e alle tecnologie. In un discorso di mercoledì sera, al Jaber ha lanciato un appello ai negoziatori affinché mantengano lo slancio e raggiungano un risultato puntuale dopo quella che ha definito una settimana di progressi incoraggianti. Ciò che abbiamo realizzato collettivamente in solo una settimana, ha detto, è a dir poco storico. In soli sette giorni abbiamo dimostrato che il multilateralismo funziona ancora appieno. In tema di difficoltà si fa sapere che le preoccupazioni sulla tecnologia emergente per la cattura e lo stoccaggio del carbonio stanno alimentando uno stallo vero e proprio del negoziato. Un documento trapelato dal governo dell’Arabia Saudita avanza una preoccupazione per le emissioni del ciclo di vita associate all’energia eolica e solare.  È un argomento caro agli scettici di casa nostra, laddove tutti gli studi dimostrano che l’impronta di carbonio derivante dalla costruzione di impianti eolici e solari è trascurabile se paragonata ai risparmi derivanti dall’evitare i combustibili fossili.

È la giornata della scuola, dell’educazione e della formazione professionale. È anche un venerdì in cui i giovani di tutto il mondo scioperano con Greta e i Fridays for Future, anche contro la gestione fossile della COP 28: “We need the fossil fuel lobbyists out of climate negotiations, and no more empty promises”. Un testimone di JA Europe dice (Reuters) che è fondamentale che tutti i giovani acquisiscano una maggiore comprensione della sostenibilità. Soprattutto con l’avvicinarsi della futura economia green, un certo grado di competenze verdi sarà essenziale per qualsiasi giovane che voglia migliorare le proprie prospettive di carriera. Dovremmo basarci sulla passione di questa generazione per la sostenibilità e creare un sistema in cui i giovani provenienti da contesti socioeconomici diversi abbiano l’opportunità di acquisire le competenze necessarie per prosperare nella futura economia verde. Ciò richiederà un maggiore apprendimento applicato per i giovani svantaggiati e l’apertura dell’accesso ai settori green attraverso stage e apprendistati, nonché un maggiore impegno da parte degli investitori pubblici e privati. Le capacità di matematica e di lettura degli adolescenti sono in declino senza precedenti in dozzine di paesi e la chiusura delle scuole a causa del Covid è solo in parte responsabile, ha affermato l’OECD nel suo ultimo sondaggio sugli standard di apprendimento globali. L’OECD ha affermato di aver registrato alcuni dei cali più drastici nelle prestazioni dal 2000, quando ha iniziato i suoi test triennali sulle competenze di lettura, matematica e scienze dei quindicenni.

Phase-out dei fossili. Volenterosamente c’è chi lo estenderebbe anche al gas naturale. Più di 250 gruppi ambientalisti e comunitari hanno chiesto all’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di interrompere il suo sostegno al gas naturale liquefatto (GNL). I Friends of the Earth, hanno inviato una lettera a Biden che chiede che l’amministrazione americana smetta di autorizzare nuovi impianti di GNL e interrompa il sostegno finanziario e diplomatico all’industria. Per i restanti cinque giorni di negoziato i ministri terranno una serie di incontri per cercare di rompere l’impasse e presentare un testo che definisca una tabella di marcia per rimanere entro un’anomalia termica globale media di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.

In vista dei colloqui, 106 paesi, tra cui l’UE e l’Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, composta da 79 membri, hanno sostenuto il discorso su una eliminazione graduale globale dei combustibili fossili unabated. Un gruppo separato di 26 paesi ha tagliato unabated. Molte delle parole e delle frasi che vengono proposte sono controverse o ambigue. Attualmente non esiste una definizione concordata di ciò che costituisce combustibili fossili unabated. Alcuni non sono d’accordo sul fatto che phase out significhi arrivare allo zero, mentre anche il termine phase down è impreciso. L’ultima bozza del testo del bilancio globale invita i paesi a lavorare su una delle cinque opzioni:

1.   Un’eliminazione graduale dei combustibili fossili in linea con la migliore scienza disponibile.

2.   Opzione uno più allineamento ai percorsi degli 1,5 °C dell’IPCC” e ai principi di Parigi.

3.   Un’eliminazione graduale dei combustibili fossili con il picco nel loro consumo in questo decennio e un settore energetico prevalentemente privo di combustibili fossili ben prima del 2050.

4.   Eliminare gradualmente i combustibili fossili e ridurne rapidamente l’uso in modo da raggiungere l’azzeramento netto di CO2 nei sistemi energetici entro o intorno alla metà del secolo.

5.   Nessun messaggio. Cina, India e il Gruppo Arabo attualmente si oppongono all’inclusione di qualsiasi linguaggio legato ai combustibili fossili.

Stanno via via ancora emergendo nuove formulazioni, con elementi come scadenze, obiettivi differenziati o formulazioni che evitano del tutto ogni phasing. L’elenco seguente mostra le opzioni finora proposte dai paesi e dalle alleanze internazionali:

·         Gli UAE a maggio: eliminazione graduale delle emissioni di combustibili fossili. Implica un uso continuo di combustibili fossili, con la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) che teoricamente evitano le emissioni.

·         UAE in ottobre: lavorare verso un futuro sistema energetico privo di combustibili fossili unabated entro la metà del secolo, anche portando a scala tutte le soluzioni e tecnologie disponibili. È incentrato sui combustibili fossili, il che implica ancora una volta un ruolo per tecnologie” come la CCS. Aggiunge il vago “lavorare verso”.

·         Gli UAE con l'Agenzia internazionale per l'energia a dicembre: un enorme aumento dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili in questo decennio deve accompagnarsi e sostenere una significativa riduzione graduale della domanda e dell’offerta di combustibili fossili. Collega i tagli della domanda e dell’offerta all’aumento delle alternative. La capacità rinnovabile deve essere triplicata entro il 2030 per sostituire sempre più i combustibili fossili. Menziona l’idea di “sostituzione” della domanda di combustibili fossili. I combustibili fossili devono essere gradualmente ridotti in modo significativo nel corso di questo decennio per mantenere in vita gli 1,5 °C. Questo utilizza il termine più debole “riduzione graduale”, ma aggiunge urgenza con “in modo significativo”, “questo decennio” e un collegamento diretto al limite degli 1,5 °C.

·         Dichiarazione USA-Cina di Sunnylands: accelerare sufficientemente l’energia rinnovabile fino al 2030 in modo da accelerare la sostituzione della produzione di carbone, petrolio e gas [dando] una significativa riduzione assoluta delle emissioni del settore energetico, in questo decennio critico del 2020. Questo centra la sostituzione e l’azione in questo decennio, ma riguarda solo il settore energetico.

·         L’UE in ottobre: una progressiva eliminazione globale dei combustibili fossili e un picco del loro consumo in questo decennio, con l’obiettivo di un settore energetico prevalentemente libero da combustibili fossili ben prima del 2050. Aggiunge tempismo, mentre l’ultima frase evita “eliminazione graduale” e “unabated”, ma aggiunge ambiguità con “prevalentemente”, che potrebbe significare quasi tutto o più della metà.

·         Comitato di alto livello della COP 28: l’eliminazione progressiva dei combustibili fossili, in particolare del carbone con i paesi sviluppati in prima linea. Aggiunge differenziazione e mette in primo piano il carbone.

·         Alleanza dell’America Latina e dei Caraibi (AILAC) del 6 dicembre: un’eliminazione graduale giusta ed equa dei combustibili fossili nel contesto di una transizione giusta, con i paesi sviluppati in prima linea e con le energie rinnovabili attuate strategicamente per sostituire i combustibili fossili. Questo centra l’equità e la sostituzione.

·         Alleanza dei Piccoli Stati Insulari (AOSIS) dell'8 dicembre: eliminazione graduale dei combustibili fossili in linea con gli 1,5 °C, la migliore scienza disponibile, e i principi e le disposizioni dell'Accordo di Parigi, e nessun nuovo investimento nelle infrastrutture per i combustibili fossili. Fornisce una definizione attraverso la scienza, si collega agli 1,5°C e aggiunge un ulteriore indicatore sulla fine degli investimenti nei combustibili fossili.

·         Scienziati del World Climate Research Program: avanzamento verso l’eliminazione graduale della combustione di combustibili fossili è necessario per mantenere vivo l’obiettivo degli 1,5 °C.  Usa un attenuato “verso”, ma pone l’attenzione sulla “combustione” dei combustibili fossili e si collega agli 1,5 °C.

·         Gruppo di oltre 800 leader provenienti dal mondo degli affari, della società civile, della politica e del mondo accademico: eliminazione ordinata di tutti i combustibili fossili in modo giusto ed equo, in linea con una traiettoria per gli 1,5 °C.

Se la COP 28 intende concordare un linguaggio sui combustibili fossili, è probabile che includerà molti di questi elementi relativi a tempistica, ritmo, differenziazione ed equità – oltre ad avverbi e aggettivi aggiuntivi. Potrebbe anche collegare i tagli ai combustibili fossili all’accesso alla finanza e alla tecnologia. La ricerca di un linguaggio concordato è un test fondamentale per il vertice. Se potesse essere trovato, invierebbe un segnale sul futuro percorso dell’economia globale a consumatori, regolatori e investitori. In sostanza, il GST regola anche il prossimo ciclo di impegni nazionali sul clima fino al 2035 – o addirittura al 2040. Ciò è importante perché al momento del prossimo bilancio globale nel 2028, il già piccolo budget di carbonio per 1,5°C sarà stato quasi completamente utilizzato.

La lobby della CCS. Gli organizzatori della COP 28 hanno concesso la partecipazione ad almeno 475 lobbisti che lavorano sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS), tecnologie non provate che secondo molti pareri non ridurranno il riscaldamento globale. La CCS, o CCUS (che include l’utilizzo) è stata fortemente spinta al vertice dai combustibili fossili e da altre industrie ad alto inquinamento, nonché dai maggiori paesi emettitori di gas serra. I sostenitori della CCS affermano che le tecnologie consentiranno agli inquinatori di intrappolare le emissioni di anidride carbonica e di seppellirle sotto terra o nel fondo del mare, oppure di utilizzare la CO2 nella produzione di carburanti o fertilizzanti. Lo IPCC e altri scienziati del clima concordano sul fatto che l’eliminazione graduale di petrolio, gas e carbone è l’unica strada per limitare il riscaldamento globale a circa 1,5 °C sopra i livelli preindustriali, e che la CCUS e altre tecnologie di nicchia non provate sono una tattica ritardante. e una distrazione che potrebbe, nella migliore delle ipotesi, contribuire in misura molto limitata. La forza con cui l’industria dei combustibili fossili e i suoi alleati vengono a Dubai per vendere l’idea che possiamo catturare o gestire il loro inquinamento da carbonio è un segno di preoccupazione. La CCS è l’ancora di salvezza dell’industria dei combustibili fossili ed è anche la loro ultima scusa e tattica per ritardare la transizione (Guardian). Il CCUS è stato promosso alla COP 28 in riunioni di alto livello e dozzine di eventi collaterali. Martedì, la sfida della gestione del carbonio è stata lanciata da diversi paesi, tra cui Emirati Arabi Uniti, Australia, Canada, Egitto, UE, Stati Uniti, Giappone e Danimarca, annunciando il sostegno dei rispettivi governi alle tecnologie CCUS e di rimozione dell’anidride carbonica (CDR). Ma mentre le tecnologie possono aiutare ad affrontare le emissioni in settori difficili da decarbonizzare come il cemento e l’acciaio, la cattura di 1,2 GtCO2, l’obiettivo iniziale proposto in maniera informale in quella sede, rappresenta solo il 3% delle emissioni globali del 2022.

 

Finanziamenti. Non si sente più parlare dei sussidi ai combustibili fossili. Ci si limita a parlare dell’eliminazione graduale ai sussidi che non affrontano la povertà energetica, e ancora senza alcuna scadenza. Stiamo andando all’indietro rispetto al linguaggio del 2009? Nei documenti il linguaggio relativo ai finanziamenti internazionali per il clima non è cambiato sostanzialmente, ma l’invito a incoraggiare le parti ad aumentare i finanziamenti per il clima è scomparso da una delle opzioni. Sebbene sia positivo che venga riconosciuto il deficit rispetto all’obiettivo dei 100 miliardi di dollari, anche per gli anni passati, e che ci sia l’aspettativa che venga raggiunto nel 2022, queste parole non significano nulla senza piani su come l’obiettivo sarà raggiunto al 2025 e con dati verificabili sul 2022. È inoltre palese che gli impegni dei governi per i finanziamenti per l’adattamento non sono all’altezza, con il timore che, come abbiamo già detto, gli stessi soldi vengano invece dirottati verso il nuovo fondo per perdite e danni. Durante un incontro di lunedì sera, i paesi ricchi avrebbero offerto solo 160 milioni di dollari in contributi al Fondo per l’Adattamento quest’anno per progetti come le difese contro le inondazioni e i sistemi di allarme rapido. Diversi governi hanno apertamente menzionato l’approvazione di quel nuovo fondo per le perdite e i danni tra le ragioni per offrire meno soldi per l’adattamento. I paesi in via di sviluppo hanno respinto la prima bozza di un nuovo “obiettivo globale sull’adattamento” in quanto non riflette le loro priorità soprattutto per quanto riguarda il finanziamento.

La sede della COP 29. Viene a galla un problema apparentemente insolubile. La sede della COP 29 spetterebbe all’Europa dell’est. La Russia ha posto il veto su tutti i paesi EU e ha rifiutato il ruolo per sé. Venerdì i candidati erano Azerbaigian, Moldavia e Serbia. Azerbaigian e Armenia però si sono bloccati a vicenda. Un miracolo di appeasement avvenuto a Dubai permetterebbe all’Azerbaijan di essere il prossimo paese ad ospitare i colloqui sul clima delle Nazioni Unite il prossimo anno, dopo colloqui di pace con l’Armenia che si sarebbero tenuti a Baku in mezzo al conflitto in corso tra le due nazioni, come riferisce Bloomberg. I leader dei due paesi hanno avuto colloqui giovedì a Dubai, concordando che l’Azerbaigian rilascerà 32 militari armeni catturati dopo la guerra del 2020 nel Nagorno-Karabakh, mentre l’Armenia rilascerà in cambio due militari azeri. Nell’ambito dei colloqui, l’Armenia ha affermato che ritirerà la sua offerta rivale di ospitare la COP 29 e sosterrà invece l’Azerbaigian. La decisione su dove si terrà la COP 29 sarà presa prima della fine della COP 28. Ancora una volta si tratta di uno stato che produce fossili e rifornisce, tra gli altri, anche l’Italia.

TORNA SU

7 dicembre. 2023. Giornata di riposo

 

6 dicembre 2023. Echi della giornata di ieri su clima e transizione energetica. Oggi negoziazione multilivello, ambiente costruito e trasporti

Siamo a metà strada qui a Dubai e il discorso raggiunge l’acme. Le iniziative e le pubblicazioni di nuovi studi e pareri si moltiplicano. Oggi è arrivato Vladimir Putin in visita agli UAE. Il presidente russo, soggetto a un mandato d'arresto da parte della Corte penale internazionale per l'invasione dell'Ucraina da parte del suo Paese, ha incontrato ad Abu Dhabi il leader degli Emirati, Zayed Al Nahyan. Poi andrà in Arabia Saudita da Mohammed bin Salman e incontrerà anche il presidente iraniano, per un lungo colloquio, si dice. Convegno di volpi, stragi di galline! Nessuno dei paesi arabi ha firmato il trattato istitutivo della Corte penale internazionale, Putin non rischia niente. L’Associated Press ha affermato che i colloqui di Putin si concentreranno probabilmente sulla produzione di petrolio. Le previsioni su un buon esito della COP 28 sono sempre più incerte. È ora il momento cruciale in questi colloqui sul clima, laddove si deve vedere se la collettività internazionale intende aumentare le proprie ambizioni e fare sul serio (Kerry), o ripiegare sconfitta. Nella prima settimana ognuno ha lucidato le proprie medaglie, l’Africa sul loss and damage, l’Europa sul carbon pricing, gli Stati Uniti con l’impegno a non costruire nuove centrali a carbone e a triplicare le energie rinnovabili. Ma la seconda settimana è un’altra storia nella quale deve venir fuori un progetto comune e condiviso sul quale peserà la controversia tra gli USA con il loro gas e la Cina con il suo carbone. Kerry arriva a dire che neppure un’altra presidenza di Donald Trump potrebbe far deragliare la transizione ecologica. Ma la sua coscienza fossile è tutt’altro che tranquilla. Ostentare ottimismo fa parte del gioco dei big, ma questa è l’ennesima e già vista maniera di lastricare di buone intenzioni la strada verso il baratro.

Omnia munda mundis

Proviamo a fare un punto per temi.

Clima. La pressione si sta accumulando sui negoziatori della COP 28 dopo che il Copernicus Climate Change Service europeo (C3S), ha annunciato mercoledì che novembre è il sesto mese consecutivo con il record della temperatura media e che il 2023 si appresta a strappare al 2016 il primato di anno più caldo. Un nuovo rapporto avverte che la Terra è sul punto di incontrare cinque punti critici climatici catastrofici (tipping point) a causa dell’inquinamento da carbonio nell’atmosfera, con altri tre in vista nel 2030 se il mondo si surriscalda di più di 1,5 °C. I punti critici nel sistema Terra rappresentano minacce di una portata mai affrontata dall’umanità. Possono innescare devastanti effetti domino, inclusa la perdita di interi ecosistemi e della capacità di coltivare colture di base, con impatti sociali tra cui migrazioni di massa, instabilità politica e default finanziari. I punti critici a rischio includono il collasso delle grandi calotte glaciali in Groenlandia e nell’Antartico occidentale, il diffuso scioglimento del permafrost, la morte delle barriere coralline nelle acque calde e l’arresto della circolazione oceanica nel Nord Atlantico. A differenza di altri eventi climatici, come ondate di caldo sempre più frequenti e diffuse e precipitazioni più intense, il sistema climatico perde l’attuale parvenza di proporzionalità con le emissioni di gas serra e passa in maniera irreversibile da uno stato a uno completamente diverso. Quando il sistema climatico cambia di stato, cosa che a volte può accadere con uno shock improvviso, può alterare in modo permanente il modo in cui funziona il pianeta.

Energia. Continuano ad affluire azioni e proposte dopo la giornata di ieri dedicata all’energia. Il Global Decarbonization Accelerator (GDA), appena lanciato, propone un insieme di azioni volte a decarbonizzare il sistema energetico esistente puntando sul sistema industriale per costruire il sistema energetico del futuro. Ricordiamo che 118 governi si sono impegnati a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, il target dello SDG 7. Il raggiungimento di emissioni nette zero dal settore energetico entro il 2050 si basa sulla capacità del mondo di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030. Nel GDA si inserisce la Dichiarazione di intenti sull'idrogeno degli Emirati Arabi Uniti, con 39 paesi che approvano uno standard globale di certificazione dell'idrogeno. L’idrogeno è un vettore energetico versatile che potrebbe aiutare a decarbonizzare settori difficili da abbattere. Sulla base dei progetti annunciati, la fornitura di idrogeno potrebbe aumentare di quasi 40 volte entro il 2030. Questa dichiarazione potrebbe contribuire a sbloccare la crescita del settore. La Carta per la decarbonizzazione di O&G è stata firmata da 50 aziende che rappresentano oltre il 40% della produzione globale di petrolio e gas. I firmatari si sono impegnati a ridurre al minimo le emissioni nette entro il 2050 per tutte le emissioni Scope 1 e 2 (derivanti dalla produzione e non dall'uso), a ridurre quasi a zero le emissioni di metano nelle operazioni upstream entro il 2030, a portare a zero il flaring di routine entro il 2030 e ad aumentare la trasparenza nella rendicontazione delle emissioni.

Phase-out dei fossili. Ci si confronta duramente tra i negoziatori secondo cui una eliminazione dei combustibili fossili è necessaria per mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali, e quelli secondo cui una eliminazione ordinata e graduale dei fossili unabated è accettabile. Che cosa voglia dire unabated è un altro nodo da sciogliere. Comunemente si concede che i settori difficili da abbattere siano acciaio, cemento, prodotti chimici e forse aviazione. Alcuni poi parlano di catturare il carbonio e stoccarlo senza ricorso ad alcun phase-down, chiamiamoli i seguaci di al Jaber. Qualcuno ha avanzato un paradosso: possiamo fare a meno dell’eliminazione dei fossili, più o meno graduale, se riusciamo a eliminare dall’atmosfera tutto il carbonio emesso da qui in avanti, più tutto il carbonio emesso dopo che quasi certamente avremo consumato il budget di carbonio degli 1,5°C. Lapalissiano. La lobby fossile, che spesso sostiene questo tipo di argomentazioni, non ha un piano concreto per eliminare il carbonio su tale scala così rapidamente. È quasi impossibile farlo e costerebbe molto più della decarbonizzazione rinnovabile e farebbe perdere i benefici di un ambiente più pulito, più sicure e anche più produttivo.  La capacità tecnico-economica limitata di cui disponiamo per sviluppare i mezzi per eliminare il carbonio deve concentrarsi sulle emissioni difficili da abbattere. Facendo due conti, a meno che non abbiamo da spendere 1.000 GUS$ all’anno, 10 volte il GCF, 120 US$/yr per ogni essere vivente, per portare la CCS dalla attuale capacità di 45 Mt a 32 Gt/yr, le alternative rinnovabili restano vincenti, costando circa 30 volte di meno (UniOxford). La CCS è una delle questioni più controverse della COP. Molte delle aziende industriali e degli investitori qui stanno scommettendo molto sulla CCS, partendo dal presupposto che l’economia sarà lenta nel trovare alternative economicamente vantaggiose ai combustibili fossili. Il linguaggio attualmente sul tavolo per la decisione finale della COP 28 richiede un massiccio incremento della CCS, senza alcuna limitazione sulla portata o sui settori per cui può essere utilizzata. Vanessa Nakate, la Greta africana, ha ammonito (video) che se vogliamo essere concreti nell’aiutare le persone che vivono in comunità vulnerabili, dobbiamo affrontare non solo i sintomi della crisi climatica ma anche la causa principale, ovvero l’uso di combustibili fossili. La prima cosa che dovremmo fare per ridurre le perdite e i danni è smettere di estrarre e bruciare nuovo carbone, petrolio e gas. Il successo della COP 28 dipenderà dal fatto che i leader avranno o meno il coraggio di chiedere un’eliminazione graduale giusta ed equa di tutti i combustibili fossili, senza scuse ed eccezioni. Un monito arriva anche dall’Italia dal Club di Roma. Una lettera aperta firmata da circa 75 scienziati afferma che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è necessaria per mantenere in vita l’obiettivo degli 1,5 °C di Parigi. Scenari coerenti con questo obiettivo richiedono la completa eliminazione del carbone entro il 2050 e una rapida eliminazione del petrolio e del gas (dimezzandoli ogni decennio). Subito dopo il 2050 il mondo dovrà provvedere alle emissioni nette negative per avere 1,5 °C a fine secolo. Sul metano disperso le opinioni sembrano più concordi. Mitigare ed eliminare l’inquinamento da metano, un gas serra molto potente e di breve vita, è un altro grande obiettivo della COP 28. Un impegno globale sul metano è stato lanciato per la prima volta alla COP 26, con oltre 150 paesi firmatari che hanno accettato di contribuire volontariamente a ridurre l’inquinamento da metano del 30% entro il 2030. Durante i lavori della COP 28, la Banca Mondiale dovrebbe annunciare un nuovo fondo dedicato alla tecnologia di rilevamento delle perdite di metano nei paesi in via di sviluppo, con il sostegno indipendente di alcune compagnie petrolifere e del gas. Il 2 dicembre gli Stati Uniti e la Cina hanno ospitato un vertice sul metano e sui gas diversi dalla CO2 e la Cina si è impegnata a includere per la prima volta il metano nel suo piano climatico 2035. Durante il fine settimana, gli Stati Uniti hanno reso note nuove norme sul metano che si stima impediranno a 58 Mt di metano di raggiungere l’atmosfera tra il 2024 e il 2038. Nello specifico, le norme vietano il flaring nei pozzi petroliferi appena perforati e impongono alle compagnie petrolifere di monitorare le perdite dai pozzi e dalle stazioni di compressione tramite sensori di terze parti.

Adattamento. Mitigare il cambiamento climatico in un contesto politico o sociale non significa mai limitare gli impatti della crisi climatica, come costruire rifugi contro condizioni meteorologiche estreme. Tutto ciò che ha a che fare con gli impatti della crisi climatica è in realtà adattamento. Sfortunatamente molte persone si confondono e usano la mitigazione quando intendono adattamento. Per mitigazione si deve intendere sempre abbattimento delle emissioni di gas serra. Significa ridurre le emissioni o frenare la loro crescita futura. I paesi ricchi devono ridurre effettivamente le proprie emissioni e per conseguenza le emissioni globali. Gli altri, i più poveri possono solo tentare di frenare l’aumento il più possibile. I negoziati su questo importante aspetto dell’accordo di Parigi non stanno procedendo abbastanza velocemente e dal Global Stocktake ci si aspetta la definizione della direzione futura dell’azione di mitigazione. L’adattamento, nel frattempo, ha i suoi problemi. Innanzitutto è sottofinanziato, sottostaffato e sottostimato: siamo lontani dalla parità tra sforzo di mitigazione e di adattamento. Sono in corso un po' in sordina discussioni su un obiettivo globale in materia di adattamento, che dovrebbe eguagliare per carisma l’obiettivo degli 1,5 °C di Parigi.  In carenza di una visione condivisa, i paesi in via di sviluppo vogliono almeno il raddoppio dei finanziamenti destinati all’adattamento. Sottolineano che i paesi poveri già spendono gran parte dei loro bilanci, che potrebbero essere spesi meglio in sanità o istruzione, dovendo risolvere i problemi causati da condizioni meteorologiche estreme, e questo è insostenibile e ritarda il loro sviluppo di anni. Tali discussioni rappresentano una preoccupazione vitale per il mondo in via di sviluppo, che rivendica progressi più rapidi su questo fronte nei prossimi giorni a Dubai. Le misure per l’adattamento al cambiamento climatico sono la Cenerentola del negoziato e nulla cambierà a COP 28 soprattutto perché le perdite e danni hanno preso il campo. Qualche settimana fa l’OECD aveva annunciato che i finanziamenti per l’adattamento sono diminuiti del 14% tra il 2020 e il 2021. Poi ci sono state le promesse del Fondo per l’adattamento alla COP 28. Francia e Germania ribattono le cose già dette alla COP 27 e Stati Uniti, UE, Regno Unito e Giappone faranno lo stesso. Una fonte di liquidità potrebbero essere i mercati del carbonio. Ma a marzo, i venditori di crediti di carbonio e le banche specializzate hanno respinto il tentativo di imporre una tassa obbligatoria sulle compensazioni per finanziare l’adattamento. Così raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento dai livelli del 2019 entro il 2025 è una chimera oltreché una goccia nel mare. Raggiungere l’obiettivo significherebbe disporre di 40 miliardi di dollari l’anno. Le Nazioni Unite affermano che le esigenze di adattamento ammonteranno a circa 140-300 miliardi di dollari all’anno entro il 2050.

Il mercato del carbonio. Una serie di scandali di greenwashing di alto livello portati alla luce dalla stampa negli ultimi mesi non ha smorzato gli entusiasmi nella COP 28 per una delle soluzioni climatiche più controverse: i crediti di compensazione del carbonio. Il vertice è inondato di aziende, governi e gruppi di supervisione indipendenti che cercano di tagliare o agevolare gli accordi di scambio delle emissioni di carbonio e di ricucire la malconcia reputazione del settore. Kerry, il presidente keniota e altri alti funzionari a Dubai hanno sostenuto il ruolo che i crediti di carbonio possono svolgere nel guidare il capitale privato dalle aziende ad alte emissioni negli Stati Uniti e in Europa verso progetti di riduzione del carbonio nel sud del mondo, come le energie rinnovabili e la conservazione delle foreste. Decine di sviluppatori di progetti stanno partecipando al vertice, proponendo compensazioni derivate da tutto, dalle alghe e dall'allevamento del bestiame agli impianti solari e alla conservazione delle foreste. Il loro obiettivo generale è quello di scrollarsi di dosso la reputazione di una contabilità scadente che ha sopravvalutato irresponsabilmente i benefici climatici dei progetti, così come le accuse di accaparramento di terre e di trattenuta dei proventi finanziari destinati alle comunità locali. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi consente ai paesi di trasferire i crediti di carbonio accumulati grazie agli sforzi nazionali di mitigazione delle emissioni di gas serra, come la riforestazione o la protezione delle foreste, ad altri paesi che hanno bisogno di aiuto per raggiungere i propri obiettivi climatici. Il quadro dell’articolo 6 è stato ufficialmente approvato alla COP 26 di Glasgow, ad eccezione di una componente cruciale: un sistema di verifica dei crediti di carbonio. I crediti di carbonio venduti sui mercati volontari e di conformità esistenti vengono verificati da terzi privati prima della loro vendita finale. Ma non esiste uno standard globale che guidi questi processi, il che lascia il sistema creditizio vulnerabile alle fluttuazioni di valutazione e al potenziale greenwashing. Il risultato finale delle discussioni sull’articolo 6 potrebbe avere un impatto su crediti di carbonio, se genuini e regolati, per miliardi di dollari.

Global stocktaking. Non possiamo cadere nella trappola dei conti del ragioniere, dice Stiell, il capo della UN FCCC, e nemmeno della politica del minimo comune denominatore. Tutti i governi devono dare ai propri negoziatori chiari ordini di marcia. Abbiamo bisogno della massima ambizione. Abbiamo un testo iniziale sul tavolo... ma è un mucchio di liste dei desideri oggetto di feroci contrasti. Ci sono molte opzioni sul tavolo in questo momento che parlano dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Spetta ai Paesi risolvere questo problema, che significa elaborare una dichiarazione molto chiara che segnali il declino terminale dell’era dei combustibili fossili come la conosciamo.

Finanziamento. In sintesi la situazione ad oggi degli impegni (pledges), rappresentata dalla Presidenza di COP 28 è la seguente:

·         Loss and damage: 726 MUS$

·         Green climate fund: 3,5 GUS$ (aumenta il secondo replenishment di 12,8 MUS$)

·         Adaptation fund: 133,6 MUS$

·         Least developed countries fund: 129,3 MUS$

·         Special climate change fund (SCCF): 31 MUS$

·         Renewable energy: 5 GUS$

·         Cooling: 25,5 MUS$

·         Clean cooking: 30 MUS$

·         Technology: 568 MUS$

·         Methane: 1,2 GUS$

·         Climate finance: 30 GUS$ from UAE, 200 MUS$ in diritti speciali di prelievo e 32 GUS$ dalle banche multilaterali di investimento

·         Food: 3,1 GUS$

·         Nature: 2,6 GUS$

·         Health: 2,7 GUS$

·         Water: 150 MUS$

·         Gender: 2.8 MUS$

·         Relief, recovery and peace: 1,2 GUS$.

Ambiente costruito. Oggi è tra l’altro la giornata della rigenerazione urbana. Un comunicato stampa dalla leadership della COP 28 informa di un incontro ministeriale sull’urbanizzazione e il cambiamento climatico, in cui i ministri del governo, i leader regionali, i sindaci, presenti numerosi a Dubai, le istituzioni finanziarie e le parti interessate non governative sono stati esortati a sostenere una Dichiarazione congiunta sui risultati sull’urbanizzazione e il clima. Si concentra su come le città dovrebbero essere progettate in modo rispettoso del clima e su come proteggere i residenti dal peggioramento degli impatti del collasso climatico, come siccità, ondate di caldo e inondazioni. La dichiarazione, sostenuta da 40 ministri dell’edilizia abitativa e dello sviluppo, definisce un piano in 10 punti per promuovere l’inclusione delle città nel processo decisionale sul cambiamento climatico, guidare l’azione multilivello per il clima e accelerare l’implementazione dei finanziamenti per il clima urbano in modo che le città sono preparati e sostenute per rispondere alla crisi climatica. La presidenza della COP 28 ha affermato che ben il 90% delle città è minacciato dall’innalzamento del livello del mare e dalle tempeste e che tende ad essere più caldo delle aree rurali: i loro residenti affrontano temperature in media 10 °C più alte. La COP 28 rappresenta un cambio di paradigma verso l’azione. Stiamo dando potere e sostegno alle città in prima linea nel cambiamento climatico per cogliere l’iniziativa, dice al Jaber.  Abbiamo portato qui oltre 450 sindaci e governatori alla COP 28 e la loro conoscenza del territorio è fondamentale per dare forma alle nostre soluzioni globali. Quando parliamo di inclusività intendiamo questo: abbiamo bisogno che tutte le voci siano al tavolo. Ogni città ha esigenze e soluzioni individuali, ma fondamentalmente questo è un problema globale. Dubai è una di queste città che sta affrontando temperature alle stelle. Mentre i suoi abitanti più ricchi possono godere di aria condizionata fresca e persino di una pista da sci al coperto per ripararsi dal caldo insopportabile, i lavoratori più poveri non sono così fortunati. Una recente indagine ha scoperto che i lavoratori migranti a Dubai hanno lavorato a temperature pericolosamente alte per preparare le strutture per la Conferenza.

Trasporti. Altro importante tema della giornata. La COP può a buona ragione prendere atto che la crescente flotta di veicoli elettrici (EV) in tutto il mondo sta già incidendo sorprendentemente sulla domanda di petrolio. Il punto di svolta è stato il sostegno politico al passaggio all'elettrificazione, riducendo in modo sostanziale la domanda di petrolio da parte del settore dei trasporti, che è stato il motore principale della crescita della domanda globale di petrolio (IEA). Secondo l’IEA, i trasporti sono responsabili di circa il 60% della domanda mondiale di petrolio, mentre gli Stati Uniti da soli rappresentano circa il 10%. Questa quota dovrebbe diminuire, poiché l’IEA prevede che i veicoli elettrici avranno cancellato circa 5 milioni di barili al giorno della domanda mondiale di petrolio entro il 2030. Secondo gli esperti del settore, il tasso di futura adozione dei veicoli elettrici dipenderà fortemente dai prezzi e dalla disponibilità di stazioni di ricarica.

A Dubai c’è anche una società civile. Il conflitto a Gaza ha avuto un forte impatto sui colloqui sul clima della COP 28 di Dubai. Mentre i delegati discutevano dei piani per affrontare il cambiamento climatico, in disparte gli attivisti cercavano di attirare l’attenzione sul massacro di persone nel territorio palestinese. Ma mentre molti gruppi per la giustizia climatica si sono rapidamente inseriti a Dubai nella campagna su Gaza, in alcuni paesi la questione è molto più controversa, e figure di spicco dell’attivismo climatico, in particolare Greta Thunberg, sono state criticate per aver sposato la causa palestinese. Riferisce il Guardian che, quando Greta ha pubblicato una sua foto con in mano un cartello “sosteniamo Gaza” su Instagram in ottobre, la reazione in Israele e Germania è stata dura e immediata. Un portavoce delle forze di difesa israeliane (IDF) inizialmente ha spropositato a Politico che chiunque si identificherà in qualsiasi modo con Greta in futuro è un sostenitore del terrorismo, sciocchezza in seguito ritrattata. Non senza una ragione Israele ha chiesto a Greta di parlare a nome delle sue vittime, accompagnando l’istanza con prese di posizione variamente minacciose. In Germania, politici ed esperti di tutto lo spettro politico hanno chiesto che il ramo nazionale di Fridays for Future, il movimento di protesta studentesco avviato da Greta nel 2018, prendesse le distanze dalle opinioni di lei. Il gruppo ha rilasciato una dichiarazione in cui sottolinea il suo sostegno al diritto di esistere di Israele e, nelle settimane successive, ha preso esplicitamente le distanze dai post sui social media pubblicati dal gruppo internazionale. Der Spiegel ha rincarato la dose chiedendo se Greta non abbia tradito il movimento per il clima. La risposta di F4F e di Greta sul Guardian non lascia spazio a speculazioni: “Gli orribili omicidi di civili israeliani da parte di Hamas non possono in alcun modo legittimare i crimini di guerra in corso da parte di Israele. Il genocidio non è legittima difesa, né è in alcun modo una risposta proporzionata”. La violenza in Israele e a Gaza dal 7 ottobre è diventata un punto critico inaspettato per gli attivisti climatici nei paesi ricchi. Mentre i leader mondiali si incontrano per il vertice COP 28 a Dubai, i movimenti, molti dei quali hanno costruito il loro sostegno sull’inclusione e sulla giustizia globale, sono divisi su se e come prendere posizione sul conflitto a Gaza, posto che prendere una posizione sia il modo giusto di approcciare il problema.

TORNA SU

5 dicembre 2023. Energia e industria, giusta transizione, popoli indigeni

L’energia è la chiave della transizione ecologica ed è il nocciolo duro della COP 28 e del GST. La giornata dedicata dà luogo a una moltitudine di iniziative sull’argomento (video) dove la discussione è inasprita dalla messa sotto accusa del Presidente al Jaber per le sue opinioni espresse sulla inamovibilità dei combustibili fossili. Non si può fare a meno di riferire che il numero di delegati che sono collegati ai produttori di combustibili fossili è quadruplicato rispetto allo scorso anno. Circa 2.400 persone legate alle industrie del carbone, del petrolio e del gas sono state registrate per i colloqui sul clima della COP 28, anche grazie alle norme più severe dell’ONU. Questo numero record è superiore al totale dei partecipanti provenienti dai 10 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. A Glasgow solo 500 delegati avevano un background nel settore dei combustibili fossili. L’anno scorso alla COP 27 i numeri erano aumentati a 600 rappresentanti.

Siamo ormai a metà strada e i risultati non sono chiari per i negoziatori. I leader sono venuti, hanno espresso punti di vista anche contrastanti ma non hanno detto come si uscirà da COP 28. La situazione geopolitica e lo stato delle economie non sono incoraggianti. Molta parte dei cittadini del blocco occidentale, bersagliati in egual misura dal clima inferocito e dai messaggi politici delle più varie specie cominciano a dare segni di stanchezza. La spinta giovanile che con Greta fece grande la COP 26 di Glasgow si sta attenuando non senza aver espresso il più grande disprezzo per una COP 28 governata dai petrolieri e dai tardo-nuclearisti. Le elezioni in arrivo nelle democrazie stanno piegando la volontà dei più forti, come si vede nel messaggio flebile della von der Leyen a Dubai e negli spiriti di rinuncia “pragmatica” della Meloni: “Gli obiettivi climatici sono lontani”. Ora è il momento per i più ambiziosi che hanno ancora voglia di combattere di mantenere alta la pressione nei negoziati. Dobbiamo vedere i governi esprimersi con forza su priorità come l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, una maggiore azione sull’adattamento e la promozione della trasformazione totale del sistema finanziario per sbloccare più fondi per il clima. Con le forti divisioni tra i Paesi, la probabilità di un nulla di fatto è alta e sperare negli Emirati Arabi Uniti ci appare paradossale

Il negoziato sul global stocktaking. Secondo l’accordo di Parigi, le nazioni sono tenute a misurare i progressi compiuti verso i tagli alle emissioni necessari per garantire che il mondo rimanga entro i limiti di temperatura del trattato. Si prevede che questo processo quinquennale inizi quest’anno, con il primo bilancio globale in assoluto, una valutazione complessiva dei progressi compiuti dai paesi, o della loro mancanza. La COP 28 è iniziata senza un documento, oggi abbiamo un testo di 24 pagine che è stato reso pubbliche e dice, come sapevamo, che il mondo è ben lontano da Parigi e sono necessarie urgentemente azioni drastiche per ridurre le emissioni come pressantemente chiedono gli scienziati, gli esperti e i non pochi capi di governo ormai con l’acqua alla gola. Il GST, si badi bene, non è un mero bilancio contabile che oggi è puntato su poco meno di 3 °C di anomalia termica a fine secolo, dato sul quale dissentire è impossibile. Il GST anziché limitarsi a dare uno sguardo a ciò che è accaduto, deve dire cosa fare ora. Dovrebbe includere l’eliminazione graduale dei combustibili fossili? Quanto dovremmo incrementare le energie rinnovabili? E i sussidi ai fossili?

Non è previsto che i governi effettuino le prossime revisioni dei loro NDC prima del 2025, ma il GST dovrebbe dare ai governi la misura sulla quale dimensionare tali revisioni. Nel testo finora licenziato sulla questione cruciale dell’eliminazione dei combustibili fossili, enorme per il futuro dell’umanità, permane ancora un wording che impegnerebbe le nazioni ad una eliminazione graduale. Tale posizione è paradossalmente a rischio addirittura di cancellazione definitiva. Si fa inoltre riferimento alla necessità che i paesi migliorino i propri NDC, anche se è improbabile che ciò accada prima del 2025, quando l’accordo di Parigi sugli NDC focalizzati sul 2035 prevede solo che non siano peggio dei precedenti (ratcheting up). I negoziatori hanno fatto sapere ieri sera che ci sono state ben 24 ore di trattative distribuite su due giorni per produrre il testo, in un clima fortunatamente riferito come costruttivo e volonteroso. Preoccupa che l’Arabia Saudita stia tentando di introdurre riferimenti alla cattura e allo stoccaggio del carbonio in ogni occasione, anche dove non ha senso. Vuole aggiungere la parola emissioni dopo i combustibili fossili in ogni riferimento alla loro eliminazione o riduzione graduale. È ovvio che il loro interessa è vendere, non bruciare. Incombe il mistero cinese: la Cina non ha sottoscritto l’impegno di triplicare l’energia rinnovabile, nonostante abbia una delle industrie di energia rinnovabile più forti al mondo e sia un importante fornitore di componenti e apparecchiature per l’energia rinnovabile da cui sta traendo grandi vantaggi. Non ha però firmato nemmeno per triplicare il nucleare e non difende il carbone, di cui fa largo uso. Strategie! Riferisce il Guardian che ci sono divisioni nel blocco negoziale G77+Cina. Quest’ultima ha debordato negli interventi in tutte le sedi, lasciando poco tempo ai PVS, tra i quali molti hanno grandi preoccupazioni che si abbandoni l’obiettivo degli 1,5 °C come già sta facendo la Cina che parla di “obiettivi di Parigi”, cioè di stare ben al di sotto dei 2 °C. L’ultima bozza del GST comprende una serie di opzioni, che vanno dal nessun testo a una eliminazione ordinata e giusta dei combustibili fossili, e preludono a dispute accese nei prossimi giorni su quello che tutti attendono, una transizione “giusta” da carbone, petrolio e gas verso economie più green e resilienti, sostenute da impegni finanziari all’altezza. Al Jaber ha detto alla stampa che spera paternamente in un bilancio globale più ambizioso.

Il food e l’agricoltura sono stati esclusi dall’ultima bozza del testo negoziale sul bilancio globale. I risultati dell’IPCC e della fase tecnica del negoziato GST sono inequivocabili: non raggiungeremo nessuno degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi senza un’azione climatica sul cibo più ambiziosa, completa ed equa. Il bilancio globale non può adempiere al suo mandato di costruire un futuro resiliente ed equo per tutti senza considerare i sistemi alimentari come una soluzione sia per la mitigazione che per l’adattamento. Un largo gruppo di NGO ha chiesto all’UNFCC di garantire che l’agricoltura e il cibo diventino parte del bilancio.

Il phase-out dei fossili. Phase out o phase down? Sembra questo il dilemma dominante in questa fase del negoziato a COP 28. Secondo la norvegese Cicero il 2023 ci darà un 1,1% di aumento delle emissioni. Ma deve essere affrontata anche la questione dell’equità globale e della responsabilità storica. Parigi dice che i paesi sviluppati devono prendere l’iniziativa in nome del principio della responsabilità comune ma differenziata. Ancora una volta si gira senza idee chiare intorno a questa questione e gli obiettivi di Parigi potrebbero essere mancati così come lo zero netto a metà secolo. In questa confusione l’Italia non è da meno. Un esponente della BP ha dichiarato, bontà sua, che quando si tratta di eliminare gradualmente i combustibili fossili le compagnie petrolifere del settore privato non sono il problema principale: la maggior parte dell’estrazione di idrocarburi nel mondo viene effettuata dagli stati, attraverso società di proprietà nazionale come la UAE-Adnoc del Presidente. Secondo lui è dubbio che gli stati con riserve di combustibili fossili accetteranno di smettere di utilizzarle.

Le energie rinnovabili e il risparmio energetico. Alla COP 28 decine di paesi hanno concordato di apportare cambiamenti radicali nei loro settori energetici. Almeno 111 paesi hanno firmato un piano per triplicare la capacità globale di energia rinnovabile e raddoppiare i tassi annuali di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030. Gli Stati Uniti hanno accettato di unirsi a un’alleanza di altri 56 paesi che si impegnano a non costruire nuove centrali a carbone, spegnere centrali elettriche ed eliminare gradualmente quelle esistenti. Il gruppo non include la Cina, di gran lunga il principale consumatore di carbone del mondo. Nonostante sia in guerra con la Russia, l’Ucraina ha firmato un accordo alla COP 28 con la danese Vestas per la fornitura di turbine eoliche da costruire nel paese. Hanno concordato di costruirne 64 da 6 MW ciascuna con una capacità totale di 384 MW. La prima fase del parco eolico con una capacità di 114 MW è stata messa in servizio nella primavera del 2023. Alla fine parco eolico avrà 83 turbine per circa 500 MW, capace di generare elettricità per 900.000 famiglie e risparmiare 1,7 MtCO2. L’Ucraina confida che le turbine eoliche onshore siano una forma di energia resiliente durante la guerra e sta tentando di espandere la propria capacità in modo che il paese possa essere alimentato in modo affidabile durante il conflitto. Nel contempo, lo scorso anno in Inghilterra sono state costruite solo due turbine eoliche onshore e non sono stati pianificati nuovi progetti.

Come fare risparmio energetico? Alla COP 28 di quest’anno, viene fuori estemporaneamente la questione dell’aria condizionata perché alcune delle più grandi economie del mondo hanno sottoscritto un impegno globale sul raffreddamento, ispirato dall’UNEP. Il ricorso al condizionamento cresce con il benessere in tutti i paesi. Potrebbe avere implicazioni significative per lo sforzo globale di mantenere l’aumento della temperatura entro gli 1,5 °C. Più di 50 paesi hanno firmato per ridurre le emissioni di raffreddamento del 68% entro il 2050. In India, paese vulnerabile, tra l’8% e il 10% dei 300 milioni di famiglie del paese, che ospita 1,4 miliardi di persone, hanno un condizionatore, ma si prevede che tale numero raggiungerà quasi il 50% entro il 2030, 1 miliardo al 2050. Entro il 2050, la quantità di energia consumata dall’India per l’aria condizionata supererà il consumo energetico totale di tutta l’Africa (IEA).

Il nucleare. Abbiamo documentato che un gruppo di 22 nazioni, compresi gli Stati Uniti, hanno concordato di triplicare la propria capacità energetica nucleare entro il 2050. Non la Cina. Dei tre obiettivi energetici, quello nucleare sarà probabilmente il più difficile da raggiungere rispetto a rinnovabili ed efficienza. Il settore è stato colpito dall’aumento dei costi e dalle sfide ingegneristiche e rimane pesantemente gravato dalla regolamentazione e dalla burocrazia. Non si vede un grande desiderio di investimenti da parte del capitale privato, tantoché Macron in Francia ha dovuto nazionalizzare la EDF e fiscalizzare i suoi immensi debiti, nella speranza di rabberciare gli impianti già vecchi e che qualcuno gliene ordini di nuovi. Si tratta smaccatamente di aiuti di stato che sarebbero vietati dall’UE. Di nucleare si è parlato eccome a Dubai nella giornata dell’energia. Il vice segretario del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, ha voluto sostenere che, nonostante la recente cancellazione del progetto del primo small reactor negli Stati Uniti, ampiamente raccontata da tutti i media, non si tratterebbe di un fallimento né di un indizio che la tecnologia small non abbia un futuro brillante. John Kerry, dice che ci stiamo avvicinando sempre più a una realtà alimentata dalla fusione, la potenziale fonte di energia, che creerebbe elettricità attraverso reazioni di fusione nucleare, ha il potenziale per rivoluzionare il nostro mondo, cambiare tutte le opzioni che abbiamo davanti e fornire al mondo energia abbondante e pulita senza le emissioni nocive dei tradizionali combustibili fossili che, conferma al di là delle polemiche con al Jaber, è la causa principale della crisi climatica. Kerry ha tuttavia riconosciuto di non poter dire quanto l’energia da fusione nucleare sia vicina a diventare una realtà, dopo una svolta compiuta lo scorso anno da scienziati americani che ha dimostrato con i superlaser che una parte cruciale del processo è possibile. 

Offsetting, cattura e sequestro del carbonio ed altre vie traverse. Germania e Colombia hanno chiesto l’inclusione degli abbattimenti nature-based nel GST. Nature-based è un termine generico per utilizzare il potere della natura per mitigare l’impatto del cambiamento climatico, a vantaggio della biodiversità e del benessere umano. Il parere degli scienziati è che si tratterebbe di un’opzione conveniente per la mitigazione, ma finora sottoutilizzata. La GST potrebbe porvi rimedio, in particolare imponendo il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali nelle operazioni di offsetting e il loro coinvolgimento, nonché provvedendo a flussi finanziari adeguati. La bozza dell’articolo 6.2 dell’accordo di Parigi, che copre gli accordi paese-paese sullo scambio di emissioni di carbonio, propone che ai governi venga consentito di approvare unilateralmente la vendita di crediti. La inclusione nel GST di accordi unilaterali ai sensi dell’Articolo 6.2 potrebbe aprire la strada a uno sviluppo selvaggio dei mercati volontari del carbonio e al greenwashing. I governi stanno negoziando come i paesi potrebbero utilizzare questi crediti per raggiungere i propri obiettivi nazionali. Ci sono non pochi pregiudizi anche a seguito di una intensa campagna di stampa che ha classificato come truffa il 95% dei progetti di scambio di crediti. Per di più ha sede negli UAE la Blue Carbon, una società sostenuta da un giovane reale di Dubai, che qui sta trattando ulteriori accordi con Comore, Dominica e Bahamas, gli ultimi paesi a raggiungere intese con Blue Carbon, che ha finora supervisionato accordi che coprono un quinto dello Zimbabwe, il 10% della Liberia, il 10% dello Zambia, l'8% della Tanzania e milioni di ettari del Kenya, collettivamente pari a un'area più grande della dimensione del Regno Unito. Blue Carbon sviluppa progetti di mitigazione del cambiamento climatico utilizzando le foreste, le coste e le risorse naturali dei paesi, vendendo le conseguenti riduzioni e rimozioni di carbonio come crediti. A parer loro. con questi progetti non si fa solo mitigazione, ma si affrontano le sfide ambientali cruciali a livello locale, introducendo benefici per la comunità e promuovendo lo sviluppo sostenibile nei paesi coinvolti.

I finanziamenti. Il gap di investimenti per la mitigazione è di 41mila miliardi di dollari fino al 2030, con i mercati emergenti che si trovano ad affrontare il gap maggiore in termini di percentuale del loro PIL. C’è anche un deficit di finanziamento per l’adattamento di 600 miliardi di dollari necessari ogni anno fino al 2050, che è 10-18 volte maggiore dei flussi attuali. Diversi annunci emersi nei primi giorni della COP 28 mostrano buona volontà a iniziare a colmare questo divario. Oltre ad aumentare gli investimenti, sono necessari diversi fattori abilitanti, tra cui la promozione dei mercati del carbonio ad alta integrità. Dal lato dell’offerta, sei programmi di crediti di carbonio (90% del mercato) hanno dichiarato di accettare nuove regole. I mercati del carbonio, tanto volontari che intergovernativi, hanno una potenzialità di abbattimento di 9 delle 20-24 GtCO2eq di riduzione richiesti entro il 2030. Tutti gli stakeholder hanno sottolineato l’urgenza e la necessità di rendere rapidamente operativo l’articolo 6 di Parigi.

Oggi la COP 28 ha annunciato che finora  sono stati raccolti 57 miliardi di dollari in impegni di finanziamento del clima. Sono stati annunciati diversi fondi e strumenti privati e misti legati al clima. Numerosi istituti e fondi finanziari per lo sviluppo hanno assunto ulteriori impegni e accordi in materia di finanziamenti. La Banca Mondiale si è impegnata a spendere almeno il 45% dei suoi investimenti in progetti climatici, con 9 miliardi di dollari in più rispetto ai suoi impegni precedenti. Gli EAU hanno impegnato 200 milioni di dollari  per la resilienza e la sostenibilità a favore del FMI. Se realizzati, gli annunci di oggi potrebbero fornire ai paesi a basso e medio reddito un migliore accesso a capitali a basso costo per sostenere la loro transizione. Per l’adattamento climatico i paesi hanno annunciato oggi circa 155 milioni di dollari in contributi al Fondo globale, meno dei 300 programmati e molto meno del necessario. Nei negoziati però, le opinioni sulla mitigazione, sulla finanza e sull’Obiettivo Globale sull’Adattamento rimangono distanti. Si annuncia 1 miliardo di dollari da parte di filantropi, donatori e banche multilaterali di sviluppo, 2,6 miliardi di dollari in finanziamenti per la conservazione della natura da fonti pubbliche e private e altri 2,6 miliardi di dollari per progetti alimentari e agricoli resilienti al clima. Il fondo per perdite e danni è arrivato oggi a 725 milioni di dollari. Si veda per i quadro complessivo il riepilogo della Presidenza.

Le popolazioni indigene e le migrazioni climatiche. È la giornata dei popoli indigeni alla COP 28, dove è molto difficile per le comunità native ottenere un posto ai tavoli delle trattative dove vengono prese decisioni di vita o di morte sulle loro terre e costumi. Il che è una perdita enorme per tutti. Dice una valorosa leader ecuadoregna che il suo compito è mantenere la comunità al sicuro e proteggere la foresta per le generazioni future. Negli ultimi anni alle donne non è mai stato permesso di assumere ruoli fuori casa, ma lei ha dimostrato loro che ne sono capaci. Il suo risultato più grande finora è stato ottenere lo status di protezione per 50.000 ettari di foresta vergine. L’anno scorso, i broker dell’offsetting, persone sconosciute provenienti da altri paesi, hanno iniziato a presentarsi, offrendo soldi alla comunità per aderire a vari programmi. La comunità ha dei bisogni: i nostri giovani devono partire per studiare e trovare lavoro in città e alcuni cadono nella droga e nella prostituzione. Ci piacerebbe avviare un progetto di turismo comunitario. Ma altre comunità hanno avuto brutte esperienze con i progetti del mercato del carbonio, quindi stiamo cercando aiuto contro le truffe.

Vale la pena ricordare che l’accesso è stato concesso a sette volte più lobbisti dei combustibili fossili rispetto ai delegati indigeni ufficiali alla COP 28. Nella giornata loro dedicata i capi indigeni e altri leader di comunità, in prima linea nella lotta per l’ambiente e il clima, hanno lanciato un appello appassionato affinché i grandi inquinatori vengano espulsi dai colloqui sul clima della COP 28. Si riferiscono alle compagnie private ed ai lobbisti, perché altrimenti andrebbero espulsi quasi tutti i delegati. Dicono che i loro figli devono condividere gli inalatori a scuola perché non possono respirare a causa dell’inquinamento.

TORNA SU

4 dicembre 2023.  Finanza, commercio, trasparenza e uguaglianza di genere

Nella giornata di ieri dedicata alla pace ma dominata dalle rivelazioni del Guardian su al Jaber Papa Francesco ha voluto far sentire, in uno dei side event, la sua voce autorevole e sempre meno ascoltata (video). Oggi il mondo ha bisogno di alleanze che non siano contro qualcuno, ma a favore di tutti. È urgente che le religioni, senza cadere nella trappola del sincretismo, diano il buon esempio lavorando insieme: non per i propri interessi o per quelli di una parte, ma per gli interessi del nostro mondo. Tra questi, i più importanti oggi sono la pace e il clima. Diamo l’esempio, come rappresentanti religiosi, per mostrare che un cambiamento è possibile, per testimoniare stili di vita rispettosi e sostenibili, e domandiamo a gran voce ai responsabili delle nazioni che la casa comune sia preservata. Ce lo chiedono, in particolare, i piccoli e i poveri, le cui preghiere giungono fino al trono dell’Altissimo. Per il futuro loro e il futuro di tutti, custodiamo il creato e proteggiamo la casa comune; viviamo in pace e promuoviamo la pace.

Il principale risultato di ieri, giornata della salute, è che 123 paesi hanno firmato la prima Dichiarazione sul clima e sulla salute, che comprende finanziamenti per soluzioni climatiche e sanitarie e l’impegno a incorporare obiettivi sanitari nei piani nazionali sul clima. UAE ha annunciato un impegno di finanziamento di 1 miliardo di dollari per l’attuazione di attività climatiche incentrate sulla salute, denaro che proviene da agenzie tra cui il Fondo verde per il clima, la Banca asiatica di sviluppo e la Fondazione Rockefeller. Ma, ed è un grande ma, non è chiaro quanto di questo denaro sia nuovo denaro, e non è nemmeno chiaro se assumerà la forma di sovvenzioni o ancora più debito per le nazioni vulnerabili. La dichiarazione riconosce che la riduzione dell’impatto climatico sulla salute richiederà riduzioni delle emissioni, ma non c’è una sola menzione dei combustibili fossili che sono la causa dell’impatto sulla salute umana. La Dichiarazione arriva mentre le morti annuali dovute all’aria inquinata colpiscono quasi 9 milioni di persone, le malattie legate al caldo e le morti sono in aumento, e mentre 189 milioni di persone sono esposte ogni anno a eventi meteorologici estremi. La COP 28 rilascia anche un altro documento, approvato da oltre 40 partner finanziari e organizzazioni della società civile: i Principi guida della COP 28 per il finanziamento di soluzioni climatiche e sanitarie che sono indirizzati alla collaborazione tra i finanziatori per sostenere soluzioni climatiche e sanitarie in modo sostenibile.  Un’ampia gamma di stakeholder, tra cui governi, banche di sviluppo, istituzioni multilaterali, filantropie e NGO ha espresso impegno a destinare collettivamente 1 miliardo di dollari per affrontare le crescenti esigenze della crisi climatico-sanitaria.

Eguaglianza di genere e giustizia climatica. Oggi è anche la giornata dedicata al gender, ovvero alll’importanza della presenza femminile nei luoghi di potere (video), a partire dalla percentuale di donne Capi di stato e di Governo che hanno parlato durante il vertice dei giorni scorsi, in particolare rispetto alla crisi climatica e d’altra parte, come donne, bambine e ragazze soffrano maggiormente gli impatti del cambiamento climatico tanto che si stima che ben l’80% de migranti climatici siano donneDalle Nazioni Unite le donne hanno lanciato lanciato il rapporto Feminist Climate Justice: A Framework for Action, che mostra come il cambiamento climatico spingerà fino a 158 milioni di donne e ragazze in più nella povertà e farà precipitare 236 milioni di donne in più nella fame entro il 2050. Le donne sono i principali obiettivi dell’odio online, compreso il linguaggio offensivo, le molestie e l’incitamento alla violenza sessuale, afferma in un rapporto l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea. Oggi, nella giornata loro dedicata, ActionAid ha affermato che le dichiarazioni sui finanziamenti per perdite e danni non hanno tenuto conto del ruolo vitale che le donne svolgono nel mitigare l’effetto del collasso climatico nelle loro comunità. Ogni giorno vediamo il trauma e la distruzione che i cambiamenti climatici provocano a donne e ragazze, costrette ad abbandonare la scuola o a sposarsi presto per aiutare le famiglie. Sia nell’Africa orientale colpita dalla siccità che in seguito ai cicloni nell’Asia meridionale, le donne stanno rovesciando il luogo comune della loro debolezza e stanno mantenendo le loro comunità al sicuro attraverso risposte collettive. È stato deludente vedere così tanti leader uomini salire sul palco per promettere finanziamenti per perdite e danni senza riconoscere il ruolo vitale che le donne svolgono nell’aiutare le loro comunità contro gli shock climatici.

Phase-out dei fossili. Conferenza stampa questa mattina dello staff del Presidente dopo la gaffe sull’età delle caverne. Dal palco nessun cenno alla vicenda ma qualcosa viene detto ai giornalisti dopo l’incontro. Ci sono persone che cercano di indebolire la nostra presidenza fin dal primo giorno. Il presidente è stato molto chiaro sul fatto che gli 1,5 °C sono la stella polare della COP e su come i combustibili fossili siano all’ordine del giorno. Lui parlava delle zero emissioni nette nel 2050 quando ancora i combustibili fossili faranno parte di quel mix. E ha detto molto chiaramente che pensa che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia inevitabile. Abbiamo detto fin dall’inizio che l’energia è il pilastro numero uno, quindi non ci nascondiamo. Il presidente al Jaber stia facendo un ottimo lavoro. La realtà è invece che più di 100 paesi hanno chiesto il phase-out, e non il phase-down dei combustibili fossili. Inoltre un gran numero di scienziati ha respinto la teoria delle caverne di Al Jaber. Questa mattina, in una conferenza stampa per l’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), i rappresentanti hanno ripetutamente chiarito che i combustibili fossili devono essere abbandonati per rimanere entro 1,5 °C di riscaldamento globale, un obiettivo particolarmente vitale per le isole basse e in via di sviluppo. I rappresentanti dei piccoli stati insulari qui alla COP 28 hanno affermato che continueranno a chiedere l’eliminazione graduale dei combustibili fossili – e chiederanno conto al sultano Al Jaber elle sue affermazioni. A sorpresa, a metà giornata, al Jaber improvvisa una conferenza stampa in cui dice che siamo tutti qui perché abbiamo lanciato un chiaro invito all'azione e siamo stati molto schietti al riguardo e abbiamo detto chiaramente e ripetutamente che gli UAE assumono questo compito con umiltà, responsabilità e comprendiamo pienamente l'urgenza dietro questa questione. Rispettiamo moltissimo la scienza. Il 43% delle emissioni globali deve essere ridotto entro il 2030, tutto è incentrato sulla scienza, ribadendo di essere stato chiarissimo su questo. L’eliminazione graduale dei combustibili fossili, ha concluso, è essenziale. Deve essere ordinata, giusta e responsabile. In un’intervista esclusiva al Guardian, l’ex vicepresidente americano Al Gore ha affermato che un accordo tra i paesi per eliminare gradualmente i combustibili fossili sarebbe uno degli eventi più significativi nella storia dell’umanità. È assurdo affidare la responsabilità della COP 28 a un amministratore delegato di una società di combustibili fossili. Da parte sua il presidente brasiliano Lula da Silva, in un incontro con le NGO, ha sentito il bisogno di scusarsi per l’adesione all’OPEC che ha deciso, dice, per convincere i paesi produttori di petrolio che devono prepararsi alla fine dei fossili.

Finanziamenti per il clima e l’adattamento. Quest’anno sono stati raccolti solo 155 MUS$ per il fondo per l’adattamento climatico, un enorme deficit rispetto all’obiettivo che il fondo si era prefissato per quest’anno di 300 MUS$. Ne consegue che i governi donatori devono almeno raddoppiare lo sforzo finanziario per l’adattamento. Dell’obiettivo globale unico per l’adattamento, necessariamente di natura finanziaria, che si vorrebbe porre in linea con l’obiettivo unico per la mitigazione, gli 1,5 °C di Parigi, sembra che si siano perse le tracce. Il segreto inconfessabile dei finanziamenti per il clima è che gran parte di essi stanno soppiantando i tradizionali aiuti allo sviluppo. Le richieste di maggiori finanziamenti per il clima sono importanti, ma se la pratica attuale può servire da guida, gran parte dei fondi verrà prelevata dai bilanci che finanziano priorità critiche per lo sviluppo, come salute, istruzione, diritti delle donne, costruzione di infrastrutture e aiuti umanitari. Secondo le stime di CARE International, il 52% dei finanziamenti per il clima forniti da 23 paesi ricchi dal 2011 al 2020 erano soldi che in precedenza erano destinati ai bilanci per lo sviluppo, compresi programmi incentrati su salute, istruzione e diritti delle donne. In altre parole, a causa delle politiche climatiche, i paesi poveri hanno assistito a tagli profondi nei programmi di aiuto fondamentali con benefici dimostrati a breve e lungo termine. I numeri sembrano ancora peggiori se si considera l’impegno di lunga data di spesa per lo sviluppo pari allo 0,7% del reddito nazionale lordo.

Il Primo Ministro delle Barbados Mia Mottley, ormai una stella del negoziato sul clima, ha dato il via alla giornata finanziaria della COP 28 con una conferenza stampa. Apre con una preoccupazione che è anche la nostra: i dati meteorologici degli estremi climatici stanno esplodendo e i nostri sistemi finanziari non riescono a fronteggiarli. Adattamento, mitigazione, perdita e danno. Queste sono state le tre aree su cui ci siamo concentrati negli ultimi anni. Questo è stato probabilmente il progresso più grande che abbiamo visto negli ultimi dodici mesi in ambito finanziario, ma non siamo al punto in cui dovremmo essere. Tra i fattori paralizzanti dell’azione climatica finanziaria spiccano i debiti sovrani.  Ne è stato oggetto ieri un side event della Colombia dove il dibattito si è concentrato sulle forti disuguaglianze nel sistema finanziario internazionale, che per i Paesi più indebitati, specialmente quelli in via di sviluppo, si traduce in tassi di interesse insostenibili che in certi casi rappresentano il 10% della spesa pubblica. È necessario che il debito pubblico finanzi la crescita economica decarbonizzata, l'unica che possa garantire uno sviluppo sostenibile in senso più ampio. Ma non è lo stesso per l’Italia? IL Ghana ha chiesto un Piano Marshall per la riduzione del debito e che le nazioni industrializzate mettano i loro sussidi ai combustibili fossili nei fondi per le perdite e i danni e per l'adattamento. Un piano Mattei va bene lo stesso?

Per il finanziamento della mitigazione si parla sempre meno del nuovo obiettivo per il GCF, il NSQG, che dovrebbe sostituire i 100 GUS$/yr, alquanto miseramente scaduti nel 2020 con la stessa cifra a scadenza. Arriva qualche flebile spiraglio sulla definizione di un obiettivo decennale e un chiaro desiderio di migliorare l'accesso ai finanziamenti per il clima per i Paesi in via di sviluppo (ECCO). Sono state avanzate diverse proposte per diverse scadenze temporali fino al 2050. La musica non cambia, noi vogliamo che Cina, BRICS e privati contribuiscano, i cosiddetti poveri vogliono solo sovvenzioni e non vogliono prestiti. Si cercano benefattori.

L'impegno maggiore di oggi a concedere maggiori prestiti a progetti verdi è ancora una volta arrivato dal settore bancario degli UAE. Fa seguito all’impegno di venerdì di 30 miliardi di dollari per progetti legati al clima da parte dello stato del Golfo. Gli UAE e diversi enti di beneficenza hanno offerto per la giornata della salute 777 milioni di dollari in finanziamenti per l'eradicazione delle malattie tropicali trascurate che dovrebbero peggiorare. L’offerta in finanza verde dell’UAE assomma a 270 miliardi di dollari entro il 2030. Diverse banche di sviluppo hanno compiuto nuove iniziative per aumentare i propri sforzi di finanziamento, anche accettando di sospendere il rimborso del debito in caso di catastrofe. Secondo la Reuters, dieci delle principali banche di sviluppo del mondo si sono impegnate a intensificare i loro sforzi sul clima al vertice COP 28, ma non hanno detto nulla sulla sospensione dei finanziamenti per i progetti sui combustibili fossili. Le principali banche multilaterali di sviluppo del mondo lanceranno una task force globale alla COP 28 nei prossimi giorni per aumentare il numero e l'entità degli scambi debito con natura che i paesi possono fare, in cui il debito di un paese in via di sviluppo viene tagliato in cambio della protezione degli ecosistemi vitali. L’interesse è crescente dopo una serie di esempi di successo in luoghi come il Belize e le Isole Galapagos.

A conclusione della giornata arriva la notizia che quasi 1500 scienziati, tra cui gli autori dei rapporti del IPCC, hanno firmato una lettera aperta che invita il pubblico a intraprendere un’azione collettiva per evitare il collasso climatico.

TORNA SU

3 dicembre 2023. è il giorno dedicato a salute  e pace, resilienza e benessere

I leader se ne sono andati con i loro jet e la COP 28 prende il passo incerto ed estenuante che le è proprio. Da ora le cose accadono nelle stanze del negoziato, dove per le agenzie e la stampa è difficile entrare e dove soprattutto è difficile comprendere e riportare quanto sta, o soprattutto non sta, accadendo. Ufficialmente da ora in poi le giornate sono tematiche. Quella di oggi è “Health, relief, recovery and peace”. Soprattutto sull’ultimo punto, la pace, non si capisce bene cosa si possa fare alla COP 28, specialmente in un contesto di agibilità ridotta per le manifestazioni. Riferisce il Guardian che centinaia di persone, vestite di bianco, si sono riunite per chiedere un cessate il fuoco in occasione di un evento di solidarietà palestinese. Le regole dell'UNFCCC vietano le bandiere o qualsiasi menzione di paesi. L'evento è iniziato con la lettura dei nomi di alcuni degli oltre 15.000 palestinesi uccisi da Israele a partire dal 7 ottobre, da due giovani organizzatori, che piangevano mentre invocavano i nomi di neonati, bambini e anziani. “Siamo venuti qui come movimento per condannare l’occupazione, l’apartheid, il silenzio del mondo”, ha detto l’organizzatrice, una volontaria colombiana per la giustizia climatica.

La COP 28 ospita la prima Giornata della Salute in assoluto alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, in collaborazione con il WMO. Nel primo giorno dedicato alla salute in un vertice sul clima, il WHO è impegnato in una missione per far capire ai politici che la crisi climatica è una crisi sanitaria. Nessuno lascerà questa COP, dichiarano, dicendo che non sapevano che la salute fosse compromessa. Non si tratta solo di clima, orsi polari e ghiacciai ma dei nostri polmoni. I combustibili fossili uccidono milioni di persone ogni anno solo a causa dell’inquinamento atmosferico che provocano. Dovremmo creare per ogni singolo sindaco del mondo, e ogni singolo primo ministro, un protocollo di controllo sanitario in cui li rendiamo responsabili di tutte le decisioni che prendono in termini di salute e lo stesso vale per i negoziatori della COP. GCF, UNDP e WHO uniscono le forze per aumentare il sostegno alla salute per i paesi in via di sviluppo. Con una sovvenzione di 1,5 MUS$ del GCF uno identico dall’UNDP da parte dell’UNDP e del WHO, spiccioli, questo programma istituirà lo strumento di co-investimento per il clima e la salute. Inoltre, GCF e Global Fund, i due maggiori fondi multilaterali rispettivamente per il clima e la salute, uniranno le forze per affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. Per assurdo a Dubai oggi, come nei giorni passati, c’è una coltre di nebbia e smog sulla città con il particolato fine PM2,5 ad un livello di 165 μg/m3, al di sopra di ogni standard. Sono cinque temi chiave della giornata:

-      Mettere in luce una base di prove e chiari nessi tra cambiamento climatico e salute umana.

-      Promuovere argomenti sanitari a favore dell’azione per il clima” e i benefici collaterali della mitigazione per la salute.

-      Evidenziare esigenze, barriere e migliori pratiche per rafforzare la resilienza climatica dei sistemi sanitari.

-      Identificare e ridimensionare le misure di adattamento per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute umana, anche attraverso l’approccio One Health.

-      Agire sul nesso tra salute e benessere, ripresa e pace.

A proposito di salute e pace l’Observer di questa mattina pubblica una terribile vignetta che dice tutto.

Alla vigilia della giornata della salute, un Rapporto XDI ha rivelato che, a meno che i combustibili fossili non vengano gradualmente eliminati, un ospedale su 12 in tutto il mondo è a rischio di chiusura totale o parziale perché non assicurabile ai livelli attuali di rischio climatico. Il cambiamento climatico sta avendo un impatto crescente sulla salute delle persone in tutto il mondo. Cosa succede quando il maltempo provoca anche la chiusura degli ospedali? Il Rapporto mostra che senza una rapida eliminazione dei combustibili fossili, i rischi per la salute globale saranno ulteriormente esacerbati, poiché migliaia di ospedali non saranno più in grado di fornire servizi durante le crisi. Un promemoria da parte del Brasile (il Globo) segnala 200.000 casi di malattie diarroiche durante la siccità in Amazzonia perché i bassi livelli dei fiumi portano ad una minore qualità dell’acqua e al degrado della foresta Amazzonica di cui i popoli indigeni sono le vittime.

Rispetto alle crescenti crisi per eventi climatici estremi uno dei modi più importanti con cui i paesi vulnerabili possono affrontare i disastri naturali è l’utilizzo di sistemi di allerta precoce che forniscano un preavviso di inondazioni, siccità, tempeste, ondate di caldo e altre minacce. 101 paesi dispongono ora di una sorta di sistema di allarme rapido, sei in più rispetto allo scorso anno e il doppio rispetto al 2015, secondo un Rapporto dell’ONU presentato oggi alla COP 28. In occasione della presentazione del rapporto, i paesi si sono impegnati a fornire finanziamenti aggiuntivi per aiutare a espandere i sistemi di allarme rapido, tra cui 8 milioni di euro dalla Francia, 6 milioni di euro dalla Danimarca e 5 milioni di euro dalla Svezia, tutti nel quadro del sostegno finanziario all’adattamento, argomento che fino a questo momento, è la Cenerentola della COP 28.

Global stocktaking. Non ci siono notizie incoraggianti da questa sezione cruciale del negoziato. I leader ne hanno parlato poco o niente nei primi due giorni ed ora la COP si trova a fronteggiare le ben note ed inconciliabili contraddizioni. Nuovi dati, confermati da inchieste di stampa, stanno dimostrando che i paesi e le aziende non riescono a comunicare accuratamente le proprie emissioni, nonostante gli impegni presi con gli NDC e dai privati. La produzione di elettricità in Cina e India e la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti sono responsabili aumenti delle emissioni globali di gas serra dal 2015, quando è stato firmato l’accordo sul clima di Parigi. Anche le emissioni di metano sono aumentate nonostante più di 100 paesi abbiano sottoscritto l’impegno a ridurre quel gas. Tra i paesi ricchi spicca il caso dell’Australia, grande consumatore del proprio carbone ed esportatore netto. L’Australia ha sottoscritto l’impegno di triplicare la capacità energetica rinnovabile entro il 2050, ma il suo ministro del clima ha rifiutato di dire se l’Australia spingerà affinché nel documento finale della COP 28 venga inclusa una clausola sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili. L’Australia è stata uno dei governi più recalcitranti nei colloqui sul clima, bloccando i progressi verso la riduzione dell’uso di combustibili fossili. Con il nuovo governo laburista le cose dovrebbero migliorare, ma il punto di partenza è disastroso. En passant l’Australia vorrebbe ospitare la COP 31.

Phase-out dei fossili. C’è poco da fare, le menzogne hanno le gambe corte. Al Jaber, presidente UAE della COP 28, ha dichiarato in una riunione (The Guardian) che non esiste alcuna scienza che dimostri che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sopra i livelli preindustriali. Si tratta di negazionismo puro. Secondo lui l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non consentirebbe lo sviluppo sostenibile a meno che non si voglia riportare il mondo all’età caverne, il più antico dei luoghi comuni dell’industria dei combustibili fossili (video del convegn o intercettato dal Guardian). Tanto è bastato perché da autorevoli soggetti, non solo del mondo della ricerca scientifica, sia arrivata una richiesta di dimissioni di al Jaber. Un gran numero di compagnie oil&gas ha sottoscritto un documento per la decarbonizzazione, l’ENI tra queste che però, come abbiamo detto, non fa cenno della produzione e del consumo del loro prodotto fossile, ma solo dei processi di estrazione e distribuzione. L’impegno è volontario e non ci sono né obiettivi nè tempi. In tal modo l’iniziativa è ininfluente per il GST. Di positivo c’è che la Norvegia annuncia che non finanzierà più progetti fossili. Alla luce dei commenti di al Jaber, secondo il Lancet countdown,  la giornata della salute sembra una completa ipocrisia. È un enorme tradimento invitare la comunità sanitaria al tavolo ma ignorare tutti gli avvertimenti e la scienza che sottolineano quanto disastrosi siano gli impatti dei combustibili fossili sulla nostra salute e sul nostro futuro. Un risultato che non affronti la progressiva eliminazione dei combustibili fossili sarebbe un risultato fallimentare. Una docente della Università di Melbourne, ha dichiarato che non ci si può aspettare che le foreste e la natura rimuovano il carbonio e risolvano la crisi climatica e poi suggerire che i combustibili fossili non debbano essere gradualmente eliminati. L’esistenza futura delle foreste dipende dalla nostra capacità di porre fine alle continue emissioni. Senza questo passo, non avremo foreste a cui rivolgerci. Al proposito uno studio di oggi mappa le minacce dei combustibili fossili agli hotspot della biodiversità, nominalmente classificati come aree protette. A livello globale, almeno 918 aree protette subiscono progetti di estrazione di combustibili fossili in corso o pianificati all’interno dei loro confini, con un totale di 2.337 progetti di estrazione di petrolio, gas e carbone attivi o proposti all’interno di aree legalmente protette. Secondo le proiezioni del settore, almeno 50,8 Gt di potenziali emissioni di CO2 derivanti dalle riserve di petrolio, gas e carbone potrebbero essere estratte da progetti all’interno di aree protette nel corso della loro vita. Si tratta di più di tre volte le emissioni annuali di Stati Uniti e Cina messe insieme. Nei tre più grandi bacini forestali pantropicali, 300.000 km2, il 14% della superficie delle aree protette, sono sopra giacimenti di petrolio e gas.

In questo scenario, raggiungere un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili è sempre più difficile, C’è da fare i conti su ciò che i paesi in via di sviluppo considerano la doppiezza e l’ipocrisia dei paesi sviluppati, ma non solo, visto che UAE è un PVS recentemente entrato nei BRICS. Oggettivamente i paesi sviluppati vengono qui a fare la morale a tutti mentre allo stesso tempo continuano ad espandere la produzione fossile. Per il Sud del mondo non può esserci accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili, è opinione prevalente, senza chiarimenti sullo sviluppo sostenibile, sulla diversificazione economica e sul dominio storico sul carbon budget da parte dell’Occidente. Gran parte dei paesi in via di sviluppo non hanno le risorse finanziarie, la tecnologia o la capacità per passare dai combustibili fossili a un sistema di energia rinnovabile, compresi lo stoccaggio, la trasmissione, e la trasformazione della rete, quando e se ne esiste una. Per di più i finanziamenti per il clima promessi a Copenaghen (al GCF) non arrivano oltre un decimo degli impegni presi. Al meeting di ieri del gruppo G77+Cina che rappresenta 135 paesi, il presidente cubano ha denunciato con queste stesse argomentazioni i doppi standard dell’Occidente sui combustibili fossili: spingono per il phase-out globale dei fossili e aumentano la loro produzione mangiandosi il carbon budget. Tuttavia non tutto fila liscio tra i PVS, i piccoli stati insulari vogliono il phase-out mentre gli stati arabi no. Si fa il caso dell’Oman che fa l’80% del PIL con il petrolio, dichiara che tutti i nuovi progetti energetici saranno rinnovabili per ridurre le emissioni del 21% entro il 2025 rispetto al 2022, ma il green che penano riguarda solo la produzione mentre i consumatori dovranno pensare loro a cavarsela con la CCS. Il ministro dell’ambiente dell’Oman dice candidamente che finché ci sarà una domanda di combustibili fossili, le nazioni arabe continueranno a produrli.

Finanziamento e mercato del carbonio. Man mano si rendono pubblici alcuni dati aggiuntivi a quelli che abbiamo resi noti i giorni scorsi. Sulle miserevoli condizioni del GCF, ad un decimo dei 100 GUS$/yr promesso, possiamo registrare che l’Italia farà la sua parte, con 300 milioni di euro (Meloni) e che la vicepresidente americana Kamala Harris ha promesso un contributo di 3 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti, sempre che il Congresso lo consenta. Scomparso il discorso dei fondi e dell’obiettivo globale unico per l’adattamento. La Svizzera (ECCO) ha promesso 17 milioni di euro. C’è il rischio che molti dei paesi donatori equivochino sugli gli impegni per perdite e danni figurandosi che siano fondi per l’adattamento. Domani si terrà l’Adaptation Fund High-Level Contributor Dialogue. L’obiettivo 2023 è di 300 GUS$. L’Italia, non ha soldi per il proprio PNACC e dovrà ammetterlo nel GST, come potrà contribuire al fondo? Secondo la McKinsey&Co la decarbonizzazione dell’economia globale necessaria per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 richiede 9,2 trilioni di dollari di spesa media annua in beni fisici. La decarbonizzazione e la crescita delle imprese e delle tecnologie green richiedono un cambiamento senza precedenti nel modo in cui il mondo alloca i capitali. Non si può fare senza una mobilitazione congiunta dei settori pubblico e privato.

Il Fondo per le perdite e i danni ha raggiunto la cifra di 655,9 milioni di dollari. Mancano però regole, obiettivi e target per passare dalla elargizione occasionale ad un finanziamento strutturale. Una iniziativa patrocinata dalla Francia propone di fare ricorso alla tassazione sul carbonio. A tal proposito sono apparsi nuovi testi negoziali sulle regole del mercato del carbonio dell’accordo di Parigi. Secondo lo IETA, quasi l’80% dei paesi che fanno affidamento sui mercati del carbonio e sull’offsetting per rispettare gli obblighi di Parigi giocheranno un ruolo importante nel garantire il successo complessivo dell’accordo. Una volta operativo il mercato del carbonio, i grandi inquinatori come il Regno Unito e l’Arabia Saudita potranno acquistare crediti di carbonio da stati con importanti pozzi di carbonio come Brasile e Indonesia per raggiungere i propri obiettivi nazionali. Le imprese stanno già acquistando i diritti di carbonio anche un’azienda UAE (The Guardian) che firma accordi per aree forestali più grandi del Regno Unito. Alcuni osservatori temono che regole deboli su ciò che conta come credito di carbonio potrebbero significare che i paesi finiscano per scambiare aria calda per soddisfare i propri NDC mentre il pianeta continua a riscaldarsi. Altri temono che se le regole saranno troppo restrittive, i finanziamenti per il clima non arriveranno. Una questione chiave è quali paesi sono autorizzati a commerciare. Se un paese decide di non estrarre petrolio, dovrebbe ottenere crediti di carbonio? Se uno stato ripristina vaste aree di foresta o elettrifica la rete di trasporti di un altro paese, come dovrebbe essere conteggiato? L’elenco dei potenziali problemi è lungo e i negoziatori stanno facendo fatica a trovare una risposta.

TORNA SU

 

2 dicembre 2023. è il giorno di Giorgia Meloni che porta 100 milioni di euro al fondo Loss and damage, come la Germania e più della Francia

Per la prima volta ad una COP l'UNFCCC ha pubblicato l'elenco completo dei partecipanti in un foglio di calcolo, rendendoli molto più facili da analizzare. 84.101 persone sono registrate per partecipare, 3.074 delle quali partecipano virtualmente. Le cifre sono provvisorie ma è quasi certo che questa sarà la più grande COP di sempre in termini di numero di partecipanti. Per fare un confronto, la COP 27 l’anno scorso a Sharm ha ospitato poco meno di 50.000 delegati, mentre la COP 1 a Berlino nel 1995 ne ha ospitati appena 3.969.

Ombre della guerra a Gaza sulla COP 28. Diversi leader hanno utilizzato i loro discorsi per attirare l'attenzione sul conflitto, e dietro le quinte i funzionari stanno incontrando le loro controparti su Gaza. Il presidente israeliano Herzog ha trascorso gran parte della mattinata in riunioni raccontando ai colleghi leader come Hamas viola palesemente gli accordi di cessate il fuoco. Alla fine ha rinunciato al suo intervento in Assemblea generale. Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman era assente, nonostante fosse indicato come uno dei primi oratori. E anche Mahmoud Abbas, il leader dell’Autorità Palestinese, è scomparso dalla lista degli oratori finali dopo che inizialmente era stato programmato che parlasse poco dopo Herzog. La delegazione iraniana ha annunciato che se ne sarebbe andata, secondo il ministro dell’Energia a causa della presenza politica, parziale e irrilevante del falso regime sionista.

Nucleare in: Ventidue paesi, ma non Cina e Russia, hanno lanciato un appello per triplicare l’energia nucleare entro il 2050, lo stesso che si chiede per le rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi delle zero emissioni nette. Le premesse scientifiche di tale opzione non sono state chiarite anche se Kerry dice che la scienza e la realtà dei fatti e delle prove ci dicono che non è possibile arrivare allo zero netto nel 2050 senza il nucleare. Queste sono solo realtà scientifiche. Nessuna politica e nessuna ideologia sono coinvolte in questa iniziativa. Dalla platea un inviato giapponese dice: “Non c’è spazio per una pericolosa energia nucleare per accelerare la decarbonizzazione necessaria per raggiungere l’obiettivo climatico di Parigi… non è altro che una pericolosa distrazione. Il tentativo di un rinascimento nucleare spinto delle industrie nucleari a partire dagli anni 2000 non ha mai avuto successo: è semplicemente troppo costoso, troppo rischioso, troppo antidemocratico e richiede troppo tempo. Abbiamo già soluzioni più economiche, più sicure, democratiche e più rapide alla crisi climatica, e queste sono le energie rinnovabili e l’efficienza energetica”. I firmatari della dichiarazione sono stati: Bulgaria, Canada, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Francia, Ghana, Giappone, Moldavia, Mongolia, Marocco, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria, Regno Unito e Stati Uniti. Non c’è la firma dell’Italia. In una intervista on the road la Presidente italiana, in aperto dissenso con i bollori salviniani, ha prudentemente detto che le sembra difficile che l'Italia possa ripartire da zero e che comnunque "staremo a vedere".

Proseguono in assemblea gli interventi dei leader. È il giorno di Giorgia Meloni, che ieri, nel corso di un convegno sull’alimentazione, aveva promesso un generoso contributo  di 100 milioni di euro per il fondo loss and damage esplicitando l’intenzione che questi fondi, come i 3 milioni promessi al GCF, siano impegnati al 70% per l’Africa, nella linea del suo Piano Mattei. Al contempo ha trovato il modo di promuovere a tutto campo il food made in Italy, la dieta mediterranea e di rivendicare il fresco divieto di commercializzazione in Italia della carne “coltivata”, come la chiama lei. Sempre nella giornata di ieri, Giorgia Meloni è intervenuta anche nel panel di alto livello del Global Stocktake sull’adattamento dove ha detto che lavorerà con determinazione per raddoppiare la finanza per l’adattamento entro il 2025 come da impegno preso alla COP 26 di Glasgow. Ha rilanciato la necessità di una riforma delle Banche multilaterali di sviluppo che proporrà anche al G7.  Questa mattina interviene in Assemblea generale. Ne fa così il resoconto la Repubblica. La mia idea è che se vogliamo essere efficaci, se vogliamo una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale, ciò che dobbiamo perseguire è una transizione ecologica, e non ideologica. L'Italia sta facendo la sua parte nel processo di decarbonizzazione in modo pragmatico con un approccio tecnologicamente neutro, libero da inutili radicalismi sull’ambiente. Dice che l'Italia è anche impegnata a garantire, attraverso il programma Ue Fit for 55, un approccio multisettoriale che rafforzi i mercati del lavoro e mitighi l'impatto sui nostri cittadini. E questo è un punto essenziale, perché se pensiamo che la transizione verde possa comportare costi insostenibili, soprattutto per i più vulnerabili, la condanniamo al fallimento. Meloni ha definito il vertice in corso un momento chiave negli sforzi per contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5 °C. Siamo arrivati al primo Global stocktake e ci sono ragioni per essere ottimisti. Ma l'obiettivo rimane ancora lontano. La COP 28 deve essere un punto di svolta. Siamo chiamati a dare una direzione chiara e ad attuare azioni ragionevoli ma concrete, come triplicare la capacità mondiale di generazione di energia rinnovabile entro il 2030 e raddoppiare il tasso globale di miglioramento annuale dell'efficienza energetica. Con questo intervento e con gli impegni finanziari Giorgia Meloni schiera il paese nella fascia del rispetto leale degli obiettivi di Parigi, dell’Europa e della COP 28. Il suo intervento sembra però posizionare l’Italia tra i prudenti, gli scettici o i pragmatici, (lasceremmo ai lettori l’ascolto dell’intervento di oggi), ma non più tra i paesi ad alta ambizione, gruppo al quale avevamo aderito a Glasgow.

Papa Francesco sta male e ha dovuto farsi sostituire a Dubai dal cardinale Parolin che ha letto in Assemblea il suo intervento: “Sono con voi perché ora più che mai il futuro di tutti noi dipende dal presente che scegliamo. Sono con voi perché la distruzione dell’ambiente è un’offesa a Dio, un peccato non solo personale ma anche strutturale, che mette in grande pericolo tutti gli esseri umani, soprattutto quelli più vulnerabili tra noi, e rischia di scatenare un conflitto tra generazioni. Sono con voi perché il cambiamento climatico è una questione sociale globale e intimamente legata alla dignità della vita umana. Sono con voi per sollevare la domanda a cui dobbiamo rispondere ora: stiamo lavorando per una cultura della vita o per una cultura della morte? A tutti voi rivolgo questo accorato appello: scegliamo la vita. Scegliamo il futuro. Siamo attenti al grido della terra, ascoltiamo la supplica dei poveri, siamo sensibili alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini. Abbiamo una grave responsabilità: garantire che non venga loro negato il futuro.

Il primo ministro greco Mitsotakis dice che le prove della crisi climatica non sono mai state così chiare, e che i benefici della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio non sono mai stati così evidenti. Parla degli incendi e delle inondazioni che hanno devastato la Grecia negli ultimi anni e afferma che il paese ha tagliato l’uso del carbone dell’80%, facendo crescere l’economia più velocemente di altri paesi dell’eurozona. Secondo lui la decarbonizzazione del trasporto marittimo – di cui la Grecia è una potenza mondiale – deve essere realizzata in condizioni di parità. Il trasporto marittimo è uno dei settori più inquinanti al mondo ed è notoriamente resistente al cambiamento. Parla della protezione dei monumenti antichi dalla furia del cambiamento climatico e dice che bisogna imparare dai nostri antenati. Bonariamente sorvola sull’opportunità che UK restituisca i marmi del Partenone alla Grecia, che pure Re Carlo aveva sponsorizzato.

La Colombia, per dichiarazione del suo Presidente, aderisce al trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. È il decimo paese ad unirsi al gruppo (notizie dell’Italia?), ma solo il secondo membro produttore di combustibili fossili, dopo Timor Leste, che si è unito all’inizio di quest’anno. La Colombia ha importanti riserve di carbone, gas e petrolio. Dice che sebbene sia l’uso di combustibili fossili a causare emissioni, non vi è alcuna menzione diretta dei combustibili fossili nell’accordo di Parigi o negli accordi successivi. Ciò che è spaventoso è che i governi pianifichino di aumentare lo sfruttamento dei combustibili fossili. Abbiamo bisogno di un piano per eliminare gradualmente i combustibili fossili. Anche la Repubblica Ceca e il Kosovo, entrambi fortemente dipendenti dal carbone, hanno aderito oggi alla PPCA per il phase-out del carbone L’alleanza conta ora più di 50 nazioni come membri, inclusi gli Stati Uniti l’Italia che non ha niente da perdere, e 35 dei 43 paesi dell’OCSE, un club di paesi ricchi. Gli Stati Uniti hanno aderito oggi alla PPCA impegnandosi a chiudere tutte le loro centrali elettriche a carbone, in una mossa salutata alla COP 28 come una notizia enorme che mette pressione sul più grande consumatore di carbone del mondo, la Cina. Il carbone è il combustibile fossile più sporco, circa il 40% delle emissioni di combustibili fossili, e la sua eliminazione graduale è essenziale per combattere la crisi climatica. Gli Stati Uniti hanno la terza flotta mondiale di centrali elettriche a carbone. La scadenza fissata dagli Stati Uniti per l’abolizione del carbone sembra essere il 2035, cinque anni dopo la data del 2030 considerata compatibile con il mantenimento del riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C. La Cina, ha oltre la metà del carbone mondiale e quasi il 75% dei nuovi progetti di carbone a livello mondiale. Manca anche il Giappone che ha oltre 170 centrali a carbone e non esiste alcun piano o tabella di marcia per eliminarle gradualmente. Oggi è stata annunciata anche una nuova iniziativa diplomatica, guidata dalla Francia e denominata Coal Transition Accelerator. Si concentrerà sulla fine dei finanziamenti privati per il carbone, sul sostegno alle comunità che in precedenza facevano affidamento su quel combustibile e sull’accelerazione dello sviluppo dell’energia pulita in quelle regioni. La maggior parte dei progetti relativi al carbone sono nel Sud del mondo e nessuno di essi ha alcun senso dal punto di vista economico. Sono anche una pessima idea per lo sviluppo e per il clima. Quindi porre fine ai finanziamenti privati per questi soggetti è estremamente importante.

Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti che partecipa al posto di Joe Biden, ha dichiarato alla conferenza che il Paese sta investendo molto nell'adattamento, con un'attenzione particolare alle comunità emarginate. Harris ha annunciato un significativo impegno di 3 miliardi di dollari a favore del GCF, il Fondo green per il clima, ma non dice che questo stanziamento sarà soggetto all’approvazione del Congresso, che è diviso. Dice che c’è ancora molto lavoro da fare per limitare il cambiamento climatico. Questo è un momento cruciale. La nostra azione, o peggio, la nostra inazione oggi… avrà un impatto sulla vita di miliardi di persone per i decenni a venire. Quindi, per quanto abbiamo compreso… c’è ancora molto lavoro da fare, e i progressi futuri non avverranno senza contrasti. In tutto il mondo c’è chi cerca di rallentare o fermare il nostro progresso. Leader che negano la scienza del clima, ritardano l’azione sul clima e diffondono disinformazione. Grandi aziende che ripuliscono la loro inazione climatica e fanno pressioni per ottenere miliardi di dollari in sussidi ai combustibili fossili. È chiaro: dobbiamo fare di più. Va detto che gli Stati Uniti, che sono il paese più ricco del mondo e il più grande inquinatore, sono stati finora ampiamente criticati per la relativa modestia delle loro offerte di finanziamenti per il clima.

Il primo ministro delle Fiji, ha tenuto un discorso intenso parlando del gran numero di disastri naturali che hanno colpito l'isola-nazione negli ultimi anni. È chiaro che siamo a un punto di rottura non solo per il Pacifico, ma per l’umanità… abbiamo bisogno di una transizione giusta che garantisca il picco delle emissioni globali prima del 2025. Ha concluso con un appello: “Per favore, cooperate per la nostra sopravvivenza, per la nostra identità”.

Il Turkmenistan ha aderito oggi al Global Methane Pledge, un passo importante per il quarto maggiore emettitore di metano al mondo. L’impegno richiede una riduzione delle perdite del 30% entro il 2030. Il potente gas serra è responsabile di un terzo del riscaldamento globale che oggi determina la crisi climatica. Le fughe di metano del Paese sono considerate tra le più facili da risolvere riparando le infrastrutture del gas obsolete.

Il primo ministro di Tuvalu, ad un evento che chiede la creazione di un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili ha detto che ogni anno, i nostri paesi viaggiano per giorni per arrivare alla COP. Eppure, ogni anno, ci troviamo a dibattere sugli stessi temi e a combattere le stesse battaglie. La scienza è chiara: per mantenere in vita gli 1,5 °C, dobbiamo intraprendere azioni urgenti contro i combustibili fossili. Il Pacifico è in prima linea. Questa COP deve produrre una decisione sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili contro ciò che molti pensano che sia un compito impossibile: o è troppo ambizioso o è troppo tardi. Non abbiamo più tempo di stare a guardare mentre le nostre isole affondano, mentre le nostre foreste bruciano e mentre la nostra gente soffre. Al momento, l’eliminazione dei combustibili fossili è in gran parte non gestita

Nella stessa occasione Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS ha paragonato i combustibili fossili al tabacco. Durante la mia visita a Tuvalu nel 2019, ho scoperto che loro si preoccupano della sopravvivenza della loro isola natale a causa delle emissioni prodotte da nazioni lontane. Questa realtà grava sulle loro spalle. Per affrontare il cambiamento climatico è necessario affrontare il ruolo dei combustibili fossili, così come non possiamo affrontare il cancro ai polmoni senza affrontare l’impatto del tabacco. Nel pieno sostegno a un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, l’OMS è al vostro fianco e continuerà a sostenerti. Gli obiettivi delineati nel trattato proposto sono chiari, basati sull’evidenza ed equi.

Mentre Sunak è tornato a casa col suo jet dopo aver trascorso solo otto ore a Dubai, il suo segretario UK all'Energia, annuncia che il Regno Unito impegnerà più di 85 milioni di sterline in finanziamenti per iniziative sul clima e firmerà nuovi accordi sull’energia pulita con partner internazionali, tra cui Brasile, Stati Uniti e paesi di tutta Europa. Il finanziamento comprende 35 milioni di sterline per proteggere la foresta amazzonica oltre agli 80 milioni di sterline annunciati da Sunak all’inizio di quest’anno. Il Regno Unito, ha dichiarato, è leader mondiale nel percorso verso l’obiettivo zero emissioni, quindi è fondamentale sostenere i nostri alleati internazionali. Collaboreremo con il Brasile alla COP 28 e attingeremo alle nostre forze combinate per sviluppare combustibili alternativi come l’idrogeno, far avanzare le tecnologie green e guidare l’azione globale per ridurre le emissioni.

Dal negoziato arriva l’impegno “cruciale” di 118 governi nel triplicare la capacità mondiale di energia rinnovabile e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro la fine del decennio. Le due azioni da sole possono garantire l’85% delle riduzioni di combustibili fossili necessarie entro il 2030 per evitare che il pianeta superi gli 1,5 °C di anomalia. Insieme, questi due obiettivi consentirebbero profonde riduzioni di combustibili fossili in tutta l’economia e garantirebbero che la domanda di petrolio, carbone e gas non solo raggiunga il picco in questo decennio, ma veda un calo significativo. Questa dichiarazione non sottintende un accordo globale, ma apre la strada all’opportunità storica di includerlo nel testo finale.

Per quanto riguarda il metano, gli Stati Uniti hanno annunciato un importante giro di vite sulle emissioni come parte di un nuovo sforzo per frenare un super inquinante che sta moltiplicando la crisi climatica. Le nuove regole sono il riferimento degli annunci globali per ridurre le emissioni di metano alla COP 28. Gli Stati Uniti stimano che ridurranno le emissioni di metano provenienti dalla loro vasta industria del petrolio e del gas dell’80% rispetto ai livelli che ci si aspetterebbero senza la regola per un totale di 58 milioni di tonnellate entro il 2038.

Nei corridoi il Financial Times ha intercettato gli umori dell’industria fossile. L'amministratore delegato della ExxonMobil, per la prima volta ad un COP, dice che il vertice si concentra troppo sulle energie rinnovabili senza dare priorità all’idrogeno, ai biocarburanti e alla cattura del carbonio. I colloqui pongono troppa enfasi sull’eliminazione dei combustibili fossili, petrolio e gas, e non sulla gestione delle emissioni ad essi associate, aggiungendo che la domanda di petrolio e gas non diminuirà. La CCS e l’idrogeno blu sono tecnologie favorite dall’industria del petrolio e del gas in quanto consentono di utilizzare i combustibili fossili e le infrastrutture ad essi associate per un periodo più lungo durante la transizione green. La transizione non può limitarsi solo all’energia eolica, solare e ai veicoli elettrici. La cattura del carbonio avrà un ruolo importante. Sappiamo come farlo e possiamo contribuire. Intanto però non investono il loro denaro e sperano che siano i governi a investire nella cattura e nello stoccaggio del carbonio per annullare le emissioni degli impianti di combustibili fossili. Tuttavia, l’efficacia e i costi della tecnologia sono dubbi e gli scienziati sono scettici sul suo ruolo al di fuori delle industrie pesanti che hanno poche alternative. La presenza di dirigenti dell’industria petrolifera e del gas alla conferenza è stata criticata da molti che sostengono che lo scopo della loro presenza è ritardare la transizione, fare greenwashing e non assumere impegni. A proposito della Exxon Il Guardian quest’anno ha rivelato che la compagnia aveva previsto il riscaldamento globale in modo corretto e abile solo per poi passare decenni a criticare pubblicamente tale scienza al fine di proteggere il suo core business. Cinquanta compagnie petrolifere e del gas hanno firmato una carta di decarbonizzazione che gli analisti hanno criticato per aver ignorato le emissioni emesse quando i clienti bruciano i combustibili.

TORNA SU

 

1 dicembre 2023. Si apre ufficialmente la COP 28 con lo speech del Segretario Generale Antonio Guterres e con una prolusione appassionata di Re Carlo III di Inghilterra

Si fanno la mattina presto i conti sul fondo perdite e danni che assommano ad un totale provvisorio di 489 MUS$, un importante decimo della stima dei danni. Che si contano ogni anno. L’UE ne ha stanziati 245, di cui 100 dalla Germania. 75 milioni di dollari vengono dal Regno Unito, 24,5 milioni dagli Stati Uniti e 10 dal Giappone. All’inizio della seconda giornata, il presidente del gruppo G77 più Cina – il blocco di 135 paesi in via di sviluppo che ha svolto un ruolo chiave nella storica risoluzione di ieri sull’operatività del fondo per perdite e danni – ha affermato che si tratta di una pietra miliare in termini di creazione di un’atmosfera positiva per il processo molto, molto complesso sul GST (global stocktake) che abbiamo davanti. Ma il fondo deve essere riempito il prima possibile. E ci aspettiamo molto, molto di più a causa dell’impatto delle perdite e dei danni nei paesi in via di sviluppo, ha affermato l’ambasciatore di Cuba.

Sono probabili ulteriori impegni man mano che i leader mondiali saliranno sul palco oggi e domani, ma alcuni paesi hanno remore formali nel farsi carico di nuovi impegni e nel muoversi verso le sovvenzioni piuttosto che i prestiti. In giro c’è molto riciclaggio ma il futuro dipende dal successo delle misure di mitigazione e adattamento, che dipendono tutte dal GST e dai negoziati sui finanziamenti per il clima in corso. La mitigazione, l’adattamento, la tecnologia di supporto e lo sviluppo delle capacità sono tutti interconnessi tra loro – così come le perdite e i danni. Nel contesto del GST, deve esserci il riconoscimento che i mezzi di attuazione sono il singolo fattore trasversale più importante che può consentire ai paesi poveri di passare in modo giusto ad un altro modello di sviluppo.

COP 28 viene formalmente aperta dal Segretario generale  Guterres che richiama i contenuti dei suoi interventi più recenti, rimasti in gran parte inascoltati anche a causa della perdita di incidenza delle Nazioni Unite sulla pace nel mondo e delle critiche a lui rivolte per non aver attaccato i comportamenti dei terroristi di Hamas nei documenti votati in Assemblea generale. Il disssenso con al Jaber è esplicito. Non possiamo salvare un pianeta in fiamme con una manichetta antincendio di combustibili fossili, ha detto Guterres oggi. Una risposta a quanto affermato ieri dal presidente della conferenza, che esortava a lavorare con i protagonisti del mondo delle fossili. Il limite di 1,5 gradi è possibile solo se alla fine smettiamo di bruciare tutti i combustibili fossili. Non ridurre. E ancora: Esorto i governi ad aiutare l’industria a fare la scelta giusta, regolando, legiferando, mettendo un prezzo equo sul carbonio, ponendo fine ai sussidi ai combustibili fossili e adottando una tassa sugli extra- profitti.

Il premier inglese Sunak, leader della nazione all’avanguardia in fatto di lotta ai cambiamenti climatici, gli aveva vietato di andare a Dubai. La pubblica opinione, grazie a Dio ancora viva, gli ha imposto una precipitosa marcia indietro e così Re Carlo III è stato il primo leader mondiale a prendere la parola a COP 28 dicendo di essersi commosso quando gli era stato chiesto di parlare all'apertura della COP 21 di Parigi, e che oggi prega con tutto il cuore che la COP 28 sia un altro punto di svolta fondamentale verso un'autentica azione di trasformazione in un momento quando già, come gli scienziati avvertono da tempo, stiamo avvicinando punti di svolta (tipping point) allarmanti del sistema climatico. Siamo lontani, dice, dalla strada giusta negli sforzi per affrontare la crisi climatica. A meno che non ripariamo e ripristini rapidamente l’economia della natura, basata sull’armonia e sull’equilibrio, che è il nostro principale sostentamento, la nostra stessa economia e la nostra sopravvivenza saranno messe in pericolo. Il mondo sta affrontando scelte gravi senza sapere quanto siamo pronti a compiere queste scelte per le generazioni future. Gli esseri umani stavano portando avanti un vasto e spaventoso esperimento, cambiando tutta in una volta ogni condizione ecologica, a un ritmo che supera di gran lunga la capacità della natura di farvi fronte.  Dice che i delegati dovrebbero ricordare ciò che la visione del mondo degli indigeni ci ha insegnato, cioè che siamo tutti interdipendenti, non solo come esseri umani, ma con tutti gli esseri viventi e tutto ciò che sostiene la vita… La terra non ci appartiene, noi apparteniamo alla Terra. Chi ha voluto rappresentare Carlo con i suoi terribili avvertimenti? Non certo il governo  di Sunak che ha cancellato i piani per la decarbonizzazione, espandendo il petrolio e il gas del Mare del Nord, e ora sta manipolando le cifre sulla finanza climatica. Sunak, come è tradizione dei paesi ricchi dicono cose giuste mentre fanno cose sbagliate.  Non va persa l’ironia, commentano gli attivisti inglesi, del fatto che il re è affiancato al vertice da due uomini impegnati nelle politiche di distruzione del clima: un primo ministro che ha dichiarato apertamente di voler massimizzare il petrolio e il gas del Mare del Nord e un ministro degli Esteri, Cameron,  che ha rapidamente abbandonato la sua stessa promessa di guidare il governo più green mai registrato, appena tre anni dopo essere stato eletto nel 2010.

Di seguito il Presidente brasiliano Lula da Silva apre con un tema a noi caro: non è possibile affrontare il cambiamento climatico senza combattere le disuguaglianze. Il suo Paese sta dando l’esempio adeguando i nostri obiettivi climatici, che ora sono più ambiziosi di quelli di molti paesi sviluppati. Abbiamo ridotto drasticamente la deforestazione in Amazzonia e la porteremo a zero entro il 2030, afferma. Chiede ai paesi sviluppati di investire di più per ridurre le emissioni di gas serra e per sostenere le nazioni in via di sviluppo che soffrono a causa degli impatti climatici. Il pianeta è stufo degli accordi sul clima non rispettati. I governi non possono sottrarsi alle proprie responsabilità. Nessun paese risolverà i propri problemi da solo. Siamo tutti obbligati ad agire insieme al di là dei nostri confini. I trilioni di dollari spesi in armi dovrebbero essere usati contro la fame, la disuguaglianza e il cambiamento climatico. Il mondo ha legittimato inaccettabili disparità di reddito, genere e razza. Parla delle sofferenze climatiche dell’Amazzonia, che sta vivendo una delle siccità più tragiche della sua storia mentre i cicloni nel sud del Brasile hanno lasciato una scia di distruzione e morte. Le chiacchiere e i fatti: ieri il suo ministro dell’energia aveva annunciato che il Brasile si integrerà più strettamente al più grande sindacato petrolifero del mondo, l’Opec proprio mentre Lula dice che è necessario lavorare per un’economia meno dipendente dai combustibili fossili. Lula dovrebbe poi spiegare il nuovo ruolo dei BRICS nella politica climaticae come si concilia la sua democrazia con Iran, UAE e Federazione Russa.

I discorsi dei leader proseguono con appelli alla Palestina e alle isole del Pacifico. Il Re di Giordania collega l’emergenza climatica alla guerra in corso a Gaza. Mentre parliamo, dice, il popolo palestinese si trova ad affrontare una minaccia immediata alla propria vita e al proprio benessere. Decine di migliaia di persone sono rimaste ferite o uccise in una regione già in prima linea nella lotta al cambiamento climatico. Il blocco delle forniture d’acqua rende più gravi le minacce ambientali legate alla scarsità d’acqua e all’insicurezza alimentare. Le persone vivono senza acqua pulita e con un minimo di scorte di cibo e sottolinea che il cambiamento climatico esacerba la natura distruttiva della guerra. Non manca di sottolineare che la Giordania non contribuisce in modo significativo al collasso climatico ma ne è fortemente colpita, con la scarsità d’acqua che rappresenta una vera minaccia. Il Re di Tonga esprime l’angoscia che la COPO 28 potrebbe fallire e che i progressi sull’accordo di Parigi sono troppo lenti. Ogni anno sentiamo le suppliche angosciate di coloro che rappresentano i piccoli stati insulari che stanno letteralmente affondando sott’acqua: ogni anno oltre 50.000 abitanti delle isole del Pacifico vengono sfollati a causa della perdita delle loro case a causa del collasso climatico. L’oceano, dice, è la nostra linfa vitale, ci nutre, è il nostro mezzo di trasporto ed è una parte profonda della nostra cultura. Il Presidente dello Zambia, Hichilema, ha denunciato che il suo paese, privo di competenze sullo sviluppo di progetti sul carbonio e del sostegno delle organizzazioni internazionali ha visto quest’anno, i diritti su vasti tratti di foresta africana venduti in una serie di maxi-accordi di compensazione del carbonio (offsetting) che coprono un’area di territorio più grande del Regno Unito a una società con sede negli UAE, la Blue Carbon. Non dovrebbe essere, dice, una corsa all’accaparramento delle risorse dell’Africa. Quando qualcuno viene nel nostro Paese e porta un’idea sul carbon offsetting, diciamo che non capiamo come risolvere questo problema. Ecco perché abbiamo chiesto alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale, all’OMC, alla Banca Africana di Sviluppo di metterci in condizione di gestire questa storia. Reagisce così ad una affermazione apodittica della Ursula von der Leyen secondo cui i mercati del carbonio e la tassazione sono importanti per la decarbonizzazione globale, compresi i mercati volontari del carbonio, dimenticando che sono stati denunciati per greenwashing a parte della ricerca scientifica e delle inchieste giornalistiche. Lo rassicura il nuovo presidente della Banca Mondiale, Ajay Banga, promettendo che presenterà presto progetti forestali di alta qualità in tre paesi che, spera, aiuteranno a placare le preoccupazioni sulla mancanza di integrità ambientale nei progetti di offsetting. Il Presidente del Kenya racconta che la sua regione sta già affrontando gli effetti terribili del collasso climatico. Nell’Africa orientale, inondazioni catastrofiche hanno fatto seguito alla siccità più grave che la regione abbia mai visto in oltre 40 anni e e gli studi indicano che le siccità sono ora più di 100 volte più probabili in alcune parti dell’Africa rispetto all’era preindustriale. Le condizioni meteorologiche estreme di quest’anno hanno sequestrato vite umane e distrutto comunità, oltre a distruggere infrastrutture e catene di approvvigionamento. Il mondo, dice, deve investire nell’energia verde e in altre infrastrutture in Africa. La tendenza a ignorare le esigenze di sviluppo e industriali dell’Africa non è più sostenibile. Trasformare l’Africa in una realtà green non è solo essenziale per il continente, ma è anche vitale per l’industrializzazione e la decarbonizzazione globale. Il Presidente del Paraguay, ha dichiarato che in Paraguay, tutta l’energia è pulita e rinnovabile. La diga di Itaipu, sul fiume Paraná, è una delle più grandi centrali idroelettriche del mondo e genera circa il 95% dell'elettricità del Paraguay, tutta rinnovabile. Il 44% della loro superficie terrestre è costituito da foreste. Inopinatamente chiede alla Cina di consentire l’inclusione di Taiwan nel processo COP: il piccolo paese è attualmente escluso per volere del governo cinese. il Presidente del Kazakistan, si è impegnato ad aderire all’impegno globale sul metano. Dice che esiste uno straordinario potenziale per l’energia eolica e solare nel suo paese – un importante esportatore di petrolio – e sottolinea inoltre che il Kazakistan è pronto a diventare una delle principali fonti di minerali e di terre rare. Prevede di convocare un vertice regionale sul clima nel 2024 sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il Presidente della Serbia, dichiara che nel suo paese la temperatura è già aumentata di 1,8°C. I serbi hanno sperimentato per la prima volta quest'ottobre le notti tropicali con temperature superiori ai 20 °C, senza precedenti per la regione. Il Presidente dell'Iraq racconta che i suoi predecessori in Mesopotamia, 4.500 anni fa, stilarono il primo accordo per la condivisione delle risorse idriche e avverte che i fiumi dell'Iraq sono ormai minacciate dalla siccità legata al cambiamento climatico. La siccità nel sud dell’Iraq, le temperature a livelli record, la desertificazione e le tempeste di sabbia hanno portato a sfide economiche che hanno esasperato la povertà e la migrazione interna. Condanna l’aggressione a Gaza. Il Presidente delle Seychelles si è detto scoraggiato dal fatto che gli impegni finanziari sul cambiamento climatico siano stati traditi. I piccoli stati insulari in via di sviluppo sono in prima linea nella lotta al cambiamento climatico e hanno urgentemente bisogno di risorse per affrontare l’erosione costiera. Abbiamo fatto la storia rendendo operativo il fondo per perdite e danni il primo giorno di questo COP. È fondamentale che questo fondo sia equo e veramente utile. Le Seychelles sono un campione ambientale che protegge già il 32% del suo territorio marino, ma sono classificate come un paese ad alto reddito e ciò influisca sulla loro capacità di accedere ai finanziamenti.

Dai paesi sviluppati, per l’Europa, Ursula von der Leyen chiede al mondo di seguire l’UE con la tariffazione del carbonio. Compiacendosi dei risultati su perdite e danni, dice che a questa COP faremo un passo avanti decisivo per proteggere i cittadini più vulnerabili in tutto il mondo. Subiscono perdite e danni e noi saremo al loro fianco agendo tempestivamente. L’UE contribuirà al nuovo fondo per perdite e danni e finora ha stanziato più di 316 milioni di euro. Dice poi che le emissioni globali devono raggiungere il picco entro il 2025 e che dobbiamo eliminare gradualmente i combustibili fossili e ridurre le emissioni di metano. In termini di finanza privata, l’Europa ha bisogno di riformare il sistema finanziario internazionale e di un mercato strutturato del carbonio. Il ministro dell’ambiente canadese ha affermato che il fondo per perdite e danni e il completamento dell’impegno per il GCF, dovrebbero aiutare a ricostruire la fiducia tra il nord e il sud del mondo dopo anni di negoziati tesi. Stamattina il Canada ha stanziato 11,8 milioni di dollari per il nuovo fondo. Per 30 anni non abbiamo fatto alcun progresso riguardo a perdite e danni. Siamo passati dal nulla circa un anno fa a un fondo e a paesi che oggi promettono denaro. Non è un riconoscimento del fatto che siamo disposti ad assumerci la responsabilità delle conseguenze del cambiamento climatico. Ma in quanto grandi emettitori, abbiamo un ruolo da svolgere. Per ciò che riguarda il phase-out dei combustibili fossili, il Canada è aperto a diverse formulazioni nel testo finale e ha sottolineato che la produzione di combustibili fossili dovrebbe diminuire. Il mio Paese, dice, è felice di sostenere la riduzione dei combustibili fossili che sia coerente con l’obiettivo di neutralità carbonica del Canada entro il 2050. Non so quanto sia realistico dire che li elimineremo tutti, ma ciò che è importante è ridurre radicalmente la nostra dipendenza. E per quelli che stiamo utilizzando, dobbiamo catturare e sequestrare le emissioni. Non abbiamo scelta ma non basta, occorre ridurre la produzione. Il turco Erdoğan è tornato sulla guerra di Gaza e la crisi climatica. La Turchia ha sostenuto la pace durante tutte queste crisi e lavora per trovare soluzioni sulla base dell’equità. Affrontiamo la questione del cambiamento climatico dalla stessa prospettiva. La Turchia è la seconda in Europa e la nona nel mondo per l'energia idroelettrica. Ha detto che, nonostante il devastante terremoto di febbraio, stanno riuscendo a mantenere il passo con i loro obiettivi e stanno curando le ferite del disastro costruendo strutture “rispettose del clima e dell’ambiente. La presidente della Slovacchia, ha chiesto al vertice: “Quanto ancora vogliamo danneggiare le generazioni future?” Le emissioni del suo paese hanno già raggiunto il picco e sono inferiori del 55% rispetto al 1980. Prevediamo di utilizzare il 5% del PIL proveniente da fonti pubbliche per decarbonizzare il paese ed entro la fine di quest’anno smetteremo di usare il carbone per generare elettricità.

Sotto il tiro di stampa e commentatori il Primo ministro UK, Sunak, apre dicendo che la politica climatica è vicina al punto di rottura. Dice perfino di aver annacquato le politiche climatiche del Regno Unito, mettendo potenzialmente in imbarazzo il paese sulla scena mondiale. La politica climatica è vicina al punto di rottura, afferma, e aggiunge che i costi dell’inazione sono intollerabili, ma che abbiamo la possibilità di scegliere come agire. Afferma che lo zero netto può essere raggiunto solo in un modo che dia vantaggi al popolo britannico, aggiungendo di aver demolito i piani sulle pompe di calore e sull’efficienza energetica che sarebbero costati alle persone migliaia di sterline. Ha anche evidenziato il suo nuovo piano naturalistico, che è stato stroncato dalla critica. Nonostante ciò, ha detto agli altri paesi che la scienza crescente e le prove dei disastri legati al clima dimostrano che non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente, ed ha aggiunto che tutti possono fare di più. Ha invitato i principali emettitori (la Cina?) a ridurre le emissioni più rapidamente e ha affermato che, secondo lui,  il Regno Unito è il primo della classe. Contraddittorio è il minimo che si possa dire. Abbiamo fatto abbastanza, la sua filosofia, non è ammissibile se UK è e vuole restare il paese guida. Le critiche interne sono feroci, anche qui a Dubai.

Emmanuel Macron, presidente della Francia, è andato ben oltre il tempo a sua disposizione, fornendo un’analisi lunga ed esauriente dei numerosi cambiamenti che devono essere apportati alle strutture internazionali affinché l’azione sul cambiamento climatico possa essere ottimizzata. Il suo intervento si è concentrato sui percorsi di decarbonizzazione nel mondo e ha sottolineato la disfunzione dei sistemi di investimento che li gestiscono. Ha chiesto una completa inversione di marcia sulla questione del carbone, con i paesi del G7 che devono dare l’esempio e impegnarsi a porre fine al carbone. La Francia chiuderà tutti gli impianti entro il 2027, ha promesso e i paesi più ricchi dovranno aiutare i paesi in via di sviluppo a eliminare gradualmente il carbone.Ha affermato che il mondo deve anche smettere di sovvenzionare nuove centrali elettriche a carbone e deve cambiare le regole quando si tratta di finanziamenti privati: il settore privato non ha disincentivi e i nostri sistemi di investimento sono disfunzionali. Vuole che il WTO ridisegni le regole del commercio internazionale per consentire ai paesi di sovvenzionare le industrie green e imporre tariffe sul carbone. Il Presidente di Cipro, ha dichiarato al vertice che il suo paese sta sperimentando gli effetti del cambiamento climatico: incendi, inondazioni e ondate di caldo estreme che hanno distrutto gran parte delle foreste e hanno avuto un effetto devastante sui mezzi di sussistenza. L’iniziativa sul cambiamento climatico nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente sta lavorando a una risposta coordinata in tutta la regione. Uniamoci per costruire imprese e comunità resilienti e verdi del futuro, chiede. Pedro Sánchez, neo-presidente della Spagna, ha affermato che è necessario applicare il principio che chi inquina paga per le distruzioni che provoca. È stato piuttosto difficile per il primo ministro olandese, Mark Rutte, impegnarsi in qualcosa di molto significativo dal momento che si è già dimesso dalla carica in un paese piccolo ma ricco. Si è accontentato di un’esortazione all’azione, in particolare a nome dei giovani di tutto il mondo, e del riconoscimento che la decarbonizzazione nei Paesi Bassi è stata complicata. Il primo ministro del Giappone, Fumio Kishida, ha accolto con favore i piani del vertice per concludere il primo bilancio globale in assoluto, ma il mondo non è ancora sulla strada verso gli 1,5 °C. Ha delineato i piani finanziari ed energetici del Paese per la transizione, compreso l’obiettivo di rendere l’energia rinnovabile la sua principale fonte di energia: il Giappone è di fatto il terzo mercato mondiale per l’energia solare.

Il punto sulla siccità. Dalle stanze del negoziato viene l’allarme siccità. Secondo un Rapporto delle Nazioni Unite pubblicato qui oggi, la siccità aggravata dal riscaldamento globale è un’emergenza senza precedenti su scala planetaria, che porta a penuria di cibo e carestia. Mentre altri impatti climatici come le ondate di caldo, gli incendi e le inondazioni spesso occupano i titoli dei giornali, la siccità è per lo più un disastro silenzioso, afferma il rapporto, e gli enormi impatti della siccità indotta dall’uomo stanno appena iniziando a manifestarsi. Il rapporto proviene dalla Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione (UNCCD), che afferma che pochi rischi, se non nessuno, causano più vittime della siccità, provocano maggiori perdite economiche e colpiscono più settori della società. Questa devastazione silenziosa perpetua un ciclo di abbandono, lasciando le popolazioni colpite a sopportare il peso in isolamento. Con l’aumento della frequenza e della gravità degli eventi di siccità, con la diminuzione dei livelli dei bacini idrici e il calo dei raccolti, mentre continuiamo a perdere diversità biologica e le carestie si diffondono, è necessario un cambiamento drastico. Le siccità estreme, che non si sarebbero verificate senza il riscaldamento globale, hanno distrutto la vita di milioni di persone in Siria, Iraq e Iran dal 2020. La crisi climatica ha anche reso almeno 20 volte più probabile le siccità record nell’emisfero settentrionale nell’estate 2022. Diversi paesi già sperimentano la carestia indotta dal cambiamento climatico. La migrazione forzata aumenta a livello globale; i conflitti violenti per l’acqua sono in aumento; la base ecologica che consente tutta la vita sulla Terra si sta erodendo più rapidamente che in qualsiasi momento della storia umana conosciuta. Si prevede che 120 milioni di persone patiranno una siccità estrema anche se le temperature globali saranno limitate a 1,5 °C. Le attuali politiche sono sulla strada per raggiungere i 3 °C di riscaldamento, il che significa siccità estrema per 170 milioni di persone. In Cina, nel corso di questo secolo, il 15-20% della popolazione dovrà affrontare siccità da moderate a gravi con frequenza aumentata. 1,2 milioni di persone nel corridoio secco centroamericano hanno bisogno di aiuti alimentari. Dopo cinque anni di siccità, ondate di caldo e piogge imprevedibili la siccità nel bacino di La Plata in Brasile e Argentina nel 2022 è stata la peggiore degli ultimi 78 anni, riducendo la produzione agricola e colpendo i mercati globali. Il rapporto rileva che coloro che hanno fatto di meno per causare la crisi climatica sono i più esposti: l’85% delle persone colpite dalla siccità vive in paesi a basso o medio reddito. Il rapporto afferma che migliori tecniche agricole, come colture resistenti alla siccità, metodi di irrigazione efficienti e agricoltura senza lavorazione, possono ridurre l’impatto della siccità sui raccolti e sui redditi degli agricoltori. L’Alleanza internazionale per la resilienza alla siccità, lanciata alla Cop 27 dai leader di Spagna e Senegal, sta creando novità politiche e mobilitando denaro e tecnologia per un futuro resiliente alla siccità e può conta ora su 34 paesi membri.

Un nuovo accordo sull'alimentazione e l'agricoltura. I leader mondiali hanno firmato una Dichiarazione sulla trasformazione dei sistemi alimentari, la prima risoluzione della COP che affronta direttamente la relazione simbiotica tra ciò che mangiamo e il cambiamento climatico. Più di 130 primi ministri e presidenti hanno firmato oggi la Dichiarazione COP 28 degli EAU sull'agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti e l'azione per il clima: il primo impegno nel suo genere ad adattare e trasformare i sistemi alimentari come parte di una più ampia azione per il clima. Malauguratamente la dichiarazione non contiene impegni giuridicamente vincolanti. E non ci sono obiettivi o misure chiare per affrontare le principali questioni legate al clima, come l’enorme quantità di sprechi alimentari in alcuni paesi, il consumo eccessivo di carne prodotta industrialmente e di alimenti trasformati e l’enorme impronta di combustibili fossili dell’industria alimentare. È incoraggiante vedere che i sistemi alimentari stanno finalmente prendendo il loro posto al centro dei negoziati sul clima e ai più alti livelli di governo. Non possiamo raggiungere i nostri obiettivi climatici globali senza un’azione urgente per trasformare il sistema alimentare industriale, responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra e del 15% dell’uso di combustibili fossili. Ma anche se questo è un primo passo essenziale, iltesto dell’accordo rimane molto vago e mancano evidentemente azioni specifiche e obiettivi misurabili.

La risoluzione riconosce che gli impatti climatici avversi senza precedenti stanno minacciando sempre più la resilienza dell’agricoltura e dei sistemi alimentari, nonché la capacità di molti, soprattutto dei più vulnerabili, di produrre e accedere al cibo di fronte alla crescente fame, alla malnutrizione e alle tensioni economiche. L’agricoltura e i sistemi alimentari possono fornire risposte potenti e innovative al cambiamento climatico e per una prosperità condivisa. Gli oltre 100 paesi che hanno firmato la dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti e l’azione per il clima si sono impegnati a includere il cibo e l’uso del suolo nei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) e nei piani nazionali di adattamento entro la COP 30 nel 2025. A livello globale, i sistemi alimentari rappresentano circa un terzo di tutte le emissioni di gas serra, la stragrande maggioranza proveniente dall’agricoltura industrializzata, in particolare dal bestiame e dai fertilizzanti. La crisi climatica sta già incidendo sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare, poiché eventi meteorologici estremi come inondazioni, siccità, ondate di caldo e incendi e impatti a insorgenza lenta come l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione alimentano la crescita dei prezzi e le carenze alimentari nei paesi di tutto il mondo. Lungi dall’essere perfetta, la dichiarazione innovativa è stata accolta con favore dai piccoli agricoltori e dagli agricoltori indigeni che producono un terzo del cibo mondiale così come dagli attivisti per il diritto all’alimentazione, dalle associazioni di consumatori e dai gruppi di piccole imprese. La distruzione della natura e il cambiamento climatico minacciano la sicurezza alimentare, i mezzi di sussistenza rurali e la nutrizione, ma i nostri sistemi alimentari causano anche un terzo delle emissioni globali e sono una delle cause principali della perdita di fauna selvatica. Il cibo e l’agricoltura devono essere al centro dei nuovi piani e dei finanziamenti sul clima se vogliamo rispettare l’accordo di Parigi e avere abbastanza cibo nutriente per tutti. La dichiarazione rappresenta una pietra miliare sulla strada verso un sistema alimentare più resiliente e sostenibile. I governi devono collaborare con le reti di agricoltori familiari per garantire che queste promesse siano tradotte nelle politiche concrete e nei finanziamenti necessari per sostenere i produttori su piccola scala e promuovere il passaggio ad un’agricoltura più diversificata e rispettosa della natura, che è necessaria per salvaguardare la sicurezza alimentare. Altri punti includono l’impegno ad accelerare e ampliare le innovazioni scientifiche e basate sull’evidenza non meno che le conoscenze locali e indigene, che proteggono una agricoltura sostenibile, promuovono la resilienza degli ecosistemi e migliorano i mezzi di sussistenza, anche per le comunità rurali, i piccoli proprietari terrieri, gli agricoltori familiari e altri produttori.

Lo IIED ha dichiarato che questo accordo è un primo passo provvisorio per affrontare uno dei problemi più spinosi della crisi climatica: i nostri sistemi alimentari distrutti. Sono responsabili di tantissime emissioni di gas serra, dall’abbattimento delle foreste e lo sgombero dei terreni per l’alimentazione degli animali, alle emissioni degli stessi bovini. È sconcertante che per così tanto tempo non vi sia stato l’obbligo di includere questo settore nei piani di riduzione delle emissioni. I sussidi governativi sostengono da tempo gli effetti inquinanti dell’agricoltura su larga scala, agendo come un freno nascosto all’azione per il clima. Questi incentivi dovrebbero essere reindirizzati in modo tale da consentire alle persone e alla natura di prosperare. Secondo altre voci la dichiarazione non definisce come i governi affronteranno le emissioni alimentari e non fa alcun riferimento ai combustibili fossili, nonostante che i sistemi alimentari rappresentino almeno il 15% dei combustibili fossili bruciati ogni anno, equivalenti alle emissioni di tutti i paesi dell’UE e della Russia messi insieme. Tuttavia, l’impegno a integrare cibo e agricoltura nei piani d’azione nazionali per il clima è benvenuto e atteso da tempo. Oltre il 70% degli NDC sono privi di un’azione adeguata sui sistemi alimentari anche dove c’è un reale potenziale per affrontare le emissioni e sbloccare i finanziamenti per il clima.

Il phase-out dei fossili. Il carbone ha subito un duro colpo durante i primi giorni della COP28. In rapida successione, il Giappone annuncia che smetterà di costruire centrali elettriche alimentate a carbone; Il presidente francese  Macron  esorta i paesi in via di sviluppo a evitare l’uso del carbone per far crescere le proprie economie, e il Vietnam svela alcuni dettagli di un piano da 15,5 miliardi di dollari per la transizione dal carbone, compreso l’obiettivo che le energie rinnovabili raggiungano quasi la metà della sua fornitura di elettricità entro il 2030. Petrolio e gas sono ancora sul tavolo della COP, la maggior parte dei paesi è abbastanza d’accordo sul fatto che il carbone sia in via di abbandono. La rapidità con cui ciò accadrà, tuttavia, dipenderà dalla capacità di programmi come quello del Vietnam di avere successo senza sconvolgere l’economia  nel breve termine.

TORNA SU

 

30 novembre 2003. Si apre a Dubai la COP 28. Il presidente al Jaber annuncia l'accordo e i primi finanziamenti al fondo per le perdite e i danni. Un risultato che va oltre le mille difficoltà del negoziato tra Sharm e Dubai.

Le Nazioni Unite aprono la COP 28 con una conferenza stampa (UN video). Gli umori che precedono la apertura della Conferenza a Dubai sono influenzati da antipatiche sensazioni sulla sicurezza dei delegati. Circolano warning a non accettare le offerte degli organizzatori per schede e telefoni, piuttosto prendere un telefono pulito, un telefono nuovo con accesso limitato. Non avere social media sul telefono o, se li si hanno, usare solo account aziendali, con duplice autenticazione, o qualcosa del genere, e fare lo stesso per la sicurezza e l'integrità della posta elettronica, evitando tassativamente di mettere a rischio i propri contatti e comunque di scambiare messaggi critici nei confronti di UAE e del suo governo:

Come aperitivo, intanto, si diffonde la notizia (Reuters) che l’OPEC+ ha raggiunto un accordo preliminare per un ulteriore taglio della produzione di petrolio di oltre 1 milione di barili al giorno. I prezzi del petrolio dovranno affrontare una dura battaglia nel 2024 poiché i rischi percepiti frenano la domanda globale. Un rappresentante del primo ministro indiano Narendra Modi ha affermato che il carbone è, e continuerà a essere, una parte importante del fabbisogno energetico dell’India. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale, il WMO, e altri studi rilevanti hanno confermato che il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha reagito alla notizia dicendo: “Stiamo vivendo il collasso climatico in tempo reale”. Last but not least le grandi aziende produttrici di carne e i relativi gruppi di pressione stanno pianificando una grande presenza alla COP 28, dotati di un piano di comunicazione per far sì che un messaggio pro-carne venga ascoltato dai politici durante il vertice.  documenti visionati dal Guardian e da DeSmog mostrano che l’industria della carne è pronta a raccontare la sua storia e raccontarla bene alla conferenza di Dubai. I file mostrano come la più grande azienda mondiale di carne, JBS, stia pianificando di presentarsi con piena forza al vertice, insieme ad altri grandi esponenti del settore come la Global Dairy Platform e il North American Meat Institute.

Qualcosa si riesce a sapere in merito a quanto si è potuto concordare in preparazione della Conferenza.

Perdite e danni. Già prima dell’apertura erano noti alcuni punti chiave dell’accordo negoziale per il finanziamento per perdite e danni

- La Banca Mondiale lo ospiterà ad interim per un periodo di quattro anni e il fondo avrà un segretariato indipendente con rappresentanti dei paesi sviluppati e in via di sviluppo.

- Il fondo avrà almeno 100 GUS$ all’anno entro il 2030, poco per i paesi in via di sviluppo che affermano che i bisogni effettivi sono già più vicini ai 400 GUS$. Secondo uno studio recente, le perdite e i danni dovuti al collasso climatico costerebbero circa 1.500 GUS$ nel 2022.

- I versamenti al fondo saranno volontari, con i paesi sviluppati invitati ma non obbligati, a contribuire.

- Tutti i paesi in via di sviluppo avranno diritto ad accedere direttamente alle risorse del fondo, con una percentuale minima assegnata ai paesi meno sviluppati   e ai piccoli stati insulari in via di sviluppo.

Gli impegni di finanziamento iniziali sono chiaramente inadeguati e saranno una goccia nell’oceano rispetto alla portata del bisogno che devono affrontare. In particolare, l’importo annunciato dagli Stati Uniti sarebbe imbarazzante. Sebbene siano state concordate regole su come funzionerà il fondo, non ci sono scadenze rigide, né obiettivi e i paesi non sono obbligati a pagare, nonostante lo scopo sia che le nazioni ricche e altamente inquinanti sostengano le comunità vulnerabili che hanno sofferto a causa del clima. La questione più urgente ora è far affluire il denaro al fondo e alle persone che ne hanno bisogno. I fondi promessi non devono essere semplicemente impegni dichiarati. C’è bisogno di nuovo denaro, sotto forma di sovvenzioni, non di prestiti, altrimenti non si farà altro che accumulare ulteriore debito su alcuni dei paesi più poveri del mondo, vanificando lo scopo del fondo.

Combustibili fossili. È tutta una questione di combustibili fossili e di un improbabile accordo sull’eliminazione graduale di petrolio, gas e carbone. È difficile rimanere ottimisti sul fatto che la COP 28 possa realizzare l’azione decisiva necessaria per affrontare l’emergenza climatica, dato lo stretto rapporto del paese ospitante con petrolio e gas, ma arrendersi giocherebbe a favore dell’industria dei combustibili fossili. Quella che si teme è una COP miracolistica, in particolare sulla questione della cattura e stoccaggio del carbonio, che viene evocata per prolungare la vita dei fossili. Ma la CCS non può sostituire la completa eliminazione dei combustibili fossili, che deve essere rapida, completa, equa e finanziata. Dal lato tecnologico delle cose gli elementi chiave sono stati tutti tecnicamente provati ma i principali ostacoli al suo utilizzo diffuso risiedono nell'economia e nei modelli di business. È una di quelle tecnologie su larga scala che probabilmente non verrà realizzata a meno che non si ottenga davvero una convergenza di impegni politici per consentirle di progredire. Ciò non accadrà solo perché il settore privato sceglie di farlo. Si prevede tuttavia che la cattura e lo stoccaggio del carbonio costituiranno un punto chiave del dibattito durante la conferenza, con i principali produttori di combustibili fossili che insistono sul fatto che qualsiasi accordo per eliminare gradualmente i combustibili fossili includa la parola unabated, vale a dire combustione senza emissioni.

La conferenza ha finalmente inizio nel pomeriggio, con un'ora e 45 minuti di ritardo. Il moderatore Saier si scusa per il ritardo e introduce il panel, che comprende il presidente della COP 28 Sultan Al Jaber e il capo dell'UNFCCC Simon Stiell, che elogia l'accordo di finanziamento per perdite e danni concordato in precedenza e ringrazia l'Egitto che aveva ospitato la COP 27 e spiega che nell’ultimo anno i paesi hanno dovuto capire come istituire effettivamente il fondo. Abbiamo ancora molto lavoro, dice, davanti a noi. Le perdite e i danni sono solo uno dei percorsi negoziali, ma lo spirito con cui le parti si sono impegnate al termine della settimana pre-sessione, mostra la volontà di avviare questi negoziati con un atteggiamento costruttivo e impegnato.

Prende la parola il Presidente della COP, Sultan Al Jaber, che dà il benvenuto ai delegati. “Sono sicuro che la maggior parte di voi sente quello che sento veramente. Sono entrato in questo compito con una piena comprensione di ciò che è necessario per gestire questo processo. Ho assunto questo compito con umiltà e con un profondo senso di responsabilità e un grande senso di urgenza. Ecco perché abbiamo affrontato questo compito in un modo completamente diverso e non convenzionale… Il fatto che siamo riusciti a raggiungere un traguardo così significativo il primo giorno di questo non ha precedenti così come il fatto che siamo riusciti a far votare e concordare l’ordine del giorno senza alcun ritardo. Il fatto che siamo stati in grado di mantenere ciò che era stato promesso a Sharm el-Sheikh e rendere operativo e superare la soglia associata alla creazione di questo fondo è un risultato storico. Mi sento emozionato, determinato e sono sicuro che molti di voi avvertono la positività, l’ambiente ottimista e l’atmosfera che stiamo tutti vivendo qui. Sono alla mia 12° COP, ma non ho mai sentito questo livello di eccitazione, e questo livello di entusiasmo tra tutte le parti coinvolte. Sono determinato a dimostrare che questa COP è diversa e questa è una presidenza diversa. Siamo concentrati nel mantenere in vita l’obiettivo dell’accordo di Parigi di limitare le emissioni a 1,5°C.

È stata una giornata di apertura ricca di accadimenti quando ancora i leader mondiali non sono arrivati. La grande notizia della giornata è stata la conferma delle anticipazioni, cioè che i paesi hanno raggiunto un accordo sulla creazione del fondo per le perdite e i danni per aiutare i paesi ad affrontare gli impatti del cambiamento climatico, qualcosa che era stato a lungo un punto critico nei negoziati. Gli Emirati Arabi Uniti, gli ospiti, hanno immediatamente promesso 100 milioni di dollari al fondo, seguiti dai contributi dell’UE, guidata da Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone, sebbene gli Stati Uniti in particolare siano stati criticati per il loro impegno relativamente modesto. Domani, per il secondo giorno, l'attenzione sarà focalizzata sui discorsi dei leader mondiali e sull'apertura ufficiale della Conferenza con il re Carlo III del Regno Unito.

La creazione del fondo per le perdite e i danni è stata a lungo un ostacolo ai colloqui sul clima, e l’accordo raggiunto il primo giorno della conferenza è stato accolto con favore da molti delegati, anche se non sarà ufficialmente approvato fino alla chiusura della conferenza. Il fondo sarà un’ancora di salvezza per le persone nei momenti più bui, consentendo alle famiglie di ricostruire le loro case dopo un disastro, di sostenere gli agricoltori quando i loro raccolti vengono spazzati via e di ricollocare i migranti climatici a causa dell’innalzamento del mare. Un risultato molto combattuto, ma un chiaro passo avanti. Il successo del fondo dipenderà dalla velocità e dalla portata con cui i fondi inizieranno a fluire. Si stima che le persone nei paesi vulnerabili dovranno affrontare fino a 580 GUS$ di danni legati al clima nel 2030 e questo numero continuerà a crescere. Il commento degli attivisti climatici richiama i paesi ricchi, che hanno spinto affinché la Banca Mondiale ospitasse questo fondo con il pretesto di garantire una risposta rapida, a far fronte ai propri obblighi finanziari in modo proporzionato al loro ruolo nella crisi climatica, che è stata principalmente causata da decenni di consumo sfrenato di combustibili fossili e dalla mancanza di adeguati finanziamenti per il clima forniti al sud del mondo.

TORNA SU

 

29 novembre 2023. La stampa su COP 28 in Italia e nel mondo. Il sole 24 ore pubblica una presentazione approfondita di Andrea Barbabella, di Italy for climate, accompagnata da due buoni video: "Cop 28, i tre temi chiave della Conferenza Onu sul clima 2023"

L'attenzione della grande stampa internazionale sulla COP 28 è intensa già da settimane, specialmente nell'area del sistema mediatico anglosassone (video IISD). Riferirne sarebbe impossibile e, del resto, abbiamo fatto e faremo sempre riferimento a quei contributi. E in Italia? Scetticismo e buona volontà si mescolano ad una sorta di benaltrismo che, lungi dal costituire un riferimento di forte personalità e di cultura al passo con i tempi, non fa altro che relegarci alla coda della società civile internazionale. Siamo perciò molto contenti di segnalarvi due autorevoli di iniziative di following della COP 28 per merito di CMCC e di ECCO, che si aggiungono al lavoro più che decennale fatto da questo sito della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e, dall'anno  scorso dall'ASviS cui diamo un contributo importante come GdL per gli SDG 7 e 13. Di seguito pubblichiamo per intero l'articolo del 27 cm. per il Sole con cui il nostro Ansdrea Barbabella presenta la COP 28.

"Al centro del dibattito il sostegno ai Paesi in via di sviluppo nel rispondere agli effetti del riscaldamento globale; la riduzione delle emissioni di gas serra; la necessità di una tabella di marcia per ridurre l’uso di carbone, petrolio e gas

Tre sono i temi chiave della 28° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 (COP 28)  in programma dal 30 novembre all’Expo City di Dubai su cui si potranno misurarne gli esiti e, alla fine dei lavori, capire se l’evento ospitato dagli Emirati Arabi Uniti, uno dei Paesi con le più alte emissioni pro capite di gas serra al mondo, abbia realmente consentito di fare un passo in avanti significativo nel contrasto alla crisi climatica.

La sfida “Loss and Damage”. Il primo tema riguarda il sostegno ai Paesi in via di sviluppo nel rispondere agli effetti del riscaldamento globale. Siamo entrati oramai in una fase di “anormalità climatica permanente”, il 2022 è stato un anno funestato da eventi meteo estremi, con gli 8 milioni di sfollati per l’inondazione del Pakistan e la peggiore siccità che ha colpito l’Europa negli ultimi cinquecento anni. E il 2023, secondo l’Organizzazione mondiale della meteorologia, si candida a essere l’anno più caldo mai registrato nella storia. Tenendo conto che i Paesi più poveri sono quelli che hanno contribuito meno alla crisi climatica e, al tempo stesso, ne subiranno le peggiori conseguenze, con quasi la metà dei morti causati dalla crisi climatica che secondo le stime si concentrerà in Africa, aiutarli ad affrontare questa crisi non può non rappresentare una priorità. Secondo un recentissimo report pubblicato dall’Unep, il Programma ambientale dell’Onu, servirebbero tra i 215 e i 387 miliardi all’anno per consentire ai Paesi più poveri di difendersi dal riscaldamento globale, ossia tra 10 e 18 volte in più di quanto fatto fino a oggi. Per tutti questi motivi la sfida della Cop28 sarà quella di rendere pienamente operativo lo strumento Loss and Damage, istituito nella precedente Cop di Sharm El-Sheik per riparare ai i danni che Paesi più poveri inevitabilmente subiranno dal cambiamento climatico.

Il nodo dei gas serra. Il secondo tema riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Come previsto dall’Accordo di Parigi, la Cop28 ospiterà il primo stocktake sul clima, ossia il momento in cui si valuterà l’effetto congiunto di tutti gli impegni nazionali (i c.d. Nationally Determined Contribution – NDC) e, soprattutto, si chiederà un aumento delle ambizioni degli NDC nel caso in cui questo non risulti compatibile con gli obiettivi concordati a Parigi nel 2015. Il 14 novembre è stato reso pubblico il report ufficiale delle Nazioni Unite, nel quale sono stati analizzati gli impatti di 168 NDC, corrispondenti al 95% delle emissioni globali di gas serra. Gli esiti sono, purtroppo, sconfortanti. Sommando tutti gli NDC - e immaginando, quindi, che gli obiettivi in essi contenuti siano tutti pienamente raggiunti – rispetto al 2019 le emissioni mondiali di gas serra si ridurrebbero, nella migliore delle ipotesi, di meno del 10%, passando da 53 a 48 miliardi di tonnellate all’anno. Molto lontano da quello che dovrebbe essere, se pensiamo che per limitare l’aumento della temperatura globale tra 1,5 e 2°C, obiettivo dell’Accordo di Parigi, dovremmo tagliarle tra il 30% e il 43%. Riuscirà la conferenza di Dubai a far fare lo scatto in avanti necessario per adeguare i livelli di ambizione dei Governi?

Roadmap per ridurre l’uso del carbone. Il terzo e ultimo tema, strettamente collegato al precedente, riguarda la necessità di definire una roadmap chiara per ridurre drasticamente l’utilizzo di carbone, petrolio e gas. Un altro recentissimo report, sempre promosso dall’Unep, ha svelato una scomoda verità: nonostante in molti casi abbiano presentato obiettivi di azzeramento delle proprie emissioni di gas serra, i 20 più importanti Paesi produttori di combustibili fossili hanno programmi di sviluppo della produzione di carbone, petrolio e gas del tutto incompatibili con l’Accordo di Parigi, che al 2030 porterebbero queste Nazioni a produrre in un anno il doppio dei combustibili fossili che potremmo materialmente consumare. Considerando che tra questi compare anche il Paese ospitante della 28° Conferenza mondiale sul clima, anche su questo punto non c’è, purtroppo, di che essere ottimisti.

Ma, fortunatamente, siamo sempre più consapevoli che non è più da questi faticosi e inefficienti consessi internazionali che arriverà la risposta al cambiamento climatico. Ma da singoli Governi che vorranno autonomamente puntare sulla transizione green, dalle imprese che faranno della decarbonizzazione una leva strategica per il loro business, dai cittadini che responsabilmente ogni giorno faranno scelte nuove".

TORNA SU

 

28 novembre 2023: Allarme della BBC - gli Emirati barano al gioco. La COP 28 sarà il suk del fossile?

Chi è atteso alla COP 28? Non Biden, non Xi, non Putin ma gli altri che verranno a che gioco giocano? Il primo ministro britannico Rishi Sunak, interverrà l'1 e il 2 dicembre. Ci saranno il re Carlo III, l'inviato speciale presidenziale USA  John Kerry, il Papa, il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, Bill Gates e l'attivista Vanessa Nakate. La Federazione Russa manderà Edelgeriev, inviato speciale presidenziale per il cambiamento climatico. Saranno circa 70.000 gli attivisti, i capi d'azienda, i gruppi di pressione e le comunità indigene.

La BBC denuncia, sulla base di documenti leaked ma ufficiali, che gli Emirati Arabi Uniti hanno pianificato di sfruttare il loro ruolo di ospite della COP 28 per concludere accordi su petrolio e gas avendo già la disponibilità di 15 paesi. Benché la Convenzione UN FCCC si senta di garantirne la correttezza, il team UAE non ha negato di aver utilizzato le riunioni della COP 28 per colloqui d'affari in via, hanno incredibilmente detto, del tutto privata. Ni fatti UAE ha proposto incontri di affari ad almeno 27 governi stranieri. Per la Cina si legge che Adnoc, la compagnia petrolifera statale degli UAE, di cui il CEO è il Presidente della COP 28, è disposta a valutare congiuntamente la politica internazionale. Di GNL si parlerebbe con Mozambico, Canada e Australia. Alla Colombia ci si dichiara pronti a sostenerla nello sviluppo delle sue risorse di combustibili fossili. Ci sono proposte UAE-ADNOC per altri 13 paesi, tra cui Germania ed Egitto.

I briefing mostrano che gli UAE hanno anche preparato argomenti di discussione sulle opportunità commerciali per la loro società statale di energia rinnovabile, Masdar, in vista degli incontri con 20 paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Germania, Paesi Bassi, Brasile, Cina, Arabia Saudita, Egitto e Kenia. I documenti informativi trapelati e visti dalla BBC sono stati preparati per il Presidente al Jaber, CEO anche della Masdar. I documenti contengono un riepilogo degli obiettivi degli incontri, comprese informazioni sul ministro o funzionario che il dottor Jaber incanterebbe e quali questioni avrebbe dovuto sollevare negli sforzi degli UAE per portare avanti i colloqui sul clima. Per più di due dozzine di paesi, i documenti contengono anche punti di discussione elaborati da Adnoc e Masdar. Al ministro dell'ambiente brasiliano sarebbe stato chiesto aiuto per garantire allineamento e approvazione per l'offerta di Adnoc per la più grande società di lavorazione di petrolio e gas dell'America Latina, Braskem. All’inizio di questo mese, Adnoc ha fatto un’offerta da 2,1 miliardi di US$ per acquistarne una quota chiave. Adnoc ha detto alla Germania di essere pronta a continuare le forniture di GNL. Adnoc ha suggerito di dire alle nazioni produttrici di petrolio dell'Arabia Saudita e del Venezuela che non esiste alcun conflitto tra lo sviluppo sostenibile delle risorse naturali di qualsiasi paese e l’impegno UAE nei confronti del cambiamento climatico.

La BBC ha visto uno scambio di e-mail in cui ai membri dello staff della COP28 viene detto che i punti di discussione di Adnoc e Masdar devono sempre essere inclusi" nelle note del briefing, ma il team della COP 28 ha affermato che era semplicemente falso che al personale fosse stato detto questo. Non è chiaro in quante occasioni al Jaber e i suoi colleghi abbiano sollevato i punti di discussione negli incontri della COP2 8 con i governi stranieri, ma 12 nazioni hanno assicurato alla BBC che non si è discusso di attività commerciali durante gli incontri, oppure che l'incontro non ha avuto luogo. Tra essi anche l’UK: i documenti trapelati mostrano che al presidente della COP 28 era stato chiesto di cercare il sostegno del governo per più che raddoppiare le dimensioni di un parco eolico al largo della costa di Sheringham, nel Norfolk, in cui Masdar ha una partecipazione.

Il tentativo di concludere affari durante il processo COP costituisce una grave violazione degli standard di condotta che ci si aspetta da un presidente COP. Tali standard sono stabiliti dalla UNFCCC, che afferma che la stella polare per i presidenti della COP e i loro team è l'obbligo di imparzialità e di agire senza parzialità, pregiudizio, favoritismi, capricci, interessi personali, preferenze o deferenze, basandosi rigorosamente su un giudizio sano, indipendente ed equo. Ci si aspetta inoltre che garantiscano che le opinioni e le convinzioni personali non compromettano o sembrino compromettere il loro ruolo di funzionari dell'UNFCCC. La realtà è che gli Emirati Arabi Uniti in questo momento sono i custodi di un processo delle Nazioni Unite volto a ridurre le emissioni globali. Eppure, negli stessi incontri in cui apparentemente sta cercando di perseguire questo obiettivo, in realtà si sta cercando di concludere accordi collaterali che aumenteranno le emissioni globali. Molti dei progetti proposti menzionati nei documenti informativi rappresentano niente più che nuovi sviluppi nel settore del petrolio e del gas, proprio quelli di cui ci si attende la fine a Dubai.

In una dichiarazione, il team della COP 28 ha dichiarato alla BBC che il fatto che il dottor Sultan al-Jaber ricopra una serie di incarichi oltre al suo ruolo di presidente designato della COP 28 è di dominio pubblico e qualcosa su cui siamo stati trasparenti fin dall'inizio. Il Presidente Sultan al-Jaber è particolarmente concentrato sull'attività della COP e sul raggiungimento di risultati climatici ambiziosi e trasformativi alla COP28, si legge nella dichiarazione del team, per cui si tratta di accuse gravi che saranno smentite dai fatti.

TORNA SU

 

27 novembre 2023. Il principale compito della COP 28: il Global stocktake, GST

Il primo punto in agenda alla COP 28 di Dubai è il bilancio globale  degli impegni nazionali di mitigazione, il global stocktake degli NDC ad una distanza di ben otto anni da Parigi, in stridente contrasto con l’urgenza e la gravità del cambiamento climatico. Il GST implica una valutazione esaustiva dei progressi compiuti dal mondo nella lotta al cambiamento climatico e di quanta strada ancora resta da fare. Negli ultimi due anni, i governi, gli scienziati e i gruppi della società civile hanno inviato all’ONU migliaia di documenti di bilancio, ma quello che ne emerge è che le nazioni non stanno riducendo le emissioni abbastanza velocemente e che i paesi sviluppati non forniscono sostegno sufficiente ai paesi in via di sviluppo. Il GST è più di una semplice revisione dei progressi: comprende il famoso meccanismo a cricchetto che obbliga i paesi a non diminuire e li incoraggia ad aumentare le proprie ambizioni climatiche nel tempo. I governi hanno presentato proposte su come accelerare l’azione per il clima con l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, la triplicazione della capacità di energia rinnovabile e l’aumento dei finanziamenti per il clima di cui i paesi in via di sviluppo hanno bisogno da miliardi a triliardi.

Gli obiettivi del GST. Il GST è un controllo quinquennale della temperatura media terrestre ai sensi dell'articolo 14 dell’Accordo di Parigi con cui i Paesi firmatari hanno concordato di monitorare, valutare e rivedere periodicamente i progressi collettivi verso il raggiungimento dell’obiettivo degli 1,5 – 2 °C e di fare il punto sulle loro azioni sul clima sia di mitigazione che di adattamento e anche dello sforzo finanziario e degli importi di tecnologia trasferita dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Il GST si articola in tre fasi: una fase di raccolta delle informazioni, una fase di valutazione tecnica di questi input e altre prove, e una fase di considerazione dei risultati, in cui i paesi possono decidere collettivamente come intervenire sul processo. La fase politica dovrebbe concludersi alla COP28, per programmare il prossimo ciclo di impegni climatici dei paesi nel periodo 2024-2025 e per rafforzare la cooperazione internazionale sul clima.

Le informazioni in gioco nel GST comprendono più di 170.000 pagine di documenti provenienti da governi, imprese e gruppi della società civile, supportati da oltre 252 ore di incontri e discussioni. Queste proposte sono state classificate nelle tre aree principali di azione per il clima, decise alla COP 24 del 2018: valutare i progressi sulla riduzione delle emissioni, sull’adattamento ai rischi climatici e sui mezzi di attuazione e supporto, area di rendicontazione della quantità di fondi raccolti e delle iniziative di capacitazione tecnologica ed amministrativa per aiutare i paesi in via di sviluppo. Successivamente sono state introdotte anche le istanze relative alle perdite e danni derivanti dal cambiamento climatico e dalle conseguenze sociali ed economiche dell’azione per il clima, che configurano una giusta transizione ad esempio per le persone che lavorano nell’industria dei combustibili fossili. Le perdite e i danni sono stati inclusi come parte del tema dell’adattamento e le misure di risposta sono state incluse nella sezione mitigazione.

Alla fine di tutto il processo è stato preparato un Rapporto di sintesi, che servirà come base per il negoziato politico della GST alla COP 28. Il Rapporto conclude che esiste una finestra che si restringe rapidamente per aumentare l’ambizione e attuare gli impegni esistenti al fine di limitare il riscaldamento a 1,5°C. Secondo il Rapporto, gli impegni esistenti porterebbero a un riscaldamento di 2,4-2,6 °C, con la possibilità di ridurlo a 1,7-2,1°C se gli obiettivi net zero a lungo termine saranno pienamente attuati. Il GST è esplicitamente inteso a incoraggiare tale aumento di ambizione. Le nazioni sono obbligate a presentare gli NDC ogni cinque anni e la prossima tornata è prevista per il 2025. Una maggiore ambizione potrebbe comportare nuovi obiettivi sia per il 2030 che per il 2035 e NDC che coprano le emissioni di intere economie nazionali, non solo di parti di esse. Potrebbe anche coinvolgere NDC basati su riduzioni assolute delle emissioni piuttosto che su tagli nell’intensità delle emissioni. Allo stato attuale, molti paesi in via di sviluppo con elevate emissioni, tra cui Cina, India e Arabia Saudita, hanno NDC incompleti ma, quando è stato loro richiesto di presentare piani più ambiziosi per il 2022, ciò è stato largamente ignorato. La scadenza del 2025 per i nuovi NDC, invece, fa parte dell’accordo originale di Parigi ed è quindi universalmente accettata. C’era un accordo secondo cui i paesi sviluppati avrebbero fissato obiettivi fin dall’inizio, e i paesi in via di sviluppo si sarebbero mossi gradualmente. Molti dei paesi sviluppati – l’UE e gli Stati Uniti – lo hanno fatto.

Gli elementi di più alto profilo presi in considerazione per essere inclusi nel GST finale sono le proposte settoriali, tra cui l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, la triplicazione della capacità di energia rinnovabile e il raddoppio dell’efficienza energetica in tutto il mondo. Oltre alle misure per ridurre le emissioni, i paesi in via di sviluppo vorrebbero però vedere il GST inaugurare una maggiore ambizione riguardo all’adattamento climatico.  Le trattative su un obiettivo globale unico, il GGA, saranno ancora in corso alla COP 28 e quindi gli eventuali risultati, che fondamentalmente sarebbero di natura finanziaria, non saranno rappresentati nel GST.

Il Rapporto di sintesi conclude che è necessaria un’azione accelerata per aumentare i finanziamenti per il clima da un’ampia varietà di fonti, strumenti e canali, sottolineando il ruolo significativo dei fondi pubblici. Più in generale, il rapporto afferma che è essenziale sbloccare e ridistribuire trilioni di dollari per soddisfare le esigenze di investimento globali e rendere i flussi finanziari globali coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. I paesi devono finalizzare un nuovo obiettivo quantificato collettivo (NCQG) per il finanziamento del clima nei paesi in via di sviluppo nel 2024. I paesi in via di sviluppo vogliono vedere un obiettivo più ambizioso e basato su una valutazione delle loro esigenze piuttosto che scelto in modo arbitrario, come con il precedente obiettivo dei 100 miliardi di dollari entro il 2020. Tali paesi hanno anche spinto affinché il risultato della GST includa un incoraggiamento ai paesi sviluppati a condividere le loro tecnologie climatiche e fornire maggiore sostegno alla capacitazione dei paesi in ritardo di sviluppo.

La COP 28 si dovrà innanzitutto misurare col mantenere in vita gli 1,5 °C e con i conseguenti impegni alla riduzione graduale dei combustibili fossili e all’affrontare le promesse non mantenute in materia di finanza climatica. Le osservazioni presentate nel corso di quest’anno in un contesto di crescente impatto climatico rivelano una crescente divergenza tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Resta il fatto che il GST oggi è un momento determinante per le ambizioni climatiche per il prossimo decennio, non meno che un’assunzione di responsabilità per decenni di inazione. Ci si chiede se il GST deve guardare indietro alla mancanza di progressi sul clima registrati fino ad oggi nei paesi sviluppati e, in caso affermativo, quanto indietro deve guardare. Mantenere in vita gli 1,5°C è storicamente un obiettivo irrinunciabile da parte dei piccoli stati insulari in via di sviluppo e dei paesi meno sviluppati. I Paesi in via di sviluppo che fanno parte del blocco negoziale G77+Cina chiedono una valutazione completa di come i paesi ricchi hanno rispettato o non sono riusciti a mantenere i loro impegni climatici pre e post-2020 capace di evidenziare le lacune storiche nelle azioni di mitigazione dall’inizio del negoziato climatico multilaterale nel 1992. Al contrario, i paesi sviluppati, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Giappone e Australia, sottolineano la necessità di risultati GST lungimiranti, che incoraggino i grandi emettitori, ovviamente Cina ed India ad aumentare aggressivamente l’ambizione dei loro impegni climatici per il 2030 e il 2035. Nelle loro osservazioni, la maggior parte dei paesi sviluppati, tra cui il Regno Unito e il Giappone, hanno chiesto un risultato GST che raccomandi di mantenere in vita gli 1.5 °C, facendo in modo che le emissioni globali raggiungano il picco nel 2025 e tutti gli obiettivi del 2030 dei grandi emettitori siano allineati a 1,5 °C. Gli Stati Uniti hanno chiesto di ridurre gradualmente e in modo costante e rapido la produzione di combustibili fossili, compresa la cessazione immediata di nuova produzione di energia da carbone, nonché di aumentare la capacità globale di gestione del carbonio per catturare 1,5 GtCO2 all’anno entro il 2035. In una dichiarazione congiunta USA-Cina del 14 novembre scorso, entrambi i paesi hanno dichiarato che stanno lavorando insieme e con altri paesi per raggiungere un consenso su una decisione GST che potrebbe essere adottata alla COP 28  pur se le rispettive posizioni sulle modalità della transizione sono molto diverse. La Russia, da par suo, ha definito inaccettabile analizzare i progressi verso la limitazione dell’aumento della temperatura a 1,5 °C invece che a 2°C, suggerendo al contempo che il gas dovrebbe essere considerato un combustibile di transizione.

Una aspettativa chiave del GST è una valutazione dei fallimenti finanziari per il clima finora e come un nuovo obiettivo di finanza per il clima possa essere basato su di essi. La fiducia è stata erosa dall’inadeguato rispetto degli impegni assunti dai partiti sviluppati, compreso il mancato rispetto dell’obiettivo di 100 miliardi di dollari per la mobilitazione dei finanziamenti per il clima, e anche dal fallimento della leadership dei paesi sviluppati che ha portato a un risultato di mitigazione inadeguato. Il bilancio dovrebbe tentare di ristabilire la fiducia delle parti nel fatto che l’obiettivo del GCF sarà raggiunto a breve. Sia l’Australia che gli Stati Uniti hanno chiesto di ampliare il numero dei paesi che forniscono finanziamenti per il clima, insieme a una valutazione sull’efficacia dei finanziamenti forniti dai paesi ricchi finora, per aumentare la fiducia dei donatori. I paesi in via di sviluppo chiedono una valutazione dei finanziamenti per il clima prima del 2020, la riforma delle banche multilaterali di sviluppo e il mancato riconoscimento del peso del debito sui paesi vulnerabili.

Sembra invece esserci accordo tra paesi e blocchi negoziali sul fatto che il quadro per l’Obiettivo Globale sull’Adattamento sia definitivo e che i suoi obiettivi si ispirassero e si evolvessero con il GST. Le nazioni Africane vogliono che il preambolo del GST rilevi la mancanza di parità ed equilibrio nei sostegni tra mitigazione e adattamento e affermi che l’adattamento, le perdite e i danni sono una responsabilità globale perché sono stati causati da emissioni globali. Mentre la maggior parte dei paesi sviluppati ha fatto eco alla necessità di rendere operativo il fondo per perdite e danni concordato alla COP 27, molti hanno fatto riferimento a un mosaico di diverse fonti e hanno enfatizzato la mobilitazione della finanza privata, con gli Stati Uniti che hanno riproposto il ricorso a soluzioni assicurative per perdite e danni.

Anche le politiche commerciali, le misure di risposta e la cooperazione internazionale hanno un ruolo importante nelle proposte di bilancio, riflettendo un’atmosfera esterna segnata dal conflitto geopolitico. La Cina ha dichiarato di volere che il preambolo riconosca che il primo GST si sta svolgendo in un crescente unilateralismo, protezionismo e anti-globalismo, e che l’ambiente favorevole alle azioni climatiche sta affrontando sfide cruciali, tra cui mezzi inadeguati di sostegno all’attuazione, sanzioni sulle basse emissioni di carbonio prodotti e industrie, restrizioni agli investimenti tecnologici e alla cooperazione, barriere verdi, legislazione discriminatoria e vincoli plurilaterali. Si aspetta che il GST identifichi le sfide alla cooperazione globale e dia priorità alle misure multilaterali rispetto a quelle unilaterali, come le barriere commerciali. Gli Stati Uniti hanno evidenziato le proprie politiche nazionali di transizione giusta, affermando che la mancata attuazione di misure di risposta, soprattutto da parte dei principali emettitori, la costruzione di nuove infrastrutture per i combustibili fossili non solo contribuisce alle emissioni globali di gas serra, ma rischia anche di far perdere risorse e posti di lavoro. La Federazione Russa ha affermato che la GST dovrebbe considerare specificamente i rischi socioeconomici e le conseguenze negative di un’eliminazione accelerata dei combustibili fossili, tra cui l’aumento dei prezzi dell’elettricità, la disoccupazione e le spese in conto capitale per l’adeguamento delle strutture.

TORNA SU

 

 15 novembre 2023. Finalmente un nuovo faccia a faccia tra Xi e Biden sulle questioni globali e il cambiamento climatico

I presidenti Joe Biden e Xi Jinping si sono incontrati a san Francisco il 15 novembre. L’incontro di quattro ore tra Biden e Xi  includeva discussioni sul mantenimento di comunicazioni di alto livello e sulla cooperazione su commercio, agricoltura, cambiamento climatico e intelligenza artificiale. I due maggiori emettitori del mondo hanno concordato di intensificare la cooperazione sul metano e sostenere gli sforzi globali per triplicare l'energia rinnovabile entro il 2030, ma il documento, reso pubblico già prima dell’incontro, tace sull'uso del carbone e sul futuro dell’energia fossile. Il cambiamento climatico, già nella fase di preparazione del meeting, rappresentava una delle poche aree di potenziale progresso. Per oltre un anno i diplomatici statunitensi hanno cercato di trovare una via d’uscita con la Cina dopo che Pechino aveva sospeso i colloqui sul clima dopo la visita della presidente degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan. La settimana scorsa questi sforzi hanno visto l’inviato americano per il clima John Kerry incontrarsi con la sua controparte cinese, Xie Zhenhua, per tre giorni di negoziati che hanno portato ad una posizione effettivamente concordata. L’impegno più specifico delle due parti è stato quello di portare avanti almeno cinque progetti CCS su larga scala di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio entro il 2030. La stampa cinese ripubblica un discorso di Xi Jinping in cui afferma che uno sviluppo di alta qualità che dia priorità all’ecologia, sia verde che a basse emissioni di carbonio, può essere raggiunto solo attraverso uno sviluppo di alto livello e che la Cina deve rispettare e conformarsi pienamente alla natura. Sottolinea che i doppi obiettivi di carbonio della Cina, del picco di carbonio entro il 2030 e della neutralità del carbonio entro il 2060, sono incrollabili, ma che il percorso e il ritmo per raggiungere questi obiettivi devono essere determinati dalla Cina stessa, senza essere influenzati o condizionati da altri. In Cina il consumo totale di elettricità nel mese di ottobre a livello nazionale ha raggiunto 742 terawattora, un aumento su base annua dell’8,4%. In ottobre, la produzione di energia termica è aumentata del 4,0%, l'energia idroelettrica è cresciuta del 21,8% e l'energia solare è aumentata del 15,3%. La Cina sta intanto portando avanti attivamente un dialogo ad alto livello con l'UE sul suo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), e l'UE vuole comprendere meglio il sistema e le metodologie di reporting dei prezzi del carbonio della Cina in modo da poterli prendere in considerazione nel modo più efficace dopo la fine del periodo transitorio del CBAM. Nonostante il fatto che i livelli di inquinamento atmosferico in Cina sono diminuiti di un notevole 42,3% tra il 2013 e il 2021, la stampa interna riferisce il timore che l’effetto amplificante del cambiamento climatico sulla produzione di inquinanti secondari potrebbe esacerbare l’inquinamento da ozono e portare effetti negativi sulla salute di centinaia di milioni di persone.

Vedi resoconto del NY Times

TORNA SU

10 novembre 2023. Le attese e i timori per la COP 28 di Dubai nelle mani del principale potentato petrolifero del mondo

I prossimi negoziati sul clima alla COP 28 di Dubai si svolgeranno in un contesto di emergenze geopolitiche, sanitarie ed economiche. La più grande forza delle Nazioni Unite risiede nel suo accesso all’enorme quantità di conoscenze scientifiche sul riscaldamento globale che sono state rese disponibili. Ma per spostare l’opinione pubblica e suscitare volontà politica per l’azione per il clima, la comunicazione di quella scienza ha bisogno di molta spinta. La COP 28 metterà giustamente in risalto gli impegni che i paesi devono assumere per decarbonizzare le economie e rallentare il riscaldamento globale. Tuttavia, il vertice dovrebbe anche lanciare una campagna globale per informare l’opinione pubblica e raccogliere sostegno politico, in particolare tra i grandi inquinatori. Le turbolenze geopolitiche rendono più difficile concentrarsi sul clima. Ma con i dati del pianeta che vanno nella direzione sbagliata, è necessario dare priorità alla mitigazione del clima attraverso la decarbonizzazione, poiché tutto il resto dipende da essa. Il successo si potrà avere se e solo se le persone si renderanno conto che la loro prosperità, il loro benessere e quello dei loro figli sono messi in pericolo dal riscaldamento globale. Alla COP 28 occorre lanciare una campagna mondiale per ottenere il sostegno pubblico per le risorse necessarie per evitare la catastrofe.

C’è sempre una discrepanza tra le aspettative riposte nei vertici COP sul clima e ciò che possono realisticamente ottenere, dato che la maggior parte delle decisioni importanti richiede il consenso unanime di tutti i paesi. Gli attivisti sono praticamente certi che rimarranno delusi, e gli analisti sono praticamente certi che noteranno che il mondo non sta facendo abbastanza. Tuttavia, un ritornello comune a qualsiasi COP è che se il vertice non esistesse, dovrebbe essere inventato, dal momento che è l’unico forum globale sul clima che abbiamo. Gli argomenti chiave sul tavolo della COP 28 sono i seguenti:

L’obiettivo degli 1,5°C. L’accordo di Parigi richiedeva ai paesi di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, pur perseguendo sforzi per rimanere entro 1,5 °C. Dal 2015, la scienza ha dimostrato che 2 °C comporterebbero impatti disastrosi, quindi alla Cop 26 del 2021 i governi hanno concordato di concentrarsi sull’obiettivo più rigoroso di 1,5 °C. L’anno scorso, alcuni governi hanno cercato di annullare l’impegno degli 1,5 °C, quindi il Presidente arabo designato, Al Jaber, ha chiarito fin dall’inizio che il suo piano è guidato da un’unica stella polare, mantenere  gli 1,5°C a portata di mano. È tempo di accelerare la fine essenziale e inevitabile dei combustibili fossili approvando un’agenda globale che può essere raggiunta solo con un piano per la mobilitazione dei finanziamenti.

L’inventario globale dei Piani nazionali. Alla Cop 28, i governi condurranno per la prima volta un global stocktaking degli NDC che evidenzierà i progressi compiuti dai paesi rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni. Dal bilancio emergerà sicuramente che il mondo è ben lontano dal raggiungimento degli obiettivi di Parigi, ma la presidenza ha deciso di non nominare e svergognare i singoli paesi. A settembre tutti i paesi hanno presentato i propri NDC aggiornati, con lo scopo, inevaso, di raggiungere l’obiettivo degli 1,5 °C. Gli Emirati Arabi Uniti hanno presentato una revisione al proprio NDC, con riduzioni delle emissioni del 40%.

Eliminazione graduale dei combustibili fossili: i combustibili fossili dovrebbero essere gradualmente eliminati o ridotti. Su quale sequenza temporale? E possono continuare a essere utilizzati se abbinati alla tecnologia di abbattimento per catturare le emissioni? Ci sono moltissime prove fornite dall’Agenzia Internazionale per l’Energia e da altri che dimostrano che la previsione del business as usual per la produzione e il consumo di combustibili fossili è fondamentalmente incompatibile con gli obiettivi di Parigi. Questa realtà sta andando a sbattere contro la paranoia dei governi riguardo alla sicurezza energetica e agli interessi economici dei principali produttori, compresa la leadership degli Emirati del vertice, che sono sostenitori espliciti dell’uso continuo di combustibili fossili abbattuti. l Presidente Al Jaber si è infatti dichiarato in favore dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili, che secondo lui è inevitabile ed essenziale. La frase è significativa. Al Jaber è stato pesantemente criticato per aver fatto ripetutamente riferimento alla eliminazione graduale, che secondo gli osservatori significava che le compagnie petrolifere e del gas avrebbero potuto continuare a estrarre combustibili fossili purché l’anidride carbonica risultante fosse in qualche modo catturata. Ma gli scienziati hanno messo in guardia dall’utilizzare la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) per giustificare la mera continuazione dell’estrazione.

L'industria fossile. Al Jaber è il capo della compagnia nazionale di petrolio e gas degli EAU, Adnoc. Sta tentando di portare i dirigenti industriali del fossile alla Cop28, sostenendo che devono avere un posto al tavolo. Vuole formulare un piano con i maggiori produttori di petrolio e gas del mondo – sia di proprietà nazionale che del settore privato – per ridurre le loro emissioni di gas serra in linea con gli 1,5 °C. Se riuscisse a trovare un accordo su questo punto, sarebbe un sorprendente passo avanti per l’azione per il clima. Ci sono state critiche sui legami di Al Jaber con la compagnia petrolifera nazionale, che hanno sostenuto che non può essere un presidente della Cop credibile. Ma questo Presidente dice di volere progressi sulle questioni principali, compreso il riconoscimento della necessità che le compagnie petrolifere siano parte della soluzione. Auguri! Se mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C deve essere la stella polare di questo vertice, significa che non ci saranno nuovi progetti sui combustibili fossili. Ciò ne implica un’eliminazione graduale giusta ed equa per aumentare in modo sostenibile le energie rinnovabili e finanziamenti adeguati per attuare questo piano. Si intende che non sono ammesse furberie da parte delle compagnie che si dichiareranno a favore della decarbonizzazione: le emissioni da abbattere sono tutte, dirette, indirette e value chain, scopi 1,2 e 3. Al Jaber ha promesso che le emissioni saranno incluse tutte.

Energia rinnovabile. Gli impegni per raddoppiare l’efficienza energetica, triplicare la capacità di energia rinnovabile fino a 11.000 GW a livello globale e raddoppiare la produzione di idrogeno fino a 180 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030 saranno presentati ai governi alla Cop 28 e dovrebbero essere concordati. La storia recente ha dimostrato che più energia rinnovabile non si traduce automaticamente in meno combustibili fossili. La Cop28 sarà un successo solo se la sua presidenza metterà da parte gli interessi dell’industria del petrolio e del gas e faciliterà un risultato chiaro sulla necessità di ridurre la produzione e l’uso di tutti i combustibili fossili, nonché una rapida introduzione graduale dell’energia eolica e solare. L’unico modo per costruire un nuovo sistema energetico che sia pulito ed equo è eliminare gradualmente quello vecchio.

La resa dei conti sui risarcimenti climatici: il più grande risultato della COP 27 in Egitto è stato che i paesi hanno concordato di creare un fondo perdite e danni per incanalare i pagamenti dai paesi ricchi e ad alte emissioni verso quelli più poveri e colpiti dal clima. Nel corso dell’ultimo anno un piccolo comitato di negoziatori ha cercato di definire i dettagli, un processo che si è concluso con grandi difficoltà lo scorso fine settimana con un accordo che non sembra piacere a nessuno. I negoziatori  di tutto il mondo hanno concordato un quadro provvisorio per un fondo per le perdite e i danni. Il fondo è un meccanismo per i paesi che hanno contribuito maggiormente all’aumento della temperatura globale per aiutare coloro che sono colpiti più duramente dalla crisi.   I partecipanti hanno definito estenuanti gli incontri sulle perdite e sui danni. I paesi in via di sviluppo hanno fatto una concessione fondamentale consentendo alla Banca Mondiale di ospitare temporaneamente il fondo, dando potenzialmente ai paesi ricchi che controllano la banca, in particolare agli Stati Uniti, un’influenza determinante sul fondo. Nel frattempo, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno continuato a fare pressioni in favore di contributi volontari. Questo accordo provvisorio è ancora soggetto alla firma di circa 200 paesi durante la COP 28 a Dubai alla fine di questo mese. I funzionari hanno avvertito che i loro superiori potrebbero respingere i termini, il che renderebbe necessarie ulteriori negoziazioni. Al Jaber ha affermato che è assolutamente imperativo che i mezzi per riempire questo fondo siano concordati alla Cop 28, con l’impegno di sborsare i primi soldi subito dopo, non meno che andare subito al replenishment del Green Climate Fund per 100 GUS$/yr, vecchia promessa non mantenuta.

Regolamento dei mercati del carbonio: il percorso più traballante di ogni COP dopo Parigi è stato quello dei negoziati su regole specifiche per una nuova tipologia di mercati globali di scambio del carbonio, che rimangono irrisolti. Non è chiaro come i mercati interagiranno con l’attuale mercato globale del carbonio, come (o anche se) impedire che acquirenti e venditori conteggino entrambi lo stesso credito rispetto alla loro impronta di carbonio, e se alcuni tipi di crediti soggetti a frode provenienti da progetti forestali saranno conteggiati e come.  Le speranze sono alte per una risoluzione alla COP 28 che permetta ai mercati di iniziare a funzionare, senza affogare nel greenwashing.

Inclusività e trasparenza. Gli Emirati Arabi Uniti non sono una democrazia e l’espressione civile è strettamente controllata. Al Jaber ha rassicurato i gruppi della società civile che sarebbero stati accolti alla Cop 28, sottolineando il ruolo delle popolazioni indigene, dei giovani e delle organizzazioni religiose, insieme ai sindaci e ai leader locali. L’inclusività per gli EAU coinvolge anche le aziende del settore privato, comprese le compagnie petrolifere per cui gli attivisti per il clima e alcuni governi sono meno entusiasti. Ovviamente occorre garantire che la Cop 28 sia libera dall’influenza dell’industria dei combustibili fossili e li ritenga responsabili come i primi inquinatori”.

TORNA SU

30 ottobre 2023. L'Unione Europea chiede alla COP 28 di Dubai il phase-out dei combustibili fossili

Un gruppo di nazioni che comprende Francia, Spagna, Irlanda, Kenya e altri 11 paesi, ma non l'Italia,  ha chiesto l’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili nei colloqui preliminari in vista del vertice sul clima COP 28 di dicembre. Una dichiarazione di 15 membri della coalizione ad alta ambizione, la High Ambition Coalition,  afferma che la produzione e l’uso di combustibili fossili devono essere ridotti, compresa una urgente eliminazione graduale della produzione di energia elettrica dal carbone,. La coalizione ha anche affermato che tecnologie come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) non dovrebbero essere utilizzate per ritardare l’azione sul clima consentendo l’uso continuato di combustibili fossili abbattuti, dei quali si sia cioè provveduto a stoccare sottoterra la CO2 residuo della combustione. Nel frattempo l’inviato statunitense per il clima John Kerry ha posto l’accento sull’eliminazione graduale del carbone – non del petrolio e del gas – quando è intervenuto lunedì ai colloqui pre-COP ad Abu Dhabi, e il presidente designato Sultan Al Jaber ha parlato ripetutamente della necessità di ridurre le emissioni piuttosto che ridurre la la produzione di combustibili fossili. BBC News riferisce che 70 ministri dell'ambiente e 100 delegazioni nazionali hanno partecipato all'incontro ad Abu Dhabi in vista dell'evento principale della COP 28 a Dubai alla fine di questo mese. Aggiunge che l’UE fa parte di una coalizione libera di circa 80 nazioni che afferma che non ci può essere nessun compromesso nello spingere per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili alla COP 28. Vale la pena notare che l’UE e i suoi alleati come il Regno Unito chiedono solo l’eliminazione graduale dei combustibili fossili senza riduzione, cioè quelli utilizzati senza la tecnologia CCS, il che significa che i combustibili fossili ridotti potrebbero di fatto ancora essere utilizzati. Nel frattempo, nonostante il sostegno francese all’eliminazione graduale dei combustibili fossili, il Guardian riferisce che le banche francesi hanno reso la nazione il più grande sostenitore in Europa dei grandi progetti di estrazione di combustibili fossili. In un’intervista con la stampa, l’inviato americano per il clima John Kerry ha chiesto alle aziende produttrici di combustibili fossili di assumersi la responsabilità pubblica di ridurre le proprie emissioni. Nel frattempo funzionari statunitensi anonimi  affermano che il presidente Joe Biden probabilmente non parteciperà alla COP 28, sottolineando al contempo che non è stata presa alcuna decisione finale sul nodo del phase-out del fossile. Un articolo su China Dialogue esplora le questioni che probabilmente la Cina dovrà affrontare alla COP 28. Gli esperti dicono al quotidiano che si prevede che la nazione sarà sottoposta a pressioni crescenti su temi come il rafforzamento della sua azione sul clima e se debba contribuire al nuovo fondo perdite e danni, che ha lo scopo di raccogliere finanziamenti per affrontare i disastri prodotti già largamente delle inevitabili problematiche climatiche a danno dei paesi più poveri e meno storicamente responsabili dell'accumulazione dei gas serra in atmosfera.

TORNA SU

  Dicembre 2022. L'Unione Europea raggiunge un accordo chiave sulla politica climatica dopo un interminabile negoziato

L'Unione Europea ha messo in campo una grande revisione del proprio mercato del carbonio e un nuovo fondo per proteggere i soggetti vulnerabili dall'aumento dei costi della CO2. Le misure sono state concordate dai negoziatori dell'UE come parte di un grande trilogo durato tre giorni. Considerato la pietra angolare dell’azione climatica dell'Europa, la riforma del sistema di scambio di quote di emissione (EU ETS) è la chiave per raggiungere l'obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. I negoziatori hanno stabilito che i produttori di energia e gli inquinatori maggiori coperti dall'ETS-2 dovranno ridurre il loro inquinamento del 62% entro la fine del decennio, l'1% in più rispetto a quanto inizialmente proposto dalla Commissione europea. I rifiuti saranno coperti dal regime a partire dal 2028, con potenziali deroghe fino al 2030. L'accordo impone inoltre che tutti i ricavi generati dal mercato del carbonio devono essere spesi per l'azione per il clima. I certificati di emissione gratuiti, dati all'industria per rimanere competitivi rispetto ai rivali dall'esterno dell’Unione, saranno gradualmente eliminati fino a completamente entro il 2034. Il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera previsto (Carbon Border Adjustment MechanismCBAM) dovrebbe entrare in vigore dal 2026 al termine di un periodo di transizione di tre anni. La Commissione e il Consiglio avevano chiesto una data di scadenza de i certificati gratuiti entro il 2036, mentre il Parlamento si è battuto per un'eliminazione più rapida entro il 2032. La tassa di frontiera CBAM copre cemento, alluminio, fertilizzanti, produzione di energia elettrica, idrogeno, ferro e acciaio. Tuttavia, i negoziatori hanno evitato di introdurre sconti per proteggere le esportazioni, sostenendo che si sarebbero dimostrati incompatibili con le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, il WTO.

Si tratta di un accordo che taluni hanno definito la più grande legge sul clima mai negoziata in Europa. Gli Stati membri dell'UE hanno effettivamente raggiunto un accordo sulla prima grande tassa al confine sul carbonio al mondo, che non ha mancato di suscitare polemiche con i principali partner commerciali dell'UE, che affermano che esporrà le loro industrie a una concorrenza sleale. L'accordo è stato raggiunto dopo 30 ore di negoziati ma è provvisorio e deve ancora essere adottato formalmente dal Parlamento e dal Consiglio europeo. Il mercato del carbonio sarà progressivamente esteso al settore marittimo, ai voli intraeuropei e ai siti di incenerimento dei rifiuti a condizione che vi sia un parere favorevole della commissione. La Commissione aveva proposto un secondo mercato del carbonio mirato al riscaldamento degli edifici e ai carburanti stradali, ma la proposta ha sollevato preoccupazioni di tipo congiunturale considerando che le famiglie europee sono alle prese con l'aumento dei prezzi dell'energia esacerbato dall'invasione russa dell'Ucraina. Se i prezzi dell'energia continueranno a salire vertiginosamente, l'applicazione di questa parte dell'accordo sarà ritardata di un anno. I proventi di questo secondo mercato andranno a un "Fondo sociale per il clima" progettato per aiutare le famiglie e le imprese vulnerabili a superare la crisi dei prezzi dell'energia. Per aiutare le famiglie a basso reddito a passare rapidamente a forme di trasporto e riscaldamento più pulite in modo da non essere colpite ingiustamente dalla misura, i responsabili politici dell'UE hanno dimensionato il Fondo sociale per il clima ad un valore di 86,7 miliardi di euro che va dal 2026 al 2032. È molto più grande del fondo di 59 miliardi proposto dal Consiglio. Il 25% sarà raccolto attraverso il cofinanziamento da parte dei governi dell'UE, mentre con il cosiddetto "approccio a tutti i combustibili" che copre tutte le emissioni di processo comporta che saranno venduti più permessi di emissione nell'ambito del programma.

Dal sistema industriale europeo viene l’avvertimento che l'Europa rischia di rimanere indietro rispetto agli Stati Uniti nell'attrarre investimenti nei suoi sforzi per affrontare il cambiamento climatico poiché gli oneri normativi minacciano di frenare la crescita. Proprio per renderlo più appetibile, i politici hanno convenuto che il cosiddetto ETS-2 sarebbe arrivato con un freno di emergenza da attivare nel caso in cui i prezzi del gas naturale salissero oltre i 106 € per megawattora sull'hub TTF di riferimento; in tal caso, l'avvio del regime verrebbe posticipato di un anno fino al 2028. Il patto prevede inoltre che se i prezzi dei certificati dell’ETS-2 supereranno i 45 € per tonnellata, verranno rilasciati ulteriori crediti per ridurre i prezzi - una disposizione che sarà in vigore fino al 2030.

TORNA SU

LA COP 27 di SHARM EL-SHEIKH

23 Novembre 2022. Ragionamenti finali sulla COP 27. Tramontati gli 1,5 °C? (tratto liberamente da IISD)

La COP 27 doveva essere una di COP di attuazione, come  il nuovo segretario esecutivo dell'UNFCCC Simon Stiell ha ribadito nel giorno dell'apertura. Tuttavia, due cose hanno complicato l'adempimento di questo compito: il 2022 è stato un anno di crisi verticale, con i prezzi di energia e cibo in aumento, impatti prolungati della pandemia di COVID-19, rallentamenti economici e, non ultime, le tensioni geopolitiche. Le prospettive di riduzione delle emissioni e l'esborso dei necessari finanziamenti per il clima per raggiungere a breve l'obiettivo degli 1,5 °C si sono maledettamente complicate. Peggio ancora, le idee dei vari paesi sull'attuazione dell'Accordo di Parigi si sono diversificate e forse confuse.

Durante la plenaria di chiusura, le parti hanno convenuto che il meglio di questa COP è stata l'istituzione di un fondo dedicato a perdite e danni. Tuttavia, le valutazioni sono contrastanti su come i risultati  dimostrino la determinazione sull'implementazione e le ambizioni. Piuttosto che mantenere in vita gli 1,5 °C, alcuni temono che questa potrebbe essere la COP del loro tramonto. La conferenza di Sharm avrebbe dovuto avere il difficile compito di passare dalla costruzione del programma e dall'innalzamento delle ambizioni al compito apparentemente più banale (ma critico) di mettere in pratica l'uno e le altre. Con il regolamento dell'Accordo di Parigi completato  e gli obiettivi di emissione definitivamente stabiliti a Glasgow nel 2021, la COP 27 avrebbe dovuto concentrarsi sull'attuazione. Nell'Agenda c'erano i programmi di lavoro sull'ambizione di mitigazione e sull'obiettivo globale dell'adattamento concordato a Glasgow. Ma c'era anche qualcosa di nuovo nelle crescenti richieste dei paesi in via di sviluppo per stabilire uno strumento di finanziamento per le  perdite e i danni. L'incapacità dei paesi sviluppati di mantenere il loro impegno finanziario di 100 miliardi di dollari per il clima, deliberato a Copenaghen nel 2009, ha continuato a scavare la fossa della sfiducia tra Sud e Nord. Le parti dell'Accordo di Parigi generalmente concordano sui suoi pilastri principali: implementazione delle azioni di mitigazione e adattamento e supporto per i paesi in via di sviluppo attraverso la finanza e altri mezzi di implementazione. La questione delle perdite e danni ha invece acquisito visibilità e consensi crescenti solo negli ultimi anni, con i disastri climatici che hanno provocato il caos in tutto il mondo. Per molti paesi rimane la massima priorità la riduzione accelerata delle emissioni e dare una chance all'invito della COP 26 a mantenere in vita gli 1,5 °C. Tra essi ci sono i paesi più sviluppati, lo Environmental Integrity Group e alcuni dei paesi più vulnerabili del mondo, tra cui i paesi meno sviluppati (LDC) e l'Alleanza degli Island Developing States (AOSIS), insieme all'Associazione per l'America Latina e i Caraibi (AILAC), che vedono l'abbandono degli 1,5 °C come una minaccia esistenziale. I diversi paesi in via di sviluppo ad alto e medio reddito e le principali economie emergenti, raccolti nel gruppo negoziale dei paesi in via di sviluppo like-minded  (LDMC), a loro volta, credono di sentirsi sempre più sotto pressione per ridurre ulteriormente le proprie emissioni. Sostengono che il principio di Rio della responsabilità comune ma differenziata, sancito dalla Convenzione del 1992, che chiede ai paesi sviluppati di assumersi ruolo e responsabilità dell'azione climatica, non è affatto venuto meno, ma che  viene sempre più chiesto a loro di fare fronte a delle responsabilità che non gli competerebbero, un fardello causato dalla mancanza di azione dei paesi sviluppati. Alla COP 27, questa analisi è ststa particolarmente visibile durante le discussioni sul “Programma di lavoro per aumentare urgentemente la mitigazione ambizione e attuazione in questo decennio critico", stabilito a COP 26. Qui, la decisione finale chiarisce che questo programma di lavoro sarà “non prescrittivo, non punitivo, facilitativo, rispettoso  della sovranità nazionale, … e non imporrà nuovi obiettivi". Per questo gruppo, gli altri pilastri dell'Accordo di Parigi sono altrettanto importanti della mitigazione, e sottolineano che le priorità dei paesi in via di sviluppo, tra cui l'adattamento e la finanza, continuano ad essere affrontati in maniera insufficiente.

Proprio per essere sul suolo africano, molti si aspettavano che la COP 27 avrebbe avuto a tema centrale l'adattamento e la finanza, che sono priorità per il continente. Le discussioni sull'obiettivo globale dell'adattamento continuano: è un obiettivo ambizioso fissato nell'Accordo di Parigi, che i negoziatori hanno affrontato per chiarirlo  pur in un contesto difficile che ha comportato discussioni fino alle ultime ore della COP. Alcuni esperti di adattamento a lungo termine ritenevano che il problema non avesse avuto l'attenzione che meritava, con il timore che quelle risorse,  proprio quando le cose iniziavano ad andare, potevano essere trasferite alle perdite e danni. Per molti, l'unico risultato nuovo e tangibile sull'adattamento è stata la decisione di iniziare lo sviluppo di un quadro programmatico da adottare il prossimo anno, per guidare la Convenzione verso l'obiettivo globale sull'adattamento. Una parte fondamentale del programma di lavoro mira a  migliorare la comprensione di cosa significa effettivamente l'adattamento e come misurare i progressi verso il suo raggiungimento. Le esigenze di adattamento possono essere molto locali e qualitative, e rendono difficile la formulazione di provvedimenti aggregati nel segno di un obiettivo globale.

Ci si aspettava che la finanza fosse un'altra voce importante a Sharm El-Sheikh, con le agende dei vari organismi negoziali che la stanno trattando sotto una straordinaria molteplicità di forme. Tra i problemi più controversi c'è quello del tracciamento dei pagamenti dei paesi sviluppati della loro quota dei 100 miliardi di dollari entro il 2020. Anche l'OECD  ha dichiarato che finora non si superano i 17 miliardi di dollari e che non si va  oltre l'impegno preso a  Glasgow di raddoppiare entro il 2025 i finanziamenti per l'adattamento rispetto ai livelli del 2019. Allo stesso tempo, i paesi sviluppati vorrebbero espandere il pool di contributori ai finanziamenti per il clima estendendolo al settore privato, alla filantropia, alle fonti di beneficenza, alle banche di sviluppo e persino ad alcuni paesi in via di sviluppo. Benché durante le COP siano stati presi nuovi impegni di finanziamento per il clima, che  hanno spesso contribuito a mitigare le dispute, il valore dei contributi alla COP 27 è stata piuttosto scarsa. L'Adaptation Fund ha conseguito 230 milioni di dollari di nuovi impegni e promesse iniziali per il nuovo Global Shield, il regime assicurativo contro i rischi climatici, che ha totalizzato 210 milioni di euro.

Le decisioni finali della COP 27, col nome di Piano di attuazione di Sharm El-Sheikh, mettono assieme alcuni dei risultati principali dei documenti della conferenza e non fanno altro che evidenziare tutte le difficoltà di conciliare le diverse visioni a proposito di implementazione. Durante la plenaria di chiusura, molti gruppi e paesi hanno sottolineato che i testi non sono andati oltre Glasgow nel dimostrare maggiore ambizione e che a loro avviso avrebbero dovuto includere riferimenti al picco delle emissioni globali entro il 2025 e alla graduale riduzione di tutti i combustibili fossili, non solo del carbone. Altri, a loro volta, erano più preoccupati dell'erosione dei principi di equità e della responsabilità comune ma differenziata e della capacitazione e accusavano i sostenitori di una  maggiore ambizione di  tentare di mascherare la mancanza di volontà di provvedere al sostegno ai paesi in via di sviluppo.

La presenza di 112 leader mondiali durante la prima settimana può aver creato l'impressione di un grande impegno sull'implementazione. Forse però l'implementazione non è così attraente come l'ambizione, il solito rapporto tra i fatti e le chiacchiere.  Con scarse risorse finanziarie disponibili nel breve periodo, l'attenzione si è concentrata su chi dovrebbe avere la priorità nella fruizione. A fronte della lunga lista di richieste del gruppo africano, gli appelli ad avere altrettanta attenzione da parte di altre regioni in via di sviluppo  hanno rallentato il negoziato. Alla fine l'Africa ottiene solo due brevi riferimenti nel testo. Le perdite e danni, che colpiscono i paesi e le comunità più vulnerabili, sono state una priorità per lo sviluppo delle piccole isole fin dagli anni '90. I paesi sviluppati hanno tradizionalmente resistito alle richieste di finanziamenti specifici per perdite e danni, in parte per paura delle relative responsabilità e delle richieste di risarcimento che potrebbero derivarne  per essere stati causa della maggior parte delle emissioni storiche. La decisione che ha adottato l'Accordo di Parigi nel 2015 è che l'articolo sulla perdita e il danno non include né responsabilità né compensi. Alla COP 27, questo avvertimento contro l'interpretazione di qualsiasi finanziamento come responsabilità o compensazione è stato accuratamente richiamato come nota a piè di pagina in tutti i testi, un compromesso che ha permesso di avere finalmente all'ordine del giorno un articolo sugli accordi di finanziamento per perdite e danni e un spazio dedicato nei negoziati formali per discutere la questione. Nel corso degli anni, l'esigenza di un accordo di finanziamento ha ricevuto il sostegno di tutti i paesi in via di sviluppo. Alla COP 27 è stato finalmente raggiunto un accordo per istituire un fondo dedicato per  perdite e danni, insieme a un comitato di transizione incaricato di elaborare i dettagli e identificare opportunità e lacune in modo che possa essere reso operativo alla COP 28 nel 2023. A Sharm alcuni paesi sviluppati hanno insistito per il diritto di sostener tale fondo solo in favore dei paesi più vulnerabili e solo se i finanziamenti proverranno da una più ampia base di donatori, come, ognuno ha pensato, la Cina. Alla fine la formula trovata è per “assistere i paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabile agli effetti negativi del cambiamento climatico", ma senza specificare quali sarebbero questi paesi. La decisione non identifica chi finanzierebbe, ma semplicemente rileva che le risorse saranno "nuove. aggiuntive e complementari e includeranno fonti, fondi, processi e iniziative sotto e al di fuori della Convenzione e dell'Accordo di Parigi”. La decisione  raccomanda inoltre l'allargamento delle fonti di finanziamento. Un'altra importante forza trainante per il fondo perdite e danni è stata la società civile, che si è mobilitata per la richiesta del fondo, la giustizia climatica e l'equità.

I negoziati sull'articolo 6 sono continuati in sottofondo durante le due settimane di COP e sono riusciti a fornire  significative indicazioni che aiuteranno a rendere operativa e ad ampliare la cooperazione internazionale con approcci di mercato e non di mercato per ridurre le emissioni, sostenere l'adattamento e promuovere lo sviluppo sostenibile. La società civile ha seguito da vicino queste discussioni, intervenendo dove le tutele ambientali, sociali e umane e i diritti delle popolazioni indigene non sono stati rispettati. Ciò vale in particolare per l'area dell'offsetting, che si riferisce all'estrazione della CO2 dall'atmosfera con mezzi naturali o tecnologici per aiutare i paesi a raggiungere emissioni nette pari a zero. Nella decisione finale, una prima bozza che la società civile credeva fosse vaga e priva di salvaguardie critiche e disposizioni sui diritti, è stata riconsegnata all'Organismo di Vigilanza del meccanismo di mercato ex art. 6.4 per ulteriori approfondimenti. Tuttavia, gli osservatori rilevavano un'assenza di “riferimenti alla necessità di qualsiasi mercato di contribuire all'ambizione generale e all'imperativo di rispettare e proteggere i diritti umani”.

La COP 27 ha ha tenuto la linea degli 1,5 °C, che rimangono ancora in vita. La conferenza ha anche preso decisioni sostanziali nelle principali aree cruciali per l'attuazione, compresa la mitigazione, l'adattamento, la finanza e i mercati, ma ha lasciato molti a chiedersi quando questi diversi elementi dell'azione per il clima verranno realizzati. I riferimenti alla scienza e all'urgenza sono presenti nella decisione sul programma di lavoro sulla mitigazione, ma alcuni paesi in via di sviluppo, gli LMDC, hanno ritenuto che l'articolo avrebbe dovuto introdurre nuovi elementi rispetto al mandato di Parigi, come gli obiettivi a medio termine, e stabilire la conclusione del programma di lavoro nel 2023 invece di proseguire fino al 2030. Come compromesso, il programma di lavoro ora ha il limite al 2026. Allo stesso modo, c'è stato un invito a riflettere sulle nuove indicazioni dell'IPCC sulla necessità che il picco delle emissioni globali avvenga prima del 2025 per limitare il riscaldamento a 1,5 °C. Analoga disputa c'è stata nelle discussioni sulla finanza, dove i paesi in via di sviluppo hanno sottolineato l'urgenza di fare chiarezza sul “quantum” e sui tempi di di fissazione post-2025 sui finanziamenti per il clima. I paesi sviluppati hanno continuato a insistere per discutere prima degli aspetti tecnici e poi concordare un obiettivo quantitativo nel 2024.

A conti fatti, i risultati della COP 27 saranno probabilmente sufficienti per mantenere la implementazione sulla buona strada per un altro anno, e certamente hanno  consegnato una vittoria importante per coloro che già subiscono i devastanti impatti del cambiamento climatico. Ma molto di più deve essere fatto. Come ha detto il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, “La COP 27 conclude con molto da fare e poco tempo a disposizione”. Durante la plenaria di chiusura di domenica 20 novembre, molti gruppi e paesi hanno dichiarato di aspettarsi molto dalla COP 28 degli Emirati Arabi Uniti, sia per l'attuazione che per l'ambizione attraverso il primo Global stocktaking. Le COP dovranno reinventarsi come luoghi in cui i paesi si riuniscono per dimostrare progressi, sostenere la trasparenza e la responsabilità, e aumentare l'ambizione ai livelli richiesti per evitare una crisi climatica. Molti si chiedono se le COP sono adatte allo scopo, pochi dicono cosa dovrebbe cambiare.

TORNA SU

21 Novembre 2022. Conclusa la COP 27 con l'assemblea plenaria. Il documento finale, consensi e delusioni

La plenaria ha inizio domenica poco dopo le due di notte ora locale. Poi subisce ulteriori rinvii (video).

Nella bozza di testo presentata in plenaria, gli obiettivi di muitigazione sembrano essere niente più di una copia di quanto concordato a Glasgow nel 2021, quando è stata concordata anche una riduzione graduale (phase down) per il carbone. C'erano speranze che il presidente avrebbe ampliato questa "fase di riduzione" per includere tutti i combustibili fossili, ma non c'è nessun riferimento in questo testo. Ecco cosa dice: "Invita le parti ad accelerare lo sviluppo, e la diffusione delle tecnologie e l'adozione di politiche per la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni, anche aumentando rapidamente l'adozione di misure di generazione di energia pulita e di efficienza energetica, tra cui l'accelerazione degli sforzi verso la l'eliminazione graduale dell'energia a carbone senza sosta e l'eliminazione graduale delle sovvenzioni inefficienti ai combustibili fossili, fornendo nel contempo un sostegno mirato ai più poveri e ai più vulnerabili in linea con le circostanze nazionali e riconoscendo la necessità di sostegno verso una transizione giusta". Ci sono state molte discussioni sull'obiettivo di Glasgow degli 1,5 °C. Alcuni paesi hanno cercato di rinnegare l'obiettivo di 1,5 °C e di abolire il meccanismo della irreversibilità degli impegni (ratcheting up). Hanno fallito, ma è stata eliminata dal testo finale una risoluzione per raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025. ll gas è stato il grande protagonista di questa COP, con un numero sorprendentemente elevato di accordi firmati a margine del vertice. Il documento finale della COP 27 contiene un provvedimento per incentivare “l'energia a basse emissioni”. Ciò potrebbe significare molte cose, dai parchi eolici e solari ai reattori nucleari e alle centrali elettriche a carbone dotate di cattura e stoccaggio del carbonio. Poiché a pensar male ... potrebbe anche valere per il gas, che ha emissioni inferiori rispetto al carbone, un fossile "buono". Non c'è stato alcun miglioramento rispetto all'impegno dello scorso anno di ridurre gradualmente l'uso del carbone, nonostante l'intensa le pressioni di molti Paesi che volevano inserire nel testo un impegno a "ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili".


Ecco invece  le parole del documento concordato alla COP 27 che istituisce il fondo per aiutare i Paesi in via di sviluppo a far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici. Il linguaggio  è significativo. "La Conferenza delle Parti ... decide di istituire nuovi accordi di finanziamento per assistere i paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico, in risposta a perdite e danni, anche con particolare attenzione ad affrontare perdite e danni fornendo e assistendo nella mobilitazione di risorse nuove e aggiuntive, e che questi nuovi accordi integrino e includano fonti, fondi, processi e iniziative nell'ambito e al di fuori della Convenzione e dell'Accordo di Parigi. Decide inoltre, nel contesto dell'istituzione delle nuove modalità di finanziamento ... di istituire un fondo per la risposta a perdite e danni il cui mandato include un focus sulla gestione di perdite e danni". Il testo, concordato da quasi 200 paesi, istituisce anche un comitato per elaborare le regole per realizzare il fondo. Quel comitato riferirà alla COP del prossimo anno. Con la creazione di un nuovo Fondo perdite e danni, peraltro ancora vuoto, la COP 27 manda un avvertimento agli inquinatori che non possono più andare avanti senza problemi con la loro distruzione climatica. D'ora in poi dovranno risarcire i danni che hanno causato e rendere conto alle persone che stanno affrontando tempeste , inondazioni devastanti e mari in sollevamento (CAN). Lo stesso Guterres si compiace del risultato ottenuto su loss and damage (video) ma dice: "Siamo chiari. Il nostro pianeta è ancora in rianimazione. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che questa COP non ha affrontato. Un fondo per perdite e danni è essenziale, ma non è una risposta se la crisi climatica cancella dalla mappa un piccolo stato insulare o trasforma un intero paese africano nel deserto. Il mondo ha ancora bisogno di passi da gigante in termini di ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo oltrepassare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di temperatura di 1,5 gradi.

C'è stato anche probabilmente qualche progresso nella riforma del sistema finanziario globale, con un numero crescente di paesi alla ricerca di modifiche urgenti alle banche multilaterali del mondo che, sostengono, non riescono a fornire i finanziamenti necessari. Questo è ora diventato un argomento serio di discussione. Consensi anche per l'apertura di un possibile processo di riforma del sistema finanziario delle Nazioni Unite: è stato accolto qualche elemento dell'Agenda di Bridgetown, promosso da Mia Mottley, la coraggiosa leader delle Barbados. Nel testo si legge: le nazioni del mondo "invitano gli azionisti delle banche multilaterali di sviluppo (MDB) e le istituzioni finanziarie internazionali a riformare pratiche e priorità, allineare e aumentare i finanziamenti … e incoraggiare le MDB a definire una nuova visione  adatta allo scopo di affrontare l'emergenza climatica globale".

Gli altri risultati di COP 27 sembrano però, ancora una volta, deludenti. L'europeo Timmermans dice che avremmo dovuto fare molto di più.  I nostri cittadini si aspettano che noi prendiamo la leadership della lotta climatica, cosa che  significa ridurre le  emissioni molto più rapidamente. L'Australia (Umbrella Group da cui, recentemente, sono state espulse Russia e Bielorussia) dichiara: "Dobbiamo andare oltre, alla luce delle dure scoperte della scienza più recente, anche riconoscendo che le emissioni globali devono raggiungere il picco entro il 2025 per mantenere in vita gli  1,5 °C". L'influenza dell'industria dei combustibili fossili è stata evidente su tutta la trattativa. Questa COP ha indebolito i  paesi che assumono impegni nuovi e più ambiziosi. Il testo non fa menzione della graduale eliminazione dei combustibili fossili e fa scarso riferimento alla scienza e all'obiettivo degli 1,5°C (Tubiana). La presidenza egiziana ha prodotto un testo che protegge chiaramente gli stati del petrolio e del gas e le industrie dei combustibili fossili. Questa tendenza va fermata prima della COP negli Emirati Arabi Uniti il ​​prossimo anno. Se il rinnovato impegno formale mantenuto sul limite di riscaldamento globale di 1,5 °C è fonte di sollievo, rimane il fatto che i progressi compiuti in materia di mitigazione dopo la COP 26 di Glasgow sono stati troppo lenti. L'azione per il clima alla COP 27 mostra che siamo sulla soglia di un mondo di energia pulita, ma solo se i leader del G 20 saranno all'altezza delle proprie responsabilità, manterranno la parola data e rafforzeranno la loro volontà. L'onere è su di loro. Tutti gli impegni sul clima devono essere trasformati in azioni concrete, compresa la rapida eliminazione dei combustibili fossili, una transizione molto più rapida verso l'energia green e piani tangibili per fornire sia finanziamenti per l'adattamento che per perdite e danni. Vanessa Nakate, giovane leader dei Fridays for future (in figura), ugandese, ha una visione molto più pessimistica: “Doveva essere la COP africana, ma i bisogni del popolo africano sono stati ostacolati dappertutto. Perdite e danni nei paesi vulnerabili sono ormai evidenti, ma alcuni paesi sviluppati qui in Egitto hanno deciso di ignorare la nostra sofferenza. I giovani non hanno potuto far sentire la loro voce alla COP 27 a causa delle restrizioni alla protesta, ma il nostro movimento sta crescendo e i comuni cittadini di ogni paese stanno iniziando a ritenere i loro governi responsabili della crisi climatica". Alla plenaria ha chiesto a tutti i paesi di una "urgente intensificazione degli sforzi" e si è detta profondamente delusa dal fatto che alcune Parti abbiano cercato di frenare l'ambizione di tutti di moltiplicare gli sforzi per l'abbattimento delle emissioni.

L'anno scorso, per la prima volta, un combustibile fossile, vale a dire il carbone, è stato menzionato per la "riduzione graduale" in un accordo sul clima delle Nazioni Unite. A Sharm diversi paesi e la società civile hanno spinto affinché tutti i combustibili fossili, inclusi petrolio e gas, fossero inclusi  per l'eliminazione graduale. ma questo non è accaduto, né è stato in alcun modo rafforzato l'impegno sul raggiungimento dell'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Ancora peggio per alcuni è stata l'inclusione nel testo dell'accordo del concetto di  "basse emissioni" accanto all'energia rinnovabile, che, come abbiamo detto, è una formulazione che potrebbe essere interpretata come un'approvazione del gas, che è  un combustibile fossile più pulito del carbone e tuttavia produce emissioni sostanziali per il riscaldamento del pianeta. Nonostante una discussione senza precedenti sull'equa eliminazione graduale di petrolio, gas e carbone, il risultato finale è stato l'ennesimo rifiuto del riconoscimento formale che tutti i fossili stanno causando la crisi climatica e danneggiando le comunità. Al momento la traiettoria delle emissioni è pericolosamente fuori rotta e l'accordo di Sharm fa ben poco per correggerla. Dalla società civile vengono ovunque preoccupazioni: la mancanza di progressi nell'eliminazione graduale dei combustibili fossili mostra l'ipocrisia dei governi dei paesi ricchi nel loro bla bla bla nel mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi e rivela  la egemonia esercitata nella COP dalle industrie dei combustibili fossili.

Disappunto anche sull'articolo 6 che regola il mercato del carbonio, l'offsetting e i permessi di emissione. Cerca di bloccare le scappatoie per le industrie e i paesi inquinanti per fare il greenwashing e ritardare le riduzioni delle emissioni di gas serra, ma manca di trasparenza, consente pratiche contabili discutibili, fa marcia indietro sui diritti umani e sui diritti delle popolazioni indigene. Tra i non molti meriti del documento per la prima volta in assoluto, una decisione della COP fa menzione di soluzioni basate sulla natura (nature based) e dedica una sezione alle foreste. Questa è ovviamente un'ottima notizia. Menziona anche il ruolo dell'alimentazione ed anche questa è la prima volta. La formulazione è però piuttosto opaca e non riconosce apertamente il ruolo che i sistemi agricoli svolgono nella generazione di emissioni di carbonio e altri gas serra. Il testo riconosce che gli impatti del cambiamento climatico aggravano le crisi energetiche e alimentari globali, e viceversa. Si parla di sicurezza alimentare e della particolare vulnerabilità dei sistemi di produzione alimentare agli impatti negativi del cambiamento climatico. Parimenti notevole di citazione è il fatto che, anche qui per la prima volta, il testo negoziale accrediti quelli che siamo abituati a chiamare tipping point, cambiamenti irreversibili del clima: "Riconosce l'impatto del cambiamento climatico sulla criosfera e la necessità di ulteriori comprensione di questi impatti, compresi i tipping point". La scienza ha per tempo avvisato di questo tipo di criticità anche oltre la criosfera. Uno studio recente ne ha rilevate cinque già a rischio  a 1,1 °C:  il crollo della calotta glaciale della Groenlandia, che alla fine produrrà un enorme innalzamento del livello del mare, il crollo di una corrente chiave nell'Atlantico settentrionale, l'interruzione della pioggia da cui dipendono miliardi di persone per il cibo e un improvviso scioglimento del permafrost ricco di carbonio. A 1,5°C di riscaldamento, quattro dei cinque punti critici passano da possibili a probabili. Sempre a 1,5°C, diventano possibili altri cinque punti critici, compresi i cambiamenti nelle vaste foreste settentrionali e la perdita di quasi tutti i ghiacciai montani. In totale, i ricercatori hanno trovato prove di 16 punti critici, con gli ultimi sei oltre i 2°C, su scale temporali che variano da pochi anni a secoli.

Durante tutta la conferenza ci sono state critiche sul modo in cui è stata gestita dalla presidenza egiziana. In alcuni momenti sembrava che si stesse muovendo troppo lentamente e negli ultimi due giorni è stato riferito che seguiva procedure tutt'altro che trasparenti, il che significava che era difficile per i delegati essere sicuri che tutti stessero avendo la stessa visione delle cose. Annalena Baerbock, il ministro degli Esteri tedesco, ha rilasciato una dichiarazione accusando la presidenza di "ostruzionismo e carenze organizzative", e ha affermato che solo un'alleanza transcontinentale progressista ha impedito il "fallimento totale della Conferenza".

Che ruolo ha avuto l'Europa alla COP 27? Il capo dell'esecutivo, Ursula von der Leyen, ha descritto l'accordo COP 27 come "un piccolo passo verso la giustizia climatica", ma ha affermato che per il pianeta serve molto di più. "Abbiamo curato alcuni dei sintomi ma non curato il paziente dalla febbre. COP 27 ha mantenuto vivo l'obiettivo degli 1.5 °C. Sfortunatamente, tuttavia, non ha ottenuto l'impegno dei principali emettitori mondiali di ridurre gradualmente i combustibili fossili, né nuovi impegni sulla mitigazione del clima". Venerdì, con una drammatica inversione a U, l'Unione Europea ha aderito alle richieste dei paesi poveri di creare un nuovo fondo per affrontare le perdite e i danni causati dal riscaldamento globale, una decisione che ha aperto la strada all'accordo all'inizio di domenica. Si è poi dichiarata lieta che la COP 27 abbia aperto un nuovo capitolo sul finanziamento delle perdite e dei danni e abbia gettato le basi per un nuovo metodo di solidarietà tra chi ha bisogno e chi può aiutare, così contribuendo a  ricostruire la fiducia tra Sud e Nord del mondo.

C'è una lezione che viene dalla COP 27 per la COP del prossimo anno nello Stato petrolifero per eccellenza, secondo la UCL:

  • Avviare i negoziati ora e lavorare sodo per i prossimi 12 mesi in modo che tutti i paesi siano pronti a raggiungere un accordo chiaro.

  • Seguire un processo aperto e trasparente in modo che tutti i paesi comprendano ciò che viene negoziato e la fiducia possa essere ripristinata.

  • Spingere i paesi chiave ad aumentare le loro ambizioni e presentare impegni migliorati in modo che ci sia la possibilità di restare entro il limite di 1,5 °C con particolare attenzione all'eliminazione graduale dei combustibili fossili.

  • Le nazioni ricche, inclusi sia i paesi ad alto reddito che le economie emergenti, devono contribuire ai fondi per l'adattamento e a una struttura per perdite e danni trasparente ed efficace. La giustizia climatica dovrà essere al centro dei negoziati per la COP 28 poiché sarà necessario mettere sul tavolo i soldi per il rapido sviluppo delle energie rinnovabili, oltreché per l'adattamento, le perdite e i danni.

Alla fine della ennesima delusione, tutti stiamo vedendo, ancora una volta, i limiti delle COP nella governance della lotta ai cambiamenti climatici. Come andare oltre? Secondo ancora la UCL quello che serve è un apparato meno ingombrante e più maneggevole, che si concentri sugli aspetti più critici della crisi climatica, che faccia il suo lavoro in gran parte al riparo dei media e che presenti un volto meno amichevole verso il settore dei combustibili fossili. Una via da seguire, quindi, potrebbe essere quella di istituire una serie di organismi più piccoli, ognuno dei quali si occupi di una delle questioni chiave, in particolare energia, agricoltura, deforestazione, trasporti, perdite e danni e forse altri. Tali organismi funzionerebbero a tempo pieno, mantenendosi in contatto tra loro e forse riunendosi un paio di volte all'anno. Idealmente, dovrebbero essere composti da rappresentanti sia dei paesi sviluppati che di quelli della maggioranza del mondo. In contatto diretto con i rappresentanti dei governi nazionali, parte del loro mandato consisterebbe nel negoziare accordi che siano realizzabili, legalmente vincolanti e che effettivamente svolgano il lavoro, sia che si tratti di invertire la deforestazione, ridurre le emissioni di metano o ridurre il consumo di carbone. Man mano che tutti i termini e le condizioni saranno concordati, questi potrebbero essere convalidati e firmati dai leader mondiali come una cosa ovvia e senza la necessità del clamore di una conferenza globale.

Per concludere la nostra documentazione, teniamo conto che i commenti sulla COP 27 sono e saranno sempre  più numerosi. Incominciamo  a segnalare progressivamente i più pertinenti. Il primo posto spetta al  Guardian, cui tutti dobbiamo riconoscere un giornalismo di straordinaria qualità nei giorni di Sharm. Ci sono poi IISD, Nature, Carbonbrief, WRI, BBC, Washington Post, Le Monde_1, Le Monde_2, La Repubblica Green and Blue, Climate Home News, Italy for climate,  Reuters, The Times, Politico, Huffington Post, Quartz, Financial Times, Axios, El Pais, Bloomberg, Al Jazeera, CMCC, Daily Star, Inside Climate News, Sbilanciamoci, Valigia Blu, Resilience ...
 

TORNA SU

19 e 20 Novembre 2022. è l'extra time della speranza per la COP 27

In apertura di giornata l'Europa prende la parola per dire che non firmerà un accordo che dia gli 1,5 °C per liquidati, come pare intenzione del pessimo Presidente egiziano. Meglio nessuna decisione che una cattiva decisione. L'Australia si schiera. John Kerry ha preso il Covid. Mancherà sul ring della conclusione di Sharm il Paese da sempre protagonista. Non è una buona notizia. George Monbiot twitta dall'Inghilterra: "La COP 27 è il culmine di 50 anni di fallimenti deliberati e ingegnerizzati. I governi del mondo hanno il culto della morte, costruito attorno alle richieste di anziani miliardari". Teresa Ribera, ministro dell'ambiente spagnolo ha detto che la Spagna si ritirerà in assenza di un accordo "equo": “Non faremo parte di un risultato che riteniamo ingiusto e non efficace. Non voglio vedere un risultato che possa tornare indietro rispetto a ciò che abbiamo già fatto a Glasgow" per colpa del Presidente egiziano.

Dal resto del mondo suonano voci diverse e preoccupanti:  a che serve  l'impegno di 1.5 °C tanto caro all'UE e ad altri paesi  se le nazioni ricche e inquinanti non  pagano i loro debiti climatici? Come possiamo rimanere al di sotto di 1,5 °C quando i paesi ricchi continuano a investire in combustibili fossili e si rifiutano di fare la loro giusta quota di azione per il clima, non riuscendo a fornire adeguati finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo per sostenere la giusta transizione energetica?. Siamo al rimpallo totale delle responsabilità. Qualcuno vuole aprire la strada al disastro, ma il presidente della COP, Sameh Shoukry, ha affermato che l'ultimo testo manterrà vivo l'obiettivo degli 1,5 °C.

Il principale punto critico della COP 27 è la creazione del fondo per perdite e danni: finanziamenti forniti dalle nazioni ricche a quelle più povere per aiutarle a prepararsi e riprendersi dai peggiori impatti del collasso climatico. Alcuni, specialmente sulla stampa di destra, hanno inquadrato questo come riparazioni, un termine molto pesante e anche fuorviante, poiché ai sensi dell'articolo 8 dell'accordo sul clima di Parigi è esplicitamente chiarito che la perdita e il danno "non comportano né forniscono una base per alcuna responsabilità o risarcimento".

Poco dopo mezzogiorno di sabato, ora locale, viene fuori un nuovo testo dell'accordo. Si tratterebbe  solo una proposta del presidente egiziano priva  di qualsiasi riferimento alla graduale riduzione o eliminazione dei combustibili fossili, che  invece copia il testo della COP 26 di Glasgow sull'eliminazione graduale del carbone e sull'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti. L'India e gli Stati Uniti hanno peraltro sostenuto l'inserimento nel testo della eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. La nuova serie di bozze di testi, sebbene ancora con molte riserve, avrebbe la novità di un potenziale appello a riformare il sistema finanziario globale e, cosa più importante, una proposta per il fondo per perdite e danni che finora è stata accolta con favore da alcuni paesi in via di sviluppo e attivisti. Soddisfazione viene dal G77 sui finanziamenti che vedono che il  testo, almeno per ora, offre speranza alle persone vulnerabili che riceveranno aiuto per riprendersi dai disastri climatici. Ora c'è un percorso basato su un nuovo accordo di finanziamento che affronterà perdite e danni nei paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili. I paesi sviluppati volevano scegliere quali paesi ne avrebbero beneficiato, ma ora c'è un accordo secondo cui tutti i paesi in via di sviluppo saranno ammissibili. "Questo è un momento unico ed emozionante”, dichiarano i negoziatori.

Nel pomeriggio la bozza di testo è stata modificata per includere una frase importante per l'UE, che è quella di dare la priorità ai "paesi particolarmente vulnerabili" come destinatari del fondo. La preoccupazione dell'UE è che il fondo non venga utilizzato da paesi con risorse economiche proprie, e spesso con elevate entrate petrolifere, che dal 1992 sono ancora classificati come paesi in via di sviluppo. Paesi come il Qatar, il Kuwait e l'Arabia Saudita potrebbero essere ammissibili ai fondi, ma, ad esempio, l'Ucraina no, se la definizione di beneficiari fosse semplicemente  quella di paesi in via di sviluppo. In ogni caso la Convenzione climatica non permette che vengano esclusi.

Con sollievo di tutti c'è stato l'accordo sull'Articolo 6 di Parigi, cioè sul mercato del carbonio. Il testo è stato adottato senza discussione e tra gli applausi durante i negoziati finali questa mattina. Rinvia al consiglio di sorveglianza delle Nazioni Unite la questione se i progetti di rimozione del carbonio, come la CCS, la cattura e lo stoccaggio del carbonio, possano essere considerati idonei per il rilascio dei permessi di emissione e, sostanzialmente apre la strada alla decisione per il prossimo anno.  Il nuovo testo non sembra includere alcuna indicazione per garantire che le raccomandazioni riformulate siano in linea con la scienza, il diritto internazionale, i diritti umani o i diritti dei popoli indigeni. Inoltre, non richiede che le procedure di governance, come il meccanismo di reclamo indipendente concordato a Glasgow, siano stabilite prima dell'attuazione dell'articolo 6, sebbene il consiglio di sorveglianza sia chiamato a ulteriori consultazioni. Infine, il testo non impone il requisito dei meccanismi di trasparenza, lasciando la possibilità di clausole di riservatezza che consentirebbero ai paesi di nascondere chi sta utilizzando le compensazioni, quando e per quale scopo. Preoccupa che le scappatoie esistenti siano state ampliate a favore delle imprese che intendono utilizzare incautamente compensazioni e rimozioni (offsetting) senza i diritti umani richiesti e altre garanzie, per ignorare il loro obbligo di ridurre effettivamente le emissioni. Senza riferimento ai diritti umani, al diritto internazionale e alla scienza, c'è un alto rischio che l'Organismo di vigilanza del mercato del carbonio e dello scambio dei crediti di emissione ancora una volta deluda le persone e le comunità indigene di tutto il mondo portando il mondo su percorsi che superano gli 1,5 °C.

La notizia a sorpresa è che Xie Zhenhua ha tenuto un piccolo briefing con la stampa, un raro momento di progresso nel mezzo di una conferenza impantanata in una situazione di stallo e aspri combattimenti tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Xie ha detto che lui e John Kerry hanno avuto discussioni molto costruttive e un dialogo stretto e attivo. Vogliamo, ha detto,  assicurare il successo della COP 27 e ragionare sulle nostre divergenze. Xie ha rivelato che intendeva proseguire con gli incontri formali dopo la COP 27, nella speranza di compiere maggiori progressi su questioni vitali come la tecnologia a basse emissioni di carbonio e la riduzione delle emissioni di metano. Tuttavia, ha aggiunto, si rifiuta di cambiare idea sullo status della Cina come paese in via di sviluppo e come tale privo di obblighi di fornire assistenza finanziaria alle nazioni povere. Ha affermato che la Cina ha fornito volontariamente aiuto ai paesi dell'America Latina, dell'Africa e altrove, compreso l'aiuto con i sistemi di allerta precoce di condizioni meteorologiche estreme, l'accesso alla tecnologia delle energie rinnovabili e la capacitazione dei governi. Nel fondo per perdite e danni, la responsabilità di fornire fondi spetta ai paesi sviluppati, ha affermato. Questa è la loro responsabilità e il loro obbligo. I paesi in via di sviluppo possono contribuire su base volontaria. I fruitori dovrebbero essere i paesi in via di sviluppo, i paesi fragili... e a quelli che ne hanno più bisogno, per primi.

Avrete notato che in questa COP, vicina agli stati petroliferi del Golfo, si è parlato poco di mitigazione. Il  nuovo accordo per il programma proposto dalla presidenza egiziana dice che la raccolta degli NDC continuerà fino al 2030, anziché avere termine entro il prossimo anno, quando ci sarà il Global stocktake delle emissioni, come volevano alcune nazioni. Ma esclude anche qualsiasi nuovo obiettivo. Ciò significherebbe non tempistiche più rapide per la consegna di migliori impegni NDC di riduzione delle emissioni da parte dei paesi, o la fissazione di date entro le quali il carbone dovrebbe essere gradualmente eliminato o le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco. Il testo parla di una transizione verso l'energia rinnovabile, ma non c'è niente sui combustibili fossili, il che significa che non c'è niente sulla vera causa del cambiamento climatico. Uno dei sauditi presenti a Sharm, ospite della prossima COP, non si è peritato di dire che non dovremmo prendere di mira le fonti di energia, ma dovremmo concentrarci sulle emissioni, nè dovremmo menzionare i combustibili fossili. Senza commenti!

Inizia a sera il lungo cammino del negoziato finale. L'Assemblea generale viene continuamente convocata e poi scalata. Si dovranno attendere le tre del mattino di domenica, con i delegati sdraiati a terra a dormire, perché l'Assemblea possa cominciare.

TORNA SU

 

18 Novembre 2022.  Ultimo giorno della COP 27. Un accordo è per ora improbabile, si va avanti

Succede l'incredibile!

Svitlana Romanko, ucraina, direttore del gruppo (Nazi?) Razom We Stand, che aveva protestato mercoledì a un evento del governo russo alla COP 27, gridando: "Siete criminali di guerra ...". si è trovata  sospeso il pass per la sede della COP 27 e ha dovuto lasciare l'Egitto, dicendo che temeva per la sicurezza personale, data la risposta brutale alle critiche da parte della Russia. Anche i critici di Biden erano stati espulsi. COP 27 è dunque una galera? Una Agenzia per il gas e i fossili? Alla COP 27 il paese che ha inviato più delegati in assoluto, nonostante una popolazione di meno di 10 milioni di abitanti, sono gli Emirati Arabi Uniti. Un totale di oltre mille delegati. Molti di questi, non sono diplomatici, ma semplici lobbisti, o se si vuole umoristi, autori di detti come "Il petrolio e il gas di cui disponiamo negli Emirati Arabi Uniti sono tra quelli a minore intensità di CO2 al mondo". Questi ospiteranno la COP 28. Può sembrare un controsenso che centinaia di persone che hanno l’obiettivo di ostacolare i lavori della COP 27 possano avervi accesso e i dissidenti vengano espulsi, ma è proprio così. Vane del tutto le richieste di escluderli.

Bozze del Documento finale continuano a circolare. Nel testo di ieri, le fonti fossili (carbone, petrolio, gas) sono citate una sola volta. E gli impegni rimangono gli stessi di Glasgow. Nei giorni scorsi l’India aveva lanciato la proposta di ridurle tutte, e non solo il carbone, come concordato l'anno scorso in Scozia. A mostrare supporto, Unione Europea, Regno Unito, piccole isole, Colombia e da ultimi gli Stati Uniti (che, però, fanno con ogni probabilità riferimento a quelle unabated per cui non sono previste procedure di abbattimento delle emissioni serra). I gruppi della società civile hanno risposto con rabbia al fallimento dell'ultima bozza di testo a sostegno dell'eliminazione graduale dei combustibili fossili.  Dicono: “Non possiamo considerare questa COP un successo se l'eliminazione graduale dei combustibili fossili non è nel testo. Non possiamo considerare questa una conferenza sull'attuazione, come dice la presidenza egiziana, perché non c'è attuazione senza l'eliminazione graduale dei combustibili fossili". La presidenza egiziana ha ignorato le richieste di India, Stati Uniti, UE, Regno Unito, Tuvalu e molti altri paesi europei per la graduale eliminazione dei combustibili fossili. Dicono anche che non accettano un linguaggio secondo cui i sussidi inefficienti ai combustibili fossili dovrebbero essere "razionalizzati". Il patto di Glasgow dell'anno scorso ha affermato che dovrebbero essere gradualmente eliminati.

Della bozza vengono mesi in luce altri deficit:

  • la soppressione dei riferimenti al diritto umano a un ambiente pulito;

  • nessun riferimento alla graduale eliminazione dell'oil & gas;

  • riferimenti a "sistemi energetici a basse emissioni" e "generazione di energia pulita" che aprono la porta alla continuazione della  promozione dei combustibili fossili invece del passaggio alle  energie rinnovabili;

  • nessun riferimento alla cruciale COP 15 sulla biodiversità in arrivo il prossimo mese e alla necessità di un risultato forte.

Resta indefinita la questione metano. Il punto è l'atteggiamento cinese. La Cina afferma di aver sviluppato una bozza di piano per ridurre le emissioni di metano, anche se non aderisce ad un impegno globale per ridurre il potente gas serra. L'inviato speciale, Xie Zhenhua, ha affermato ieri: "Siamo in procinto di ottenere l'approvazione della bozza del piano d'azione, che abbiamo già terminato. La Cina "spera di trovare cooperazione sulla questione". John Kerry ha presentato Xie all'evento in cui gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno annunciato che più di 150 paesi hanno firmato l'impegno da quando è stato lanciato lo scorso anno a Glasgow. Xie ha affermato che la Cina ha una bozza di strategia di riduzione del metano incentrata sulle tre fonti principali, energia, agricoltura e rifiuti, e che sta mettendo a punto  il processo legislativo e amministrativo. La Cina ha un po' di strada da fare in modo da poter fare sorveglianza e raccogliere statistiche, nonché verificare la strategia.

Sull'altro fronte caldo, quello finanziario, un importante passo avanti è arrivato dall'Unione europea che ha accettato di sostenere la creazione di un fondo per il finanziamento di perdite e danni. In cambio del fondo, i paesi si impegnerebbero a raggiungere il picco delle emissioni globali prima del 2025 e a ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili, non solo il carbone, come sancito nel patto sul clima di Glasgow lo scorso anno. L'offerta dell'UE su perdite e danni è andata bene ai paesi vulnerabili e alla maggior parte delle altre nazioni ricche. La Cina e gli Stati del Golfo si sono opposti, mentre gli Stati Uniti hanno taciuto. I grandi inquinatori Cina e India, da parte loro, sostengono che non dovrebbero contribuire perché sono ancora protetti dalla Convenzione che li considera paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti stanno resistendo a qualsiasi posizione che parli di compensazione, o di riparazioni, per decenni di emissioni di gas serra da parte delle nazioni industrializzate, così inchiodandole alle loro responsabilità storiche.  La proposta dell'UE è di istituire un fondo speciale per coprire le perdite e i danni nei paesi più vulnerabili, ma finanziato da un'ampia base di donatori. In cerca di una via di mezzo, il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, ha dichiarato che il fondo dovrebbe essere sostenuto dai paesi che accettano di intensificare la loro ambizione di rallentare il cambiamento climatico, Cina compresa, evidentemente. l'Europa sta dicendo che le economie emergenti ad alte emissioni come la Cina dovrebbero contribuire, piuttosto che avere il fondo finanziato solo dalle nazioni ricche che hanno storicamente contribuito maggiormente al riscaldamento terrestre. Nella lettura dei paesi in via di sviluppo, questi concetti erano già consolidati nel testo dell'accordo di Parigi, e gli sforzi per dargli ulteriori definizioni rischiano ora di restringere l'accesso al fondo solo a una piccola minoranza di paesi, piuttosto che riconoscere che la maggior parte del sud del mondo è vulnerabile all'impatto della crisi climatica. Critiche alla proposta UE arrivano dalla società civile perché concentrarsi solo sui paesi vulnerabili ed ampliare la base dei donatori sono due cose che vanno contro accordi già presi, con molte difficoltà, a Parigi. Questa spinta ad allargare la base dei donatori, in particolare, è un'abdicazione di responsabilità da parte dei paesi sviluppati. Sarebbe molto più credibile se gli Stati Uniti e l'UE, rispettassero effettivamente i loro obblighi di finanziamento del clima, ma non ci si stanno avvicinando neanche lontanamente. Quest'anno, le perdite e i danni totali causati dalle inondazioni sono stimati a 30 miliardi di dollari in Pakistan. Finora è stato finanziato solo il 20% di una richiesta di aiuti alle Nazioni Unite, che risponderà ai bisogni urgenti  ma non al recupero e alla ricostruzione a lungo termine. Almeno 25.000 scuole sono state danneggiate, costringendo i bambini, soprattutto le ragazze, a restare a casa. Anche le strutture sanitarie sono state distrutte, lasciando migliaia di donne in gravidanza senza cure prenatali e per il parto. La maggior parte delle famiglie non è in condizioni di affrontare il rigido inverno. Secondo calcoli assicurativi, le condizioni meteorologiche estreme nel 2022 hanno causato danni economici nel mondo per oltre 220 miliardi di dollari entro ottobre. Ad oggi, risultano impegnati in fondi per perdite e danni solo 300 milioni di dollari. Alcuni paesi come Belgio, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno promesso finanziamenti bilaterali per far fronte a perdite e danni. Sebbene ciò riconosca la responsabilità dei paesi a più alto reddito per perdite e danni, gli importi sono piccoli e simbolici.

L'idea di tassare i combustibili fossili, i voli e le spedizioni per ricavare fondi per il clima si è avvicinata un po' alla realtà con la proposta dell'Unione Europea su perdite e danni. Vi si afferma: "Dovremmo lavorare con il Segretario generale delle Nazioni Unite per trovare soluzioni per fonti di finanziamento innovative, comprese le imposte su aviazione, navigazione e combustibili fossili". Del resto proprio lui,  António Guterres, aveva dichiarato a settembre: “Chi inquina deve pagare. Chiedo a tutte le economie sviluppate di tassare i profitti inaspettati delle compagnie di combustibili fossili”. L'industria globale del petrolio e del gas ha incassato 1 trilione di dollari all'anno di puro profitto negli ultimi 50 anni, e probabilmente sarà il doppio nel 2022 con l'aumento dei prezzi dovuto alla guerra della Russia in Ucraina.

È una buona notizia che sia stato finalmente pubblicato il testo finale per il Santiago Network che fornisce assistenza tecnica, non finanziaria,  a coloro che devono affrontare perdite e danni.

En passant, mentre i negoziatori cercano freneticamente di concludere una sorta di accordo alla COP 27, l'industria dei combustibili fossili è al lavoro, con più di una dozzina di importanti accordi sul gas raggiunti durante le due settimane dei colloqui sul clima. Gli accordi annunciati includono un accordo tra Tanzania e Shell per un impianto di esportazione di GNL, una mossa del gigante francese Total per trivellare in Libano, una partnership tra Arabia Saudita e Indonesia sull'estrazione di petrolio e gas e un accordo guidato dagli Stati Uniti fornire nuovi investimenti in energie rinnovabili all'Egitto, in cambio di esportazioni di gas verso l'Europa. Non vi è alcun segno che le industrie petrolifere e del gas stiano rallentando, siamo a rischio di un'importante ondata di progetti sul gas che potrebbe spingerci oltre 1,5 °C. Per fortuna gli accordi sul gas sono  superati in numero da nuovi annunci di energia pulita: almeno 26 nuovi progetti o accordi rinnovabili sono stati annunciati pubblicamente dall'inizio della COP 27. 

C'è chi dà la partita per persa e la vede in un altro modo. La sede della Cassa Depositi e Prestiti italiana è stata verniciata di  arancione mercoledì, nell'ultima uscita dei manifestanti contro il cambiamento climatico. La vernice è stata spruzzata attorno all'ingresso principale dell'edificio, dopodiché una manciata di attivisti ha incollato le proprie mani alle pareti esterne. Sono stati rimossi con la forza dalla polizia. Il CDP è stato preso di mira perché investe miliardi in progetti di combustibili fossili in tutto il mondo, ha affermato in una nota il gruppo Ultima Generazione. Bloccano di quando in quando il Raccordo anulare di Roma. Echeggiano gli Extinction rebellion nati in Inghilterra. Due settimane fa, membri dello stesso gruppo hanno lanciato minestra di piselli contro un dipinto di Vincent Van Gogh prestato da un museo olandese per una mostra a Roma. Si accettano dubbi sulla tattica.

TORNA SU

17 Novembre 2022.  è il giorno delle soluzioni? Compare una bozza dell'accordo finale

La UN FCCCC ha pubblicato una prima bozza di un accordo finale del vertice sul clima della COP 27, la cd. cover decision, che ripete in peggio molti degli obiettivi dello scorso anno e lascia le questioni controverse ancora da risolvere. Il documento di 20 pagine è etichettato come nonpaper, gergo che indica che è ben lungi dall'essere una versione definitiva quando mancano ancora poche ore di vita ai negoziati tra delegati di quasi 200 paesi. La redazione del Guardian ha pubblicato una analisi della bozza di straordinaria qualità, alla quale rinviamo tutti coloro che volessero comprendere a fondo la portata di questo testo.

La prima bozza di accordo mantiene l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, ma lascia irrisolte molte delle questioni più controverse. Indebolisce l'obiettivo del patto per il clima di Glasgow dell'anno scorso con la frase: "Accelerare le misure verso l'eliminazione graduale e senza sosta dell'energia a carbone e l'eliminazione graduale e la razionalizzazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili". Alla COP26 di Glasgow, i paesi avevano concordato di sviluppare un piano per "aumentare urgentemente" gli sforzi di riduzione delle emissioni riconoscendo che il mondo avrebbe bisogno di ridurre le emissioni del 45% entro il 2030 per mantenere il riscaldamento entro 1,5 °C, la soglia oltre il quale gli scienziati affermano che il cambiamento climatico rischia di sfuggire al controllo. Le temperature sono già aumentate di 1,1 °C. La bozza non contiene l'eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili, come avevano chiesto l'India e l'Unione europea. Sui sussidi il termine "razionalizzazione" non c'era a Glasgow, ed è molto preoccupante.

Una ricerca pubblicata l'anno scorso  mostra che molti paesi riportano in modo errato le emissioni, inclusa quella del metano, e quindi gli appelli alla trasparenza della bozza sono più importanti che mai. Nel gergo delle Nazioni Unite, la trasparenza richiede misurazione, rendicontazione e verifica delle emissioni. Alcuni, come, manco a dirlo, russi e sauditi,  sono riluttanti a sottoporsi a qualsiasi controllo esterno delle proprie emissioni, vedendolo come una violazione della propria sovranità nazionale. Ma senza verifica, gli sforzi del mondo per rimanere entro gli 1,5 °C saranno vani. Altri si oppongono a qualsiasi riferimento nel testo all'IPCC, cioè alla scienza del clima. Si comprende che avere questo riconoscimento nel testo è essenziale: senza di esso le argomentazioni intorno al limite di 1.5 °C perdono la loro base scientifica.

Il documento dà spazio alla tematica, a noi cara, della giusta transizione. In sostanza, significa aiutare coloro che hanno un lavoro o dipendono dai combustibili fossili a ottenere lavori ben pagati in industrie pulite a basse emissioni di carbonio. Alla COP 26 il Sudafrica ha aperto la strada alla prima partnership per una transizione giusta, per aiutare i lavoratori del carbone. Alla COP 27 è stata annunciata per l'Indonesia una partnership simile, del valore di 20 miliardi di dollari.

I delegati sanno che il punto critico di questa COP è il lancio di un fondo "perdite e danni" per il finanziamento dei paesi devastati dagli impatti climatici. Il testo non include i dettagli per il lancio di un tale fondo, una richiesta chiave da parte dei paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico, come le nazioni insulari. Piuttosto, "accoglie con favore" il fatto che l'argomento sia stato ripreso come parte dell'agenda ufficiale di quest'anno. Non viene indicata  una tempistica per decidere se un fondo separato debba essere creato o come dovrebbe essere gestito. Alcuni paesi sostengono un approccio a mosaico  che raccoglierebbe finanziamenti da una varietà di fonti, tra cui la Banca Mondiale e altre istituzioni di finanza pubblica, e anche iniziative come il Global Shield, un'idea tedesca per un programma assicurativo che pagherebbe rapidamente ai paesi poveri in caso di catastrofe. Proprio sulla Banca Mondiale la bozza usa un linguaggio forte in favore della  riforma della banca, che potrebbe essere uno dei risultati più produttivi di questi colloqui, dando seguito alla perorazione di Mia Mottley, primo ministro delle Barbados, e dell'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Tuttavia, i G 77 vogliono fermamente vedere un unico nuovo strumento finanziario per perdite e danni, che sostituirebbe qualsiasi finanziamento esistente e potrebbe prelevare denaro da meccanismi come la tassa globale sul carbonio. È improbabile che il dibattito su quale forma debba assumere tale finanziamento si risolva qui a Sharm.  Sarà un'amara delusione per i paesi in via di sviluppo, che accusano le nazioni ricche, come gli Stati Uniti, di tergiversare. Le nazioni ricche affermano di sostenere il finanziamento di perdite e danni, ma che devono lavorare sui dettagli, come chi governerebbe le strutture finanziarie e come verrebbero erogati i soldi.

Altre questioni irrisolte includono le richieste per rafforzare un obiettivo globale di finanziamento per aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi agli impatti di un mondo più caldo e piani per aumentare gli obiettivi per ridurre le emissioni di riscaldamento climatico. Il raddoppio della quota dei finanziamenti per l'adattamento entro il GCF è fondamentale per i paesi più poveri. Al momento, la maggior parte dei finanziamenti per il clima fluiscono verso paesi a reddito medio, in gran parte per progetti che avrebbero potuto essere redditizi, e hanno ottenuto investimenti del settore privato, anche senza gli aiuti. I progetti di adattamento, al contrario, sono quasi impossibili da finanziare da fonti del settore privato, ma sono letteralmente un'ancora di salvezza per le comunità minacciate. Progetti come la ricrescita delle paludi di mangrovie, il ripristino di foreste e zone umide, la costruzione di edifici più robusti e l'installazione di sistemi di allerta precoce, possono salvare vite in caso di condizioni meteorologiche estreme. I loro vantaggi sono enormi, ma diffusi, quindi le aziende del settore privato non avrebbero profitti come farebbero per un parco eolico o pannelli solari. Ciò significa che se vogliamo che più fondi disponibili per il clima vadano dove è più necessario, una percentuale molto maggiore deve essere destinata all'adattamento.

ll documento contiene le richieste che i delegati di quasi 200 paesi hanno cercato di includere nell'accordo finale. Fornirà una base per i negoziati nei prossimi giorni che probabilmente arricchiranno e rielaboreranno sostanzialmente il testo. I paesi sviluppati non hanno ancora onorato l'accordo del 2009 per raccogliere 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo a passare all'energia pulita e ad adattarsi agli impatti climatici. Ciò avrebbe dovuto accadere entro il 2020, ma i finanziamenti rimangono, si stima, tra i 17 e i 79 miliardi  di US$, a secondo dei conteggi. Alla COP 27, i negoziatori stanno già lavorando a un nuovo obiettivo per sostituire quello da 100 miliardi di dollari, che entrerà in vigore entro il 2025. Non ci sono ancora numeri sul tavolo, ma una cosa è chiara: il vecchio approccio alla raccolta fondi per il clima va rivisto. La volontà politica necessaria non solo per fare promesse, ma per mantenerle, sembra ancora da conseguire. Nella bozza si propone il differimento dei pagamenti del debito sovrano a seguito di disastri naturali, l'utilizzo di prestiti speciali a basso costo del Fondo monetario internazionale (FMI) e il rafforzamento della tolleranza della Banca mondiale per il rischio di investimento. La scorsa settimana il UNDP ha avvertito che più di 50 paesi rischiano l'inadempienza per il proprio debito, con conseguenze potenzialmente disastrose per le loro società,  eppure la maggior parte dei finanziamenti per il clima forniti ai paesi più poveri arriva ancora sotto forma di prestiti, con tassi di interesse elevati e gravosi requisiti di rimborso. Fornire più soldi tramite sovvenzioni o finanziamenti agevolati e abbassare il costo del capitale per i più poveri sono priorità chiave per questi paesi. Per la prima volta, i cambiamenti realmente trasformativi dell'architettura finanziaria globale sembrano essere  presi sul serio con una serie piuttosto rivoluzionaria di proposte sul tavolo e uno schieramento senza precedenti di paesi a basso, medio e alto reddito che vi si riconoscono. Nicholas Stern, il padre dell'economia del clima, ha pubblicato la scorsa settimana un documento, commissionato congiuntamente dai governi del Regno Unito e dell'Egitto, che mostra che sarebbero necessari circa 2,4 trilioni di dollari all'anno per consentire ai paesi in via di sviluppo, esclusa la Cina, di spostare le loro economie verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Sembra molto, ma Lord Stern sottolinea che è solo circa il 5% in più rispetto all'investimento che è già stato pianificato per continuare a sviluppare attività ad alto contenuto di carbonio. Secondo Stern, l'investimento aggiuntivo rientra ampiamente nelle capacità della Banca Mondiale e di altre istituzioni di finanza pubblica, con il contributo del settore privato.

Questa pletorica bozza riflette quasi ogni elemento che è stato discusso in qualsiasi forma in questa COP. I sostenitori dell'azione per il clima saranno incoraggiati dal linguaggio che afferma l'importanza di 1,5 °C, la riduzione graduale del carbone e l'impegno a raddoppiare i finanziamenti per l'adattamento. Ma vorranno vedere nella prossima versione di questo testo un impegno più chiaro e più evidente per il limite degli 1,5 °C e un impegno a definire un percorso vincolante su come il carbone deve essere gradualmente ridotto con urgenza, piuttosto che la vaga promessa di una eventuale riduzione graduale che è presente al momento. Continuiamo però a riscontrare che alcune delle questioni più controverse, principalmente perdite e danni, devono ancora essere risolte. Con la conclusione della COP prevista per le 18:00 ora egiziana (16:00 GMT) di venerdì, i colloqui quasi sicuramente proseguiranno fino a sabato, ma con i paesi così distanti ancora su questioni chiave sembra che ci siano poche soluzione in vista. Durante tutti i colloqui, lo abbiamo detto e ripetuto,  è sempre stato improbabile un accordo definitivo sulle perdite e danni, ma il fatto che i paesi ne parlino ancora in modo approfondito è un passo avanti.

Vista la bozza, UE, Canada e UK, in un faccia a faccia con la presidenza egiziana, hanno chiesto un impegno più serio per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 °C. C'è la sensazione sul campo che questa COP potrebbe essere l'inizio della fine degli 1,5 gradi. Uno studio del Met Office inglese, pubblicato sulla rivista Weather, mostra che gli impegni a ridurre le emissioni di gas serra concordati lo scorso anno alla conferenza sul clima di Glasgow  non saranno probabilmente sufficienti per limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. L'attuazione di tutti gli impegni di Glasgow porterebbe le emissioni globali annuali di anidride carbonica equivalenti a un valore compreso tra 45 e 49 Gt entro il 2030, ma a questo livello non ci sono percorsi futuri che possano evitare di superare gli 1,5 °C. Per dare alla soglia di 1,5 °C almeno una probabilità del 50% di essere raggiunta senza un continuo overshoot, dobbiamo vedere le emissioni annuali scendere a circa 30 Gt entro il 2030.

Antonio Guterres, segretario generale dell'ONU, appena arrivato da Bali dopo la riunione del G20, si dichiara frustrato dalla mancanza di progressi alla COP 27. Avverte che il tempo sta  finendo, sia per i colloqui a Sharm El-Sheikh che per il pianeta. L'orologio climatico corre e la fiducia continua a scendere.  Identifica tre aree in cui è necessario un compromesso:  perdite e danni;  l'enorme divario tra gli impegni dei paesi sulle emissioni di gas serra negli NDC e i tagli necessari per rimanere entro 1,5 °C  e i 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima, che ai paesi in via di sviluppo erano stati promessi  per il 2020, entro i quali  la percentuale destinata ai progetti di adattamento deve esseree raddoppiata. L'obiettivo 1.5 °C non riguarda semplicemente il mantenimento in vita: si tratta di mantenere in vita le persone. Vede la volontà di mantenere l'obiettivo, ma occorre garantire che l'impegno sia evidente nell'esito della COP 27. Ha chiesto un'espansione dei partenariati per una transizione giusta, del tipo annunciato lo scorso anno a Glasgow per il Sud Africa e questa settimana per l'Indonesia, per aiutare i lavoratori a passare dai lavori nel carbone a quelli nelle energie rinnovabili. Ha anche chiesto la riforma della Banca Mondiale e delle sue banche multilaterali di sviluppo e l'espansione delle energie rinnovabili, che ha chiamato "la via di uscita dall'autostrada verso l'inferno climatico".

Voci raccolte tra i negoziatori  dicono che secondo gli  egiziani il testo inviato questa mattina è una semplice compilation piuttosto che una bozza di testo. Le consultazioni sul testo hanno poi avuto luogo, ma sono state più che altro una ripetizione di discussioni precedenti. Inoltre, non è chiaro come le discussioni su perdite e danni verranno risolte e incluse in qualsiasi bozza di testo. Nell'attuale testo ci  sono per lo più vuoti, con i segnaposti che mostrano che quasi nulla sull'argomento è stato ancora concordato. Il documento non contiene nemmeno un testo corretto. È solo un elenco di argomenti.

TORNA SU

 

16 Novembre 2022.  Giornata della biodiversità. Lula alla COP 27

Le discussioni sul clima devono andare di pari passo con l'ambiente e quindi con la biodiversità. Questo non significa solo guardare a come garantire che la biodiversità sia mantenuta e promossa, ma anche come la natura stessa possa essere uno strumento vitale per proteggere il pianeta dal cambiamento climatico.

In fatto di biodiversità la Costa Rica è stata a lungo una superstar ambientale sulla scena internazionale. È l'unico paese tropicale al mondo che ha fermato e invertito con successo la deforestazione e quasi tutta la sua elettricità proviene da energie rinnovabili. Un anno fa alla COP 26, ha lanciato un'alleanza con la Danimarca, leader mondiale dell'indice Germanwatch,  la Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA), per fissare una data di fine per l'esplorazione e l'estrazione di petrolio e gas. Ma l'elezione di un nuovo presidente all'inizio di quest'anno ha cambiato la posizione del paese centroamericano. Rimane un membro del BOGA, ma il ministro costaricano non ha partecipato all'evento dell'alleanza oggi alla  COP 27, dove le Fiji e lo stato americano di Washington sono stati annunciati come nuovi membri.

Ma il fatto che segna la giornata della biodiversità è senza dubbio l'intervento del Presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva. che sfida l'attuale establishment globale. “Quando ero presidente del Brasile, ho detto che l'ONU doveva essere riformato. Non riesco a immaginare che le Nazioni Unite siano guidate dalla stessa logica geopolitica della seconda guerra mondiale. Il mondo è cambiato. I continenti vogliono essere rappresentati. Non c'è alcuna spiegazione sul perché i vincitori della seconda guerra mondiale dovrebbero avere in mano il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il mondo ha bisogno di una nuova governance globale sulla questione climatica. Se c'è una cosa che dobbiamo cambiare sulla governance globale, è il cambiamento climatico. Altrimenti il ​​tempo passa, si muore e le cose non cambiano. È con questo obiettivo che sono tornato per unirci. Non sono tornato per fare quello che ho già fatto. Sono tornato per fare di più. Voglio creare un mondo più giusto e un'umanità più efficace. Quando il Brasile presiederà il G 20 nel 2024, l'agenda sul clima sarà una delle priorità principali. I paesi ricchi hanno detto a Copenaghen che avrebbero raccolto 100 miliardi di dollari  per aiutare i paesi meno sviluppati ad affrontare il cambiamento climatico. Abbiamo bisogno di meccanismi finanziari per rimediare alle perdite e ai danni causati dai cambiamenti climatici. Non possiamo rimandare questo dibattito". Avanza due proposte. La prima è un incontro dei paesi amazzonici per guardare allo sviluppo integrato della regione. La seconda proposta è che il Brasile ospiti la COP 30 nel 2025 nella regione amazzonica.

“Non c'è sicurezza del pianeta senza un'Amazzonia protetta. Faremo tutto il necessario per azzerare la deforestazione e il degrado. Daremo la priorità alla lotta contro la deforestazione  e invertiremo gli anni dei governi precedenti. Nel 2021 abbiamo avuto una deforestazione di 13.000 kmq. Rafforzeremo gli organi di controllo. Puniremo le attività illegali: minatori d'oro, taglialegna, agricoltori. Queste azioni colpiscono soprattutto i nativi. Ecco perché creeremo un ministero di nativi in ​​modo che possano far sentire la propria voce. Nessuno è al sicuro. Negli Stati Uniti vivono con tempeste tropicali sempre più potenti. In Brasile, che è una foresta e vive di energia idroelettrica, abbiamo sperimentato siccità e inondazioni devastanti. L'Europa affronta una situazione di caldo estremo con incendi e vittime senza precedenti. E anche se è il continente con le più basse emissioni di gas serra, in Africa è siccità. Dobbiamo creare fiducia con la nostra gente e superare il nostro interesse nazionale immediato in modo da poter costruire un nuovo ordine internazionale per superare i bisogni dei tempi presenti. Vorrei dire a tutti voi che il Brasile è tornato per riprendere i suoi legami con il mondo e per combattere ancora una volta la fame nel mondo. Cooperare ancora una volta con i paesi più poveri, in primis l'Africa, collaborare con i trasferimenti di tecnologia per costruire un futuro migliore per i nostri popoli. Siamo tornati per aiutare a costruire un ordine mondiale pacifico basato sul dialogo e sul multilateralismo. Il mondo di oggi non è lo stesso mondo del 1945. Al potere di veto del Consiglio di sicurezza deve essere posta fine per una vera pace".

“Il pianeta ci avverte in ogni momento che abbiamo bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere. Da soli siamo vulnerabili alla tragedia climatica. Tuttavia abbiamo ignorato questi avvertimenti. Abbiamo speso trilioni di dollari che si traducono solo in distruzione e morte. Viviamo un momento in cui abbiamo molteplici problemi: guerra nucleare, crisi dell'approvvigionamento alimentare, energia, erosione della biodiversità, disuguaglianze. Questi sono tempi difficili. Ma è sempre stato in tempi difficili che l'umanità ha superato le sfide. Serve più fiducia".

A Sharm aumentano le preoccupazioni per gli esiti della COP 27, che saranno con ogni probabilità deludenti. I paesi in via di sviluppo vulnerabili sono molto preoccupati per i negoziati per perdite e danni. Ma l'alleanza dei piccoli Stati insulari, il blocco negoziale AOSIS, teme che molti paesi sviluppati stiano facendo marcia indietro sul loro impegni: "Abbiamo lavorato duramente negli ultimi 30 anni per essere ascoltati su questo tema. Siamo andati troppo lontano per fallire. Ma alcuni paesi sviluppati stanno cercando di bloccare a tutti i costi il progresso e, peggio ancora, di esporre i piccoli stati insulari in via di sviluppo. Quindi, non solo stanno causando i peggiori impatti della crisi climatica, ma stanno giocando con noi". Finora ci sono state solo consultazioni informali su questo punto critico dell'agenda e nessun avvio ufficiale di negoziati. La notizia che Germania e Norvegia riapriranno il fondo Amazon è stata accolta favorevolmente. In Norvegia, c'è stata un'immediata reazione positiva alla vittoria di Lula con l'offerta del governo di riaprire l'accesso alle risorse finanziarie per l'Amazzonia. Queste risorse sono state congelate a seguito delle azioni politiche negative di Bolsonaro che hanno portato la deforestazione a livelli record e minato i diritti degli indigeni. Indubbiamente i diritti dei popoli indigeni sono ora tornati in cima all'agenda con l'intervento di Lula che ha promesso di restituire ai popoli indigeni il ruolo di protagonisti.

Il G 20 di Bali comincia a dare frutti. L'inviato statunitense John Kerry ha incontrato ieri il suo omologo cinese Xie Zhenhua alla COP  27 per un ulteriore accenno al miglioramento delle relazioni tra i due principali inquinatori mondiali, vitali per progressi sostanziali contro il riscaldamento globale. Si profila una ripresa a tutti gli effetti dei colloqui sul clima tra i due paesi, che Pechino aveva sospeso tre mesi fa come rappresaglia per il viaggio a Taiwan della portavoce democratica Nancy Pelosi. Kerry e Xie si sono incontrati per circa 45 minuti negli uffici della delegazione cinese.  Kerry avrebbe detto: "Abbiamo avuto un ottimo incontro, ma era troppo presto per parlare di eventuali differenze rimanenti". Sembra che ora Kerry stia ora appoggiando la proposta indiana di ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili evitando di appoggiare progetti che danno luogo ad emissioni incontrollate. Alla proposta dell'India hanno aderito l'Europa a 27 e il Regno unito. Si riferisce che Kerry avrebbe detto: “Abbassare gradualmente, senza sosta, nel tempo, petrolio e gas". è il concetto di phase down di Glasgow, colà introdotto proprio dall'India, solo per il carbone. Dall'altro lato, in Cina le produzioni di carbone grezzo usato per produrre materie prime piuttosto che elettricità, petrolio greggio, gas naturale ed elettricità hanno mantenuto la crescita anno su anno, con il Paese che ha prodotto 370 Mt di carbone, in crescita dell'1,2%. Rispetto a settembre, il tasso di crescita del carbone grezzo industriale è diminuito, il tasso di crescita del greggio e del gas naturale ha accelerato e la produzione elettrica è di nuovo in aumento. L'attività economica cinese si è indebolita in ottobre a causa dalle politiche zero-covid e dal crollo del mercato edilizio. Xi al G20  affermato: “Nell'affrontare il cambiamento climatico e la transizione verso uno sviluppo green a basse emissioni di carbonio, è necessario rispettare il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. È anche importante fornire finanziamenti, tecnologia e supporto per il rafforzamento delle capacità dei paesi in via di sviluppo e promuovere la cooperazione sulla finanza green. La sicurezza alimentare ed energetica è la sfida più urgente nello sviluppo globale. La causa principale delle crisi in corso non è la produzione o la domanda, ma l'interruzione delle catene di approvvigionamento e della cooperazione internazionale.  Nel ridurre il consumo di energia da combustibili fossili e nella transizione verso l'energia pulita, dobbiamo prendere in considerazione in modo equilibrato vari fattori e assicurarci che il processo di transizione non danneggi l'economia o il benessere delle persone.

Intanto ai margini della COP 27 si continuano a firmare accordi per il gas africano. Se ne contano almeno nove. COP 27 rischia di essere ricordata come la COP del gas. Dalla platea africana viene la richiesta ai governi europei di fermare la corsa per il gas del continente. Le società tedesche, italiane e di altri paesi hanno setacciato l'Africa alla ricerca di alternative alle forniture russe sulla scia dell'invasione dell'Ucraina di febbraio, sollevando timori che nuovi progetti bloccheranno l'Africa in una dipendenza a lungo termine dai combustibili fossili. Ancor più assurdo è che nel frattempo l'Egitto, ospite della COP 27 sta aumentando l'uso dell'olio combustibile pesante low quality in 20 centrali elettriche, al fine di liberare gas per l'esportazione in Europa. Un informatore del Ministero egiziano dell'elettricità e delle energie rinnovabili ha detto che, in precedenza, l'olio pesante era stato gradualmente eliminato a causa dei suoi effetti nocivi sulla salute.
 

TORNA SU

15 Novembre 2022. Doppio tema, l'energia e la società civile. Prende la parola la Federazione russa

Un'azione efficace per il clima richiede la partecipazione di tutte le parti interessate. Che si tratti di giovani, ONG, società civile o azionisti di grandi istituzioni finanziarie, è importante che tutti gli stakeholder trovino spazio al tavolo dei negoziati. Rinnovabili, sviluppo tecnologico, digitalizzazione: la mitigazione dei cambiamenti climatici non può prescindere da profondi cambiamenti nel modo in cui l'energia viene prodotta e utilizzata, ma questa rivoluzione non dovrebbe lasciare indietro nessuno. Garantire una transizione giusta nel settore energetico è un tema centrale alla COP 27.

Nel cuore del negoziato, ormai in dirittura d'arrivo e in affanno, i ministri  e i diplomatici di quasi 200 paesi hanno iniziato il duro lavoro per trovare un terreno comune  per un accordo, che per ora ha messo in mano ai delegati solo un primo schema abbozzato. I ministri sono arrivati ​​questa settimana a Sharm per prendere il testimone dai negoziatori, ma la presidenza egiziana non sembra essere pronta e all'altezza di concludere il vertice in maniera soddisfacente. Il Presidente Sameh Shoukry ha detto lunedì in plenaria che le discussioni tecniche continueranno fino a questa sera e le consultazioni ministeriali su questioni chiave in sospeso inizieranno solo mercoledì. Tradizionalmente, i rappresentanti dei paesi sviluppati e dei paesi in via di sviluppo vengono accoppiati per trovare zone di compromesso sulle questioni più spinose, ma questo metodo comprime i tempi per eliminare le differenze politiche. Mentre si tratta più o meno duramente, i ministri vanno alle tavole rotonde dove parlano in linguaggi tanto cortesi quanto criptici. Non c'è consenso su come aumentare gli obiettivi nazionali di emissione. Le linee di scontro sul finanziamento delle perdite e dei danni non si sono mosse: le opzioni sono creare una nuova struttura o lavorare con un mosaico di accordi di finanziamento. Sarà una seconda settimana veramente difficile per i negoziatori sul clima alla COP 27. In privato, sia i negoziatori dei paesi sviluppati che quelli dei paesi in via di sviluppo hanno detto che i ministri potrebbero essere chiamati presto per iniziare a lavorare per una risoluzione politica. Questi vertici di solito producono un cover text, che approccia una narrazione unificante sui vari risultati tecnici, ma la bozza sta impiegando più tempo del normale ad emergere.

Alcuni paesi, tra cui Argentina, Uruguay e Brasile, vogliono ridurre al minimo il testo. Altri, compresi gli europei, lo vedono come un'opportunità per definire una visione politica. Il Regno Unito vuole riferimenti alla riforma delle banche multilaterali di sviluppo e ai partenariati per una transizione energetica equa, che introduca elementi di progresso al di fuori dell'agenda negoziale formale. Le dinamiche suggeriscono che l'Egitto potrebbe accontentarsi di un documento più breve rispetto al Patto di Glasgow di 8 pagine. I testi delle decisioni della COP non devono trasformarsi in grandi dichiarazioni politiche ogni anno. D'altra parte, questo è il luogo in cui l'Egitto deve rispondere alle aspettative che i paesi vulnerabili hanno riposto nella COP 27. Una grande domanda è se il testo sarà in grado di mantenere a portata di mano l'obiettivo di 1.5 °C, come vogliono i paesi meno sviluppati, i piccoli stati insulari, l'UE e gli Stati Uniti. I paesi emergenti, inclusa la Cina, vogliono attenersi al linguaggio dell'accordo di Parigi per mantenere l'aumento della temperatura "ben al di sotto dei 2 °C e perseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 °C". È una disputa destinata a dominare anche il vertice dei leader del G20 a Bali, che inizia oggi. I ministri non sono stati in grado di concordare un comunicato congiunto a settembre dopo il rifiuto di Cina e India ad enfatizzare gli 1,5 °C come obiettivo climatico mondiale.

Il Guardian ha potuto vedere una copia del documento finale della COP 27 sui finanziamenti a lungo termine per il clima. Resta ancora molto da negoziare, ma ci sono due punti specifici che preoccupano seriamente oltre alla generale mancanza di effettivi impegni. Il primo punto riguarda i finanziamenti per l'adattamento. Il Patto di Glasgow esortava i paesi sviluppati a raddoppiare almeno, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per l'adattamento dei paesi in via di sviluppo entro il 2025. Ma la bozza di testo  attualmente invece si limita a chiedere ai paesi sviluppati di continuare a migliorare e aumentare i finanziamenti per l'adattamento, anche, se del caso, considerando il raddoppio dei finanziamenti.  Un annacquamento del testo preoccupante e inaccettabile. Il secondo punto riguarda i 100 miliardi di dollari all'anno per il GCF. La dichiarazione del G 20 in Italia nell'ottobre 2021 diceva che l'obiettivo  dovrebbe essere raggiunto entro il 2023. Ebbene, questa data non compare più nel testo della bozza della COP 27. Il testo è pieno di impegni per aumentare la trasparenza, migliorare la rendicontazione e concordare una definizione comune di finanziamento per il clima, ma impegni effettivi niente.

Solo Bahamas, Vietnam, Andorra, Timor Est hanno presentato piani climatici nazionali NDC aggiornati dopo l'inizio della COP 27. La più grande economia tra loro, il Vietnam, ha rafforzato i suoi obiettivi di emissione per il 2030 al 15,8% dal BAU incondizionatamente e al 43,5% se ci sarà il sostegno internazionale.

Il Guardian ha visto anche le proposte negoziali su perdite e danni presentate dai G77 più la Cina. Descrivono in dettaglio la posizione delle nazioni in via di sviluppo, incentrata su un nuovo fondo separato e aggiuntivo rispetto alle attuali strutture di finanziamento per l'adattamento e la mitigazione del clima e per aiutare i paesi in via di sviluppo a far fronte ai loro costi per affrontare perdite e danni non economici ed economici associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, inclusi eventi meteorologici estremi ed eventi a lenta insorgenza. Creerebbe un comitato di transizione di 35 membri, con rappresentanti di 20 paesi in via di sviluppo e 15 paesi sviluppati, che inizierebbe a lavorare all'inizio del 2023 per stabilire obiettivi, principi e modalità operative del nuovo fondo. C'è unità nel G77 su questa proposta. Al contrario, i paesi sviluppati come Stati Uniti, UE e Australia sembrano voler continuare a discutere prima di decidere se una nuova struttura per perdite e danni sia giustificata. Non va dimenticato che il G7 aveva promosso come alternativa un approccio assicurativo, il  Global Shield. Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, ha affermato che l'UE sostiene i colloqui su perdite e danni, ma che non c'è ancora un accordo  su quale forma dovrebbe assumere un nuovo meccanismo finanziario e come dovrebbe funzionare. Per giunta l'UE non sembra del tutto unita. Oggi, il ministro del clima svedese ha dichiarato: "Non credo che dovremmo sviluppare un nuovo fondo". Con buona pace di Greta Thunberg.

Oggi è il giorno dell'energia alla alla COP 27, un altro argomento controverso che ha diviso i delegati. La crisi energetica sulla scia della guerra in Ucraina ha portato a una corsa al gas in Europa e ha spinto alcuni paesi a bruciare più carbone mentre cercano di sostituire le forniture energetiche dalla Russia. L'atteggiamento dei paesi europei che bruciano più carbone e finanziano nuovi progetti per bruciare più gas, sollecitando allo stesso tempo i paesi più poveri a liberarsi dal fossile, ha portato alcuni paesi al vertice sul clima a lamentarsi dei passi indietro sugli obiettivi ecologici. Dall'Africa  si afferma  che i paesi ricchi non sono riusciti a fornire i finanziamenti promessi che li avrebbero aiutati a espandere l'energia pulita invece di sfruttare le loro risorse di combustibili fossili. Mentre alcuni paesi come la Gran Bretagna e la Germania hanno ritardato la chiusura delle centrali a carbone questo inverno a causa delle preoccupazioni per le forniture energetiche russe, le date di eliminazione graduale del carbone sono rimaste nominalmente intatte. Le nazioni OECD e l'Unione europea sono sulla buona strada per chiudere oltre il 75% della loro capacità di energia a carbone dal 2010 al 2030. L'Unione europea prevede inoltre di aggiornare il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, portando l'abbattimento al 2030 da 55 a 57%,  prima del vertice delle Nazioni Unite sul clima del prossimo anno. Questo annuncio del terzo più grande inquinatore mondiale dopo Cina e Stati Uniti, tenta di convincere gli altri che i paesi dell'UE a 27 stanno rispettando i propri impegni nonostante la crisi energetica.

In un Rapporto speciale sul carbone. l'IEA ha chiesto un'azione politica immediata per finanziare un allontanamento da quel combustibile, in particolare nelle economie emergenti e in via di sviluppo. I paesi devono muoversi più rapidamente per abbandonare l'uso del carbone poiché le industrie solari ed eoliche in rapida crescita non saranno sufficienti per raggiungere gli obiettivi climatici.  Ci sono circa 9.000 centrali elettriche a carbone in tutto il mondo, la cui età varia in modo significativo, da una media di 40 anni negli Stati Uniti a meno di 15 anni nelle economie in via di sviluppo in Asia. In uno scenario in cui gli attuali impegni nazionali sul clima fossero rispettati, la produzione delle centrali a carbone esistenti dovrebbe diminuire di circa un terzo tra il 2021 e il 2030, con il 75% sostituito da solare ed eolico. Per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 e limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, il consumo di carbone deve diminuire del 90%. L'invasione russa dell'Ucraina ha spinto i paesi europei a tornare di corsa al carbone per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico quest'inverno. Nel Regno Unito, tre grandi centrali a carbone sono state messe in stand-by, sebbene sia ancora valido l'impegno a eliminare gradualmente l'uso del carbone entro il 2024. Il carbone è sia la più grande fonte di emissioni di CO2 da energia, sia la più grande fonte di generazione di elettricità in tutto il mondo, il che evidenzia il danno che sta arrecando al nostro clima e l'enorme sfida di sostituirlo rapidamente.

Drammatico l'evento patrocinato  della Federazione Russa alla COP  27, sovrastato dalle grida di "criminali di guerra" e la totale assenza di qualsiasi discussione sulla produzione nazionale di petrolio e gas, nonostante la Russia sia il secondo produttore mondiale di petrolio e gas e le emissioni di carbonio dei combustibili fossili siano la causa principale della crisi climatica. I manifestanti che gridavano "siete criminali di guerra" sono stati rapidamente allontanati dalla riunione (in figura). Motivo: "L'evento riguarda l'agenda climatica, non l'agenda politica", ha affermato il presidente. l viceministro dell'ambiente, ha parlato per primo dei danni economici causati dallo scioglimento del permafrost e dell'eliminazione delle discariche di rifiuti. La Rosatom ha parlato a lungo delle capacità nucleari della Russia. Ha detto che gli argomenti contro il nucleare sono molto spesso colorati politicamente e sono emotivi. Un consulente scientifico del presidente russo Vladimir Putin ha parlato del monitoraggio dei gas serra e di una specie di pioppo che potrebbe assorbire più carbonio man mano che cresce. Tale Fetisov ha parlato della necessità di preservare l'accesso all'acqua. Ha anche inveito contro le sanzioni imposte alla Russia dopo che ha invaso l'Ucraina: “Siamo pronti a collaborare ma siamo colpiti da sanzioni, che includono tecnologie verdi e di risparmio energetico. Non capisco". L'ultima domanda del pubblico su cosa pensasse la Russia della proposta dell'India di includere la necessità di "eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili" nel testo della decisione finale della COP 27, piuttosto che limitarsi a ridurre gradualmente il carbone, ha ottenuto per tutta risposta: "Il carbone è ancora vivo, quindi aspettiamo". L'ucraina Svitlana Romanko, che era tra i contestatori,  ha detto: “Sono contenta di aver chiamato il male per nome e sono stata in grado di dire loro quello che tutti gli ucraini vorrebbero dire loro se fossero qui: "Sei uno stato terrorista, ci stai massacrando, torturando e uccidendoci ogni giorno da nove mesi. Il tuo petrolio e il tuo gas ci stanno uccidendo. Siete criminali di guerra, non dovete essere qui ma davanti a un tribunale internazionale”.

TORNA SU

14 Novembre 2022. Inizia la seconda settimana della COP 27 con la giornata dell'acqua

All'inizio della seconda settimana, il capo delle Nazioni Unite per il clima Simon Stiell ha esortato i paesi a utilizzare il tempo rimanente in Egitto per  fare progressi su 1,5 °C, adattamento, finanziamento e perdite e danni. Il presidente della COP, Sameh Shoukry, sembra fiducioso che i colloqui si concluderanno in tempo entro venerdì, ma quelli sul campo pensano che sia altamente improbabile e che le trattative stanno andando molto male. Le agenzie inglesi hanno pubblicato stamane un quadro che mostra dove stanno andando avanti i negoziati e dove (nei toni del rosso) rimangono i disaccordi. Ci scusiamo per l'approccio in figura, un po' da iniziati.

fonte: Carbonbrief

fonte: Carbonbrief
 

Il tema di oggi è l'acqua, un argomento di particolare rilevanza per l'Egitto e gran parte dell'Africa affamata d'acqua che non sempre viene discusso alle COP. Il presidente egiziano, Abdel Fatah al-Sisi, ha affermato che le risorse idriche del Paese non possono più soddisfare i bisogni della sua popolazione in crescita. A maggio, il ministro dello Sviluppo locale ha annunciato che il Paese era entrato in una fase di povertà idrica secondo gli standard delle Nazioni Unite dove un paese è considerato scarso d'acqua quando le forniture annuali scendono al di sotto di 1.000 metri cubi pro capite. L'Egitto fa affidamento sul Nilo per almeno il 90% del suo approvvigionamento di acqua dolce, insieme al Sudan a sud, anch'esso fortemente dipendente dal fiume, ma questo approvvigionamento idrico vitale è attualmente minacciato sia dal cambiamento climatico che dal riempimento della grande diga etiope (GERD), destinata a fornire energia elettrica a gran parte del paese. L'Etiopia, l'Egitto e in una certa misura il Sudan si sono confrontati in un'aspra guerra di parole per il riempimento del bacino della diga, che l'Etiopia ha iniziato unilateralmente e in segreto, a seguito di molteplici discussioni sulla condivisione dell'acqua che non hanno avuto esito. La Gerd minaccia di ridurre drasticamente la fornitura di acqua al Nilo Azzurro, che attraversa l'Etiopia e il Sudan prima che incontri il Nilo Bianco a Khartoum. Funzionari etiopi affermano che l'energia idroelettrica fornita dalla diga è vitale per il loro sviluppo, ma altri in Sudan ed Egitto temono che possa rivelarsi una minaccia esistenziale. La diga rischia di causare una guerra per l'acqua. Mentre i funzionari egiziani parlano della necessità a livello nazionale di conservare l'acqua, Sisi sta costruendo una nuova capitale nel deserto fuori dal Cairo che presenta un fiume verde di vegetazione piantumata e una serie di finti laghi intrecciati.

Gli scenari climatici futuri prefigurano uno stress idrico estremo. L'Asia di alta montagna, compreso l'Himalaya e l'altopiano tibetano, contiene il maggior volume di ghiaccio al di fuori della regione polare, con un'area di circa 100.000 kmq di copertura glaciale. Il tasso di ritiro dei ghiacciai sta accelerando e molti ghiacciai hanno subito intense perdite di massa a causa di condizioni eccezionalmente calde e secche nel 2021. Queste cosiddette torri d'acqua del mondo sono vitali per l'approvvigionamento di acqua dolce per la parte più densamente popolata del pianeta e quindi il ritiro dei ghiacciai ha importanti implicazioni per le generazioni future.

Oggi è arrivato  a Sharm il 18° Rapporto annuale Germanwatch sull'indice di performance sui cambiamenti climatici, stimato su quattro misure: emissioni, energie rinnovabili, uso dell'energia e politica climatica. Nessun paese è ancora su un percorso di 1,5 °C. Nelle prime posizioni la Danimarca seguita da Svezia, Cile, Marocco e India. Il più grande inquinatore del mondo, la Cina, è sceso drasticamente rispetto alla classifica dello scorso anno, al 51° posto. Gli Stati Uniti, sono saliti di tre posizioni a 52 grazie all'Inflation Reduction Act (cit.), ma  frenati dalle elevate emissioni pro capite e dalla quota di energia rinnovabile. Gli ultimi 10 della lista sono i produttori di combustibili fossili: Polonia, Australia, Malesia, Taipei cinese, Canada, Russia, Corea, Kazakistan, Arabia Saudita e, all'ultimo posto, Iran. L'Italia guadagna un posto ed è 29°.

All'apertura della tavola rotonda ministeriale di alto livello sull'ambizione pre-2030 ha preso la parola Alok Sharma, presidente della  COP 26 di Glasgow, per difendere energicamente il patto per il clima di Glasgow  e mettere in guardia i leader del bivio di fronte a loro: "Lasceremo l'Egitto dopo aver tenuto in vita 1,5 °C o questo sarà il momento in cui perderemo gli 1,5 °C". "Alla Cop26 abbiamo deciso collettivamente di proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi", ha affermato. “Ho sempre detto che ciò che abbiamo concordato a Glasgow e Parigi deve essere la base della nostra ambizione. Dobbiamo attenerci a questo impegno. Non possiamo permetterci alcun passo indietro”. Ma i timori ci sono tutti.

è fuor di dubbio che l'attenzione dell'intera COP 27 sia stata dedicata all'incontro di Bali tra i presidenti cinese e americano Xi Jinping e Joe Biden. In tre ore hanno trovato un terreno comune sull'Ucraina, non certo su Taiwan. Biden è uscito dall'incontro proclamando che non è necessaria una nuova guerra fredda. Xi ha detto a Biden che i due paesi condividono più, non meno, interessi comuni, secondo un resoconto cinese dell'incontro, sembrando più conciliante di quanto suggerirebbero gli ultimi tre anni di silenzio. "Il mondo si aspetta che la Cina e gli Stati Uniti gestiranno adeguatamente i loro rapporti", gli ha detto Xi.  Pechino non cerca di sfidare gli Stati Uniti o di cambiare l'ordine internazionale esistente. Sulla questione urgente della guerra della Russia in Ucraina e delle velate minacce del presidente Vladimir Putin di usare armi nucleari, i due hanno convenuto che la guerra nucleare non deve essere combattuta e non può essere vinta, secondo la Casa Bianca, e hanno sottolineato la loro opposizione all'uso o alla minaccia dell'uso di armi nucleari in Ucraina.

Xi ha però detto a Biden che Taiwan è la prima linea rossa che non deve essere oltrepassata nelle relazioni Cina-USA, secondo la dichiarazione del ministero degli Esteri cinese. Biden ha detto a Xi di essere contrario a qualsiasi cambiamento su Taiwan, dopo che il leader degli Stati Uniti ha ripetutamente indicato che Washington era pronta a difendere militarmente l'isola e ha sollevato obiezioni alle azioni coercitive e sempre più aggressive della Cina nei confronti di Taiwan, che minano la pace e la stabilità nella regione più ampia e mettono a repentaglio la prosperità globale. In segno di disgelo dei legami, Biden ha annunciato che il segretario di Stato americano Antony Blinken si recherà in visita in Cina per dare seguito alle loro discussioni. Per la questione climatica COP 27 dovrà aspettare le conclusioni del G 20 di Bali, nei prossimi giorni.

I due presidenti hanno concordato di riprendere i colloqui tra i loro paesi nell'ambito dei negoziati internazionali sul clima. I loro rappresentanti tornano al tavolo dei negoziati  e i due leader hanno acconsentito a conferire ai loro alti funzionari il potere di mantenere la comunicazione e approfondire gli sforzi costruttivi  sui cambiamenti climatici. I due paesi concordano di lavorare insieme per promuovere il successo della COP 27 perché il cambiamento climatico è uno dei loro interessi comuni ed è inseparabile dal coordinamento e la cooperazione tra Cina e Stati Uniti. La parte statunitense si è impegnata a mantenere aperti i canali di comunicazione tra i due presidenti e a tutti i livelli di governo, in modo da consentire conversazioni schiette su questioni in cui le due parti non sono d'accordo, e rafforzare la necessaria cooperazione e svolgere un ruolo chiave nell'affrontare i cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare e altre importanti sfide globali, che sono di vitale importanza per i due paesi e i due popoli, e anche molto importante per il mondo intero. Infine, Xie Zhenhua, l'inviato speciale della Cina sui cambiamenti climatici, ha dichiarato lunedì che Pechino vorrebbe un accordo COP 27 che contenga un linguaggio simile all'accordo dell'anno scorso a Glasgow sugli obiettivi per limitare il riscaldamento globale, e non si è opposto a menzionare gli 1,5 °C.

L'India, l'altro grande paese presente senza il suo premier, ha pubblicato un rapporto alla COP 27 in cui afferma che darà la priorità a una transizione graduale verso combustibili più puliti e ridurrà i consumi delle famiglie per raggiungere emissioni nette zero entro il 2070. Il rapporto delinea per la prima volta come il secondo consumatore mondiale di carbone manterrà la sua promessa di decarbonizzazione fatta nel 2021 come parte degli sforzi internazionali per limitare il riscaldamento a 1,5°C. Il piano a lungo termine dell'India si concentra su sei aree chiave per ridurre le emissioni nette, tra cui elettricità, urbanizzazione, trasporti, foreste, finanza e industria e include  cattura, uso e stoccaggio del carbonio.L'India vuole che i paesi accettino di ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili al vertice COP 27 sul clima in Egitto, piuttosto che un accordo più ristretto per ridurre gradualmente il carbone come concordato l'anno scorso.

Il Messico si è impegnato a installare altri 30 GW di energia rinnovabile entro il 2030. I piani del Messico prevedono di investire circa 48 miliardi di dollari nello sviluppo di energie rinnovabili. La nuova capacità solare, geotermica, eolica e idroelettrica raddoppierebbe le capacità rinnovabili del Messico, dalla sua capacità installata di circa 30 GW alla fine del 2021, e porterebbe le capacità solari ed eoliche a 40 GW.

TORNA SU

12 Novembre 2022. Giornata dell'adattamento e dell'agricoltura

I quattro giovani che hanno interrotto il discorso di Biden ieri sono stati espulsi dalla COP 27. La protesta era durata pochi secondi, prima che lo striscione People vs Fossil Fuels venisse confiscato e i quattro manifestanti tornassero a sedersi. Tanto per fumo negli occhi dei media, è stata autorizzata una manifestazione di alcune centinaia di persone  all'interno della COP 27, ma non è stato loro permesso di marciare in massa per le strade. Parlavano di perdite e danni, del risarcimento che le nazioni povere chiedono per la distruzione del clima, dei diritti delle donne e dei bambini e dei prigionieri politici. I manifestanti erano preceduti da un attivista che indossava una maglietta Free Alaa, a sostegno di Alaa Abd el-Fattah.

è la prima giornata in assoluto dedicata in una COP all'adattamento, materia strettamente intrecciata con gli usi del suolo e quindi con l'agricoltura. Gli impatti dei cambiamenti climatici stanno già condizionando la nostra esistenza e quella delle risorse naturali che ci permettono di vivere su questo pianeta. In questo contesto, l'adattamento e la resilienza sono fondamentali per tutti i paesi e le regioni del mondo, in particolare quelli più vulnerabili a tali impatti. Un terzo delle emissioni globali di gas serra provengono dai sistemi alimentari industrializzati e dagli effetti devastanti che la crisi climatica sta avendo su agricoltura e sicurezza alimentare. La grande agricoltura industriale e agroalimentare riceve un sostegno significativo da parte di alcuni governi nelle principali sale negoziali, dove per lo più si parla degli attuali sistemi industrializzati piuttosto che di cambiamenti trasformativi. La Missione arabo-americana per l'innovazione agricola per il clima (AIM for Climate) ha già raccolto almeno 8 miliardi di dollari a sostegno del settore privato. Gli agricoltori sostenibili su piccola scala e indigeni che producono il 70% del cibo mondiale non giocheranno un ruolo importante nei negoziati principali ma, fuori dai corridoi, chiederanno una congrua quota di sussidi e finanziamenti aggiuntivi per il clima per costruire cibo più diversificato e resiliente sistemi che secondo l'IPCC aiutano a tamponare le temperature estreme e sequestrare il carbonio. Al di fuori delle trattative principali, si svolgono dozzine di eventi collaterali incentrati sul cibo. 37 milioni di persone nel Grande Corno d'Africa rischiano la fame dopo quattro siccità consecutive; inondazioni senza precedenti hanno colpito le principali regioni agricole del Pakistan e le temperature da record in tutta Europa hanno portato a una drastica riduzione dei raccolti. Per soprammercato la guerra della Russia in Ucraina ha causato carenze globali e aumenti dei prezzi di grano, semi oleosi e fertilizzanti, mettendo a nudo la fragilità dell'industria alimentare dipendente dai combustibili fossili che ha sacrificato biodiversità, sostenibilità e resilienza per le produzioni di massa e i relativi profitti.  Nella giornata dell'agricoltura, diverse persone hanno affermato che i governi devono fare di più sulla riforma dell'agricoltura, facendo riferimento al Koronivia Joint Work on Agriculture, una iniziativa delle Nazioni Unite che evidenzia il potenziale dell'agricoltura per aiutare a contrastare il riscaldamento globale, fondamentale nell'ambito della Convenzione climatica che riconosce il potenziale unico dell'agricoltura nella lotta ai cambiamenti climatici. La decisione Koronivia affronta sei argomenti correlati su suolo, uso dei nutrienti, acqua, bestiame, metodi per valutare l'adattamento e le dimensioni socioeconomiche e di sicurezza alimentare del cambiamento climatico nei settori agricoli. La decisione è in sintonia con il mandato fondamentale della FAO di eliminare la fame, l'insicurezza alimentare e la malnutrizione, ridurre la povertà rurale e rendere l'agricoltura, la silvicoltura e la pesca più produttive e sostenibili.

Mentre la giornata del cibo continua, gli eventi risuonano di frasi alla moda come "transizione equa", "salute del suolo" e "agricoltura rigenerativa". Ma in realtà alla COP 27 si confrontano due visioni opposte per i sistemi alimentari. Nelle sale negoziali, l'agenda è principalmente incentrata sul rendere l'agricoltura industrializzata più grande e migliore, il che significa un maggiore sostegno pubblico-privato per i fertilizzanti a combustibili fossili e soluzioni tecnologiche per la resilienza climatica. Questa è anche la narrazione al Food Systems Pavilion, dove i fertilizzanti verdi, la mappatura del carbonio e i mercati del carbonio e gli additivi per la riduzione del metano sono stati tra le innovazioni discusse durante i panel di resilienza climatica di oggi. Altrove hanno avuto voce gli imprenditori della tecnologia climatica le cui idee includevano un'app digitale che collega gli agricoltori di sussistenza ai fornitori e una tabella di marcia per fertilizzanti sostenibili in Africa come risposta di emergenza all'insicurezza alimentare e mappe satellitari per guidare i pastori. In precedenza, in un panel sulla decarbonizzazione, il, responsabile globale degli affari pubblici di Nestlé, la più grande azienda mondiale di alimenti e bevande, ha affermato che l'azienda ha sviluppato il proprio modello di agricoltura rigenerativa. “Ci stiamo lavorando perché dobbiamo muoverci velocemente. È positivo che gli altri si muovano lentamente e si consultino con gli indigeni e i piccoli agricoltori... alla fine convergeremo". Nestlé si è impegnata a raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, l'anno scorso ha generato quasi tanti gas serra quanto la Nigeria. L'amministratore delegato dell'associazione nazionale dei piccoli agricoltori del Malawi, ha detto che gli agricoltori sono parte della soluzione e non dovrebbero essere considerati solo dei beneficiari. Serve più collaborazione e vantaggi reciproci. Tutti devono essere vincitori, non dovrebbero esserci vincitori e vinti. Al padiglione Food4Climate la visione riguarda la trasformazione, i sistemi alimentari sani e sostenibili e l'agricoltura agroecologica come alternativa all'attuale sistema industriale. Il fragile sistema alimentare globale sta fallendo per quanto riguarda l'ambiente, la sicurezza alimentare, la salute umana e il benessere degli animali, secondo i relatori. Circa un terzo delle emissioni globali di gas serra provengono dal sistema alimentare, il 71% di queste è dovuto all'agricoltura e al cambiamento dell'uso del suolo (deforestazione, fertilizzanti, emissioni di metano). I sussidi svolgono un ruolo importante nel decidere cosa e come viene prodotto il cibo, ma almeno il 90% dei 540 miliardi di dollari di sussidi alimentari globali sono stati ritenuti dannosi per il pianeta, secondo una ricerca delle Nazioni Unite. Gran parte della popolazione mondiale è denutrita o in sovrappeso, il che indica che non stiamo producendo o mangiando bene. Le sovvenzioni sono un importante agente di cambiamento. Rendono difficile per gli agricoltori apportare modifiche e impediscono che i cambiamenti del mercato guidati dai consumatori abbiano luogo naturalmente. I sussidi non sono all'ordine del giorno della COP, ma dovrebbero esserlo, ha affermato la Global Alliance for the Future of Food. “Gli agricoltori sono rinchiusi in un sistema industrializzato e non possono uscirne. Stiamo erodendo le sofisticate conoscenze tradizionali sulle varietà indigene e indebolendo la resilienza della comunità. Né gli agricoltori né i consumatori ne traggono vantaggio. Nonostante la crisi climatica stia già danneggiando le forniture alimentari, finora solo il 3% dei finanziamenti pubblici per il clima è andato al cibo e gli annunci di oggi suggeriscono che gran parte dei nuovi soldi che usciranno dalla COP 27 proverranno settore privato.

A proposito di soldi, è inevitabile che le polemiche si accumulino su Biden che non ha parlato di loss and damage, un complemento ineludibile del discorso sull'adattamento, anch'esso piuttosto trascurato. John Kerry, chiamato in causa,  ha affermato che gli Stati Uniti sono totalmente favorevoli alle iniziative per affrontare perdite e danni,  e pronti a discutere la questione in dettaglio. Vogliamo arrivare alla chiusura, d'accordo col Presidente. Resta il fatto che le discussioni su perdite e danni come compensazione ai paesi in via di sviluppo per responsabilità dei paesi sviluppati, sono specificamente escluse dai negoziati e lo sono state dal 2015 di Parigi. Alla domanda su quando gli Stati Uniti inizierebbero a pagare in una struttura finanziaria per perdite e danni, e se anche la Cina dovrebbe pagare in una struttura del genere, Kerry ha detto: "Non è completamente definito cosa sia una struttura. Ci sono tutti i tipi di opinioni diverse su cosa potrebbe essere. Nessuno può iscriversi a qualcos, non ancora... Non siamo ancora al punto, ma vogliamo impegnarci in qualcosa di molto reale". Sulla questione se la Cina debba pagare per perdite e danni nelle nazioni più povere, non ha nominato la Cina ma si è riferito indirettamente a chi ha il dovere di contribuire. "Quello che vogliamo è essere sicuri  che escogitiamo qualcosa che soddisfi le persone serie e che usciremo con un accordo in cui siamo fiduciosi su quali dovrebbero essere le regole finanziarie". Kerry ha anche cercato di rassicurare coloro che erano preoccupati per il fatto che i paesi quest'anno stavano rientrando rispetto agli impegni presi a Glasgow per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali. "La maggior parte dei paesi qui non ha intenzione di tornare indietro" ha detto il Presidente egiziano della COP, ma ha affermato che i paesi che non hanno stabilito piani per ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030 in linea con il limite di temperatura di 1,5 °C concordato a Glasgow, senza però dire quali.

Nelle stanze del negoziato diversi gruppi di paesi in via di sviluppo hanno ribadito la loro richiesta di istituire una struttura finanziaria per perdite e danni e hanno definito una chiara tabella di marcia per garantirne la piena operatività entro il 2024. Molti hanno anche suggerito di istituire un comitato ad hoc per guidare il processo di operatività, rilevando la necessità di dargli un mandato e una tempistica chiari, decidere sulla sua composizione e modalità di lavoro e garantire sufficienti disposizioni di bilancio. Diversi paesi sviluppati hanno  riconosciuto le carenze di finanziamento, la diversità delle sfide relative a perdite e danni e l'urgenza di affrontare la questione. Molti hanno pensato che il  Glasgow dialogue possa dare lo spazio per discutere questioni specifiche, inclusi eventi a insorgenza lenta, risposta rapida, ruolo delle banche multilaterali di sviluppo e riduzione del debito. Se ne parlerà in settimana.

TORNA SU

 11 Novembre 2022.  Si parla di decarbonizzazione col Presidente americano Joe Biden

La parte cruciale dell'accordo di Parigi è la decarbonizzazione. Ciò comporta la riduzione il più possibile delle emissioni di CO2, anche nei settori difficili da abbattere.  I dati del Carbon Budget sono stati pubblicati oggi.  Si prevede che i paesi emetteranno un totale di 41 Gt di CO2 nel 2022, afferma il rapporto, con 37 Gt dalla combustione di combustibili fossili e 4 Gt da azioni sulla terra come la deforestazione. L'aumento di quest'anno è stato spinto da un maggiore utilizzo di petrolio nei trasporti, in particolare nell'aviazione, poiché le economie hanno continuato a volare nonostante i blocchi durante la pandemia di Covid-19. Le emissioni derivanti dalla combustione del carbone sono aumentate (The Guardian), poiché i paesi si sono rivolti al combustibile fossile più inquinante dopo le restrizioni alle forniture di gas naturale russo all'Europa a seguito dell'invasione dell'Ucraina da parte di Mosca a febbraio, che ha fatto salire alle stelle i prezzi globali del gas. La figura mostra il disallineamento tra emissioni storiche dei vari paesi e le loro quote reali di finanziamento per il clima. Gravissima la situazione USA.

La decarbonizzazione è possibile con la politica, la tecnologia e le soluzioni basate sulla natura, ma richiede un'azione immediata e radicale. La decarbonizzazione e, in definitiva, il raggiungimento di emissioni nette zero è l'obiettivo finale dei negoziati sul clima e sarà quindi una parte centrale della COP 27 che deve essere attuata in modo rapido e giusto. La decarbonizzazione dipenderà in larga misura da strumenti politici efficaci, che si tratti dell'attuazione di un mercato del carbonio o di strumenti come il meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere. La crisi del Covid-19 ha dato una lezione fondamentale, sia nel modo in cui i blocchi hanno influito sulle emissioni nelle città sia nei settori ad alte emissioni come quello agricolo e il settore energetico per le emissioni di anidride carbonica e di metano. Le soluzioni tecnologiche saranno centrali anche per la decarbonizzazione attraverso la trasformazione digitale, che se adeguatamente implementata, può fungere da abilitatore, o tecnologie per la cattura e il sequestro del carbonio. Infatti la ricerca indica sempre più che dovremo non solo ridurre le emissioni il più velocemente possibile, ma anche rimuovere il carbonio in eccesso che continuerà ad essere emesso nell'atmosfera da settori difficili da abbattere. La decarbonizzazione non riguarda solo la politica e la tecnologia, ma riguarda anche la natura e il modo in cui possiamo utilizzare soluzioni basate sulla natura come potente strumento per la mitigazione del cambiamento climatico. La decarbonizzazione deve andare di pari passo con il disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di carbonio. Anche se sarà difficile, la buona notizia è che la crescita economica globale sta già andando più velocemente delle emissioni di CO2. La rivoluzione dei pannelli solari mostra che ci stiamo muovendo nella giusta direzione e che un futuro a basse emissioni di carbonio è possibile e ha un senso finanziario. Tuttavia, richiederà il coinvolgimento di tutte le parti interessate dal settore pubblico agli attori non statali.

Sebbene sia il giorno della decarbonizzazione, almeno due CEO dei combustibili fossili prendono la parola oggi. I produttori di gas e i loro finanziatori vedono la COP 27 come un'opportunità di discussione sul rilancio del gas naturale come combustibile di transizione piuttosto che come combustibile fossile. La spinta viene dall'Egitto ospitante e dai suoi alleati produttori di gas nel mezzo di una crisi energetica globale aggravata dall'invasione russa dell'Ucraina. Proclamano che l'opportunità per questa COP è di discutere apertamente sul fatto che il gas naturale, e in particolare se combinato con la cattura del carbonio, è una soluzione energetica scalabile che ci consente di soddisfare i bisogni di 8 miliardi di persone pur rispettando i nostri obiettivi climatici. Gli esperti ambientali avvertono che la combustione di gas, un combustibile fossile, rischia di aumentare il riscaldamento ben oltre la restrizione target di 1,5 °C richiesta per prevenire gravi disagi ambientali. Il gas è meno inquinante per il clima del carbone, ma la sua produzione comporta metano nocivo e le perdite dalle infrastrutture possono causare un inquinamento su larga scala. Vicki Hollub, uno di tali CEO, ha affermato che le persone che chiedono la fine dell'industria petrolifera e del gas non hanno idea di cosa significherebbe ma si è rifiutato di dire se riconosce il ruolo della sua azienda nei disastri climatici. Anzi ha affermato che i crescenti eventi climatici estremi, come le inondazioni mortali di quest'anno in Pakistan e la siccità nel Corno d'Africa, sono responsabilità degli individui, non solo dell'industria petrolifera e del gas. I disastri naturali dei cambiamenti climatici non sono un problema che ha solo l'industria del petrolio e del gas. Chiunque utilizzi un prodotto che è stato generato da petrolio e gas ha un ruolo in questo ed è anche responsabile. "Il tuo iPhone, ne sei responsabile. Se hai volato qui, sei responsabile di ciò che hai usato qui. I bei vestiti che indossi in questo momento, sei responsabile. Se non ci facciamo tutti avanti e ci assumiamo la responsabilità, questo non accade. Sei ancora lì a pensare che le compagnie petrolifere e del gas devono andare via, devono chiudere la loro produzione. Non capisci cosa ti accadrebbe se lo facessimo. La tua televisione se ne va, … l'auto va via. Ecco perché la transizione deve essere progettata meglio. Dobbiamo essere molto più cauti. Le persone che dicono che petrolio e gas devono andare via non hanno idea di cosa significherebbe. Sto dicendo che è il mondo il vero responsabile... Non chiedermi di petrolio e gas senza assumervi le vostre responsabilità e aiutare gli altri a capire.

Svitlana Romanko è un avvocato ucraina, attivista per il clima e fondatrice di un gruppo di base che chiede un embargo permanente sui combustibili fossili russi e la fine immediata di tutti gli investimenti nelle compagnie petrolifere e del gas russe. Pensavo, dice, che ci sarebbe stato più spazio per parlare dell'orribile guerra in corso dei combustibili fossili e dell'opportunità che ciò dovrebbe rappresentare per una trasformazione green globale, ma sembra che queste conversazioni siano limitate al padiglione ucraino e non avvengano ai massimi livelli. Nelle ultime settimane, le bombe russe hanno preso di mira le infrastrutture energetiche in Ucraina, sottolineando l'insostenibile dipendenza del suo Paese dai combustibili fossili. Ma prima della guerra, il paese aveva iniziato a fare piccoli passi verso la transizione energetica, in parte a causa dell'occupazione russa della regione del Donbas, dove sono concentrate le miniere di carbone, e in parte per le tariffe green che aumentano la produzione. Nel 2021, il 13,4% dell'energia dell'Ucraina proveniva da fonti rinnovabili, ma ora ha perso oltre l'80% della sua energia eolica e il 50% della produzione solare a causa dei bombardamenti nel sud-est. 

La COP 27 attende l'arrivo di Joe Biden, soddisfatto perché i Democratici non sono stati cancellati dalle elezioni di medio termine come previsto. Gli si chiede di dichiarare l'emergenza climatica. è rientrato nell'accordo di Parigi poche ore dopo eaver assunto la sua carica nel gennaio 2020 e da allora ha approvato un pacchetto di investimenti sul clima da 369 miliardi di dollari che potrebbe ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti del 40%. Nell'attesa Nancy Pelosi ha vantato l'agenda sul clima di Joe Biden. C'è una deludente delegazione del Congresso USA ai colloqui in Egitto, senza repubblicani, Pelosi ha affermato che questi vertici sul clima hanno sempre riguardato la sopravvivenza del pianeta, la sopravvivenza dei paesi vulnerabili. Vogliamo più della sopravvivenza, vogliamo il successo. Con la nostra legislazione IRA (sulla riduzione dell'inflazione), che fornisce oltre 370 miliardi di dollari a sostegno di progetti di energia pulita, abbiamo superato la soglia del successo. I Democratici combatteranno in modo aggressivo qualsiasi tentativo di indebolire i loro risultati climatici duramente conquistati.

Parla il presidente. Riconosce che John Kerry è stato fondamentale nel portare avanti le politiche sul cambiamento climatico. La crisi climatica riguarda la sicurezza umana, economica, ambientale, nazionale e la vita stessa del pianeta. Abbiamo aderito all'accordo di Parigi sul clima. Mi scuso per esserci ritirati per quattro anni. Dopo gli ultimi due anni, gli Stati Uniti hanno realizzato progressi senza precedenti in casa, potenziato la rete elettrica, ampliando il trasporto pubblico e le ferrovie, costruendo stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Quest'estate il congresso degli Stati Uniti ha approvato il disegno di legge sul clima più grande e importante nella storia del nostro paese, l'atto di riduzione dell'inflazione. Questo scatenerà una nuova era di energia pulita e crescita economica. Inizierà un ciclo di innovazione per migliorare le prestazioni della tecnologia dell'energia pulita che sarà disponibile per le nazioni di tutto il mondo, non solo per gli Stati Uniti. Accelererà la decarbonizzazione oltre i nostri confini. Sposterà il paradigma dagli Stati Uniti al resto del mondo. Ho presentato il primo atto legislativo sul clima al Senato degli Stati Uniti nel 1986 e il mio impegno su questo problema è stato incrollabile. Oggi posso candidarmi alla presidenza degli Stati Uniti e posso affermare con sicurezza che raggiungeremo i nostri obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030. Lotteremo per vedere i nostri obiettivi climatici completamente finanziati. Provvederemo  un nuovo sostegno di 100 milioni di $ per l'adattamento. Ci sarà supporto per i sistemi di allerta precoce in Africa, per rafforzare la sicurezza alimentare e per promuovere un nuovo centro di formazione in Egitto per la transizione verso le energie rinnovabili in tutto il continente. So che sono stati anni difficili. Le sfide interconnesse che dobbiamo affrontare sembrano impossibili. Incolpa la Russia per i picchi dei costi energetici. In questo contesto è più importante che mai raddoppiare i nostri impegni sul clima. Costruiamo insieme il progresso climatico globale. La scienza non lascia spazi, dobbiamo compiere progressi vitali entro la fine di questo decennio. Parla dell'urgenza di ridurre il metano. Ridurre il metano di almeno il 30% entro il 2030 può essere la nostra migliore occasione per mantenere il raggiungimento dell'obiettivo di 1,5 °C. Ci saranno nuove normative sul metano negli Stati Uniti. Questi passaggi ridurranno le emissioni di metano degli Stati Uniti  dell'87% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Parla del mondo naturale e dell'uso del suolo. Le foreste sono più preziose quando vengono preservate che quando vengono distrutte. Chiede un rallentamento della deforestazione.  Parla anche di trasporti. Se vogliamo vincere questa battaglia, non possiamo più invocare l'ignoranza alle conseguenze delle azioni e ripetere i nostri errori. Se riusciamo ad accelerare le azioni su questi problemi chiave, possiamo raggiungere il nostro obiettivo. Ma per piegare in modo permanente la curva delle emissioni, ogni nazione deve fare un passo avanti. Gli Stati Uniti hanno agito, tutti devono agire, è un dovere e una responsabilità della leadership globale. Rende omaggio ai giovani che si battono su questo. I giovani avvertono l'urgenza della crisi climatica e la sentono profondamente. Non ci permetteranno di fallire. Allunghiamoci e prendiamo il futuro nelle nostre mani. Un pianeta preservato, un mondo più equo e prospero per i nostri figli, ecco perché siamo qui, questo è ciò per cui stiamo lavorando. Sono fiducioso che possiamo farcela. Grazie e che Dio vi benedica tutti.

Non c'è alcun riferimento alla questione della perdita e del danno nel discorso di Biden, nonostante fosse uno degli argomenti caldi della conferenza. Non ci sono cenni ai rapporti con la Cina ma è stato comunicato che Xi e Biden si incontreranno a Bali nel G20. Poche le contestazioni e molti gli applausi. Apprezzato l'impegno per l'abbattimento del metano.

Funzionari del governo inglese hanno annunciato una nuova iniziativa con cui i governi responsabili di oltre la metà del PIL mondiale hanno lanciato una serie di obiettivi e misure per ridurre le emissioni di carbonio da settori quali l'energia, il trasporto su strada, l'acciaio e l'agricoltura. L'iniziativa porterebbe alla creazione di decine di milioni di posti di lavoro green in tutto il mondo. Fino a 70 milioni di posti di lavoro in più entro il 2030. James Cartlidge, il segretario al Tesoro del Regno Unito ha difeso l'impegno del governo sui finanziamenti per il clima e ha affermato che la "sospensione nel rimborso del debito che il Regno Unito stava lavorando per realizzare sarebbe un grande aiuto per alcuni dei paesi più colpiti. Sarebbe l'ideale se il loro debito potesse essere sospeso in modo che possano concentrarsi sulla gestione dell'emergenza climatica. Il Regno Unito sta cercando modi per estendere questa sospensione del debito al maggior numero possibile di paesi che ne hanno bisogno. Ha ribadito l'impegno del Regno Unito a 11,6 miliardi di sterline di finanziamenti per il clima per i paesi in via di sviluppo, di cui 4,5 miliardi  sarebbero destinati ad aiutare i paesi poveri ad adattarsi agli impatti delle condizioni meteorologiche estreme, entro il 2025. Il Regno Unito può essere il numero uno nella finanza green, negli investimenti green e nelle tecnologie green.

TORNA SU

10 Novembre 2022.  Oggi è la giornata della gioventù e delle generazioni future

Il 10 novembre è incentrato sui giovani e sul loro ruolo nell'affrontare la crisi climatica per garantire che le loro voci non rimangano inascoltate. Questa giornata a sé stante farà luce sul loro potenziale e sugli impatti dei cambiamenti climatici che loro dovranno subire. I giovani sono moltiplicatori chiave dell'informazione e dell'azione sul clima e, quindi, un prezioso interlocutore al tavolo dei negoziati. Sono i giovani del mondo a sopportare il peso maggiore di gran parte dell'emergenza climatica. Molti leader mondiali sono in un'età in cui probabilmente non saranno vivi entro il 2050, anno dell'obiettivo di zero emissioni nette. Attivisti e praticanti del clima giovanili hanno aperto una tavola rotonda con delegati da tutto il mondo. Una giovane che non è stata vista oggi è Greta Thunberg, che aveva detto che non avrebbe partecipato al vertice del greenwashing e che le COP principalmente sono un'opportunità per i leader e le persone al potere di attirare l'attenzione e fare passerella, facendo largo uso di argomentazioni ipocrite e promesse fasulle. Rachel, una studentessa statunitense che è alla sua prima , si è messa in contatto con il Guardian  per esprimere la sua frustrazione per l'intero processo. Da giovane mi sento come se, nonostante l'attenzione mostrata sui giovani, noi non siamo ascoltati qui. Possono dire tutto ciò che vogliono sull'impegno dei giovani nel processo, ma alla fine della giornata, non siamo al tavolo. Questo è il nostro futuro in gioco, è semplicemente ingiusto  essere messi da parte in questo processo. Da tempo nutro dubbi sul processo dell'UNFCCC, ma in Egitto mi sono convinta che i negoziati dell'Onu non sono strutturati per rispondere efficacemente alla questione del cambiamento climatico. Sono venuta a Sharm per imparare, per avere un posto in prima fila in quello che doveva essere l'entusiasmante processo di negoziati sul clima e di movimento verso l'azione. L'unica cosa che mi è diventata palesemente chiara in questa esperienza, è quanto siano disposti i leader mondiali e gli stati delle nazioni a trascinare i piedi a costo della vita delle generazioni future. Vedendo attraverso il greenwashing da parte delle nazioni di tutto il mondo, questa mattina mi sono sentita spinta a partecipare a una protesta La protesta non dovrebbe essere necessaria in un momento come questo. Se i leader mondiali stessero facendo la cosa giusta in ambiti come questo, non sentiremmo la responsabilità di protestare.

La notizia è che c'è un numero record di lobbisti di combustibili fossili alla COP quest'anno. Ce ne sono 600, con un aumento di oltre il 25% rispetto allo scorso anno e superano in numero qualsiasi rappresentanza di comunità in prima linea colpita dalla crisi climatica. C'è un diffuso scetticismo sul fatto che i negoziati ad alto livello tra i ministri alla COP 27 porteranno a progressi significativi nell'affrontare la crisi climatica. Secondo un sondaggio riferito dal Guardian condotto su 4.800 persone in 12 paesi, tra cui Regno Unito, Egitto, Stati Uniti, Spagna, Italia, India, Germania, Francia, Colombia, Cina, Brasile e Australia l'86% concorda sulla necessità di un'azione urgente per affrontare la crisi, ma solo il 22% crede che a Sharm-el-Sheikh si otterrà qualcosa. Due persone su tre avrebbero sentito parlare di COP, ma solo un terzo delle persone conosce davvero gli obiettivi dell'incontro. Quattro persone su cinque hanno affermato che un'azione globale, collettiva e concertata è importante per affrontare il cambiamento climatico. Tra i temi dell'agenda della COP 27, l'energia rinnovabile e la trasformazione dell'energia sono considerate le più importanti, seguite dalla gestione sostenibile delle risorse idriche, dall'adattamento, dall'agricoltura e dalla biodiversità.

Si fa sentire alla COP 27 la voce della ricerca. La  Climate Action Tracker (CAT) ha affermato che i paesi che si stanno affrettando quest'anno a procurarsi più gas naturale per sostituire le forniture dalla Russia stanno rischiando anni di emissioni che potrebbero danneggiare gli obiettivi climatici. I progetti pianificati potrebbero emettere il 10% del carbon budget, il bilancio mondiale del carbonio restante, l'importo cumulativo che può essere emesso se si vuole evitare un riscaldamento oltre 1,5 °C. CAT ha calcolato che gli obiettivi dichiarati dei paesi per ridurre le emissioni in questo decennio metterebbero il mondo sulla strada per 2,4 °C di riscaldamento, 1,8 °C nello scenario migliore in cui i paesi raggiungessero tutti gli impegni annunciati, compresi gli obiettivi per il 2050, il che richiederebbe politiche più rigide e investimenti molto maggiori per passare all'energia green. Parlando di investimenti nell'energia green, i miliardi di euro in aiuti concessi alle regioni carbonifere dell'Unione Europea non sono riusciti a guidare un'efficace transizione climatica, a fronte di un futuro ulteriormente complicato dalla guerra della Russia in Ucraina. Il sostegno dell'UE alle regioni carbonifere ha ottenuto scarsi risultati per la transizione climatica, energetica, e  sull'occupazione, ha affermato la Corte dei conti europea. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno in programma di rendere noto alla COP  un accordo congiunto per intensificare gli sforzi per ridurre le emissioni del potente gas serra metano dal settore dei combustibili fossili e sperano che altre nazioni aderiscano.  Sia gli Stati Uniti che l'UE, i maggiori emettitori di gas serra dietro la Cina, hanno proposto regolamenti per frenare le perdite di metano delle compagnie petrolifere e del gas a livello nazionale, ma non sono ancora stati attuati. La dichiarazione si baserebbe su un accordo da loro concertato l'anno scorso per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030 dai livelli del 2020.

Ai margini della, COP Israele, Libano e Iraq si sono imprevedibilmente uniti per ridurre le emissioni e la Norvegia sta chiudendo i piani per un grande giacimento petrolifero. La portavoce degli Stati Uniti democratici, Nancy Pelosi, ha fatto alcuni commenti piuttosto off the record in cui ha affermato che i politici repubblicani USA ritengono che il cambiamento climatico sia una bufala. La Slovenia è l'ultimo di una lunga fila di paesi europei che annuncia di abbandonare la carta dell'energia (ECT), che dà alle compagnie energetiche il diritto di citare in giudizio i governi, un grosso ostacolo a qualsiasi accordo in COP 27. Con Paesi Bassi, Spagna e Polonia che stanno uscendo, l'ECT ​​è una nave che affonda, dopo che innumerevoli tentativi di riformarla sono falliti. Questo trattato poco noto viene utilizzato dalle compagnie di combustibili fossili per citare in giudizio i governi sull'azione per il clima. I Paesi Bassi sono stati citati in giudizio per miliardi di dollari per i suoi piani di eliminazione graduale del carbone da due società energetiche. I tentativi di riformare l'ECT ​​sono finiti come un semplice greenwashing, che manterrebbe le aziende di combustibili fossili protette per altri dieci anni, un decennio cruciale per la transizione dai combustibili fossili. è ora che gli altri governo si uniscano alla corsa all'uscita e abbandonare questo trattato in fretta.

Il quinto giorno della Conferenza è stato zeppo di negoziati tecnici su una serie di questioni. I negoziatori si sono incontrati durante il giorno e la notte per discutere, tra le altre cose, di questioni relative alla finanza, all'attuazione cooperativa ai sensi dell'accordo di Parigi (articolo 6) e all'aumento dell'ambizione e dell'attuazione della mitigazione. Le discussioni sulle modalità di finanziamento per perdite e danni hanno attirato una folla, con molti seduti per terra ad ascoltare le aspettative delle parti in merito alla decisione da adottare alla Conferenza.  Ora c'è un ampio consenso sulla necessità di affrontare urgentemente i crescenti impatti dei cambiamenti climatici e alcuni si sono irrigiditi dopo aver sentito i paesi sviluppati immaginare un altro processo pluriennale. Alcune scadenze per la presentazione dei relativi punti all'ordine del giorno sono state spostate, ma nel complesso è un buon segno di progresso: le parti stanno passando da ampi scambi di opinioni a concrete negoziazioni testuali. I paesi in via di sviluppo hanno chiesto una decisione sostanziale su questo punto, compresi i riferimenti a: raggiungimento di un equilibrio tra mitigazione e finanziamento dell'adattamento; e aumentare la quota di risorse veicolate attraverso le entità operative del Meccanismo Finanziario. Altri hanno chiesto di chiarire le metodologie utilizzate per monitorare i progressi, mentre diversi paesi sviluppati hanno evidenziato la valutazione biennale e la panoramica dei flussi finanziari per il clima come fonte chiave. Diversi paesi in via di sviluppo hanno sottolineato la necessità di una definizione comune di finanza per il clima, mentre diversi paesi sviluppati hanno ritenuto sufficiente la panoramica delle definizioni disponibili e hanno favorito l'esame conclusivo della questione. Forti preoccupazioni sono state espresse per gli impegni non mantenuti dei paesi sviluppati sul Fondo di adattamento (AF). Questioni controverse sono emerse anche nelle discussioni in relazione alla diversificazione della base di contributori di AF nonché per i riferimenti a impegni in sospeso per un valore di 174,6 milioni di US$ all'AF e per il raddoppio del finanziamento dell'adattamento nella bozza di testo proposta dai co-facilitatori. è stato ampiamente riconosciuto il divario tra le esigenze e la disponibilità di finanziamenti per perdite e danni e l'urgenza di affrontarlo. Molti hanno indicato i processi e le iniziative esistenti al di fuori dell'UNFCCC mirati a perdite e danni, cosa che è stata accolta da alcuni paesi in via di sviluppo che hanno sottolineato che qualsiasi soluzione adottata deve essere conforme ai principi dell'UNFCCC. Le opinioni divergono sulla natura desiderata degli accordi di finanziamento. Diversi gruppi di paesi in via di sviluppo hanno chiesto una struttura autonoma mentre, al solito, molti paesi sviluppati hanno indicato una finestra dedicata alle perdite e ai danni nell'ambito del Green Climate Fund (GCF), della Global Environment Facility o del Fondo di adattamento e altri meccanismi come le strutture di assicurazione del rischio e il supporto bilaterale. I paesi sviluppati hanno espresso la previsione di un processo che si concluderà nel 2024, che fornisce uno spazio per mappare il panorama attuale, valutare le lacune, approfondire questioni come perdite non economiche ed eventi di insorgenza. Hanno suggerito che il Glasgow dialogue contribuisce a questo processo.

Nel frattempo, il testo uscito sul programma di lavoro per aumentare urgentemente l'ambizione e l'attuazione della mitigazione, stabilito a Glasgow nel 2021, ha ricordato come alcune questioni rimangano ancora altamente politicizzate nonostante tutte le dichiarazioni secondo cui l'accordo di Parigi è ora pienamente in modalità di attuazione. ato collettivo sui finanziamenti per il clima. Fuori dalle sale riunioni, i delegati si sono riuniti in tavole rotonde nel contesto del dialogo tecnico del Global Stocktake nell'ambito dell'accordo di Parigi.

TORNA SU

9 Novembre 2022. Iniziano le giornate tematiche della COP 27. Oggi è il giorno della finanza

Durante le due settimane della conferenza, la presidenza della COP 27 organizza dialoghi ed eventi attraverso una serie di giornate tematiche, che inizieano oggi 9 novembre con un focus sui finanziamenti per il clima, seguite da giornate dedicate al ruolo dei giovani, delle generazioni future e della società per affrontare la crisi climatica, la decarbonizzazione, l'adattamento, l'agricoltura, l'acqua, l'energia, la biodiversità e le possibili soluzioni alla sfida climatica. In tema di finanza, man mano che i paesi migliorano i loro impegni finanziari per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi nel contesto dell'UNFCCC, il settore privato è attratto dalle innumerevoli opportunità offerte dalla decarbonizzazione generalizzata.

L'ONU rende noto che le promesse da parte di aziende, banche e città di raggiungere emissioni nette zero spesso equivalgono a poco più di un greenwashing. Durante i negoziati sul clima dello scorso anno a Glasgow, il segretario generale delle Nazioni Unite aveva nominato 17 esperti per esaminare l'integrità degli impegni di decarbonizzazione delle imprese private. Ora esce il Rapporto che intende tracciare una linea rossa attorno alle false affermazioni di progressi nella lotta contro il riscaldamento globale che possono confondere consumatori, investitori e responsabili politici. Troppi di questi impegni a zero netto sono poco più che slogan vuoti, è stato detto durante la conferenza stampa di lancio del Rapporto. Le affermazioni false sul net-zero fanno aumentare il costo che alla fine tutti pagheranno. Il rapporto  stabilisce un elenco di raccomandazioni che le aziende e altri attori non statali dovrebbero seguire per garantire che le loro affermazioni siano credibili. Ad esempio, un'azienda non può affermare di tendere a zero se continua a costruire o investire in nuove infrastrutture per combustibili fossili o nella deforestazione. Il rapporto respinge anche l'uso di crediti di carbonio a basso costo per compensare le emissioni continue e raccomanda alle aziende, alle istituzioni finanziarie, alle città e alle regioni di concentrarsi sulle emissioni nette e non sull'intensità di carbonio, una misura di quanto carbonio viene emesso per unità di output.  ActionAid International  ha affermato che le imprese si sono nascoste da tempo dietro annunci di zero emissioni nette e iniziative di compensazione delle emissioni di carbonio, con pochissime intenzioni di svolgere davvero il duro lavoro di trasformazione e riduzione delle emissioni.

Nel settore pubblico, non si può che cominciare dal presidente della Banca Mondiale, David Malpass, nel mirino di Mia Mottley come l'IMF. Lui sostiene di non essere un negazionista del cambiamento climatico. Malpass, nominato da  Donald Trump, ha precedentemente affermato di non sapere nemmeno se avesse accettato la scienza del clima. La Casa Bianca di Joe Biden ha ovviamente condannato le sue dichiarazioni. La Banca mondiale ha ripetutamente fallito nell'adottare un piano d'azione forte sulla crisi climatica ed è sottoposta a crescenti pressioni per riformare per aiutare a finanziare la transizione climatica nei paesi in via di sviluppo. Intervistato,  Malpass ha rifiutato di rispondere alle domande sulla necessità di una riforma della World Bank.

Per la Cina Xie Zhenhua ha detto che Il principio della responsabilità comune ma differenziata assolve la responsabilità storica della Cina; il principio dice che i diversi paesi dovrebbero avere un diverso livello di responsabilità e lo stesso con perdita e danno. Non c'è un obbligo per la Cina, ma siamo disposti a dare il nostro contributo, a fare il nostro sforzo.

John Kerry, per gli USA, ha presentato una nuova iniziativa globale di scambio di crediti di carbonio che  sarebbe critica per aiutare i paesi in via di sviluppo a passare a forme di energia più pulite. Il nuovo schema, chiamato Energy Transition Accelerator, lanciato in collaborazione con la Rockefeller Foundation e il Bezos Earth Fund  (Amazon), genererà finanziamenti attraverso crediti di carbonio volontari di alta qualità. "Dobbiamo rompere gli schemi su questo", ha detto Kerry durante un evento al padiglione degli Stati Uniti. Sebbene i dettagli del programma debbano ancora essere completamente definiti, Kerry ha affermato che è importante mobilitare capitali privati ​​per aiutare a fornire miliardi di dollari di investimenti per aumentare le energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo che spesso lottano per ottenere finanziamenti per tali progetti. I mercati del carbonio, in cui i crediti che rappresentano una certa quantità di inquinamento da carbonio vengono acquistati e venduti con l'obiettivo di ridurre le emissioni, sono stati perseguitati dalle critiche sul fatto che non fanno altro che fornire credenziali verdi alle grandi aziende inquinatrici. Kerry ha detto di essere consapevole del fatto che il commercio di carbonio è stato greenwashing in passato, ma ha promesso che ci saranno forti cautele per garantire che i tagli alle emissioni siano reali. Dubbi sono stati espressi da Cherelle Blazer, direttore della campagna politica al Sierra Club. Un programma volontario di crediti di carbonio non garantirà tagli profondi e reali delle emissioni, si dice, anzi
aggraverà proprio il problema non riuscendo a ridurre effettivamente le emissioni e distrarrebbe dalla necessità reale e urgente per gli Stati Uniti di mantenere il proprio debito climatico attraverso la finanza pubblica. Ciò di cui abbiamo bisogno sono regole solide sui tagli alle emissioni e un sistema globale di finanziamento del clima che costringa i paesi ricchi a mantenere ciò che hanno promesso, non cercare di trovare finanziamenti nelle retrovie del settore privato che dovrebbe essere distinto dagli obblighi del paese.

L'economista Jeffrey Sachs ha affermato che l'era dell'impunità sull'inquinamento da combustibili fossili da parte dei paesi ricchi è finita e un tribunale internazionale si pronuncerebbe a favore dei paesi in via di sviluppo se fossero in grado di citare in giudizio per perdite e danni. Gli emettitori storici, tra cui Cina e Brasile insieme agli Stati Uniti, agli Stati europei e ad altri principali inquinatori, dovrebbero pagare le perdite e i danni in proporzione alle loro emissioni. La giustizia implica coloro che storicamente hanno contribuito all'aumento delle concentrazioni di gas serra e quindi, a questi disastri climatici sempre più intensi. I paesi ricchi hanno agito impunemente. Ma è finita perché in realtà, il potere dei paesi ricchi  di respingere la richiesta di giustizia è finita a questa COP. I grandi contribuenti netti saranno gli Stati Uniti e pochi altri paesi perché francamente hanno utilizzato molti combustibili fossili nel corso degli anni. E sappiamo che i piccoli stati insulari altamente vulnerabili e i  paesi poveri e asciutti, specialmente in Africa, saranno i principali beneficiari. La Banca mondiale e altre organizzazioni di Bretton Woods devono essere riformate per affrontare la crisi climatica. L'economia mondiale è grande, i bisogni del mondo in via di sviluppo sono enormi, soprattutto con tutte queste trasformazioni necessarie. Eppure la dimensione del prestito effettivo è molto, molto modesta, circa 100 miliardi di dollari in totale, se si aggiungono la Banca mondiale e la banca di sviluppo regionale. Quindi l'unica cosa importante da fare è una massiccia espansione dei finanziamenti allo sviluppo, per sfruttare i risparmi mondiali in modo che supporti effettivamente lo sviluppo sostenibile e la trasformazione climatica. E questo è abbastanza fattibile, molto praticabile, in realtà facile da fare. e i paesi in via di sviluppo entrano da soli nel mercato delle obbligazioni in euro, pagano il 10% o il 12% di interesse. Invece la Banca Mondiale  o la Banca di sviluppo regionale, se opportunamente capitalizzate, possono prendere prestiti con un interesse del 3% o del 4% e poi prestare a condizioni molto favorevoli. E quindi questo è il passo più fondamentale che trasformerebbe le prospettive per gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l'agenda sul clima.

Il Regno Unito ha affermato che consentirebbe alcune dilazioni del pagamento del debito per i paesi colpiti da disastri climatici, mentre Austria e Nuova Zelanda hanno presentato finanziamenti per perdite e danni, che è il costo della ricostruzione nelle nazioni più povere dopo gli inevitabili impatti climatici. La fornitura di finanziamenti da parte di nazioni ricche e inquinanti a quelle nazioni vulnerabili che hanno fatto poco per causare la crisi climatica è fondamentale per il successo  della COP 27. Per sconfiggere il riscaldamento globale è necessario che ogni nazione agisca, ma senza progressi sulla finanza, i paesi in via di sviluppo non si fideranno dei paesi sviluppati e l'azione collettiva fallirà.

L'autorevole rivista Nature interviene su finanziamento del loss and damage, dicendo che dopo decenni, i Paesi grandi emettitori stanno finalmente ascoltando la richiesta di compensare i paesi a basso e medio reddito (LMIC) per gli effetti del cambiamento climatico in atto. Ora tutti devono procedere con attenzione, basarsi sulla ricerca, studiare il negoziato dell'ONU sull'ambiente e discutere conn uno spirito costruttivo di dare e avere. La necessità di finanziamenti per perdite e danni non può più essere negata. Eppure non deve diventare una questione divisiva. Finora, i paesi a reddito più elevato hanno preferito concentrare i loro finanziamenti per il clima sulla mitigazione, sostenendo lo sviluppo dell'energia green, e, in misura minore, l'adattamento . Finora, hanno promesso, e non mantenuto, 100 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti per il clima e 40 miliardi di dollari all'anno dal 2025 per i finanziamenti per l'adattamento, niente per i danni. I paesi ricchi hanno resistito per anni, ma è impossibile ignorare l'orribile devastazione che si sta verificando nelle regioni che hanno contribuito poco alle emissioni che alterano il clima.

In un evento presso il padiglione ucraino, Bill McKibben, ambientalista americano e fondatore di 350.org, ha dichiarato: “Quest'anno abbiamo compreso appieno il legame tra combustibili fossili e fascismo. Putin non avrebbe potuto invadere l'Ucraina senza i profitti del petrolio e del gas, o aggredire l'Occidente minacciando di chiudere i rubinetti del gas. L'industria è abbastanza potente da metabolizzare le energie rinnovabili. Ma i combustibili fossili rovinano il clima e il clima politico, l'Ucraina ha chiarito questo caso. Dovremmo chiamarla una conferenza sui combustibili fossili, non una conferenza sul clima. Tra il pubblico c'era Svitlana Krakovska, scienziata climatica ucraina e capo della delegazione ucraina al IPCC. Dice: nessun combustibile fossile sporco dovrebbe essere utilizzato per ricostruire l'Ucraina, dobbiamo combattere la nostra stessa dipendenza dai combustibili fossili e ricostruire l'ambiente.

Oggi i negoziatori si sono chiusi dentro le loro stanze per andare avanti con il loro lavoro. All'esterno Le autorità egiziane sono sempre più sotto pressione per fornire risposte su dove si trovi Abd el-Fattah e se è ancora vivo, tra la crescente preoccupazione della sua famiglia che i funzionari lo stiano alimentando forzatamente per tenerlo in vita durante la COP 27. "L'alimentazione forzata è una tortura e non dovrebbe accadere nulla che sia contro la volontà di Alaa", ha detto ieri Sanaa Seif, la sorella di Abd el-Fattah. Sono continuati oggi gli sforzi del governo egiziano per coprire la sua deplorevole situazione in materia di diritti umani con tattiche di pubbliche relazioni estremamente discutibili, dopo che il parlamentare Amr Darwish è stato espulso da una conferenza stampa  per aver urlato insulti, una tattica purtroppo familiare ai dissidenti egiziani con sede all'estero.

Nei negoziati a livello tecnico, i paesi in via di sviluppo hanno espresso frustrazione per il mancato rispetto degli impegni assunti dai paesi sviluppati. Questi includono un obiettivo fissato a Glasgow nel 2021 per almeno raddoppiare il finanziamento dell'adattamento rispetto ai livelli del 2019 entro il 2025. I paesi in via di sviluppo hanno anche lamentato i processi lenti nell'accreditare i nuovi organismi di attuazione nell'ambito del Green Climate Fund e nel far decollare i progetti, e ciò che alcuni hanno ritenuto essere i  criteri di ammissibilità esclusivi per ricevere finanziamenti. I negoziati sull'articolo 6, il mercato del carbonio,  sono proseguiti per tutta la giornata con i delegati che si sono incontrati in consultazioni informali  fino a tarda notte. Sebbene le parti abbiano esaminato il testo a un ritmo relativamente rapido, ciò non rifletteva necessariamente punti di vista convergenti. Su diverse questioni, le parti hanno semplicemente ripetuto le loro opzioni preferite, anche se spiegando le loro posizioni. I facilitatori hanno continuato a incoraggiare il dialogo tra le parti, chiedendo suggerimenti per produrre un compromesso.

I ministri hanno discusso in merito alle aspettative per nuovi obiettivi quantificati sui finanziamenti per il clima e i negoziatori hanno iniziato a lavorare per dare  orientamenti ai fondi per il clima. Cresce il timore per la mancanza di salvaguardie integrate nel meccanismo dell'articolo 6.4 per l'attuazione cooperativa dell'accordo di Parigi. Molti paesi e gruppi in via di sviluppo e sviluppati hanno sottolineato la necessità di semplificare e accelerare i processi di accreditamento e riaccreditamento al Fondo per l'adattamento. I paesi in via di sviluppo, hanno richiamato l'attenzione sulla mancanza di sufficienza, sostenibilità e prevedibilità delle risorse a disposizione del fondo, nonostante la domanda crescente e le strategie ambiziose.

In materia di quantificazione degli obiettivi di finanziamento i ministri hanno suggerito che:

  • l'obiettivo dovrebbe essere fissato a un livello quantitativo che rifletta l'entità dei finanziamenti necessari per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi;

  • si ampli la base contributiva a tutti coloro che sono in grado di contribuire;

  • si dia un'attenzione particolare al sostegno ai paesi meno sviluppati e ai piccoli stati insulari in via di sviluppo;

  • vanno mitigarti i rischi di investimento per facilitare l'accesso dei paesi in via di sviluppo al capitale privato;

  • va riformato il sistema di Bretton Woods, WB, IMF,  per integrare il rischio climatico nelle istituzioni finanziarie;

  • va lanciata un'iniziativa di cancellazione del debito a livello globale per liberare spazio fiscale dei paesi in via di sviluppo.

TORNA SU

 

8 Novembre 2022. La seconda giornata dedicata ai leader mondiali

Si ha notizia in giornata di una lettera aperta di 15 premi Nobel per esortare il mondo a non dimenticare le molte migliaia di prigionieri politici detenuti nelle carceri egiziane e più urgentemente, lo scrittore e filosofo egiziano-britannico, Alaa Abd el-Fattah, in sciopero della fame da sei mesi e a rischio di morte. Alaa ha passato gli ultimi dieci anni, un quarto della sua vita, in prigione, per le parole che ha scritto. Per i suoi saggi, post e discorsi sui social media e per le idee che ha presentato al mondo, idee sulla democrazia e il diritto, la tecnologia e il lavoro, idee che dovrebbero essere celebrate, ma invece gli sono costate la libertà.

Durante un evento ospitato domenica nel padiglione cinese, Xie Zhanghua, il principale inviato cinese per il cambiamento climatico, ha chiesto maggiori aiuti alle nazioni in via di sviluppo. La Cina ha inviato una delegazione di più di 50 persone, di dimensioni simili alle precedenti COP, guidata da Zhao Yingmin, vice ministro dell'ecologia e dell'ambiente. Xie ha rifiutato di rispondere a una domanda sulla possibilità per Cina e Stati Uniti di riprendere i colloqui bilaterali formali sui cambiamenti climatici durante l'evento, e  ha affermato che la Cina ha compiuto notevoli progressi verso i suoi obiettivi di raggiungere il picco di emissioni di carbonioal 2030 e la neutralizzazione. Tuttavia colloqui informali sono in corso tra i due giganti.  Insieme alla comunità internazionale, la Cina attuerà politiche e azioni per ottenere sinergie nella riduzione dell'inquinamento e del carbonio. Il paese ha accelerato l'attuazione del suo obiettivo  che è quello di raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030 e raggiungere la neutralità del carbonio prima del 2060, in un modo completo, compreso l'istituzione di un agenzia nazionale dedicata e l'emissione delle linee guida su come raggiungere l'obiettivo.

La battaglia USA-Cina per l'egemonia climatica è al centro della scena alla COP 27. L'amministrazione Biden sta "facendo di tutto per affermarsi come leader globale sull'azione per il clima, ma ciò richiederebbe un confronto diplomatico con la Cina. Gli Stati Uniti, che sono il secondo più grande emettitore di carbonio dopo la Cina, intendono sfidare la pretesa cinese di leadership globale sull'azione per il clima con una serie di nuove iniziative. La competizione geopolitica può effettivamente essere utile. Gli Stati Uniti facendo di più sul clima possono portare la Cina a fare di più. Washington che non risparmia sforzi per utilizzare questo vertice per sostenere la sua leadership sulle questioni climatiche, secondo alcuni sta scaricando la colpa sulla Cina per le questioni climatiche e seminando discordia tra la Cina e altri paesi in via di sviluppo.

Continua oggi la sfilata dei leader mondiali. In mattinata Andrzej Duda, presidente della Polonia, dice senza vergogna che il paese è un modello di sviluppo sostenibile. Di carbone non parla forse dimenticando che la COP 24 a Katowice, in Polonia, è stata tormentata per due settimane dall'odore del carbone bruciato. Duda dice anche: "Non siamo ipocriti: è facile per i paesi ricchi vantarsi delle proprie iniziative e che se la produzione si è spostata in Polonia da altri paesi, i paesi importatori hanno non poca responsabilità.

Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha pronunciato parole forti oggi al vertice sul clima. Molte élite hanno negato il cambiamento climatico ignorando gli avvertimenti della comunità scientifica. Si sarebbe dovuto fare di più negli ultimi 30 anni per dichiararla un'emergenza e agire di conseguenza. Ricorda ancora la COP 15 nel 2009 a Copenaghen e la brutalità della repressione della polizia nelle strade contro i movimenti sociali e quello che è successo da allora. Abbiamo perso molto tempo da allora. Maduro ha toccato questioni di giustizia climatica, sottolineando che il Venezuela è responsabile solo dello 0,4% dei gas serra nel mondo. Il pianeta ci ha dato tutto ciò di cui avevamo bisogno per la vita con generosità, eppure oggi il collasso totale del nostro ecosistema... sembra essere il nostro destino fatale.

In un discorso relativamente ottimista, António Costa, il primo ministro del Portogallo, ha sottolineato che il suo paese è riuscito a mitigare molti degli effetti della crisi energetica causata dalla crisi ucraina grazie ai suoi forti investimenti nelle energie rinnovabili. Abbiamo iniziato a investire nelle energie rinnovabili 15 anni fa e ora il paese può diventare carbon neutral entro il 2045, prima dell'obiettivo del 2050 fissato da molti altri paesi.  Unito a Francia e Spagna creeremo un corridoio di energia green. Il paese ha abbandonato il carbone otto anni prima del previsto e Costa ha detto che non pensa che la guerra in Ucraina farà sì che il paese annulli la decisione.

Con uno stile deciso e risoluto come sempre, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha esortato il nord del mondo a seguire l'esempio dell'UE di impegnare i finanziamenti per il clima nel sud del mondo. I più bisognosi nei paesi in via di sviluppo devono essere aiutati ad adattarsi a un clima più duro. Esortiamo i nostri partner nel nord del mondo a rispettare i loro impegni di finanziamento del clima nel sud del mondo. Sebbene il mondo sviluppato non abbia ancora rispettato l'impegno di donare 100 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima, il sistema Europa sta rafforzando i suoi impegni e i suoi obiettivi... nonostante il Covid, nonostante la guerra russa. Ha evidenziato la necessità di raggiungere gli obiettivi di Parigi e ha affermato che l'Europa sta tenendo la barra diritta. Chiediamo a tutti i principali emettitori di aumentare le loro ambizioni. Von der Leyen ha anche evidenziato gli accordi sull'idrogeno che l'Europa ha concluso con l'Egitto e altri paesi, commentando: "Il sud del mondo ha le risorse in abbondanza, quindi uniamoci". Ha rivendicato il record di energia rinnovabile dell'UE e ha affermato che nel prossimo anno potrebbero essere raggiunti 100 GW di capacità aggiuntiva di energia rinnovabile. Ogni kilowattora che generiamo dall'energia green non è solo un bene per il clima, è anche un bene per la  resilienza dell'intera Europa. Indubbiamente va reso omaggio a questa leader coraggiosa, colpita dalla pandemia pochi giorni dopo aver lanciato il suo Green Deal. Ha poi lanciato un grande programma di recupero dalla pandemia con i PNRR, di cui un'Italia euro e clima-scettica nella sua maggioranza, ha beneficiato perfino aldilà dei suoi meriti e delle sue capacità di gestione. Nemmen fuori dall'emergenza ha subito l'aggressione russa all'Ucraina che ha sconvolto e confuso tutti i piani europei. In prospettiva storica sembra trattarsi di un attacco esplicito da parte di un paese che campa e si arma vendendo combustibili fossili all'Europa, prima che questa faccia in tempo ad avviare la decarbonizzazione. Presa a metà del guado, avrà pensato l'aggressore, dovrà venire a più miti consigli sulla rinuncia ai fossili. Con la Von der Leyen l'Europa si prefiggeva di svolgere il ruolo di guida e stimolo su tutto il mondo in fatto di ambizioni climatiche. Ora la UE si presenta alla COP 27 in stato confusionale con alcuni paesi membri ripiegati sul gas, altri sul nucleare ed altri ancora sul carbone, incapace di fronteggiare un mercato interno in cui i prezzi dei fossili e la speculazione sono esplosi così come l'inflazione.

Quest'anno si sono verificati molti disastri meteorologici estremi resi più gravi o più probabili dalla crisi climatica, ma nessuno della portata devastante delle inondazioni in Pakistan. Shehbaz Sharif, il primo ministro del Pakistan, ha messo a nudo l'impatto e quanto sia alta la posta in gioco i avvertendo altri paesi che potrebbero affrontare un destino simile. Le catastrofiche inondazioni hanno colpito 33 milioni di persone, più della metà delle nostre donne e bambini, coprendo le dimensioni di tre paesi europei. Nonostante sette volte la media delle piogge estreme nel sud, abbiamo continuato a lottare mentre impetuosi torrenti hanno strappato oltre 8.000 km di ferrovie, danneggiato più di 3.000 km di binari e spazzato via i raccolti in  4 milioni di acri e devastato tutti e quattro gli angoli del Pakistan. Una stima del danno da perdita ha superato i 30 miliardi di dollari e tutto ciò è avvenuto nonostante le nostre impronte di carbonio molto basse. Siamo diventati vittime di qualcosa con cui non avevamo nulla a che fare, e ovviamente è stato un disastro causato dall'uomo.  Abbiamo dovuto importare grano, olio di palma e, naturalmente, petrolio e gas molto costosi, spendendo dai 30 ai 32 miliardi di dollari. Abbiamo reindirizzato le nostre scarse risorse per soddisfare i bisogni primari di milioni di persone e abbiamo dovuto sborsare circa 316 milioni di dollari. Ora l'inverno si sta avvicinando e dobbiamo fornire case di accoglienza, cure mediche e pacchetti alimentari a milioni di persone. Da un lato dobbiamo provvedere alla sicurezza alimentare della gente spendendo miliardi di dollari e dall'altro dobbiamo spendere miliardi di dollari per proteggere le persone colpite dalle inondazioni da ulteriori miserie e difficoltà. Come diavolo ci si può aspettare da noi che intraprendiamo questo compito gigantesco da soli?

In serata il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelenskiy, ha parlato al vertice da Kiev  affermando che porre fine alla guerra in Ucraina è vitale per il clima. Non ci può essere una politica climatica efficace senza pace. L'invasione della Russia ha causato il caos nelle forniture energetiche globali, nei prezzi dei generi alimentari e nelle foreste dell'Ucraina, ha affermato.

Le autorità egiziane hanno vietato le proteste presso il principale centro congressi dove si stanno svolgendo i negoziati sul clima, proprio come sono vietati in tutto il Paese, ma sorprendentemente non c'è stato alcun segno che la sicurezza la voglia mettere giù dura.  Nonostante il divieto, nei prossimi giorni probabilmente vedremo altre proteste nella zona blu, quella del Summit, poiché molti attivisti hanno affermato che non utilizzeranno l'area di protesta ufficiale designata che si trova da qualche parte nel deserto, né andranno alla Green Zone, l'area ufficiale per gli attivisti che è per metà parco a tema, per metà spazio espositivo aziendale e a 25 minuti di sudata passeggiata dalla sede delle trattative.

TORNA SU

7 Novembre 2022. La prima giornata dedicata ai leader mondiali

In apertura dell'Assemblea generale parla il Presidente egiziano Al-Sisi. Cauto nazionalismo panafricano. Nessun cenno alle ragioni della crisi mondiale salvo che per lamentare che il suo paese ha sofferto molto per il Covid-19 e oggi sta soffrendo ancora una volta a causa di questa guerra inutile.  Questa guerra e le sofferenze che ha causato, devono finire, invoca. La guerra ha causato enormi problemi economici in Egitto, che dipende dal grano proveniente dalla regione del Mar Nero. L'inflazione annua è salita al 15,3% ad agosto, rispetto a poco più del 6% nello stesso mese dello scorso anno. La sterlina egiziana ha recentemente toccato un minimo storico contro il rafforzamento del dollaro USA, vendendo a 19,5 sterline contro un dollaro. Muto sui diritti civili. Retorica climatica alle stelle e nient'altro. Cede poi la parola a Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite: "Siamo sulla strada per l'inferno climatico con il piede sull'acceleratore". L'avvertimento ha lo scopo di comunicare un tono di grave urgenza, mentre alti funzionari del governo si siedono per due settimane di colloqui su come evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici, anche se sono distratti dalla guerra russa in Ucraina, dall'inflazione dilagante e dalla carenza di energia. Guterres ha chiesto un patto tra i paesi più ricchi e quelli più poveri del mondo per accelerare la transizione dai combustibili fossili e accelerare l'erogazione dei finanziamenti necessari per garantire che i paesi più poveri possano ridurre le emissioni e far fronte agli effetti del riscaldamento globale che si sono già verificati. Per più di un decennio, le nazioni ricche hanno respinto le discussioni ufficiali su ciò che viene definito perdita e danno, il termine usato per descrivere le nazioni ricche che erogano fondi per aiutare i paesi poveri a far fronte alle conseguenze del riscaldamento globale per il quale non hanno alcuna colpa. Finora, solo due paesi hanno offerto finanziamenti per perdite e danni. La Danimarca ha impegnato 100 milioni di corone danesi (13 milioni di US$) e la Scozia ha promesso 2 milioni di sterline (2,28 milioni di US$). Il ministro degli esteri britannico James Cleverly annuncerà inoltre investimenti per oltre 100 milioni di sterline (115 milioni di US$) per sostenere i paesi in via di sviluppo nella loro lotta contro l'impatto del cambiamento climatico. In confronto, alcune ricerche suggeriscono che le perdite legate al clima potrebbero raggiungere i 580 miliardi di dollari all'anno entro il 2030.

Parla Al Gore, per gli Stati Uniti, dicendo che possiamo fare nostra la cultura della morte continuando a scavare combustibili fossili. Cita gli immensi disastri climatici degli ultimi mesi con un miliardo di migranti che potenzialmente attraverseranno i confini internazionali in questo secolo, con tutte le colossali difficoltà che ne deriveranno. Possiamo sopravvivere se smettiamo di promuovere la cultura della morte e sosteniamo l'energia rinnovabile.  Nessun nuovo progetto di combustibili fossili è accettabile. La corsa per il gas in Africa è una nuova forma di colonialismo. Cita il defunto arcivescovo Desmond Tutu dicendo che il cambiamento climatico è l'apartheid del nostro tempo. Invece l'Africa può essere una superpotenza delle energie rinnovabili perché il 40% del potenziale mondiale è in Africa.

Parla Mia Mottley, primo ministro delle Barbados rilanciando la sua proposta di profondi cambiamenti del sistema finanziario internazionale. In che modo le compagnie petrolifere e del gas che realizzano 200 miliardi di dollari di profitti negli ultimi tre mesi non si aspettano di contribuire con almeno 10 centesimi su ogni dollaro a un fondo perdite e danni?

Il nuovo premier inglese Rishi Sunak,  incontra Giorgia Meloni (in figura)con cui non trova di meglio da fare che parlare  dei migranti che arrivano in UK e in Italia. Dal palco loda il presidente della COP 26 Alok Sharma e sottolinea gli impegni presi a Glasgow. Il Regno Unito è stata la prima economia al mondo a impegnarsi per raggiungere lo zero netto.  Non esiste soluzione al cambiamento climatico senza proteggere e sostenere la natura, perciò a Glasgow sono stati presi impegni per proteggere oltre il 90% delle foreste del mondo. Alcuni usano le difficili condizioni economiche e la pandemia come scusa per ritardare l'azione per il clima. Attivisti inglesi hanno poi detto che le tiepide parole forestali di Rishi Sunak oggi non sono riuscite ad affrontare la portata dell'emergenza climatica. La sua promessa di finanziamento è molto al di sotto della giusta quota di finanziamenti per il clima.

Emmanuel Macron dichiara che anche se il nostro mondo non è più lo stesso, il clima non può essere la variabile di compensazione per la guerra lanciata dalla Russia sul suolo ucraino. Non sacrificheremo i nostri impegni sul clima sotto la minaccia energetica della Russia. Tutto ciò che è stato detto a Glasgow, durante la COP 26, rimane valido. Parla della necessità della sobrietà energetica, per allontanarsi dai combustibili fossili. Sulla giustizia climatica afferma che la fiducia tra nord e sud del mondo si sta sgretolando e che è urgente venire a patti con l'idea di solidarietà finanziaria. Ciò significa che nazioni ricche e inquinanti devono consegnare denaro a nazioni più povere e vulnerabili. La Francia ha già erogato più della sua "quota equa" di finanziamenti per il clima, mentre Stati Uniti e Australia non l'hanno fatto. Macron sostiene anche le richieste di un'importante riforma della Banca mondiale e del FMI per fornire molti più finanziamenti per il clima, come richiesto da Mia Mottley (Barbados).

A sera avanzata prende la parola Giorgia Meloni, in un inglese coraggioso. Dice: Siamo al punto decisivo nella lotta al cambiamento climatico. Negli ultimi mesi abbiamo sperimentato i suoi drammatici effetti in tutta Europa, in Pakistan, nel Corno d'Africa e in molte altre regioni. Siamo tutti chiamati a rendere più profondo e veloce lo sforzo per proteggere la nostra casa comune.  Dobbiamo tenere le persone al centro del progetto coniugando sostenibilità ambientale economica e sociale. Nonostante uno scenario internazionale molto complesso, già colpito dalla pandemia e ulteriormente devastato dall'aggressione contro l'Ucraina, l'Italia   rimane fortemente impegnata a perseguire la sua decarbonizzazione nel pieno rispetto degli obiettivi dell'accordo di Parigi. Noi vogliamo sviluppare la nostra strategia di diversificazione energetica in stretta collaborazione con diversi paesi africani con i quali abbiamo accordi sulla sicurezza energetica,  le rinnovabili e l'educazione dei giovani. Questo stimolerà la crescita green, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo di catene del valore sostenibili.  Intendiamo ridurre le nostre emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 al più tardi. In questa prospettiva l'Italia ha recentemente rafforzato la propria quota installata di energie rinnovabili e accelererà questo trend in linea con gli obiettivi di REPowerEU. Intendiamo perseguire una giusta transizione per sostenere le comunità colpite e non lasciare indietro nessuno. L'anno scorso la presidenza italiana del G20 ha raggiunto risultati concreti che aprono la strada agli accordi a Glasgow. Come partner del Regno Unito per la COP 26 abbiamo promosso il Youth for climate per coinvolgere i giovani nei processi decisionali sui cambiamenti climatici. L'Italia ha aumentato significativamente il proprio contributo alla finanza per il clima quasi triplicando il nostro impegno finanziario a 1,4 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni di cui 840 milioni di Euro attraverso il nuovo Fondo per il clima italiano. Questa è la prima piattaforma di investimento italiana specificamente dedicata allo sviluppo delle tecnologie pulite e all'adattamento al cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo. Rimaniamo impegnati a mantenere l'obiettivo di 100 miliardi di dollari per sostenere i paesi in via di sviluppo fino al 2025 e a definire più avanti un obiettivo ambizioso e sostenibile. Per farlo dobbiamo integrare gli investitori privati, il governo  e le banche multilaterali di sviluppo per condividere investimenti e rischi e per accelerare una transizione energetica giusta. L'Italia è orgogliosa di far parte del partenariato per la giusta transizione energetica e parteciperò all'iniziativa del G7 che fornirà risorse finanziarie sostanziali e assistenza tecnica ai paesi partner.  I recenti disastri climatici, in particolare il dissesto idrogeologico del nostro territorio, mostrano che mitigazione e adattamento sono le due facce della stessa medaglia. L'Italia  bilancerà il suo sostegno finanziario ad entrambe le priorità. Nel 2020 Il 56% del nostro sforzo complessivo sarà dedicato alle misure di adattamento mentre il restante 44% andrà alla la mitigazione. Combattere il cambiamento climatico è responsabilità comune di tutti i paesi attraverso una cooperazione pragmatica tra tutti i principali attori globali. Purtroppo dobbiamo ammettere che questo non sta accadendo. Non possiamo nascondere il fatto che le nazioni più colpite del disastro rischiano di non ricevere alcun compenso da quelle che oggi sono le più responsabile delle emissioni di CO2 del pianeta. Ciò è paradossale e sono necessarie misure per correggere questo squilibrio. I nostri sforzi sarebbero altrimenti vani e proprio il risultato di eventi come quello a cui stiamo partecipando oggi non produrrebbe i fatti  che la storia si aspetta da tutti noi e tradiremmo le nostre future generazioni.  Il  nostro impegno a proteggere l'ambiente come parte della nostra identità è l'esempio più vivido dell'alleanza tra coloro che sono qui, quelli che sono stati qui e coloro che verranno dopo di noi. L'Italia farà la sua parte.

Nulla di quanto dice la Presidente ci trova in disaccordo, ma il discorso è piatto, senza emozioni né slanci, e lascia un sapore in bocca di vecchie scartoffie. Regeni e Zaki sono dimenticati in nome della caccia al gas Africano. L'ipocrisia si taglia col coltello. Facile prevedere che i media italiani, oggi attenti, dimenticheranno rapidamente la COP 27.

Dopo di lei c'è ancora il Presidente tedesco Scholz che parla per la Germania, una volta faro delle ambizioni dell'Unione Europea. La Germania eliminerà gradualmente i combustibili fossili senza se e senza ma; non ci deve essere una rinascita globale delle energie fossili, ha proseguito il Cancelliere. Allo stesso tempo, tuttavia, sta guidando l'espansione delle infrastrutture del gas in Germania e in altri paesi. Quando finirà questa storia? Scholz tace su questo. Rivolgendosi ai paesi emergenti e in via di sviluppo particolarmente colpiti dalla crisi climatica, il Cancelliere promette che entro il 2025 la Germania aumenterà i finanziamenti internazionali per il clima da fondi pubblici da 5,31 a sei miliardi di euro. Altri 170 milioni confluiranno in un nuovo fondo assicurativo destinato ad attutire i rischi climatici nei singoli paesi.

TORNA SU

6 Novembre 2022. Apertura della COP 27

La COP 27, a cui parteciperanno 196 paesi, 45.000 persone e 120 leader mondiali, si è ormai meritata lo stigma pregiudiziale di fallimentare, che nelle altre sessioni era stata la immancabile conclusione, almeno però a cose fatte. Qui tutti sono ormai dell'idea che i problemi del mondo sono ben altri, inflazione, guerra, energia, e che l'approccio multilaterale ONU ai negoziati ha fatto il suo tempo, incapace di fermare i conflitti e di scongiurare pandemie, crisi climatiche, perdita di biodiversità, povertà e migrazioni. La COP 27 ha avuto un inizio ritardato dopo che i delegati hanno litigato fino a tarda notte sabato e domenica mattina su ciò che dovrebbe essere discusso alla conferenza. Al centro del disaccordo c'era l'annosa questione di perdite e danni, che si riferisce alle devastanti conseguenze del crollo climatico subito dai paesi più poveri e vulnerabili, e come aiutarli. I delegati non sono riusciti a concordare se e come inserire perdite e danni all'ordine del giorno del vertice. Le discussioni all'ordine del giorno sono iniziate alle 15:00 di sabato, sono proseguite fino a dopo l'una di notte senza risultati e sono state finalmente completate domenica mattina.

Il primo giorno dei colloqui è stato dominato da discussioni sulla necessità che le nazioni ricche paghino quelle più povere in riconoscimento del loro ruolo dominante tra le cause del cambiamento climatico. Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia sono tutti debitori di miliardi di dollari per la loro "quota equa" di fondi per il clima per i paesi in via di sviluppo.

L'inizio della COP previsto per le 10:00 è stato ritardato di ore, suscitando timori. La trattativa preliminare alla fine ha impegnato  la conferenza delle parti a discutere le questioni relative agli accordi di finanziamento in risposta a perdite e danni associati agli effetti negativi del cambiamento climatico, compreso un focus sull'affrontare perdite e danni. La discussione farà parte del Glasgow dialogue e dovrà essere conclusa entro il 2024. Le NGO hanno accolto favorevolmente la risoluzione. Secondo il WRI, i paesi hanno superato un primo ostacolo storico verso il riconoscimento e la risposta alla richiesta di finanziamenti per far fronte a perdite e danni sempre più gravi. Ma la volontà politica è limitata. Gli Stati Uniti e l'UE temono che tale risarcimento possa caricarli di una responsabilità illimitata e senza fine. L'anno scorso, le nazioni ricche hanno promesso di fornire 40 miliardi di US$ all'anno entro il 2025 per aiutare i paesi più poveri ad adattarsi. Un rapporto delle Nazioni Unite stima che questo importo sia inferiore a un quinto di ciò di cui i paesi in via di sviluppo hanno bisogno, e che sono legittime le richieste di finanziamenti separati per far fronte alle conseguenze dei disastri climatici più poveri. Gli importi sono significativi. Secondo l'annuale Adaptation Gap Report del'UNEP pubblicato la scorsa settimana, i costi annuali di adattamento nei paesi in via di sviluppo potrebbero essere compresi tra 160 e i 340 miliardi di US$ entro il 2030 e fino a 565 miliardi all'anno entro il 2050. Un altro studio ampiamente citato ha stimato che i paesi in via di sviluppo potrebbero subire tra i 290 e i 580 miliardi di dollari di danni climatici annuali entro il 2030 e fino a 1,7 trilioni di dollari entro il 2050. Questo è solo il mondo in via di sviluppo, non si calcola la parte dei paesi più ricchi, o il prezzo globale per ridurre le future emissioni di gas serra o ripulire le emissioni passate.

L'apertura del vertice ha segnato il momento in cui UK ha ceduto la presidenza dei colloqui all'Egitto. Alok Sharma, presidente UK della COP 26, ha dichiarato: “Per coloro che rimangono scettici sul processo multilaterale, e in particolare sul processo COP, il mio messaggio è chiaro: tanto ingombrante e talvolta frustrante quanto questi processi possono essere, il sistema sta funzionando". Il Presidente egiziano, Sameh Shoukry, si presenta nella sua lingua. La scienza sarà sempre al vostro servizio, dice Lee, il presidente sudcoreano della IPCC. Si procede alla elezione delle cariche e del funzionariato che supporterà la COP 27.

Lunedi e martedì sono attesi più di 120 capi di Stato e di governo per un vertice che dovrebbe dare impulso a queste due settimane di negoziati. 45.000 sono le presenze previste alla COP 27. Non ci sono Xi, Biden e Putin. C'è Meloni che interverrà domani. Il nuovo governo italiano sta intanto lasciando trapelare la sua intenzione di abbandonare l'impegno di Glasgow di non finanziare attività di produzione con i fossili all'estero, evidentemente per avere mano libera nel procurarsi nuove forniture di gas naturale dai paesi poveri non autosufficienti dal punto di vista tecnologico e infrastrutturale.

Wael Aboulmagd, il diplomatico egiziano incaricato di condurre i negoziati alla COP27, ha criticato i paesi per aver fatto vuote promesse pubbliche all'inizio dei colloqui. L'ambasciatore capo negoziatore sul clima egiziano Mohamed Nasr afferma che il mondo deve prendere il cambiamento climatico "sul serio quanto il Covid". Le tre grandi nazioni della foresta pluviale tropicale, Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo, sono in trattative per formare un'alleanza strategica, soprannominata Opec per le foreste pluviali. L'alleanza potrebbe vedere i paesi, responsabili del 52% delle restanti foreste tropicali primarie del mondo, fare proposte congiunte sui mercati del carbonio e sulla finanza, un punto critico di lunga data nei colloqui delle Nazioni Unite sul clima e sulla biodiversità, come parte di uno sforzo per incoraggiare i paesi sviluppati a finanziarne la conservazione della natura.

TORNA SU

6 Novembre 2022. Una presentazione critica della COP 27

I protagonisti. I protagonisti e i leader che determineranno le sorti della COP 27 che oggi si apre in Egitto a Sharm el-Sheikh, partecipando o dai loro scranni, saranno i riferimenti del presidente della COP 27 Sameh Shoukry (nella prima figura), il ministro degli Esteri egiziano cui si chiede di agire come arbitro neutrale delle 196 nazioni presenti. Questa volta il panorama geopolitico è lacerato dal conflitto: l'invasione russa dell'Ucraina ha sconvolto le relazioni diplomatiche in tutto il mondo, mentre la conseguente crisi energetica e la crisi del costo della vita hanno fatto precipitare nel caos governi, ricchi e poveri. Shoukry si è offerto di mediare tra gli Stati Uniti e la Cina, i due maggiori emettitori del mondo, le cui relazioni si sono congelate dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan quest'estate.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha avvertito che siamo sull’orlo di un suicidio collettivo e ha preso di mira le compagnie di combustibili fossili, che hanno preso l'umanità per la gola, chiedendo una tassa straordinaria sui loro extra-profitti che dovrebbe essere distribuita ai paesi poveri che stanno subendo “perdite e danni” a causa di condizioni meteorologiche estreme. Sosterrà le nazioni in via di sviluppo ai colloqui e giocherà un ruolo chiave, ma la sua capacità di influenzare i paesi avversi agli sforzi internazionali sul clima, come la Russia e l'Arabia Saudita, è gravemente limitata.

Il nuovo leader delle Nazioni Unite per il clima Simon Stiell è stato ministro dell'ambiente per l’isola di Grenada fino a quest'estate, subentrando alla diplomatica messicana Patricia Espinosa, che ha terminato il suo secondo mandato come segretaria esecutiva della UNFCC. È il terzo capo in successione che proviene dalle Americhe dopo Christiana Figueres, della Costa-Rica, che ne ha ricoperto il ruolo durante la corsa all'accordo di Parigi del 2015.

Il protagonista della COP 26 Alok Sharma ha molti estimatori ai colloqui, ma non il suo stesso governo. Sostenitore di Boris Johnson, che lo ha anche nominato segretario al business, è stato mantenuto da Liz Truss nel suo breve periodo come primo ministro, ma sotto Rishi Sunak è stato privato del suo ruolo di ministro e tornerà in panchina quando lascerà Sharm.

Il primo ministro delle Barbados Mia Mottley, sotto la quale il paese ha abbandonato la corona britannica da capo di stato per diventare una repubblica a tutti gli effetti, è diventata popolare alla COP 26. Vede come sua missione iniziare la ristrutturazione delle istituzioni finanziarie internazionali per renderle responsabili della crisi climatica e quest'estate ha tenuto incontri chiave per finanziare l'azione per il clima.

Il presidente del gruppo della Banca mondiale David Malpass è un negazionista climatico che sta affrontando continue richieste di dimissioni. Dalla sua nomina da parte di Donald Trump la Banca Mondiale è stata criticata, sia dai paesi sviluppati che da quelli in via di sviluppo, per non essersi concentrata sulla crisi climatica. Ora un numero crescente di paesi donatori vuole come minimo una grande riforma delle procedure di concessione dei prestiti della World Bank.

L'approvazione dell'Inflation Reduction Act, che contiene il più grande stimolo per le energie rinnovabili e l'economia green mai visto negli Stati Uniti e nel mondo, è stato un risultato mastodontico per il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Ma dovrà affrontare un test alle elezioni di medio termine, che metteranno in ombra la sua potenziale partecipazione ai colloqui di COP 27. Biden ha esercitato una potente influenza sulla COP 26, dove, nonostante la retorica che criticava la Cina, ha firmato un accordo bilaterale a sorpresa per lavorare a stretto contatto con il più grande produttore mondiale di tecnologie verdi e iniziative come la riduzione delle emissioni di metano.

John Kerry è l’inviato presidenziale speciale degli Stati Uniti per il clima. In qualità di segretario di Stato, Kerry firmò l'accordo sul clima di Parigi per gli Stati Uniti. È improbabile che i suoi ottimi rapporti con il suo omologo cinese Xie Zhenhua, bastino a sbloccare le relazioni diplomatiche con la Cina.

La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen porta una UE che si considera il leader mondiale dell'azione per il clima, avendo introdotto politiche climatiche forti in due decenni, come gli obiettivi di energia rinnovabile ed emissioni. L'UE, spessonquasi da sola, ha mantenuto viva la fiamma dell'azione internazionale per il clima, ma la sua leadership è ora in dubbio, poiché la crisi energetica e del costo della vita si fa sentire e l'eccessiva dipendenza del continente dal gas russo ha destabilizzato gran parte dei paesi europei.

Il vicepresidente esecutivo dell'UE, Frans Timmermans, ex ministro degli Esteri olandese, parlamentare di sinistra per molti anni, ha portato avanti con successo il Green Deal dell'UE attraverso un processo legislativo controverso e difficile. Ha ammesso che l'UE dovrà prendere decisioni difficili sul mantenimento in funzione dei combustibili fossili, inclusa, potenzialmente, la ricerca di nuove fonti di gas dall'Africa e da altre parti del mondo, per affrontare la crisi del gas provocata dall'invasione dell'Ucraina da parte di Putin.

Il portavoce cinese per il clima Xie Zhenhua è il veterano inviato cinese per il clima, una figura chiave nelle COP per più di un decennio e la sua riconferma è stata vista come un segno positivo dell'intenzione della Cina di un impegno più stretto. Ma ciò avveniva prima che il mondo cadesse in crisi a causa della guerra in Ucraina e prima che le relazioni cinesi con gli Stati Uniti fossero congelate dopo la visita della Pelosi. Le prospettive della Cina sono cambiate notevolmente sotto Xi Jinping, ma il Paese ha fatto enormi passi avanti verso l'energia pulita e la riduzione delle emissioni di gas serra. La Cina potrebbe fare di più, e più velocemente, sull'azione per il clima di quanto ha promesso pubblicamente.

Il primo ministro del Regno Unito Rishi Sunak è stato criticato dalla comunità diplomatica per la sua decisione iniziale di snobbare la COP 27. In qualità di primo ministro del paese ospitante della COP 26, avrebbe dovuto partecipare al passaggio di consegne. Ma dopo che l'Observer ha rivelato i piani dell'ex primo ministro Boris Johnson per partecipare, Sunak ha annullato la sua decisione e ora dice che verrà Sharm el-Sheikh.

Come Principe di Galles, Re Charles III ha tenuto il suo primo discorso pubblico sull'ambiente nel 1970 e da allora è stato un convinto sostenitore della conservazione e di altre cause ambientali, riunendo gruppi di imprese per impegnarsi a raggiungere gli obiettivi climatici. Ha partecipato a precedenti COP, incluso il vertice di Parigi del 2015 e la COP 26. Subisce il divieto alla partecipazione alla COP 27, prima da Liz Truss e poi da Rishi Sunak.

Attraverso la sua brutale invasione dell'Ucraina a febbraio, Vladimir Putin, che andrà al G 20, ha fatto più di qualsiasi leader mondiale negli ultimi tempi per influenzare la crisi climatica, in un modo altamente negativo. Usando le forniture di gas come armi di guerra, Putin ha fatto precipitare l'Europa e il mondo nella crisi, oltre ad aumentare i prezzi dei generi alimentari in tutto il mondo e minacciare la carenza di alimenti di base in un momento di risorse già esaurite. Una risposta alle azioni di Putin è che i governi e le imprese investano molto di più nelle energie rinnovabili, per evitare crisi simili in futuro. Ma a breve termine, le sue minacce di interrompere le forniture hanno rimandato la Germania e altri paesi europei al carbone e alla corsa per forniture di gas naturale liquefatto da altri paesi, mentre le compagnie di combustibili fossili stanno spendendo i nuovi profitti in nuovi piani di estrazione, che potrebbero perpetuare le infrastrutture dei combustibili fossili molto tempo dopo che avrebbero dovuto essere abbandonate.

Il blogger Alaa Abd el-Fattah (nell'ultima figura) è un attivista anglo-egiziano è in sciopero della fame in un carcere egiziano, come molti altri. La sua situazione è diventata emblematica per molte delle più ampie repressioni egiziane contro il dissenso politico e la mancanza di libertà di parola e di protesta nel paese. L'Egitto ha promesso che i gruppi della società civile potranno manifestare durante la COP 27 e l'ONU può garantire la loro presenza all'interno della zona della conferenza, ma cosa potrebbe accadere ai sostenitori locali dopo che tutti se ne saranno andati?

La Conferenza. La COP 27 di Sharm el-Sheikh, la COP dell’implementazione, dovrebbe finalmente attuare le decisioni contenute nel patto sul clima di Glasgow di novembre 2021. L’anno scorso la Gran Bretagna, verificando che le promesse degli stati non bastavano a “tenere gli 1,5°C a portata di mano” dichiarò che tutti si sarebbero dovuti impegnare a presentare obiettivi sul clima più ambiziosi già nel 2022. Pochissimi paesi hanno onorato la promessa, 23 su 193. Alla data di scadenza del 23 settembre per presentare i nuovi piani, di NDC nuovi se ne son visti pochi. La maggior parte dei documenti presentati non migliora l’ambizione climatica, ma si limita a offrire più dettagli sulle politiche già annunciate. Assenti la Cina e gli Stati Uniti dove il Presidente Biden ha faticato a far approvare al Congresso un pacchetto sulla transizione energetica (l’Inflation Reduction Act). L’Unione Europea arriva a mani vuote, anche se probabilmente alzerà i target di riduzione delle emissioni al 2030 dal 55 al 57% con il Repower Eu.

Secondo l’Unep, i nuovi impegni hanno limato appena 0,5 Gt CO2eq  Il divario al 2030 con le due soglie di Parigi di 2 1,5 °C è, rispettivamente, è di 15 e 23 Gt CO2eq per anno. Prima della COP 26, gli NDC portavano il riscaldamento globale a +2,7°C. Con i nuovi impegni annunciati a Glasgow si arrivava a 2,4°C. Con i nuovi NDC, se implementati, si resta a 2,4 °C di riscaldamento globale includendo gli NDC condizionali. Se si aggiunge l’impatto probabile delle promesse a lungo termine, come la neutralità di carbonio al 2050, che però non sono corredate di dettagli, obiettivi intermedi e politiche realistiche, si arriverebbe forse a 1,8°C.  Secondo l’IEA, le politiche attuali comportano un aumento del 10% delle emissioni serra entro la fine di questo decennio, non una diminuzione. Per una traiettoria compatibile con gli 1,5 gradi servirebbe una riduzione del 45%. Nel 2021, nei paesi Ocse i sussidi fossili sono praticamente raddoppiati, arrivando alla cifra di 700 MUS$. Fra trasferimenti di bilancio e agevolazioni fiscali legate alla produzione e all’uso di carbone, petrolio, gas e altri prodotti petroliferi, i sussidi fossili nelle prime 20 economie mondiali sono lievitati da 147 a 190 mld in 12 mesi.

La repressione del dissenso. L'editoriale del Washington Post ci conduce a pensare che quando i partecipanti alla 27° conferenza sul clima delle Nazioni Unite, a Sharm el-Sheikh, guarderanno lo scintillante Mar Rosso a partire da domenica, troveranno sicuramente nello spettacolo un'ispirazione per salvare la Terra. Ma dovrebbero anche guardare nell'altra direzione verso Il Cairo, sede di uno spietato stato di polizia sotto il presidente Abdel Fatah al-Sissi, non dovrebbero essere ciechi o tacere sul disprezzo del paese ospitante per la dignità umana fondamentale.

Dovrebbero fermarsi un momento e ricordare Alaa Abdel Fattah, un attivista egiziano britannico che era un leader del movimento pro-democrazia che ha rovesciato il presidente Hosni Mubarak nella primavera araba del 2011. È stato dietro le sbarre per la maggior parte degli ultimi otto anni, e ora sta scontando una condanna a cinque anni con l'accusa falsa di trasmissione di notizie false. È stato in sciopero della fame per tenersi in vita a malapena, ma di recente ha annunciato lo stop completo a cibo e acqua, portando la famiglia e gli amici a temere che possa morire. E ricordare anche per noi italiani il dramma di Giulio Regeni, i cui assassini sono stati condannati in Italia ma non estradati, e di Patrick Zaki.

I partecipanti alla conferenza dovrebbero chiedersi perché alcuni di coloro che sono più attrezzati per aiutare l'Egitto ad affrontare il cambiamento climatico sono dietro le sbarre. Tra questi c'è Seif Fateen, un ingegnere ambientale formatosi al MIT che stava lavorando a soluzioni per complessi problemi di sostenibilità energetica. È in custodia cautelare dal 2019, senza alcuna accusa mai mossa contro di lui, come migliaia di altri in Egitto. E Ahmed Amasha, veterinario e sostenitore della giustizia ambientale, sparito con la forza nel giugno 2020 per sei mesi e ancora in carcere. E Safwan e Seif Thabet, i leader padre e figlio della Juhayna Food Industries, che hanno stabilito un modello da fattoria a consumatore e hanno sottolineato la sostenibilità, ma sono stati tenuti in custodia cautelare per essersi rifiutati di cedere l'azienda a un'azienda statale.

Quando un gruppo di egiziani ha iniziato a pianificare una protesta per l'11 novembre, sono stati arrestati e accusati di adesione e finanziamento a un gruppo terroristico, uso improprio dei social media, pubblicazione di notizie false e incitamento a commettere un crimine terroristico. Il regime di Sissi è un sistematico e spietato violatore dei diritti umani. Il signor Sissi libera periodicamente una frazione di prigionieri politici per placare i critici. Ma il suo vero lato è stato svelato in un programma televisivo l'altro giorno quando ha telefonato dopo essere stato criticato dal leader di un partito politico. "Ero a capo dell'apparato di sicurezza durante l'era Mubarak come capo dell'intelligence militare", ha detto, minacciosamente. “Sono al corrente di tutto. Conosco il passato di tutti".

Nella scelta di una città ospitante, la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici non dovrebbe trascurare i Paesi sottosviluppati del globo, che sono più vulnerabili all'insicurezza alimentare, alle malattie e alla deprivazione. Ma tutti coloro che si preoccupano di salvare il pianeta dovrebbero preoccuparsi tanto della causa della libertà e dell'imperativo di opporsi ai dittatori. La difficile situazione dei prigionieri politici in Egitto e la macchia di dispotismo che si sta diffondendo in tutto il mondo non possono essere ignorate mentre i partecipanti alla conferenza si riuniscono sul luccicante lungomare di Sharm el-Sheikh e meditano su come assicurare un futuro migliore.

Greta Thunberg non parteciperà alla Conferenza. “Non andrò alla COP 27 per molte ragioni, ma lo spazio per la società civile quest’anno è molto limitato. Le conferenze internazionali sul clima sono usate dalle persone al potere come opportunità per ottenere attenzione con tanti diversi tipi di greenwashing. Così come sono non funzionano davvero, a meno che non le usiamo come opportunità di mobilitazione”. La scorsa settimana, Thunberg ha firmato una petizione di una coalizione per i diritti umani che chiede alle autorità egiziane di rilasciare i prigionieri politici. La petizione ha raggiunto quasi un migliaio di firmatari.

TORNA SU

4 Novembre 2022. COP 27 Primer_8: Finanziamenti per il clima

Il tema che domina ogni punto in discussione è la finanza.

Senza l'aiuto finanziario dei paesi sviluppati più ricchi, i paesi in via di sviluppo che non possono adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico rischiano di essere travolti da danni e distruzione causati da eventi meteorologici estremi. Intervenendo a New York prima della COP 27, il Segretario generale António Guterres ha affermato che i paesi sviluppati dovranno concordare ultimativamente di fornire i 100 miliardi di dollari di finanziamento al Green Climate Fund, ormai straconcordati,  ai paesi in via di sviluppo che stanno affrontando i peggiori risultati del cambiamento climatico. Ricorderemo che a Glasgow il termine del 2020 per ultimare il riempimento del GCF al 2020 è stato generosamente spostato al 2025. I dati, comunque, del periodo del teorico completamento sono in figura da fonte OECD. Oxfam stima però che il vero valore dei finanziamenti pubblici per il clima forniti dai paesi sviluppati nel 2020 stia tra i 21 e i 24,5 miliardi di US$, contro una cifra che i paesi ricchi hanno dichiarato di aver fornito di 68,3 miliardi.

Malauguratamente, pochissimi progressi sono stati compiuti anche sul finanziamento delle perdite e danni discusso alla COP 26, che inizialmente doveva aiutare i paesi a far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici a cui non possono essere adattati, come l'innalzamento del livello del mare a medio termine o eventi estremi improvvisi. è questa  a questione più controversa perché i paesi in via di sviluppo sono irremovibili sulla necessità di affrontare questo problema alla COP 27 e godono di un ampio sostegno da parte delle organizzazioni della società civile. Anche il Segretario generale Guterres sta sollecitando una soluzione e ha suggerito che le economie sviluppate tassino gli extra-profitti delle società che commerciano in combustibili fossili e reindirizzino quei fondi ai paesi che subiscono perdite e danni e alle persone che lottano con l'aumento dei prezzi di cibo ed energia. Resta da vedere se il finanziamento per perdite e danni alla fine sarà all'ordine del giorno: questo è qualcosa su cui le Parti decideranno all'apertura della riunione, ma sta già dominando le discussioni in vista della COP 27.

Quando si tratta della realtà di quanti denari sono realmente necessari, si stima che i paesi in via di sviluppo richiedano centinaia di miliardi di dollari all'anno se vogliono affrontare la distruzione causata dal cambiamento climatico. Il vertice di quest'anno deve fornire certezza circa la erogazione di queste cifre entro il 2023 al più tardi. Ciò può essere fatto aumentando le donazioni al Climate Adaptation Fund, il fondo per finanziare i paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, e comunicando nuovi e ulteriori impegni ai fondi multilaterali. Ci sono già segnali che questo sarà discusso in dettaglio, poiché la visione della presidenza evidenzia la necessità di affrontare perdite e danni trovando una soluzione equilibrata alla questione del finanziamento.

In un contesto di aumento vertiginoso dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, i finanziamenti per il clima stanno diventando una cartina di tornasole per la solidarietà internazionale. I paesi che hanno espresso profondo rammarico alla COP 26 per non aver mobilitato 100 miliardi di dollari all'anno di finanziamenti per il clima, hanno deluso molti paesi in via di sviluppo. La COP 27 dovrà evitare ulteriori danni e conflitti tra Nord e Sud  e garantire che il piano di consegna aggiornato guidato da Germania e Canada dia credibilità alla nuova scadenza posticipata del 2031. La Cina si presenterà come paladina dei paesi poveri, accentuando il suo atteggiamento a seguito della crisi di Taiwan e del 20° Congresso del PCC. Le promesse fatte alla COP 26  di raddoppiare in termini assoluti i finanziamenti per l'adattamento tra il 2019 e il 2025 saranno particolarmente importanti per i paesi africani e incideranno pesantemente per loro sul successo della COP 27. A titolo di esempio della correttezza dei rapporti con l'Africa e poiché i negoziati stanno per iniziare su un nuovo obiettivo finanziario post-2025, la credibilità della COP 27 si giocherà sulle nuove strutture per erogare finanziamenti. Quando l'anno scorso è stata annunciata la Just Energy Transition Partnership (JET-P) da 8,5 miliardi di dollari per sostenere la transizione del Sud Africa fuori dal carbone, guidata da Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Commissione europea, è stata accolta come un modo promettente per aumentare il sostegno alla transizione energetica nelle grandi economie emergenti mettendo in comune le risorse per un progetto comune. Poiché potrebbero seguire altri annunci di questo tipo, è fondamentale aumentare la trasparenza sull'accordo con il Sudafrica, fornire garanzie sui suoi progressi e chiarire quali paesi e quali progetti potrebbero ricevere sostegno in futuro e a quali condizioni.

Alcuni paesi hanno proposto un'altra delicata questione finanziaria da inserire nell'agenda: rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici (articolo 2.1c dell'Accordo di Parigi). L'idea qui è che il lavoro di tutti gli attori finanziari, compresi i ministeri delle finanze, le banche commerciali, i fondi pensione e le banche multilaterali di sviluppo, sia allineato con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, che è tutt'altro di ciè che sta avvenendo. Al di là delle discussioni sul finanziamento del clima sotto l'ombrello dell'UNFCCC, incombe poiu il problema più grande degli immensi bisogni finanziari dei paesi più colpiti economicamente dalla pandemia di Covid-19, delle conseguenze della guerra russa in Ucraina e di varie catastrofi climatiche. Le richieste di riformare il sistema finanziario multilaterale per fornire più spazio fiscale e garantire la sostenibilità del debito stanno guadagnando terreno.

 TORNA SU

2 Novembre 2022: COP 27 Primer_7: La posizione dell'Africa sulla COP 27 (di Edoardo Rossi, UniSiena)

Molta dell’attenzione in questi giorni che precedono la COP27 è concentrata sul continente Africano, ospite e principale vittima del cambiamento climatico. Gli interessi Africani in vista della conferenza sono chiariti dall’attuale presidente dell’AGN (African Group of Negotiators), E. Mwepya Shitima. Tra gli obiettivi in primo piano, l’implementazione degli NDC, con l’accento posto sull’erogazione dei finanziamenti volti a potenziare gli sforzi di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico. Il riferimento non può che essere all’impegno preso, ma mai raggiunto, dai paesi sviluppati di garantire 100 miliardi di US$ con il Green Climate Fund ai paesi in via di sviluppo. Il gruppo Africano non mancherà di ribadire ai paesi sviluppati la necessità di adempiere ai propri obblighi: necessità resa impellente dalla condizione precaria delle comunità rurali, la cui sopravvivenza dipende dalle risorse naturali. L’obiettivo del gruppo Africano sarà quello di adottare quante più misure concrete che gli permettano di fare fronte ai bisogni reali delle popolazioni del continente. 

Le nazioni con le minori capacità di adattamento stanno già vivendo le ripercussioni del riscaldamento globale, soprattutto in termini di carenza di cibo e di acqua, che a sua volta colpisce la capacità di produrre energia idroelettrica, da cui dipendono milioni di persone nell’Africa sub-sahariana. Inoltre, nei paesi ricchi manca completamente consapevolezza della disparità in termini di capacità di reazione ai disastri climatici, tra le nazioni che si incontreranno in Egitto alla COP 27, che ha l’obbligo di focalizzarsi sugli interessi Africani, e di connettere il Nord e il Sud del mondo nella comune condivisione di conoscenze, tecnologie e finanziamenti, che permettano di far fronte al cambiamento climatico.

Nel gruppo Africano non manca la preoccupazione legata al corrente conflitto Russo-Ucraino, che sta contribuendo all’attuale crisi alimentare, mettendo in pericolo la già debole catena di approvvigionamento. Il conflitto in Europa, sommato alll’impatto ambientale, sta mettendo a rischio la sicurezza alimentare del continente per l’intero decennio. In aggiunta, la crisi energetica connessa al conflitto sembra essere una battuta d'arresto per quanto concerne l'agenda sul clima. A testimonianza di questo ci sono gli innumerevoli investimenti portati avanti nel campo dei combustibili fossili da parte di quelle nazioni la cui sicurezza energetica era precedentemente garantita dal gas russo. Vari attivisti ed esperti sottolineano la pericolosità a breve termine degli investimenti sui fossili, inaffidabili e poco redditizi, fatti finora a discapito dell’implementazione delle rinnovabili, unica via per rispettare Parigi. La speranza è che l’attuale situazione geopolitica non ponga in secondo piano la necessità di intervenire immediatamente per raggiungere nel più breve tempo possibile gli obiettivi della decarbonizzazione, portando ad un immotivato abbassamento delle ambizioni.

La richiesta dei negoziatori africani concentra la sua attenzione sulla necessità di costituire un fondo per le perdite e danni (loss-and-damage) per i paesi in via di sviluppo durante la COP 27. La cifra si aggirerebbe sui 290 - 580 miliardi di US$ su base annua per il 2030, fuori scala rispetto all'atteggiamento tenuto finora dai paesi occidentali. Non bisogna dimenticare che il gruppo di 46 nazioni che compongono il gruppo negoziale LDC ha contribuito solamente per l’1% alle emissioni globali nel 2019, laddove fra i suoi membri si contano alcune delle nazioni più colpite dagli effetti del cambiamento climatico. Nonostante ciò, i paesi più sviluppati nel mondo, i maggiori responsabili del riscaldamento globale e coloro che avrebbero a disposizione i mezzi per intervenire, si sono sempre opposti alla creazione di un fondo di questo genere, offrendo al massimo un periodo di “dialogo” di tre anni. Nel frattempo, tuttavia, le economie più deboli vanno in rovina e il “dialogo” non nutre certo gli affamati. Per l’Africa, la Banca Africana di Sviluppo ha calcolato una perdita economica che si aggirerebbe sul 5/15% del prodotto interno lordo dell’intero continente a causa del cambiamento climatico. Non basta più parlare di adattamento: il cambiamento sta avvenendo più velocemente di quanto le comunità possano adattarvisi. 

Nel Patto per il Clima di Glasgow (2021) si evince il chiaro impegno della comunità internazionale ad assicurare la partecipazione dei giovani a livello pubblico. In questo senso, la COP 27 dovrebbe garantire uno spazio dedicato proprio ai rappresentanti delle associazioni climatiche giovanili, dimostrando la volontà di adempiere a tale obbligo da parte delle Nazioni Unite. Ciò che rimane incerto è se la conferenza egiziana concederà davvero un posto al tavolo delle trattative ai rappresentanti della nuova generazione, o se si tratterà dell’ennesima mossa di “youthwashing” impiegata più come strategia di marketing che altro. Intanto già si contano gli episodi di repressione diretta alle NGO giovanili da parte del Governo egiziano. é ormai chiaro che il  Governo Egiziano non dà affatto segnali rassicuranti sulla credibilità del suo impegno in tal senso. Dopo aver annunciato il finanziamento di 400 abitazioni per ospitare giovani attivisti durante la conferenza, non ha più fornito alcuna informazione sulla disponibilità di esse. Per somma ironia, a margine della 76° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Presidente egiziano El-Sisi aveva promesso che il fatto che l'Egitto ospiterà la COP 27, sarebbe stata una svolta importante nella lotta globale contro il cambiamento climatico.

Nel frattempo cresce il dissenso legato all’annuncio della presenza di Coca-Cola tra gli sponsor principali della conferenza, nonostante gli ingenti danni ambientali causati dalla compagnia Americana in tutto il continente. Il continente Africano è certamente quello maggiormente colpito dal riscaldamento globale; non solo, l’Africa conta sulla popolazione più giovane nel mondo, con il 70% degli Africani sub-sahariani sotto la soglia dei 30 anni. Eppure, giovani attivisti Africani denunciano le difficoltà ad avere accesso alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite in Egitto. In accordo con la coalizione africana di giovani leader in campo ambientale, tra le altre Fridays for Future e Riseup Africa, solo il 20% degli accrediti previsti è stato regolarmente rilasciato ai giovani attivisti che ne hanno fatto richiesta. Tra le principali difficoltà sono da segnalare la mancanza di fondi per le spese di viaggio, l’assenza di infrastrutture adatte ad accogliere un tale numero di visitatori, ma soprattutto le carenze della burocrazia Egiziana nell’erogazione dei visti. Sebbene ci si riferisca alla COP 27 come la COP Africana, risulta ancor più complicato per gli attivisti Africani assicurarsi un accredito. Basti pensare che sono almeno dieci i paesi africani i cui gli attivisti non hanno ancora la certezza di partecipare alla conferenza. Tra questi è incluso proprio l’Egitto. Oltretutto è necessario ricordare che, nonostante l’annuncio del governo Egiziano di più di 35.000 partecipanti registrati, la registrazione non significa né essere accreditati per gli eventi principali, né avere accesso alle aree di negoziazione, dove le vere decisioni vengono discusse e prese. Anche tra coloro che si sono assicurati un accesso, sono molti gli esponenti della società civile che saranno impossibilitati a partecipare a causa degli alti costi e dell’approvazione preventiva da parte delle autorità Egiziane, necessaria per l’effettivo accesso.

A pochi giorni dall’inizio della COP 27, la speranza del mondo intero echeggia perfettamente le parole di Grace Kimaru, fondatrice della Foster Green Organization: “Che sia la COP dell’azione e degli impegni presi, che non siano solo parole”.

 TORNA SU

31 Ottobre 2022. COP 27 Primer_6: Mitigazione e Global stocktake

Fuori da ogni questione il principale compito della COP 27 e delle COP seguenti avrebbe dovuto essere l'aumento delle ambizioni di tutti i paesi in fatto di abbattimento delle emissioni e quindi di rilancio delle loro intenzioni attraverso nuovi NDC. La storia appare ben diversa. Per colmo dell'ironia l'Egitto, ospite della Cop 27, e altri 16 governi esportatori di gas si sono impegnati a utilizzare i prossimi colloqui sul clima per promuovere il gas fossile come la soluzione perfetta per il cambiamento climatico e la sicurezza energetica. Dove? In un incontro al Cairo di pochi giorni fa del Forum dei paesi esportatori di gas (GECF), il ministro del petrolio egiziano ha dichiarato: “In quanto combustibile fossile più pulito, il gas naturale è  la soluzione perfetta che trova il giusto equilibrio, e continuerà a svolgere un ruolo chiave nel futuro mix energetico".

La situazione della mitigazione sta diventando preoccupante. Il Segretario Generale dell'ONU Guterres ha affermato che problemi globali, come l'inflazione, l'invasione russa dell'Ucraina e gli alti prezzi dell'energia e del cibo, stanno distraendo i governi dai loro impegni sul clima. Secondo un nuovo rapporto delle Nazioni Unite, solo 26 dei 193 paesi che hanno concordato l'anno scorso a Glasgow  di intensificare le loro azioni per il clima hanno proseguito, portando la Terra verso un futuro segnato da catastrofi climatiche. Il Rapporto prevede il +10,6% delle emissioni serra al 2030. I primi due inquinatori del mondo, Cina e Stati Uniti, hanno intrapreso qualche azione ma non si sono impegnati di più quest'anno e i negoziati sul clima tra i due sono congelati. Senza drastiche riduzioni delle emissioni, afferma il rapporto, il pianeta è sulla buona strada per riscaldarsi in media da 2,1 a 2,9 °C, rispetto ai livelli preindustriali, entro la fine del secolo, molto più alto dell'obiettivo di 1,5 °C fissato dal storico accordo di Parigi nel 2015 ed appena 0,2 °C in meno rispetto ai conteggi fatti prima di Glasgow. In Egitto si discuterà delle promesse non mantenute e si farà il punto sulla lotta per scongiurare la catastrofe ambientale. Ma la guerra in Europa, una crisi energetica internazionale, l'inflazione globale e le turbolenze politiche in paesi come la Gran Bretagna e il Brasile hanno distratto i leader e complicato gli sforzi di cooperazione per affrontare il cambiamento climatico. Ci sono poi paesi come il nostro dove lo scetticismo è dilagante al punto che il cambiamento climatico sembra diventato un argomento esoterico e iniziatico.

Anche l'ultimo rapporto annuale World Energy Outlook dell'Agenzia internazionale per l'energia (IEA) sostiene che l'invasione russa dell'Ucraina accelererà un picco nel consumo mondiale di combustibili fossili, con la domanda di gas che ora dovrebbe unirsi a petrolio e carbone per raggiungere il massimo verso la fine di questo decennio. Dopo la rapida crescita del consumo di gas negli ultimi 10 anni, IEA pensa che  l'età d'oro del gas stia volgendo al termine. Insieme al calo del carbone e del petrolio già atteso, ora vediamo un picco intorno al 2030 per tutti i combustibili fossili. Le politiche energetiche dei governi si stanno evolvendo rapidamente in parte per contrastare le ricadute della decisione della Russia di fermare le sue forniture di gas all'Europa come rappresaglia per il sostegno occidentale all'Ucraina. L'IEA denuncia i profitti record per le compagnie petrolifere e del gas: gli alti prezzi dei combustibili fossili stanno rappresentando una manna dal cielo per il settore, con un reddito netto per i produttori mondiali di petrolio e gas destinato a raddoppiare nel 2022 a 4 trilioni di dollari, una cifra senza precedenti. Il rapporto afferma anche che gli investimenti nelle energie rinnovabili dovranno raggiungere 1,3 trilioni di dollari all'anno entro il 2030 affinché il mondo sia sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi.

IEA prevede che le emissioni di anidride carbonica aumenteranno quest'anno del secondo aumento annuale più grande della storia, poiché le economie globali stanno riversando denaro di stimolo nei combustibili fossili per la  ripresa dalla recessione del Covid-19. Il balzo sarà secondo solo al massiccio rimbalzo di 10 anni fa dopo la crisi finanziaria e metterà fuori portata le speranze sul clima a meno che i governi non agiscano rapidamente. L'aumento dell'uso del carbone per l'elettricità, il combustibile fossile più sporco,  sta determinando in gran parte l'aumento delle emissioni, soprattutto in tutta l'Asia ma anche negli Stati Uniti. Il rimbalzo del carbone è particolarmente preoccupante perché arriva nonostante il crollo dei prezzi delle energie rinnovabili, che ora sono ben più economiche del carbone. Questo è scioccante e molto inquietante. Da un lato, i governi di oggi affermano che il cambiamento climatico è la loro priorità. Ma d'altra parte, stiamo assistendo al secondo aumento delle emissioni più grande della storia. Le emissioni devono essere ridotte del 45% in questo decennio, se il mondo vuole limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (2,7°F), avvertono gli scienziati. Ciò significa che il 2020-30 deve essere il decennio in cui il mondo cambia rotta, prima che il livello di carbonio nell'atmosfera salga troppo per evitare pericolosi livelli di riscaldamento. Ma l'entità dell'attuale rimbalzo delle emissioni dalla crisi del Covid-19 significa che il nostro punto di partenza non è sicuramente buono. L'IEA ha paragonato l'attuale aumento delle emissioni alla crisi finanziaria, quando le emissioni sono aumentate di oltre il 6% nel 2010 dopo che i paesi hanno cercato di stimolare le loro economie attraverso l'energia a basso costo dei combustibili fossili. Stiamo per ripetere gli stessi errori. Le emissioni sono crollate di un record del 7% a livello globale lo scorso anno, a causa dei blocchi seguiti all'epidemia di Covid-19. Ma entro la fine dell'anno erano già in ripresa e sulla strada per superare i livelli del 2019 in alcune aree. Le proiezioni IEA per il 2021 mostrano che è probabile che le emissioni finiranno quest'anno ancora leggermente in calo rispetto ai livelli del 2019, ma su un percorso in aumento. Nel 2022 potrebbero esserci aumenti ancora più forti con il ritorno dei viaggi aerei che  normalmente contribuiscono per più del 2% alle emissioni globali, ed erano quasi zero con il Covid.

C'è poi il problema delle emissioni di metano. Un rapporto annuale dell'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) delle Nazioni Unite rileva che il mondo ha visto un aumento record di metano nell'atmosfera lo scorso anno poiché le concentrazioni di tutti e tre i principali gas serra hanno raggiunto nuovi massimi. Il motivo del salto in avanti del metano sembra essere il risultato di processi sia biologici che antropogenici. L'aumento dal 2020 al 2021 dei livelli di anidride carbonica - il principale gas serra -  è stato superiore al tasso di crescita medio annuo nell'ultimo decennio, con concentrazioni che hanno raggiunto 415,7 parti per milione (ppm) l'anno scorso, principalmente a causa dei combustibili fossili e della produzione di cemento.

Global stocktake. Il primo bilancio globale dell'Accordo di Parigi (GST) avrà luogo nel 2023, come concordato ai sensi dell'Accordo per valutare il progresso collettivo delle Parti nel raggiungimento degli obiettivi dell'Accordo, anche su mitigazione, adattamento e mezzi di attuazione e sostegno, alla luce dell'equità e della migliore scienza disponibile. I problemi della perdita e danni così come le misure di risposta sono egualmente considerate nel GST. Il risultato del GST deve informare le Parti sull'aggiornamento e potenziare le loro azioni e il loro sostegno. Il processo è stato quindi visto come un meccanismo a cricchetto (ratchet) per non indietreggiare sull'ambizione e su tutti gli elementi di azione e sostegno. Il ST è composta da tre componenti:
 

  • la raccolta e preparazione delle informazioni, che è avvenuta nel 2021;

  • la valutazione tecnica, iniziata all'intersezione di giugno con il primo dialogo tecnico e con un secondo dialogo tecnico da condurre a Sharm el Sheikh, e che si concluderà a giugno 2023;

  • la considerazione dei risultati, che avrà luogo al CMA 5 nel novembre 2023.

I risultati della fase di valutazione tecnica saranno fondamentali per la considerazione delle Parti l'anno prossimo. Da qui, va stabilito come i co-facilitatori del dialogo tecnico, Sud Africa e USA, devono riassumere i risultati in una relazione di sintesi coprendo tutti gli argomenti del dialogo, dalle tavole rotonde, agli scambi mirati e alle dichiarazioni plenarie di chiusura delle parti. Tutto ciò sarà infatti attentamente seguito, esaminato e deliberato. Questi sono solo alcuni dei tanti problemi che dovranno essere affrontati alla conferenza sul clima di Sharm El-Sheikh. Per quanto siano conseguimenti impegnativi, occorrerà riuscire a ottenere molto per avere risultati reali per i poveri e per il pianeta colpito dalla crisi climatica.

TORNA SU

 

27 Ottobre 202. COP 27 Primer_5: Mercato del carbonio e implementazione dell'articolo 6 di Parigi

I mercati del carbonio sono uno strumento molto importante per raggiungere gli obiettivi climatici globali, in particolare a breve e medio termine. Mobilitano risorse e riducono i costi per dare a paesi e aziende lo spazio per facilitare la transizione verso le basse emissioni di carbonio ed essere in grado di raggiungere l'obiettivo di emissioni nette zero nel modo più efficace possibile. I mercati del carbonio incentivano l'azione per il clima consentendo alle parti di scambiare crediti di carbonio generati dalla riduzione o dalla rimozione dei gas a effetto serra dall'atmosfera, ad esempio passando dai combustibili fossili all'energia rinnovabile o migliorando o conservando gli stock di carbonio in ecosistemi come una foresta. Si stima che lo scambio di crediti di carbonio potrebbe ridurre il costo dei contributi determinati a livello nazionale (NDC) dei paesi attuatori di oltre la metà, fino a  250 miliardi di dollari entro il 2030. In altre parole, lo scambio di carbonio potrebbe facilitare la rimozione del 50% in più emissioni (circa 5 Gt di anidride carbonica all'anno entro il 2030) senza costi aggiuntivi. Nel tempo, i mercati dovrebbero diventare ridondanti man mano che ogni paese arriva a zero emissioni nette e la necessità di scambiare emissioni diminuisce.

L'articolo 6 dell'accordo di Parigi consente ai paesi di cooperare volontariamente tra loro per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti nei loro NDC. Ciò significa che, ai sensi dell'articolo 6, uno o più paesi potranno trasferire i crediti di carbonio guadagnati dalla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per aiutare uno o più paesi a raggiungere gli obiettivi climatici. All'interno dell'articolo 6, l'articolo 6.2 crea le basi per lo scambio di riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra (o "risultati della mitigazione") tra i paesi. L'articolo 6.4 dovrebbe essere simile al meccanismo di sviluppo pulito del protocollo di Kyoto, il CDM. Stabilisce un meccanismo per lo scambio di riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra tra paesi sotto la supervisione della Conferenza delle parti. L'articolo 6.8 riconosce gli approcci non di mercato per promuovere la mitigazione e l'adattamento. Introduce la cooperazione attraverso il finanziamento, il trasferimento di tecnologia e il rafforzamento delle capacità, dove non è coinvolto lo scambio di riduzioni delle emissioni. Ai sensi dell'articolo 6, le riduzioni delle emissioni che sono state autorizzate per il trasferimento dal governo del paese venditore possono essere vendute a un altro paese, ma solo un paese può contare la riduzione delle emissioni nel proprio NDC. È fondamentale evitare il doppio conteggio in modo da non sopravvalutare le riduzioni delle emissioni globali. L'accordo sull'articolo 6 ha stabilito un meccanismo contabile noto come corresponding adjustment, per garantire che non si verifichino doppi conteggi. I requisiti di adeguamento possono ai mercati volontari del carbonio, dove la domanda è guidata dagli impegni volontari del settore privato per ridurre le emissioni.

L'accordo di Glasgow sull'articolo 6 Rulebook ha segnato un significativo passo avanti nella creazione di un mercato globale dei crediti di carbonio, ma molte questioni sono state lasciate da affrontare nei negoziati successivi. Molti dei punti in sospeso per la negoziazione riguardano la creazione dell'infrastruttura amministrativa estremamente complessa contemplata dall'articolo 6, la cui creazione potrebbe richiedere anni. Rimangono inoltre interrogativi sui tipi di attività che possono dar luogo a crediti ai sensi dei meccanismi dell'articolo 6 e sulle metodologie da applicare. Infine, resta da vedere il livello di partecipazione del settore privato al mercato del credito stabilito dall'articolo 6. Sebbene molte di queste questioni siano state discusse durante le riunioni dell'organismo sussidiario dell'UNFCCC a Bonn nel giugno 2022, compresi i progressi relativi alla creazione dell'infrastruttura amministrativa contemplata dall'articolo 6, ulteriori negoziati sono attesi alla COP27. In particolare, si prevede che le discussioni si concentreranno sui criteri di ammissibilità ai crediti di cui all'articolo 6 (in particolare per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra), le metodologie per l'applicazione degli adeguamenti corrispondenti, il perimetro degli obblighi informativi, il regolamento interno dell'Organismo di Vigilanza e il periodo transitorio del CDM.

Con la COP 27 destinata a concentrarsi su perdite e danni ai sensi dell'articolo 8 dell'accordo di Parigi, è improbabile che l'articolo 6 riceva lo stesso livello di attenzione del negoziato e dei media che ha ricevuto alla COP 26. Tuttavia, si prevedono progressi significativi in ​​relazione agli articoli 6.2 e 6.4.12 In particolare, si prevede che i negoziati si concentreranno sulle seguenti questioni:

Corresponding adjustment. Saranno sviluppati ulteriori orientamenti sulla metodologia per levitare i doppi conteggi, anche in relazione alla media delle emissioni di gas serra su un determinato periodo di tempo.

Elusione delle emissioni. Si valuterà ulteriormente se la futura riduzione delle emissioni di gas a effetto serra si qualificherà per i crediti ai sensi dei meccanismi dell'articolo 6.

Divulgazione delle informazioni e riservatezza. Ci saranno negoziati sull'ambito delle informazioni che devono essere divulgate in relazione alle transazioni degli ITMO, Internationally Transferred Mitigation Outcomes,  le unità di misura della mitigazione,e alle relative questioni di riservatezza.

Revisione tecnica. Saranno sviluppate ulteriori linee guida in relazione alla revisione di esperti tecnici sulla conformità con il quadro di riferimento dell'articolo 6.2.

Registro ITMO. Saranno discussi i dettagli relativi all'infrastruttura amministrativa per la creazione di un registro per le transazioni ITMO ai sensi dell'articolo 6.2.

Articolo 6.4: Infrastrutture. Saranno negoziati elementi dell'infrastruttura amministrativa di cui all'articolo 6.4, comprese le linee guida per i registri, la banca dati di cui all'articolo 6 e la piattaforma centralizzata di contabilità e rendicontazione.

Organismo di Vigilanza. Si intende adottare il regolamento interno dell'Organismo di Vigilanza di cui all'articolo 6.4.

Periodo di transizione CDM. Sarà oggetto di ulteriore negoziazione il phase out/periodo transitorio del vecchio credito CDM di Kyoto.

Strutture tariffarie. Saranno negoziate le strutture delle commissioni, inclusi i livelli delle commissioni di registrazione e di emissione, i calcoli e le esenzioni.

C'è poi una questione di fondo relativa agli offset e alle cosiddette Nature based solutions. Con i mercati del carbonio destinati ad espandersi in tutto il mondo, le comunità indigene temono che la loro terra possa essere a rischio. I crediti di carbonio consentono alle aziende o ai governi di continuare a produrre emissioni in cambio di progetti che conservano o creano pozzi di carbonio, come il ripristino del territorio o la piantumazione di alberi.  Le comunità indigene e vulnerabili al clima hanno segnalato quelle che, secondo loro, sono le potenziali insidie ​​che potrebbero derivare da una maggiore attenzione ai crediti di carbonio e alla compensazione tramite le cosiddette "soluzioni basate sulla natura" che proteggono, gestiscono o ripristinano l'ambiente in modo che  immagazzini più carbonio. A Glasgow si è stabilito che il mercato cap&trade offre una opportunità per le comunità del sud del mondo di beneficiare finanziariamente dei sistemi di credito di carbonio. I flussi di entrate derivanti dai crediti di carbonio sono una buona cosa sia in termini di incentivazione dei governi a proteggere le loro foreste, ma anche attraverso la condivisione dei benefici, ottenendo entrate dalle persone reali che stanno conservando le foreste, che sono spesso popolazioni indigene affermano taluni. Ma i leader indigeni affermano che tali progetti di compensazione del carbonio includono i cosiddetti progetti di "energia pulita", come l'energia idroelettrica e i biocarburanti, che possono richiedere l'accesso a terre abitate che forniscono acqua e cibo, supportano i mezzi di sussistenza e sono centrali per la cultura e le religioni. Le politiche Net zero aprono le porte a soluzioni basate sulla natura, dando il via a un processo di mercificazione della natura che separa, quantifica e privatizza i cicli e le funzioni di Madre Terra, trasformando la natura in unità da vendere nei mercati finanziari e speculativi, secondo le organizz<zioni dei popoli indigeni.

Allarmi vengono anche dal mondo scientifico. Mentre la piantumazione di alberi su larga scala sta diventando un approccio di mitigazione sempre più popolare, gli scienziati avvertono che la piantumazione di alberi o i programmi di wilderness non informati possono causare danni a lungo termine agli ecosistemi e alle comunità, ad esempio cancellando le antiche piantagioni. Alla COP 27 spetta il compito di integrare i crediti di carbonio e i diritti indigeni e trovare un modo per emettere crediti di carbonio in un modo che vada a vantaggio delle comunità locali. Non sarà facile. Senza i crediti di carbonio e i finanziamenti che ne derivano, è difficile immaginare come incentivare i governi e le imprese a investire nella protezione delle foreste. La deforestazione, si sa, può generare occupazione, entrate fiscali e voti politici. Un bel rebus.

TORNA SU

25 Ottobre 2022. COP 27 Primer_4. I temi: Loss and damage

Le politiche di adattamento hanno per obiettivo la compatibilizzazione dell'ecosistema con i cambiamenti del clima in atto, si pensi al sollevamento del livello del mare o alla regimazione delle acque e dei bacini idrici o alla rigenerazione urbana in chiave climatica. Ma il cambiamento climatico è accompagnato da eventi estremi sempre più gravi e frequenti che, anche in presenza di misure ed opere di adattamento, possono causare gravi danni. I paesi più vulnerabili sono anche i più poveri e sono quelli più deficitari, per mancanza di tecnologie o di risorse finanziari. Sono quindi i più esposti a disastri climatici, pur non essendo affatto proporzionalmente responsabili del cambiamento climatico.

Si può quindi dire che il termine "perdite e danni" (L&D) si riferisce agli impatti inevitabili dei cambiamenti climatici a cui non ci si può adattare, dai villaggi allagati alle fattorie colpite dalla siccità. A volte si parla di "riparazioni climatiche". "Perdite e danni" sono la distruzione già provocata dalla crisi climatica su vite, mezzi di sussistenza e infrastrutture. I paesi vulnerabili e poveri, che hanno fatto poco per causare la crisi climatica, sono determinati ad ottenere un impegno dai paesi ricchi per risarcirli per questo danno. È diventata forse la questione più aspramente combattuta di tutte, con le nazioni a basso reddito che credono di avere un diritto morale a questo denaro. Alcuni lo chiamano compensazione o riparazione. I paesi ricchi come gli Stati Uniti e l'Europa sono molto riluttanti a farsene carico, temendo l'esposizione a passività finanziarie fuori controllo. Le nazioni vulnerabili vedono l'emergenza climatica come una questione di vita o di morte per la loro gente. Ora si è aggiunta la guerra in Ucraina dove si stanno verificando danni gravi anche legati alla questione ambientale e climatica.

Le nazioni vulnerabili vogliono denaro e sostegno per le persone minacciate da tali impatti. I paesi ricchi hanno costantemente resistito a questa idea, temendo di essere costretti a pagare un risarcimento a causa della loro responsabilità storica per il cambiamento climatico. Dall'accordo di Parigi del 2015, perdite e danni sono stati, in teoria, il terzo pilastro della politica climatica internazionale, ma, in realtà, la questione è stata piuttosto trascurata nei negoziati sul clima. A differenza dei primi due pilastri, mitigazione e adattamento, prima della COP 26 di Glasgow non c'è mai stato alcun finanziamento specifico accantonato per perdite e danni.

Alla COP 27 sembra che l'Unione Europea sosterrà la discussione sulla compensazione finanziaria per le nazioni vulnerabili che sopportano il peso del cambiamento climatico, come si evince da  una bozza di documento che prefigura una potenziale svolta per i paesi che spingono per tali colloqui. L'UE e gli Stati Uniti, rispettivamente il terzo e il secondo più grande inquinatore del mondo, hanno storicamente fatto opposizione a misure che potrebbero attribuire responsabilità legali o portare a un risarcimento per gli impatti climatici, comprese siccità e inondazioni che stanno danneggiando in modo sproporzionato le nazioni povere. Ma la bozza della posizione negoziale dell'UE per il vertice in Egitto ha mostrato che il blocco di 27 nazioni sosterrebbe lo quantomeno lo svolgimento di discussioni sull'argomento alla riunione del 7 novembre alla quale dovrebbero partecipare quasi 200 paesi.

Nel 2013 a Varsavia fu concordato un meccanismo internazionale  (WIM), che ha alcune funzioni tra cui la ricerca, il rafforzamento del dialogo e il miglioramento dell'azione e del supporto. Niente di tutto ciò comporta la fornitura diretta di denaro alle comunità vulnerabili. A Glasgow il punto chiave dell'agenda in materia di L&D è stata la rete di Santiago, un nuovo organismo creato alla COP 25 di Madrid nel 2019 come azione e supporto del WIM. Attualmente, la rete di Santiago non è altro che un sito web creato dall'UNFCCC, con collegamenti ad organizzazioni come le banche di sviluppo che potrebbero sostenere L&D. Una priorità per molti gruppi di paesi in via di sviluppo alla COP 26 era rendere operativa la rete, fornendole denaro e personale e assegnandole responsabilità in modo che le nazioni potessero utilizzarla per richiedere assistenza per via telematica. I paesi in via di sviluppo avrebbero voluto una rete che potesse supportarli anche nell'accesso ai finanziamenti per perdite e danni. Il testo della decisione della COP 26 esorta i paesi sviluppati a fornire fondi per il funzionamento della rete di Santiago e per la fornitura di assistenza tecnica. Niente di più.

Il modo in cui L&D verrà affrontato nel 2022 sarà un fattore determinante per un esito positivo della COP 27. Con l'obiettivo di accelerare e costruire in modo più efficace attuazione dell'azione e sostegno a L&D, i negoziatori stanno affrontando la questione in quattro aree principali:

La Rete di Santiago. La domanda è se l'attuale modalità di presentazione della rete e il dialogo tecnico sono adeguati per trovare soluzioni a livello istituzionale e rendere operativa la Rete Santiago. Poiché la risposta si ritiene generalmente essere negativa, che tipo di modalità operative e struttura dovrebbe essere implementata? è inoltre necessario allineare le nuove iniziative con il Meccanismo Internazionale di Varsavia (WIM), il suo mandato esistente e il suo Comitato Esecutivo per valutare se WIM può essere utile per la rete di Santiago.

Il Dialogo di Glasgow. Il Glasgow Dialogue non è altro che un metodo per discutere e negoziare in forma meno criptica e più partecipata su qualsiasi tema. Non resta che stabilire come può essere organizzato il Dialogo di Glasgow per chiarire le aspettative delle Parti, trovare un terreno comune e consentire una discussione aperta per i prossimi due anni. Durante tale periodo, le Parti dovranno affrontare le modalità per rendere operativo un sostegno rafforzato e aggiuntivo per le attività che affrontano perdite e danni, compreso il tipo di finanziamento da rendere disponibile, chi lo fornirà, a chi, in quali circostanze e in quali tempi, in che modo le parti possono definire il finanziamento di L&D in modo che riconosca i collegamenti esistenti e tragga vantaggio dai canali esistenti sia all'interno che all'esterno della Convenzione climatica. Va inoltre stabilito come può essere organizzato il Dialogo per consentire alle Parti di valutare i progressi. Considerare fin d'ora i potenziali risultati del Dialogo di Glasgow può aiutare a costruire un processo efficace che porti alla COP 29 nel 2024, quando i lavori del Dialogo si concluderanno.

L'organizzazione istituzionale per L&D. Al momento non c'è alcuna struttura istituzionale riconosciuta per L&D. Occorre trovare lo spazio istituzionale nel quadro giuridico  dell'accordo di Parigi, l'unico in grado di ospitare organicamente norme persone e mezzi che  possano dare luogo ad un sistema L&D governabile e capace di assicurare mezzi efficaci di cooperazione rafforzata tra l'UNFCCC e le altre istanze L&D. Dato che il processo di Santiago si limita a a forniree assistenza tecnica e e che il mandato del Dialogo di Glasgow si concentra sulla finanza, occorre stabilire dove e come le Parti possono avere una discussione più ampia sul quadro istituzionale dell'Accordo di Parigi.

L&D nel Global Stocktake:  GS è il processo di valutazione sullo stato di attuazione dell'Accordo di Parigi. Per ora non comprende nessuno spazio per valutare quello che si sta facendo in materia di L&D. Va stabilito quale tipo di informazioni e di dati  relativi alla L&D siano rilevanti e necessari affinché la GST valuti gli sforzi per migliorare la comprensione, l'azione e il supporto relativi al progresso collettivo sugli sforzi per evitare, ridurre al minimo e affrontare la L&D.Non meno importante sarà valutare se le istituzioni legate alla L&D al di fuori dell'UNFCCC sono adatte allo scopo e se aiutano ad affrontare la L&D nell'ambito dell'accordo di Parigi. Lo stesso discorso vale per le informazioni e a quale livello di dettaglio debbano essere contenute negli output GST relativi a L&D per contribuire effettivamente a ridurre la vulnerabilità, a migliorare la capacità di adattamento  ed evitare, ridurre al minimo e affrontare L&D ad ogni livello, internazionale, regionale, nazionale e subnazionale.

TORNA SU

 

23 Ottobre 2022: COP 27 Primer_3. I temi: l'adattamento e la resilienza

Alla COP 27 molta attenzione sarà rivolta al tema dell'adattamento nei mercati emergenti e su come finanziarla. Alla COP26 di Glasgow, il Fondo di adattamento ha ricevuto 356 milioni di dollari dai governi nazionali e regionali che hanno contribuito allo sforzo per finanziare progetti per i paesi più vulnerabili. è opinione condivisa che, quand'anche ri riesca a stare entro uno scenario di riscaldamento di un grado e mezzo, è necessario che vaste parti del mondo si adattino a un nuovo modo di vivere e lavorare. L'adattamento è una sfida che non può essere rimandata. Per coloro che già convivono con le sue implicazioni, l'adattamento è l'unica opzione. Spetta alle nazioni sviluppate dare vita ad accordi climatici equi e inclusivi che consentano ai paesi vulnerabili di adattarsi ai cambiamenti climatici senza rinunciare alla propria legittima agenda di sviluppo.

Molta attenzione verrà riservata alle tecnologie di adattamento su cui molto si discute tra i sostenitori delle soluzioni nature based e coloro che ritengono impossibile non fare largo ricorso a soluzioni infrastrutturali artificiali, che chiamiamo grigie in contrapposizione a green, come è grigio e controverso il Mose di Venezia (in figura).

Mitigare l'impatto del cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra è importante, ma insufficiente. Non sarà possibile tornare a riscaldamento zero, quindi è fondamentale che tutti si convincano è che occorrono investimenti significativi nell'adattamento. È una posizione condivisa ai massimi livelli delle Nazioni Unite, ma ci si rende conto che i fondi per l'adattamento andrebbero in prevalenza a fondo perduto ai paesi poveri, circostanza tutt'altro che gradita dai Paesi donatori, meno esposti, in teoria, agli impatti climatici e comunque obbligati a fronteggiare da soli i propri guai. Metà di tutti i finanziamenti per il clima devono essere destinati all'adattamento e alla resilienza, per proteggere le persone e le economie, ha twittato di recente il Segretario generale dell'ONU Guterres, che dice che se i fondi non vengono erogati subito, le tragedie climatiche si moltiplicheranno, con conseguenze devastanti per gli anni a venire. Ci sarà bisogno della forza combinata della finanza pubblica e privata per raggiungere queste aspirazioni.

Il II volume del VI Assessment Report dell'IPCC, pubblicato a inizio 2022, è dedicato alle tematiche dell'adattamento, della vulnerabilità e della resilienza. Vi si legge che la vulnerabilità degli ecosistemi e delle persone ai cambiamenti climatici varia sostanzialmente tra e all'interno delle regioni , guidata da modelli di sviluppo socioeconomico interagenti, dall'uso insostenibile degli oceani e del suolo, dall'iniquità, dall'emarginazione, e da modelli storici ancora in corso come il colonialismo  e lo sfruttamento. Circa 3,3-3,6 miliardi di persone vivono in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Un'elevata percentuale di specie è vulnerabile ai cambiamenti climatici. La vulnerabilità umana ed ecosistemica sono interdipendenti e gli attuali modelli di sviluppo insostenibili stanno aumentando l'esposizione degli ecosistemi e delle persone ai rischi climatici. Sono stati osservati progressi nella pianificazione e attuazione dell'adattamento in tutti i settori e regioni, che hanno generato molteplici vantaggi . Tuttavia, il progresso dell'adattamento è distribuito in modo non uniforme e lacunoso. Molte iniziative danno priorità alla riduzione del rischio climatico immediata ea breve termine, che riduce le opportunità di adattamento trasformativo. Risposte disadattative ai cambiamenti climatici possono creare vincoli di vulnerabilità, esposizione e rischi che sono difficili e costosi da modificare ed esacerbano le disuguaglianze esistenti. Il disadattamento può essere evitato mediante una pianificazione flessibile, multisettoriale, inclusiva e a lungo termine.

È inequivocabile che il cambiamento climatico abbia già sconvolto i sistemi umani e naturali. Le tendenze di sviluppo passate e attuali (emissioni passate, sviluppo e cambiamenti climatici) non hanno favorito uno sviluppo globale resiliente al clima. Le scelte e le azioni attuate nel prossimo decennio determineranno in che misura i percorsi a medio e lungo termine forniranno uno sviluppo più o meno resiliente ai cambiamenti climatici. È importante sottolineare che le prospettive di sviluppo resiliente al clima sono sempre più limitate se le attuali emissioni di gas serra non diminuiscono rapidamente, soprattutto se il riscaldamento globale di 1,5 °C verrà superato nel breve termine. Queste prospettive sono vincolate dallo sviluppo passato, dalle emissioni e dai cambiamenti climatici e saranno rese possibili da una governance inclusiva, risorse umane e tecnologiche, informazioni, capacità e finanza adeguate e appropriate.

Gli impegni pubblici e privati ​​presi alla COP 26 in merito all'adattamento e al finanziamento di perdite e danni sono stati numerosi, ma in pratica deludenti.
La mancanza di seguito dei fatti alle parole rappresenta un grave problema se si vogliono realizzare entrambi i piani di mitigazione e adattamento. Incide sul livello di fiducia tra i paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati e indica qualcosa di storto nell'attuale sistema di indirizzamento della finanza verso le economie emergenti. Ha anche implicazioni per l'agenda generale dello sviluppo sostenibile. Il vero problema è il conflitto con i capitale destinati allo  sviluppo, investiti a rendimento e spesso solo per rapinare risorse naturali, magari in cambio di armi. C'è un mismatch tra ciò che viene finanziato e come viene finanziato. Per i finanziamenti pubblici dal mondo sviluppato, il clima ha quasi soppiantato lo sviluppo nei mercati emergenti. Clausole come la condizionalità legata al prestito, o al tasso di rendimento o all'utilizzo dei proventi, sono parte del problema. Le finanze potrebbero non affluire facilmente ai paesi accettori, se prolungano la vita degli asset ad alto contenuto di carbonio. Ciò è particolarmente problematico nelle economie ancora fortemente dipendenti dai combustibili fossili per la produzione di energia, dove il capitale di sviluppo potrebbe non essere disponibile o dove i finanziamenti privati ​​sono limitati proprio a causa della dipendenza dai combustibili fossili. Di fronte all'aumento della domanda di energia, quei paesi fanno fatica a passare rapidamente a un sistema  di energia rinnovabile. La nuova infrastruttura deve essere costruita contemporaneamente all'utilizzo dell'infrastruttura esistente e si devono anche considerare i mezzi di sussistenza per le comunità dipendenti da questi settori. Sono le tematiche ben note della giusta transizione, esacerbate, evidentemente, nelle situazioni di maggiore povertà ed arretratezza tecnologica.

Le misure necessarie per l'adattamento sono spesso meno semplici di quelle per la mitigazione del cambiamento climatico. Inoltre, molte attività di adattamento sono associate a problemi di redditività commerciale e i costi iniziali per costruire la resilienza delle infrastrutture sono più alti. Finanziare l'adattamento è più complesso che per la mitigazione in quanto tocca grandi quantità di piccoli progetti e ristrutturazioni, e richiede uno stretto coordinamento con le comunità locali. Per attrarre i capitali privati occorre migliorare il profilo rischio-rendimento in linea con i requisiti degli investitori. I finanziamenti pubblici non saranno mai sufficienti per colmare il divario di finanziamento dell'adattamento, mentre la maggior parte del capitale privato è avversa al rischio. Secondo l'Adaptation Gap Report 2021 dell'UNEP, i costi di adattamento nei paesi in via di sviluppo sono da cinque a dieci volte maggiori degli attuali flussi di finanziamento pubblico per l'adattamento. Colmare il divario richiede il contributo di un'ampia serie di attori per mobilitare la quantità di capitale necessaria per costruire resilienza e adattamento. La finanza mista è un modo per arrivare allo scopo, con il denaro pubblico utilizzato in modo tale da alleviare i rischi e attrarre il settore privato. Le collaborazioni pubblico/privato saranno fondamentali per mobilitare la finanza privata e saranno molto più importanti per l'adattamento che per la mitigazione.

È necessaria una stretta collaborazione tra comunità e investitori per garantire che le misure adottate siano appropriate e aggregate in portafogli diversificati per i quali i grandi investitori istituzionali possono fornire il finanziamento su larga scala e con adeguati livelli di rischio-rendimento. Un passaggio fondamentale è la rivalutazione del contributo delle banche multinazionali di sviluppo attraverso un uso più efficiente dei capitali e un maggiore coordinamento con il mercato assicurativo. Mediante sovvenzioni, prestiti agevolati, investimenti diretti e misure di mitigazione del rischio, le istituzioni finanziarie per lo sviluppo possono facilitare gli investimenti privati ​​e svolgere un ruolo fondamentale nel fornire l'assistenza tecnica essenziale. È richiesto anche un cambiamento di approccio da parte degli investitori privati talvolta distolti dalle opportunità di raggiungere obiettivi di adattamento e mitigazione a lungo termine, per paura di perdere i vantaggi immediati offerti dagli obiettivi di decarbonizzazione a breve termine.

TORNA SU

 

21 Ottobre 2022. COP 27 Primer_2.  I temi della COP 27

La società civile di tutto il mondo ha giudicato frustranti i round intermedi dei negoziati di giugno sui cambiamenti climatici nella città tedesca di Bonn. A Bonn è stata chiarita la necessità di dare la giusta importanza alla discussione sull'adattamento ai cambiamenti climatici e anche a quella delle perdite e dei danni, per gli impatti ai quali le misure di adattamento non sono più applicabili. Ma non ci sono stati progressi sul finanziamento dei due item. In tutti i punti dell'agenda negoziale la sensazione è la stessa: bisogna accelerare le cose per avere risultati alla prossima COP, in Egitto, a novembre, che vuole essere la COP dell'attuazione. La presidenza egiziana della COP ha la missione di dimostrare la sua  leadership e di ottenere la fiducia dei paesi in via di sviluppo.

Ci si aspettava da Bonn un avanzamento rispetto a come implementare effettivamente l'Accordo di Parigi, perché il rule book è stato chiuso a Glasgow alla COP 26. Ad esempio, come registrare le iniziative di cooperazione tra paesi al fine di conformarsi ai propri contributi determinati a livello nazionale (NDC), attraverso strumenti di mercato o approcci non market (articolo 6 dell'Accordo di Parigi). C'era anche un'aspettativa di progressi nel monitoraggio dell'attuazione, procedura  per valutare ciò che viene effettivamente fatto utilizzando metriche simili. Su molte questioni prioritarie, sono stati concordati solo risultati minimi. La maggior parte di essi richiede nuove riunioni informali e la presentazione di proposte da parte dei paesi per fare progressi nel dibattito. Su alcuni temi, soprattutto in relazione all'obiettivo globale di adattamento e al programma di lavoro per la mitigazione, si rischia di far ripartire da zero le discussioni in Egitto, a causa dei disaccordi tra le parti.

Secondo la presidenza della Conferenza, la COP 27 sarà la COP dell'attuazione che cercherà di "accelerare l'azione globale per il clima attraverso la riduzione delle emissioni, intensificare gli sforzi di adattamento e concordare maggiori e più adeguati flussi di finanziamento", riconoscendo anche che la transizione equa rimane una priorità per i paesi in via di sviluppo. Inutile dire che il compito di affermare l'urgenza dell'agenda sta trovando ostacoli durissimi nella crisi economica globale, nelle turbolenze geopolitiche, nella guerra e nei diversi contesti interni, in primis le competizioni elettorali come in Italia, Brasile e Stati Uniti. Le giornate tematiche presentate dalla presidenza della COP 27, discussioni parallele al processo formale di negoziazione, con una serie di dibattiti settoriali, possono dare forse un supporto ai dialoghi sull'attuazione dell'Accordo.

Loss and damage. Quello che a Glasgow, alla COP 26, era stato visto come un progresso, cioè la decisione di discutere la creazione di un meccanismo di finanziamento per le perdite e i danni nell'ambito della Convenzione climatica, è praticamente tramontato a Bonn, da dove usciamo con la certezza che sarà difficile da attuare. Non esiste un percorso chiaro per finanziare le perdite e i danni e l'argomento dovrebbe continuare a essere discusso alla COP 27. Restano sul tavolo anche i negoziati su come rendere operativa la Rete di Santiago per perdite e danni (SNLD), che ha come obiettivo di facilitare il supporto tecnico in caso di perdite e danni.

Adattamento al cambiamento climatico. È necessario che i negoziati alla COP procedano verso decisioni concrete che vadano oltre le burocrazie della Convenzione, e colleghino il tema dell'adattamento ai cambiamenti climatici ai negoziati relativi ai finanziamenti per il clima e al cosiddetto Global Stocktake, che è il processo scadenzato per la valutazione globale dell'attuazione dell'accordo di Parigi. Queste dovrebbero anche valutare le metriche relative all'aumento della capacità di adattamento dei paesi agli effetti del cambiamento climatico, in particolare quelli più vulnerabili. C'è anche la necessità di presentare un percorso credibile e trasparente per raddoppiare i finanziamenti per l'adattamento, come promesso a Glasgow alla COP 26.

Mercato del carbonio. Per attuare i meccanismi di cooperazione tra le parti, di mercato o non di mercato, previsti dall'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, è ancora necessaria una notevole quantità di dettagli tecnici. Affinché ci sia integrità ambientale e omogeneità nelle transazioni tra paesi, è necessario adottare strumenti per la registrazione e la convalida degli accordi. Molti paesi hanno la capacità tecnologica e una solida infrastruttura per operare sul mercato e potrebbero beneficiare di esperienze precedenti, tra tutte  il Clean Development Mechanism (CDM) del Protocollo di Kyoto. Ma non è questo il caso per la maggior parte dei paesi. Pertanto, una delle principali discussioni è come progredire nell'implementazione di strumenti solidi e, allo stesso tempo, formare tecnicamente i paesi in via di sviluppo in modo che la  registrazione e la convalida dei crediti da negoziare non sia un impedimento alla loro partecipazione ai mercati. Ci sono anche decisioni in sospeso con un impatto diretto su molti Paesi: come verranno trasferiti i crediti CDM di Kyoto nel nuovo accordo; se e come verranno prese in considerazione le misure per evitare quote di emissioni e per migliorare la conservazione del capitale naturale. Manca del tutto una definizione di questi termini nel patrimonio negoziale della Convenzione climatica. Nell'articolo 6.8, che affronta altri tipi di cooperazione tra paesi al fine di conformarsi agli NDC, il principale progresso è stata l'indicazione che potrebbe essere creata una piattaforma che presenti casi di attuazione di misure di mitigazione che non coinvolgono i mercati e potrebbero essere accelerati se eseguiti in collaborazione tra paesi. Questo potrebbe avvenire con la cooperazione tecnica, lo scambio di esperienze o il finanziamento, che è la principale preoccupazione dei paesi sviluppati, che sostengono che la discussione sul finanziamento non dovrebbe essere inclusa in questo argomento.

Global Stocktake. A Bonn si è svolto il primo dialogo tecnico in preparazione del Global Stocktake, ovvero del processo che valuterà lo stato di attuazione dell'Accordo di Parigi. I prossimi passi e sfide sono legati alle questioni sollevate in questo primo dialogo tecnico su come valutare l'attuazione dell'accordo di Parigi e degli NDC, e anche la partecipazione di altri soggetti, capaci di coprire temi come perdite e danni, equità, una transizione equa e questioni come combustibili fossili, ecosistemi e diritti umani.

Mitigazione. Il meccanismo proposto a Glasgow stabilisce l'accelerazione delle misure di mitigazione in questo decennio, con maggiore ambizione negli NDC. Non c'è stato accordo tra le parti su dove iniziare questo lavoro, soprattutto a causa del malcontento dei paesi in via di sviluppo nel ritenere che questo meccanismo sia stato pensato per alleviare la responsabilità dei paesi ricchi e degli emettitori storici.

Finanziamenti per il clima. La discussione sui finanziamenti per il clima è essenziale per ricostruire la fiducia tra le parti in tutti gli altri punti di negoziazione. I paesi sviluppati devono ancora rispettare l'obiettivo annuale di 100 miliardi di dollari per il Green Climate Fund. Canada e Germania guidano un piano di lavoro per raggiungere l'obiettivo su cui sono impegnati il G20, il G7 e la stessa Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Lavoro congiunto sull'agricoltura. Il processo di  Koronivia (KJWA). I punti principali del lavoro congiunto di Koronivia sull'agricoltura sostenibile sono stati il ​​riconoscimento da parte dei vari Paesi dei risultati delle discussioni precedenti sull'agricoltura sostenibile e le linee guida per quanto riguarda la continuazione di questo gruppo di lavoro nell'ambito dell'UNFCCC, la Convenzione climatica.

TORNA SU

18 Ottobre 2022. COP 27 Primer_1. Naomi Klein: COP 27 is the al-Sisi greenwashing

A differenza di ogni altro vertice sul clima di recente memoria, questo non avrà autentici partner locali. Ci saranno alcuni egiziani al vertice che affermeranno di rappresentare la società civile. E alcuni di loro lo fanno. Il guaio è che, per quanto ben intenzionati, anche loro sono dei piccoli attori nel reality show sulla spiaggia di al-Sisi; in una deviazione dalle consuete regole dell'ONU, quasi tutti sono stati controllati e approvati dal governo. Il Rapporto di Human Rights Watch, pubblicato il mese scorso, spiega che questi  gruppi sono stati invitati a parlare solo su argomenti di benvenuto. Cosa, per il regime, è il benvenuto? Raccolta rifiuti, riciclaggio, energie rinnovabili, sicurezza alimentare e finanza climatica. Quali argomenti non sono graditi? Quelli che sottolineano l'incapacità del governo di proteggere i diritti delle persone dai danni causati dagli interessi delle imprese, comprese le questioni relative alla sicurezza dell'acqua, all'inquinamento industriale e ai danni ambientali causati dal settore immobiliare, dallo sviluppo turistico e dall'agrobusiness. Purché non si parli dell'impatto ambientale degli affari militari dell'Egitto o dei progetti infrastrutturali nazionali, molti dei quali sono associati all'ufficio del Presidente o all'esercito. E sicuramente non si parlerà dell'inquinamento da plastica e del consumo di acqua di Coca-Cola, perché la Coca-Cola è uno dei top sponsor ufficiali. In breve, se vuoi montare pannelli solari o raccogliere rifiuti, probabilmente puoi ottenere un badge per venire a Sharm el-Sheikh. Ma se vuoi parlare degli impatti sulla salute e sul clima dei cementifici egiziane a carbone, o della pavimentazione di alcune dei residui spazi verdi al Cairo, è più probabile che tu riceva una visita dalla polizia segreta o dal Ministero della Solidarietà Sociale. E se, da egiziano, metti in dubbio la credibilità di Sisi di parlare a nome delle popolazioni povere e vulnerabili al clima dell'Africa, visto l'aggravamento della fame e della disperazione della sua stessa gente, faresti meglio a farlo da fuori dal paese.

Sebbene riluttanti a rinunciare al rituale, la maggior parte dei seri attivisti per il clima ammette che questi vertici producono poco rispetto all'azione per il clima basata sulla scienza. Anno dopo anno da quando sono iniziati, le emissioni continuano a salire. Qual è, allora, il vantaggio di sostenere il vertice di quest'anno quando l'unica cosa che è destinato a ottenere è l'ulteriore radicamento e arricchimento di un regime che, secondo qualsiasi standard etico, merita lo status di paria? Per mesi, gli egiziani in esilio in Europa e negli Stati Uniti hanno supplicato le NGO di inserire i prigionieri politici del loro Paese nell'agenda dei negoziati del vertice. Ma questo non ha mai avuto strada. Gli è stato detto che questo è la COP dell'Africa e che, nonostante tutti i precedenti fallimenti, questa COP, la 27°, avrebbe finalmente preso sul serio "attuazione" e "perdita e danni". L'ONU parla della speranza che i paesi ricchi e altamente inquinanti pagheranno finalmente ciò che devono alle nazioni povere, come il Pakistan, che hanno contribuito quasi per niente alle emissioni di carbonio, ma sopportano la maggior parte dei costi del cambiamento climatico. La chiara implicazione è stata che il vertice è troppo serio e troppo importante per essere sviato dalla presunta piccola questione dei diritti umani del paese ospitante. Ma la COP 27 intende davvero sostenere la giustizia climatica? Porterà energia verde, transizione ecologica e sovranità alimentare ai poveri? Il vertice affronterà davvero il debito climatico e i risarcimenti, come molti sostengono?

La domanda più difficile è come progettare un sistema di riparazioni che non rafforzi i poteri statali autoritari, che garantisca che i fondi contribuiscano effettivamente a politiche genuinamente low-carbon. Questo dovrebbe essere al centro dei negoziati della COP tra i paesi del sud e del nord, ma quelli che negoziano per il sud rappresentano per lo più poteri statali autoritari i cui interessi a breve termine sono ancora più avidamente fragili di quelli dei CEO petroliferi. In breve, nonostante nei circoli climatici si parli di questo come la COP di attuazione, il vertice egiziano probabilmente otterrà poco come tutti gli altri prima in termini di reale azione per il clima. Ma ciò non significa che non otterrà nulla: quando si tratta di sostenere un regime di tortura, inondarlo di denaro e foto-opportunity per la pulizia dell'immagine, la COP 27 è già un regalo sontuoso.

TORNA SU

27 Settembre 2022. La crisi frena la lotta al cambiamento climatico

Alla Cop 26, tutti i paesi avevano deciso di rivisitare e rafforzare i loro piani climatici 2030, per colmare il divario tra l'azione nazionale e gli obiettivi di temperatura dell'accordo di Parigi. I governi del mondo, però, non sono riusciti a migliorare i loro piani climatici quest'anno, infrangendo una promessa fatta al vertice sul clima dello scorso anno a Glasgow. Il 23 settembre era la data limite, indicata come scadenza dal presidente della Cop 26 Alok Sharma, per l'inclusione in un rapporto sullo stato di avanzamento dei cambiamenti climatici. Allo scadere di tale data, solo 23 dei quasi 200 paesi che hanno firmato l'accordo di Glasgow avevano presentato piani climatici 2030 aggiornati. Di questi, la maggior parte offriva maggiori dettagli sulle politiche piuttosto che rafforzare gli obiettivi principali. I tre principali emettitori di Stati Uniti, UE e Cina hanno lavorato per attuare gli impegni presi lo scorso anno, ma non hanno accresciuto le loro ambizioni. L'India ha formalizzato le promesse fatte dal primo ministro Narendra Modi alla Cop 26 in un documento ufficiale di quattro pagine.

La politica e la geopolitica sono dominate dall'invasione russa illegale dell'Ucraina che ha poi mandato in subbuglio i mercati energetici. Rimane un enorme divario di emissioni e la valutazione dell'IPCC è stata molto chiara sul fatto che dobbiamo ridurre e colmare quel divario per avere possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5 °C. Tra i principali emettitori, l'Australia si distingue per l'ambizione significativamente crescente. Il governo laburista neoeletto ha spinto il suo obiettivo per il 2030 dal 26-28% sui livelli del 2005 al 43%, un livello simile a quello di altre economie sviluppate. L'Indonesia, l'Egitto che ospita la Cop 27 e gli Emirati Arabi Uniti che ospiteranno la Cop 28, hanno presentato obiettivi più forti, mentre il Regno Unito ha chiarito come raggiungere i suoi tagli alle emissioni. L'Indonesia ha migliorato il suo obiettivo incondizionato per il 2030 dal 29% al 31,89% rispetto a un livello normale previsto. Con la finanza internazionale, potrebbe ottenere tagli del 43,2%, rispetto al 41% del piano precedente. L'Egitto che ospita la Cop 27 ha quantificato per la prima volta i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni. Ma il piano riguardava solo alcuni settori non l'economia nel suo insieme ed è interamente condizionato dalla finanza internazionale. Gli Emirati Arabi Uniti ospitanti della Cop 28 hanno migliorato il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 dal 23,5% al ​​31%, rispetto a una linea di base normale. Il Brasile ha aumentato il suo obiettivo per il 2030 dal 37% al 50% rispetto al 2005. Ma ha anche cambiato il modo in cui sono stati misurati i livelli del 2005, rendendo l'obiettivo più facile da raggiungere. Il piano climatico aggiornato del Brasile è quindi meno ambizioso di prima. A giugno, diversi grandi emettitori hanno affermato che stavano aggiornando i loro piani climatici, ma non lo hanno ancora fatto. Questi paesi erano Cile, Messico, Turchia e Vietnam. Gli Stati Uniti sotto pressione per dimissionare il capo della Banca Mondiale, un negazionista sul clima. Secondo quanto riferito, l'Unione Europea ha in programma di aggiornare il suo piano climatico per fare un passo avanti nelle ambizioni a medio termine dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Sebbene paesi come la Germania abbiano inseguito freneticamente accordi sul gas per superare il prossimo inverno, hanno in programma di abbandonare più rapidamente i combustibili fossili entro il 2030 in risposta all'invasione. Gli Stati Uniti non hanno aggiornato il loro obiettivo, ma hanno compiuto importanti progressi nel raggiungerlo approvando la legge sulla riduzione dell'inflazione. Ciò ridurrà le emissioni degli Stati Uniti di un miliardo di tonnellate di anidride carbonica equivalente all'anno entro il 2030. In alcune aree, i governi sono tornati indietro rispetto alla Cop 26. L'invasione russa dell'Ucraina ha provocato una crisi energetica globale e stiamo vedendo l'industria petrolifera e del gas trarne davvero vantaggio e promuovere una enorme crescita del gas in particolare in Africa, Asia e Australia che renderanno gli obiettivi dell'accordo di Parigi irraggiungibili, se attuati.

Climate Action Tracker stima che il divario per essere sulla buona strada per gli 1,5 °C di riscaldamento globale sia di 17-20 GtCO2eq all'anno entro il 2030. Alla Cop 26, si calcolava che il mondo fosse sulla buona strada per 2,7 °C di riscaldamento globale in base alle politiche del governo. In uno scenario ottimistico, in cui i governi implementassero tutti i loro obiettivi annunciati, il riscaldamento globale potrebbe essere limitato a 1,8 °C. Quest'ultima previsione è stata ripresa dall'Agenzia internazionale per l'energia. La stessa Unione Europea ha incoraggiato questo sviluppo del gas classificando il gas come investimento verde nella sua tassonomia sostenibile, dando così il destroa tutto il mondo per giustificare il gas come verde. Il Segretario generale Guterres, parlando alla settimana del clima di New York, ha aggiunto: "Ieri sera ero a un ricevimento e ho sentito i leader dei paesi dell'America Latina parlare di come il gas fosse verde perché l'hanno detto gli europei. L'ho sentito anche dagli africani". Laurence Tubiana, CEO della European Climate Foundation, ha dichiarato ai giornalisti che la crisi energetica ha spinto i governi, in particolare in Europa e in Cina, a tornare ai combustibili fossili ma anche che l'economia reale continua a muoversi nella giusta direzione.

TORNA SU

16 Giugno 2022. A Bonn si prepara la COP 27

A Bonn si sono riuniti i corpi sussidiari per l’implementazione e per l’assistenza tecnico scientifica della UNFCCC. Con l'accordo di Parigi finalmente concluso, i negoziatori tentano a Bonn di stabilire come il suo testo può essere tradotto in azione reale.

I paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo si sono scontrati su chi dovrebbe pagare per i danni causati dai cambiamenti climatici, nonché su chi dovrebbe apportare ulteriori tagli alle emissioni nel prossimo decennio. Anche i paesi vulnerabili si sono battuti per portare la questione di adattamento all'ordine del giorno, per aiutarli a prepararsi meglio all'aumento delle temperature.

In particolare, i paesi in via di sviluppo sono rimasti frustrati dopo essersi accordati su un nuovo meccanismo finanziario per perdite e danni nel Glasgow Dialogue che alla fine è stato escluso dall'agenda di Sharm, a seguito del respingimento delle nazioni ricche.

Nonostante il grido di battaglia della presidenza britannica della COP 26 di "mantenere in vita 1,5°C", l'analisi dell'ultimo round di NDC e altri impegni presi a Glasgow hanno suggerito che il pianeta è sulla buona strada per circa 2,4 °C di riscaldamento, anche se tali impegni saranno rispettati in toto. Se i paesi inoltre rispetteranno i loro impegni per raggiungere le emissioni nette zero a metà del secolo, il riscaldamento sarebbe limitato a circa 1,8°C. Finora, l'unica nazione che si è fatta avanti con un NDC potenziato dalla chiusura della COP 26 è stata l'Australia.

Dicono i PVS guidati dalla Cina: “La narrativa di avere obblighi quasi simili tra tutte le parti porta ad una nuova fase del colonialismo nel mondo: il colonialismo del carbonio. Impone duri obblighi per i paesi in via di sviluppo, offrendo al contempo flessibilità e comfort sufficienti ai paesi sviluppati per raggiungere lo zero netto entro il 2050, ignorando la loro storica responsabilità [per] la crisi climatica. Nel frattempo, i paesi sviluppati continueranno a consumare lo spazio di carbonio che appartiene ai paesi in via di sviluppo”.

Esprimendo la sua posizione in materia di perdite e danni a Bonn, un rappresentante degli Stati Uniti ha affermato di non credere che ciò richieda nuovi fondi, aggiungendo che i paesi devono invece "aumentare i finanziamenti [esistenti] e ampliare le fonti ai finanziatori non tradizionali". Ma i paesi in via di sviluppo hanno discusso che fonti di finanziamento tradizionali, come il Green Climate Fund, richiedono procedure lunghe e sono troppo lenti per pagare - rendendoli inappropriati per affrontare le conseguenze degli eventi meteorologici estremi. Inoltre, gli aiuti umanitari forniti in risposta a situazioni estreme non hanno modo di affrontare eventi a insorgenza lenta come l'innalzamento del livello del mare.

L'adattamento agli impatti climatici è stata un'altra componente chiave dei colloqui, in particolare i progressi nella definizione di un “obiettivo globale sull'adattamento, GGA. I paesi in via di sviluppo vogliono anche più equilibrio nel processo delle Nazioni Unite, che, secondo loro, è stato per anni principalmente focalizzato sul far tagliare ai paesi le loro emissioni piuttosto che prepararsi agli impatti climatici. A differenza del dialogo di Glasgow, questa richiesta è stata accolta. Negoziati intorno al Fondo di adattamento sono stati teatro di alcune polemiche poiché gli Stati Uniti hanno messo in dubbio l'attenzione esclusiva ai finanziamenti a fondo perduto.

La presidenza egiziana ha chiarito che la COP 27 darà la priorità alla finanza. Ciò potrebbe includere concentrarsi sulla promessa di Glasgow di raddoppiare almeno i fondi per l'adattamento, laddove le nazioni africane che già spendono ingenti somme di denaro per l'adattamento climatico. Ha notato che i 100 miliardi di dollari sono stati inizialmente proposti nel 2009 come una "figura sexy", piuttosto che come risultato di un'attenta valutazione dei bisogni delle persone. Le stime dei paesi in via di sviluppo suggeriscono che saranno necessari trilioni di dollari per aiutarli ad affrontare il cambiamento climatico, piuttosto che i miliardi attualmente offerti.

Il sesto rapporto di valutazione dell'IPCC  ha concluso che, per la sola mitigazione, i flussi finanziari devono aumentare da tre a sei volte per soddisfare il fabbisogno medio annuo fino al 2030 per limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C.

TORNA SU

 

28 Maggio 2022. Transizione ecologica  e cambiamenti climatici

di Toni Federico

Il concetto di transizione non si applica ai cambiamenti climatici. Anzi il clima, come ogni altra risorsa ambientale, deve essere restituito agli equilibri che hanno preceduto l’impennata delle temperature. La lotta ai cambiamenti climatici è piuttosto l’obiettivo principale della transizione ecologica in tutte le sue componenti, in particolare quella energetica che deve garantire la neutralizzazione delle emissioni serra a metà secolo. Le transizioni climatiche, i cosiddetti tipping point, sono viceversa i limiti delle variabili di stato climatiche oltre i quali si determina un cambiamento irreversibile del sistema, del quale non possiamo prevedere le conseguenze.

Il clima è gravemente compromesso già oggi, quando siamo ai due terzi dell’anomalia termica media terrestre fissata come limite dall’Accordo di Parigi in +1,5 °C. Le concentrazioni di CO2 alle Hawaii (Mauna Loa), causa principale del riscaldamento terrestre, sono a maggio 2022 di 421,72 ppm, +3,84 ppm in 12 mesi. Le emissioni antropogeniche di questo gas che, ricordiamo, non sono una variabile di stato del sistema climatico ma una forzante esogena, cioè una variabile di input. In piena lotta internazionale ai cambiamenti climatici, sono passate dalle 22,75 Gt del 1990 a 35,5 nell’anno di Parigi (+56%) a 36,7 nel 2019 (+61%) a 36,3 nel 2021 dopo ben due anni di crisi pandemica globale. Il trend marginale della crescita al 2019 era di poco meno di un miliardo di tonnellate all’anno.

Ci siamo dati in Europa un ben chiaro obiettivo di abbattimento al 2030 del 55%, rispetto al 1990, confermato dal recente REPower EU, che ci deve portare entro il 2030 in EU 27 da 5,7 a 2,5 Gt, e in Italia da 0,52 a 0,23 Gt di emissioni GHG, mentre oggi siamo ancora a 0,42 Gt. Il salto programmato ha l’aspetto di una brusca inversione di tendenza a livello mondiale e di una estrema accelerazione in Europa e in Italia, ma non si tratta di una transizione, concetto che non si applica alle forzanti ma allo stato del sistema, quanto piuttosto di una forte accelerazione delle politiche di mitigazione.

Mitigazione ed adattamento sono i due approcci possibili alla lotta per il clima. Mitigare significa ridurre le forzanti dell’effetto serra in atmosfera, cioè le emissioni. Le riduzioni non possono avere effetto immediato sulle concentrazioni, e quindi sulla temperatura media terrestre, a causa della lunga persistenza in atmosfera dei vari gas, che per la CO2 supera i cento anni. La mitigazione ha un effetto globale, come le emissioni che si diffondono rapidamente su scala mondiale. Dovunque effettuata, la mitigazione beneficia l’intero pianeta. Per converso le emissioni di ogni paese danneggiano l’intera umanità per tutto il tempo di permanenza dei gas in atmosfera. Ne deriva che le responsabilità del cambiamento climatico non sono addebitabili al paese che sta emettendo di più su base annua (la Cina), ma a quello che ha il valore massimo dell’integrale delle emissioni su tutto il tempo delle permanenze in atmosfera dei diversi gas (gli Stati Uniti, seguiti dall’Europa). Per una autentica giustizia climatica lo sforzo di mitigazione dovrebbe essere proporzionato al danno arrecato sia in termini di responsabilità storica che di emissioni procapite anche considerando le importazioni ma, questo principio (il noto “chi inquina, paga”) non ha trovato udienza nel negoziato multilaterale sul clima, così perpetuando uno stato di tensione tra Sud e Nord del Mondo con la Cina, ormai il grande emettitore, a fare da avvocato dei paesi in via di sviluppo.

L’uso del suolo è causa indiretta di emissioni equivalenti. Qui è in causa lo stato di conservazione del bioma terrestre e degli oceani, capaci entrambi di assorbire CO2 dall’atmosfera, talché la deforestazione di una determinata area verde o forestale, la impermeabilizzazione, la desertificazione di un territorio e il riscaldamento oceanico si traducono in quantità equivalenti di CO2 che restano in atmosfera assumendo il ruolo di emissioni virtuali. Qui c’è spazio per le cosiddette Nature Based Solution, NBS, una tipologia di interventi per proteggere e gestire in modo sostenibile le risorse naturali e gli ecosistemi... in grado di portare benefici sia per la qualità della vita umana che per la biodiversità (IUCN). Al momento attuale si valuta che a livello mondiale il contributo dell’uso del suolo, delle foreste e dei relativi cambiamenti (LULUCF) equivalga ad una significativa fonte netta di emissioni di GHG, contribuendo a circa il 23% delle emissioni antropogeniche di CO2, metano e protossido di azoto nel 2007-2016, calcolato in CO2eq. Per EU 27 nel 2019 il bilancio è vantaggioso, pari a -249 MtCO2eq e per l’Italia è pari a -40 MtCO2eq. Alcune NBS si possono prestare a forme di greenwashing , come il  carbon offsetting, alberi in cambio di emissioni,  utilizzato da aziende di ogni tipo per mettere in atto una sorta di carbon land grab (Monbiot). Se si calcola che la riforestazione può catturare al massimo 2,5 Gt di CO2 ogni anno (il 6% delle emissioni) i programmi di offsetting dovrebbero occupare 3,6 Mkm2, oltre la metà di tutta la terra disponibile nel mondo per praticare qualche forma di offset.

L’adattamento è invece l’insieme delle politiche di intervento sul territorio che dovrebbero contenere gli effetti del cambiamento climatico, riducendo la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici. Per un verso non ci possono essere politiche, misure o cambiamenti capaci di contrastare gli eventi climatici estremi, in aggravamento già con un warming medio di un solo °C; per un altro verso le azioni di adattamento sono necessariamente locali, ne beneficiano solo le comunità che le mettono in atto e sono le più disparate e non sono nemmeno necessariamente green. Adattamento e mitigazione sono pertanto complementari e sono sinergici solo in alcuni casi, come avviene per le soluzioni NB. Per ridurre l’impatto dei fenomeni estremi, come tifoni e inondazioni, si può infatti ricorrere alla protezione, rigenerazione e ampliamento delle barriere naturali costiere, costituire dai mangrovieti, dalle aree umide o dalle strutture coralline. Operazioni che garantiscono anche una fonte vitale di cibo e di materiali per le popolazioni locali. 

Transizione delle emissioni in ItaliaIn Italia dal 1990 al 2019 le emissioni di gas serra si sono ridotte del 19%, passando da 519 a 418 MtCO2eq attraversando tre fasi distinte. Fino al 2005 le emissioni sono cresciute stabilmente (+5 MtCO2eq/anno) per poi ridursi in modo significativo nel decennio 2005 -2014, -160 MtCO2eq in soli nove anni, 17 per anno. Dal 2014 al 2019 le emissioni si sono ridotte di soli 2 MtCO2eq/anno: il processo di decarbonizzazione si è arrestato. Nel 2020, primo anno della pandemia, le emissioni sono crollate di 40 MtCO2eq, ma le stime preliminari per il 2021 segnalano un deciso rimbalzo, connesso alla ripresa economica seppure ancora incerta: le emissioni potrebbero recuperare in un solo anno i tre quarti della caduta del 2020 e attestarsi intorno a 410 MtCO2eq. Per raggiungere l’obiettivo di riduzione del 55% rispetto al 1990, le emissioni GHG devono scendere a 232 MtCO2eq nette entro il 2030, considerando 11 MtCO2eq di assorbimenti. Si tratta di un taglio di 186 MtCO2eq da conseguire in poco più di un decennio, a fronte del taglio di 100 MtCO2eq conseguito negli ultimi trent’anni. L’obiettivo è estremamente ambizioso e richiede interventi eccezionali in tutti i settori, che dovranno realizzare una riduzione delle emissioni di gas serra che va da circa il 30% dei trasporti e dell’agricoltura, al dimezzamento e oltre dell’industria e del civile (fonte: I4C).

Gli strumenti a disposizione sono quelli della transizione energetica e dell’economia circolare. Negli ultimi trent’anni in Italia si è assistito ad un processo di decarbonizzazione molto significativo nel settore elettrico. Fra il 1990 e il 2019 la generazione elettrica da fonti fossili è rimasta stabile (-2%) ma il mix è cambiato, con il carbone ridotto del 40% e il gas che ha sostituito il petrolio come fonte primaria. La crescita della produzione nazionale di elettricità nel periodo (+35%) è avvenuta totalmente a carico delle fonti rinnovabili, che in trent’anni sono più che triplicate e hanno raggiunto oggi il 40% della produzione nazionale.  Nel 1990 era il 16%, allora composto solo da idroelettrico e geotermico. Nel 2020 la generazione elettrica ha subito una lieve contrazione del 5%, avvenuta interamente a carico delle fonti fossili. In trent’anni il settore elettrico nazionale ha più che dimezzato le proprie emissioni specifiche passando da 578 nel 1990 a 258 gCO2/kWh nel 2020. Questo imponente processo di decarbonizzazione è dovuto innanzitutto alla penetrazione delle fonti rinnovabili, in particolare tra il 2008 e il 2014, in secondo luogo ai miglioramenti tecnologici e di efficienza degli impianti alimentati a gas naturale e infine al graduale phase out del carbone, iniziato nel 2012 e acceleratosi negli ultimi anni.

La più attesa delle transizioni abilitanti è quella dei trasporti, responsabili di oltre 109 MtCO2eq di GHG e ancora dipendenti dai combustibili fossili per più dell’80%. Con il 25% delle emissioni totali, i trasporti sono il terzo settore a livello nazionale in termini di emissioni GHG, dopo l’industria e gli edifici. Sono l’unico settore che non ha ridotto le proprie emissioni dal 1990. Il 97% delle emissioni dei trasporti deriva dall’utilizzo di carburanti fossili. Le emissioni associate ai consumi elettrici sono il 3% del totale e riguardano ancora quasi esclusivamente il trasporto su rotaia, sia urbano che extraurbano. Il modo di spostare passeggeri e merci in Italia resta profondamente insostenibile da molti punti di vista, con un impatto negativo sulla qualità della vita di milioni di cittadini. Quello che si chiede è ridurre il più possibile la domanda di trasporto e decarbonizzare la domanda rimanente tramite l’utilizzo di veicoli a emissioni zero, per tre obiettivi: risparmiare traffico evitando gli spostamenti non necessari (avoid); attuare lo spostamento modale di passeggeri e merci verso sistemi di trasporto pubblico a basso impatto (shift); migliorare l’efficienza propria del mezzo di trasporto per mezzo dell’elettrificazione (improve).

L’industria è il primo settore per emissioni GHG in Italia: nel 2019 è responsabile del 37% delle emissioni nazionali (46% nel 1990). Al tempo stesso, l’industria ha contribuito più di ogni altro settore alla mitigazione: dal 1990 al 2019 le emissioni si sono ridotte del 36%, pari a 86 MtCO2eq, in buona parte per l’elettrificazione, l’innovazione e anche per il rallentamento della produzione industriale, aggravato dalla crisi economico - finanziaria del 2008. L’intensità carbonica del valore aggiunto si è ridotta di oltre un terzo dal 2005 al 2019, segnando un importante trend di decarbonizzazione che si è arrestato solo nel 2020 a causa della pandemia.

Il settore degli edifici è il secondo per emissioni in Italia, con 116 MtCO2eq, il 57%, lo stesso del 1990 quando però era il 70% del totale. Gli edifici residenziali hanno ridotto le emissioni del 26% mentre gli edifici del terziario le hanno aumentate del 25%, in linea con la crescita economica del settore.

Nel periodo dal 1990 al 2019, le emissioni del settore agricolo si sono ridotte del 13% passando da 46 a 40 MtCO2eq, principalmente per la riduzione delle emissioni non energetiche che assommano a circa i tre quarti delle emissioni del settore. Di queste, quasi due terzi, la metà delle emissioni totali del settore agricolo, sono originate dagli allevamenti di bestiame, a causa della digestione enterica degli animali (oltre 13 MtCO2eq) ma anche della gestione delle deiezioni (6,3 MtCO2eq). La rimanente parte delle emissioni non energetiche riguardano la gestione del suolo agricolo (8,1 MtCO2eq). Tutte le fonti che compongono la parte non energetica delle emissioni agricole si sono ridotte o sono rimaste stabili negli ultimi trent’anni, con la gestione del suolo agricolo che ha fornito il contributo più significativo alla comunque lieve riduzione delle emissioni (fonte: I4C). Dobbiamo definire un sistema alimentare sostenibile, solido e resiliente in accordo con la strategia europea Farm to Fork che garantisca sicurezza alimentare e riduca l'impronta climatica e ambientale, promuovendo la riduzione degli sprechi e il passaggio a regimi alimentari sani e sostenibili, dal punto di vista dell'accesso al cibo, della salute e dell'ambiente, basati maggiormente sul consumo di frutta, verdure e cereali, anche per contenere il grave impatto della zootecnia sui cambiamenti climatici e sulle materie prime.

Sul fronte dell’adattamento la Strategia italiana non ha ancora trovato applicazione sul territorio a causa della mancata finalizzazione del cosiddetto PNACC, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. La procedura di VAS, infatti, ne ha messo in evidenza i numerosi limiti, comportando la necessità di apportare correzioni e modifiche con un allungamento delle tempistiche di approvazione. È da 15 anni che si discute del tema in Italia ma ancora si agisce con lentezza, pur nella consapevolezza che il nostro territorio sia altamente vulnerabile. In quest’ottica è quindi grave l’assoluta assenza dell’adattamento (o di qualche richiamo al PNACC che ne potesse accelerare l’approvazione e implementazione) nel PNRR dove si parla solo di dissesto idrogeologico.

In discussione è anche il target 13.2 dell’Agenda 2030 che prescrive di migliorare l'istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici in materia di mitigazione, adattamento, riduzione dell’impatto e di allerta precoce. Pandemia guerra e soprattutto malcelati opportunismi sembrano aver sottratto all’attenzione della politica e del pubblico la grave minaccia dei cambiamenti climatici: un problema in meno, si dirà, salvo poi ad accorrere all’ultimo momento quando sarà troppo tardi. L’obiettivo dell’Agenda sembra ormai nelle mani delle giovani e dei giovani, delle organizzazioni della società civile, dei movimenti come FfF, delle donne, le cui associazioni sono meno ciniche delle controparti maschili, e perfino dei bambini (UNICEF).

Riteniamo che l’Italia debba dotarsi al più presto di una Legge nazionale sul clima, seguendo il modello europeo. La Legge dovrà stabilire tutte le modalità, gli obblighi e i target della mitigazione e dell’adattamento, assicurando i relativi finanziamenti. Può sostituire e finalizzare il PNIEC, di ingloriosa memoria, ormai dimenticato dal MITE, perché stabilirebbe i fini obbligatori della decarbonizzazione e, con essi, i mezzi necessari a intraprendere un percorso ormai condiviso e reso obbligatorio dall’Europa.

TORNA SU

 

Lunedì 28 Febbraio 2022. Presentato dall'IPCC il secondo volume del sesto Assessment Report su Adattamento, resilienza e vulnerabilità

Secondo il sesto rapporto del Gruppo di lavoro 2 del IPCC, gli impatti negativi dei cambiamenti climatici stanno aumentando molto più velocemente di quanto gli scienziati avessero previsto meno di un decennio fa. Molti impatti sono inevitabili e colpiranno più duramente le popolazioni più vulnerabili del mondo, ma l'azione collettiva dei governi per ridurre le emissioni di gas serra e preparare le comunità a convivere con il riscaldamento globale potrebbe ancora evitare i peggiori risultati. Le prove scientifiche cumulative sono inequivocabili. Qualsiasi ulteriore ritardo nell'azione globale sull'adattamento e la mitigazione mancherà una finestra di opportunità breve e che si chiude rapidamente per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti. Il Rapporto esamina gli impatti dei cambiamenti climatici sulle persone e sugli ecosistemi. I punti chiave del rapporto sono:

  • Secondo le stime, tra 3,3 miliardi e 3,6 miliardi di persone, più del 40% della popolazione mondiale, vivono in luoghi e situazioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Alcuni stanno già sperimentando gli effetti del cambiamento climatico, che variano da regione a regione e sono guidati da fattori quali la geografia, il modo in cui quella regione è governata e il suo status socioeconomico. Il Rapporto fa anche riferimento per la prima volta a modelli storici e in corso di iniquità come il colonialismo che contribuiscono alla vulnerabilità di molte regioni ai cambiamenti climatici.

  • Anche se finanziamenti e pianificazione aggiuntivi potrebbero aiutare molte comunità a migliorare i loro preparativi per il cambiamento climatico, l'umanità presto raggiungerà limiti definitivi alla sua capacità di adattarsi se le temperature continuano a salire. Ad esempio, le comunità costiere possono temporaneamente proteggersi da tempeste estreme ripristinando le barriere coralline, le mangrovie e le zone umide, ma i mari in aumento finiranno per sopraffare tali sforzi, provocando erosione costiera, inondazioni e perdita di risorse di acqua dolce.

  • Il cambiamento climatico ha già causato morte e sofferenza in tutto il mondo e continuerà a farlo. Oltre a contribuire ai decessi aiutando a innescare disastri come incendi e ondate di caldo, ha influito in vari modi sulla salute pubblica. alla diffusione di malattie come il colera. Sono in aumento anche i problemi di salute mentale, legati al trauma del vivere eventi estremi e alla perdita di mezzi di sussistenza e cultura.

  • Se le temperature globali aumentano di oltre 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, alcuni cambiamenti ambientali potrebbero diventare irreversibili, a seconda dell'entità e della durata del superamento di questa soglia. Nelle foreste e nelle zone di permafrost artico che fungono da serbatoi di anidride carbonica, ad esempio, il riscaldamento globale estremo potrebbe portare al rilascio di emissioni di carbonio in eccesso, che a loro volta provocherebbero un ulteriore riscaldamento, un ciclo che si autoalimenta.

  • Lo sviluppo economico sostenibile deve includere la protezione della biodiversità e degli ecosistemi naturali, che assicurino risorse come l'acqua dolce e le coste che proteggono dagli effetti delle tempeste, afferma il rapporto. Molteplici linee di evidenza suggeriscono che il mantenimento della resilienza della biodiversità e degli ecosistemi durante il riscaldamento climatico dipenderà da una conservazione effettiva ed equa di circa il 30-50% delle aree terrestri, d'acqua dolce e oceaniche della Terra.

Leggi il brief sul Rapporto IPCC AR6 WG2

 

I materiali messi a disposizione dal IPCC sono i seguenti:

§  Summary for Policymakers (approved version)

§  Headline Statements

§  Technical Summary

§  Full Report

§  Frequently Asked Questions

§  Fact sheets

§  Global to Regional Atlas

§  Press conference presentation in high resolution and low resolution

TORNA SU

 

Sabato 13 Novembre 2021. Finisce qui la COP 26 con l'assemblea plenaria di chiusura e il documento finale emendato dall'India

 

Oggi alle 8:00 precise vengono rilasciati una nuova bozza di accordo finale in sette pagine e 71 punti, e una nuova bozza di decisione dell'organismo di gestione dell'Accordo di Parigi, CMA, in nove pagine e  97 punti. L'assemblea informale di stocktaking è rimandata di qualche ora al primo pomeriggio. Il confronto tra i due documenti, quello di oggi e quello di mercoledì, mette in evidenza qualche ulteriore passo indietro frutto della negoziazione e delle discussioni di questa notte. La terza bozza di questa mattina ha mantenuto le risoluzioni chiave per perseguire i tagli delle emissioni di gas serra in linea con l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Alle nazioni verrà chiesto di tornare il prossimo anno per rafforzare i loro obiettivi sui tagli alle emissioni, gli NDC che finora sono inadeguati, e per accelerare l'eliminazione graduale dei sussidi per l'energia a carbone e i combustibili fossili. I delegati studieranno attentamente la decisione fino all'una, ora locale, quando saranno chiesti i loro commenti, dopo di che la presidenza cercherà di passare rapidamente a una sessione conclusiva in cui  possono essere adottate le decisioni finali.

I paesi lasceranno Glasgow ben consapevoli che gli attuali impegni collettivi per la riduzione delle emissioni entro il 2030 non sono abbastanza ambiziosi. Non sono allineati con l'obiettivo dell'accordo di Parigi di mantenere l'aumento del riscaldamento ben al di sotto dei 2 °C e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. La migliore delle stime pubblicate in questi giorni proietta l'anomalia termica a fine secolo a 2,4 °C, guadagnando appena 0,3 °C rispetto agli NDC ufficiali di Luglio. Il progetto di testo della presidenza invita inoltre tutti i paesi ad accelerare gli sforzi verso l'eliminazione (phaseout) dell'energia a carbone  e dei sussidi inefficienti (termine rimasto per tutti misterioso) per i combustibili fossili. L'atmosfera dei colloqui è stata generalmente costruttiva, sebbene alcune nazioni abbiano cercato di annacquare gli accordi sull'eliminazione graduale dei combustibili fossili e di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. I paesi in via di sviluppo vogliono, da parte loro, ulteriori garanzie sui finanziamenti per il clima, necessari per aiutarli a far fronte agli impatti di condizioni meteorologiche estreme, perdite e danni.

La plenaria conclusiva ha inizio alle 19:25 di Sabato. All'esterno Greta Thunberg sventola il cartellino rosso alla COP 26. Le opposizioni di Cina ed India al phaseout tendenziale del carbone e dei combustibili fossili sembrano insuperabili, così come la riluttanza dei paesi poveri al testo del documento a causa del deficit dei finanziamenti tanto del GCF di Copenhagen quanto delle perdite e danni di Varsavia, il WIM. Cina ed India alla fine avranno ragione della resistenza presidenziale. Il testo viene emendato last minute suscitando una marea di dissensi. Dopo il primo, cash, salta così anche il terzo punto del programma della presidenza inglese: il coal. Opportunamente Boris Johnson si guarda bene dal farsi vedere. Draghi non può fare diversamente. Hollande a Parigi era andato.

Il Presidente Sharma, visibilmente contrariato, nel suo ultimo commosso intervento dichiara: "è il momento della decisione e delle scelte di importanza vitale che tutti voi avete impostato e che hanno lanciato un decennio di crescente ambizione sui temi come l'adattamento, la mitigazione, la compensazione delle perdite finanziarie e dei danni e per rimanere sulla strada per mantenere gli 1,5 °C a portata di mano.  Abbiamo confermato l'obiettivo dei cento miliardi di dollari e abbiamo quantificato il nuovo obiettivo per la  Climate Finance. Queste decisioni concludono gli elementi in sospeso del libro delle regole dell'Accordo di Parigi. Credo che le decisioni che stiamo per prendere dimostrino la rilevanza e la leadership di questo processo multilaterale che promuovono un'azione per il clima inclusiva, riconoscendo l'importante ruolo svolto dai giovani, dalla società civile, delle popolazioni indigene, delle comunità locali e degli altri stakeholder. Ci complimentiamo per l'impressionante impegno e le azioni di tutti coloro che si sono uniti a noi a Glasgow nella nostra visione cash, car, coal, trees. I negoziati sono stati tutt'altro che facili. ve lo dico sinceramente, ma sono rimasto colpito dall'impegno che avete dimostrato per portare a termine il nostro lavoro, per creare consenso su un'agenda senza precedenti e alla fine concordare qualcosa di significativo per la nostra gente e il nostro pianeta. Ognuno di voi e la nazione che rappresentate  si è fatto avanti qui a Glasgow accettando di fare ciò che serve per mantenere gli 1.5 °C alla portata. è mio grande onore accompagnarvi attraverso la procedura formale di adozione della decisione finale. Pertanto invito ora la COP ad adottare la decisione denominata Patto sul clima di Glasgow contenuta nel documento FCCC/PA/CMA/2021/L.16. Rispetto a questo testo l'India ha proposto un emendamento dell'ultimo minuto che sostituisce il "phase out" del carbone con un "phase down", ovvero una riduzione graduale. Il nuovo testo in lingua originale è:

Parties would commit to “escalating efforts to phase down unabated coal power and inefficient fossil fuel subsidies while providing targeted support to the poorest and the most vulnerable in line with national circumstances and recognising the need for support towards a just transition.”

Il testo di questa mattina era invece:

“including accelerating efforts towards the phase out of unabated coal power and inefficient fossil fuel subsidies, recognising the need for support towards a just transition.”

In data 17 novembre il Glasgow Climate Pact, emendato, si trova ancora in forma "unedited" sui siti UN FCCC.

In precedenza, India, Iran e alcuni altri paesi avevano espresso opposizione ai riferimenti alla graduale eliminazione dei sussidi al carbone e ai combustibili fossili. Molti delegati dei paesi svantaggiati hanno espresso il loro disappunto per la proposta dell'India, ma hanno affermato che l'avrebbero accettata, sia pure con riluttanza. Il testo non prevede strumenti di finanziamento specifici per perdite e danni, una richiesta cruciale dei paesi in via di sviluppo. Ma la Guinea, parlando a nome dei paesi del G77, ha affermato che con questa grave mancanza "si può convivere", purché non porti pregiudizio alle nostre sacrosante aspirazioni. "Accettiamo questo cambiamento con la massima riluttanza", hanno detto le Isole Marshall. La Svizzera fa eco alla delusione generale dei paesi occidentali, ribadisce che l'eliminazione del carbone è indispensabile ma non si oppone al documento emendato dall'India. Pesante il dissenso dell'Europa, che si sente tagliata fuori dall'intesa USA - Cina. "Sappiamo benissimo che il carbone non ha futuro", afferma Timmermans, chairman del clima dell'UE, "ma questo non dovrebbe impedirci di prendere oggi  una decisione storica". "Per il bene più grande, dobbiamo ingoiare questo boccone amaro", ha dichiarato il Lichtenstein.  L'Europa dichiara: "è importante che siamo stati in grado di concordare sulla necessità di ridurre significativamente le emissioni globali in questo momento critico in cui le parti devono aggiornare i loro NDC per dare risposta all'emergenza climatica in linea con ciò che la scienza  dice per mantenere vivo l'obiettivo degli 1,5 °C.  Per l'UE è di fondamentale importanza che si sia stati in grado di concludere il Rulebook  che  consentirà di attuare pienamente l'accordo di Parigi. Altrettanto importante è la determinazione ad aumentare la finanza per il clima soprattutto per l'adattamento per i paesi in via di sviluppo più vulnerabili. EU si impegna ad aumentare i suoi contributi e a sostenere la  Rete di Santiago per perdite e danni. Il fatto che abbiamo stabilito che dobbiamo mantenere in vita gli 1,5 °C è di importanza storica, ha aggiunto Timmermans. Per molta gente gli 1.5 °C non significano niente. Ma noi potremo dire ai nostri figli che, se facciamo quello che abbiamo promesso qui, l'umanità imparerà a vivere dentro precisi confini, il che significa che c'è un futuro prospero per ogni essere umano su questo pianeta. John Kerry, che certamente ha consentito a Cina e India di prevalere, dichiara che:  "La negoziazione perfetta è quella che scontenta tutti", con buona pace di Obama. 

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato che i testi finali sono sostanzialmente dei compromessi che riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. “Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica”, ha detto."... credo ancora che il mondo debba eliminare gradualmente il carbone, porre fine ai sussidi ai combustibili fossili e dare un prezzo al carbonio, oltre a onorare l'impegno di 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima a sostegno dei paesi in via di sviluppo. Non abbiamo raggiunto questi obiettivi in questa conferenza. Ma abbiamo alcuni elementi per andare avanti”.

In poche ore, a fine Conferenza, sono stati annunciati e pubblicati resoconti e commenti da tutte le parti, operatori, esperti, giornalisti, radio e TV, per lo più improntati ad uno scetticismo che talvolta è interessato, talaltra segno di delusione da parte di chi, nel combattimento contro i cambiamenti climatici, non vuol cadere nella abusata trappola di dare spazio a chi cerca di far profittare i propri interessi in salsa green. Ma quella che impressiona è la mobilitazione intorno ai temi del clima, che a questi livelli non si era mai vista: la società civile è in moto e questo ci sembra più importante degli esiti della riunione di condominio di Glasgow o del G20.

I conseguimenti della COP 26:

  • "They said everything and did nothing", si dice dalla strada. Dal punto di vista politico Cina e Stati Uniti hanno ripreso la scena del negoziato, tagliando la strada all'Unione Europea che vuole stare alla guida del processo internazionale sul clima. Si incontreranno lunedì in via telematica, la COP 26 è finita, decidono loro. I giudizi sono i più vari. I più duri vengono dall'Europa e, ovviamente, dalla strada.

  • L'obiettivo maggiore di Parigi a 1,5 °C viene acquisito formalmente con l'impegno  "... to pursue efforts to limit the temperature increase to 1.5 °C;  recognizing that limiting global warming to 1.5 °C requires rapid, deep and sustained reductions in global greenhouse gas emissions, including reducing global carbon dioxide emissions by 45% by 2030 relative to the 2010 level and to net zero around midcentury, as well as deep reductions in other greenhouse gases" (21,22).

  • in materia di mitigazione alla fine la COP 26 decide "... accelerate the development, deployment and dissemination of technologies, and the adoption of policies, to transition towards low-emission energy systems, including by rapidly scaling up the deployment of clean power generation and energy efficiency measures, including escalating efforts  to phase down unabated coal power and phase out inefficient fossil fuel subsidies ..." (36). C'è tutto quello che serve per la transizione energetica, ma il lavorio degli emendamenti ha reso tutto labile, le centrali a carbone unabated, i sussidi ai fossili eliminati solo se inefficient, gli abbattimenti divenuti escalating efforts. Si sfugge come si vuole. Finalmente però, oltre alle emissioni, si comincia a parlare in qualche modo dei combustibili fossili che ne sono la causa: è ufficialmente la prima volta in ambito UN FCCC. Il conflitto a Glasgow sembra prefigurare, in nome delle responsabilità differenziate del Principio 7 di Rio de Janeiro, la differenziazione dei percorsi. L'occidente decarbonizzato e l'oriente per la sua strada che, però, non porta a Parigi. Al di là del riconoscimento alle indicazioni di percorso dell'IPCC, non ci sono decisioni a Glasgow sugli impegni per il 2030, nonostante le pressioni dell'Europa. Di phaseout di petrolio e gas naturale non ha parlato nessuno.

  • Gli NDC presentati prima di Glasgow portano lontano dagli obiettivi di Parigi, al netto degli impegni annunciati dai Capi di Stato e dalle imprese nei primi due giorni della COP 26. L'accordo prevede che entro l'anno prossimo i Paesi che ancora non l'hanno fatto devono consegnare i loro piani nazionali. Poi parte un programma di lavoro per accelerare il taglio delle emissioni, che presenterà i suoi risultati alla COP 27,  e si darà vita ad una commissione annuale di verifica delle strategie sul clima dei vari Paesi. Sulla questione del timing degli NDC (Art. 4 di Parigi) si è scelto che siano rinnovati ogni cinque anni nel rispetto del principio del ratcheting-up di Parigi (78) e di anticipare gli impegni programmati per il  2035 e il 2040 al 2025 e al 2030.

  • In materia di trasparenza del sistema di contabilità delle emissioni, con il quale i Paesi dichiarano le loro emissioni e sottopongono i propri sforzi al giudizio altrui, l'accordo raggiunto a Glasgow prevede che i Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di flessibilità nella contabilità delle emissioni possono evitare di consegnare alcuni dati. Si parte dal 2024.

  • Si è trovato l'accordo sul mercato del carbonio, di cui all'Articolo 6 dell'Accordo di Parigi e alle relative regole lasciate inevase a Madrid. Dopo sei anni di trattative, si è deciso come regolamentare il mercato dei crediti ed evitare i doppi conteggi, con un sistema cap&trade di scambio delle emissioni tra i Paesi, che riporta al CDM di Kyoto, attraverso cui chi emette meno compensa chi supera i limiti. La compensazione del carbonio consente ad aziende, governi e individui di annullare l'impatto di alcune delle loro emissioni investendo in progetti che riducono o immagazzinano il carbonio.I crediti maturati all'interno dei Protocollo di Kyoto fino alla scadenza del 2020 grazie alla riduzione della deforestazione, avevano suscitato forti dubbi e sono stati cancellati. Comprensibile l'ira dei paesi detentori di quei crediti che la Bolivia ha voluto rappresentare: “Ci rifiutiamo di essere intrappolati nel colonialismo del carbonio. I paesi sviluppati continuano a usare il carbon budget di quelli in via di sviluppo, e questo non è corretto”.

  • La finanza dell'azione climatica è stato l'oggetto più duro del contendere. Confermati i cento miliardi/anno di Copenhagen, ma  rimandati al 2023. I Paesi meno sviluppati sono arrivato a Glasgow senza che le economie più ricche avessero raggiunto nemmeno l'80% del sostegno  promesso nel 2009. L'impegno di Glasgow è di aumentare, persino raddoppiare gli stanziamenti  in futuro, però tra il 2025 e il 2030.  I Paesi meno sviluppati avrebbero voluto una formula più stringente per recuperare anche le quote non versate in precedenza. Per l'adattamento (pp. 11 - 19) la COP: "... Urges developed country Parties to at least double their collective provision of climate finance for adaptation to developing country Parties from 2019 levels by 2025, in the context of achieving a balance between mitigation and adaptation in the provision of scaled-up financial resources" (18). Viene sollecitato l'intervento degli investimenti privati (19).

  • Perdite e danni. Niente soldi ma viene riconosciuto il diritto al risarcimento e il pieno appoggio tecnologico e capacitativo. Loss and damage è una formula convenzionale per indicare i risarcimenti che i Paesi meno sviluppati, ma più vulnerabili, chiedono alle economie più ricche. Verrà potenziata la Santiago Network, una rete che mette a disposizione aziende e operatori che possano fornire aiuto ai paesi poveri nell'affrontare le emergenze climatiche (61 - 74).

TORNA SU

Venerdì 12 Novembre 2021.  è la giornata finale. Per la prima volta non ci sono eventi ma c'è una bozza di accordo da parte della presidenza

Arriva a fine nottata di venerdì, alle 7:13, una nuova bozza di accordo finale in otto pagine e 94 punti, frutto di una notte intera di negoziato. Include alcuni segnaposto per l'esito dei colloqui tecnici sulla finalizzazione del Regolamento di Parigi, l'Articolo 6, che sono ancora in corso. "Limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiede riduzioni rapide, profonde e sostenute delle emissioni globali di gas serra, inclusa la riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010 e azzeramento netto intorno alla metà del secolo", afferma il testo. Attualmente si prevede che i paesi tornino con migliori impegni nel 2025, in base all'accordo di Parigi, ma molti ora chiedono che la scadenza venga anticipata. Questa è  l'area di disaccordo più combattuta mentre i padroni di casa del Regno Unito lottano per un compromesso. La questione di quando e come rivedere gli NDC è cruciale perché, anche se i colloqui di Glasgow continueranno probabilmente fino a questo fine settimana, non c'è alcuna possibilità che i governi migliorino i loro NDC a questo vertice. Ma una clausola nella bozza di testo che costituirà l'esito principale dei colloqui consentirebbe un ritorno l'anno prossimo per aggiornare e rafforzare gli obiettivi.

Per il commercio del carbonio, secondo quanto riferito, il Brasile è disposto ad accettare regole di integrità più severe, probabilmente puntando a un potenziale terreno di compromesso per un accordo elusivo sul testo dell'Articolo 6. Gli Stati Uniti e la Cina hanno mostrato buona volontà con la dichiarazione congiunta di mercoledì, ma hanno continuato a negoziare in modo aggressivo come sempre dietro le porte chiuse. La Bolivia, a nome dei paesi in via di sviluppo Like minded (LMDC), i cui membri vanno incredibilmente dall'Arabia Saudita al Bangladesh, giovedì aveva criticato i paesi ricchi in una conferenza stampa per "colonialismo del carbonio" e ha chiesto che l'intera sezione dell'accordo sulla riduzione delle emissioni venga rottamata. A meno che non si attribuiscano maggiori responsabilità agli inquinatori storici ma la bozza non l'accontenta. In realtà, come dice il negoziatore UK, "Non c'è ancora un consenso in questa conferenza sul fatto che abbiamo bisogno di aumentare collettivamente la nostra ambizione". Il pericolo è quello di un compromesso debole. António Guterres, segretario ONU, ha incontrato i ministri per dare urgenza ai colloqui. "Non possiamo accontentarci del minimo comune denominatore dell'azione per il clima. Faccio appello a tutti i paesi per aumentare l'ambizione nella mitigazione, nell'adattamento e nella finanza".

Avevamo già detto che nelle 25 pagine dell'Accordo di Parigi non compare mai il termine "combustibili fossili", né c'è menzione di carbone, petrolio o gas,  perché molte nazioni produttrici di combustibili fossili vogliono continuare a parlare di emissioni piuttosto che delle fonti energetiche che ne sono la causa. Lo stesso vale finora per tutti i documenti della convenzione climatica. Tutti erano scettici su un possibile cambiamento a Glasgow. In realtà nella bozza di questa mattina una citazione la troviamo al punto 36:"... accelerating the phaseout of unabated coal power and of inefficient subsidies  for  fossil fuels". Non vengono fissate date né obiettivi precisi su questo problema. Questo punto è relativamente più debole rispetto al testo precedente (Guardian), ma è comunque un segnale importante: il termine inefficient non c'era e i sussidi "efficienti" non si capisce cosa sono. Inoltre vengono di fatto accreditati gli impianti dotati di cattura e sequestro del carbonio (CCS). L'aumento a breve termine degli impegni climatici entro il 2022, che continua a essere nel testo, non è ancora congruente agli 1,5 °C se non viene abbinato a una solida azione a breve termine, ad esempio, accettando di eliminare gradualmente i trilioni spesi annualmente per sovvenzionare i combustibili fossili. Non sorprende perciò che quando i ministri della Danimarca e del Costa Rica hanno lanciato un'alleanza per porre fine all'era del petrolio e del gas, l'azione sia stata considerata una provocazione. All'Alleanza hanno aderito, fissando una data di fine per l'estrazione di petrolio e gas e di stop alle nuove concessioni, licenze o round di leasing, Francia, Irlanda, Portogallo, Svezia, Groenlandia, Quebec e Galles. Nuova Zelanda e California, che non soddisfano tutti i criteri di adesione, hanno aderito all'alleanza come "membri associati" e l'Italia si è dichiarata "amica" del gruppo.

è invece molto positivo che uno dei pezzi più cruciali del primo testo sia sopravvissuto. è l'invito ai paesi a elaborare nuovi obiettivi di emissioni per il 2030 entro la fine del prossimo anno. Il testo recita ora “requests” ai Paesi, dove prima si diceva “urges”. La cosa fondamentale, al di là del vocabolario,  è che l'indicazione per elaborare nuovi piani entro la fine del 2022 è passata attraverso l'ultima serie di modifiche e potrebbe arrivare al testo finale.

Altre questioni fortemente divisive sono le soluzioni basate sulla natura (ripristino, compensazioni, offsetting). Già la bozza pubblicata mercoledì ha sottolineato "l'importanza fondamentale delle soluzioni basate sulla natura e degli approcci basati sugli ecosistemi, compresa la protezione e il ripristino delle foreste, per ridurre le emissioni, migliorare gli asportazioni e proteggere la biodiversità". La Bolivia, a nome dei paesi in via di sviluppo LMDC, affermava che così si presume che "la natura sia solo al servizio dei bisogni delle persone" invece di qualcosa "che ha un valore intrinseco". I sostenitori vedono le soluzioni basate sulla natura come un modo per colmare il divario tra le agende del clima e della biodiversità. Il WWF afferma che l'inserimento nel documento della COP 26 potrebbe favorire l'accettazione del fatto che faccia parte di un accordo sulla biodiversità a Kunming, in Cina, il prossimo anno:
"È incoraggiante che il nuovo testo sottolinei il ruolo fondamentale della natura nel raggiungimento dell'obiettivo della temperatura dell'accordo di Parigi. La scienza è chiara, non esiste una strada praticabile per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C senza la natura. È fondamentale che le parti garantiscano che questo linguaggio rimanga nel testo finale". I critici viceversa affermano che il termine è usato in modo improprio dalle grandi società per giustificare l'inquinamento continuo e che sono necessarie salvaguardie dei diritti umani per proteggere le comunità indigene. Secondo ActionAid International le soluzioni basate sulla natura spesso diventano sinonimo di compensazione del carbonio e non esistono attualmente  definizioni, criteri o meccanismi di salvaguardia ufficiali per le soluzioni basate sulla natura.

In materia di finanza la bozza  esorta le economie sviluppate ad aumentare "urgentemente e significativamente la loro fornitura di finanziamenti per il clima, il trasferimento di tecnologia e la capacitazione" per aiutare le nazioni sviluppate ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Anche le istituzioni finanziarie e il settore privato vengono esortati nel documento a mobilitare finanziamenti che aiuterebbero a fornire risorse su larga scala per realizzare piani climatici, osservando con "profondo rammarico" che l'impegno delle nazioni sviluppate a mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno per la mitigazione del cambiamento climatico non è stato ancora rispettato. I paesi in via di sviluppo temono che non ci siano abbastanza garanzie per loro sui finanziamenti per il clima.  La bozza mostra alcuni progressi in questo settore. Alcuni elementi sembrano poter essere più forti, in particolare l'adattamento, la finanza e le perdite e i danni, che erano davvero molto necessari. Questi problemi sono i finanziamenti per uno sviluppo pulito, l'adattamento agli impatti climatici e il pagamento dei danni inevitabili. Ora ci sono date specifiche, che chiedono ai paesi di raddoppiare i finanziamenti per l'adattamento entro la fine del 2025.  Non va però dimenticato che sui 100 miliardi di dollari all'anno promessi dal 2020, non c'è ancora alcuna data (si accenna addirittura al 2025) per colmare il deficit che i paesi non sono riusciti a ottemperare l'impegno nel 2020 e nel 2021.

Nella serata di venerdì il presidente Sharma diffonde un comunicato di scuse per non essere riuscito a concludere la Conferenza nei termini stabiliti. Si lavorerà tutta la notte e il documento dovrebbe essere pronto per le 10 di Sabato e per l'assemblea conclusiva intorno alle 10;00. Ma, alla luce delle difficoltà del negoziato, neanche questo è sicuro.  Molte decisioni cruciali, in particolare sui mercati del carbonio e sul testo fondamentale dell'accordo, rimangono incerte. Ora tocca ai ministri concludere un accordo che apra le porte a maggiori finanziamenti per il clima e impegni i paesi a rafforzare le loro ambizioni. Mentre ci inoltriamo nella notte, facciamo il punto dei progressi di questa COP rispetto alla precedente nei suoi contenuti fondamentali:

Mitigazione e adattamento: pochi progressi. A Parigi, sei anni fa, l'obiettivo di mitigazione era quello di limitare l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, con un'ulteriore e più ambiziosa aspirazione a mantenerlo al di sotto degli 1,5 °C. Gli scienziati ora affermano che mantenere l'obiettivo di 1,5 gradi è imperativo per frenare alcune delle conseguenze più gravi del riscaldamento globale, comprese alcune transizioni irreversibili. Quindi, alla COP di quest'anno spetta di concordare l'obiettivo più ambizioso e convincere i paesi ad aumentare i propri obiettivi di mitigazione per raggiungerlo mediante la eliminazione graduale dei combustibili fossili Ma a partire da giovedì, 22 nazioni, tra cui Cina e India, si sono opposte al testo aggiornato, affermando che i paesi in via di sviluppo pagherebbero ancora una volta per un problema causato principalmente dai paesi ricchi. Manca una definizione delle risorse che necessitano per l'adattamento e dei relativi standard. Le cifre che vengono indicate sono una frazione minima del fabbisogno indicato dall'UNEP.

Phase out dei fossili. Qualche progresso. Più di 100 nazioni si sono impegnate a ridurre le proprie emissioni di metano. Ma alcuni dei principali emettitori, tra cui Cina e India, non hanno firmato. Più di 40 paesi si sono impegnati a eliminare gradualmente il carbone, il combustibile fossile più sporco. Ma nelle ultime ore sono state escogitate delle scappatoie nel testo che secondo i critici ne indeboliscono significativamente l'efficacia.

Finanza: pochi progressi. Il più grande ostacolo alla ricerca di un consenso  è chi pagherà per la transizione dai combustibili fossili, l'adozione di energia pulita, la costruzione di infrastrutture più resilienti al clima. Tutto ciò richiede massicci investimenti che nessuno si vuole sobbarcare. Nel 2009, gli Stati Uniti avevano promosso a Copenhagen un accordo per 100 miliardi all'anno, a partire dal 2020, per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare il cambiamento climatico. La scorsa settimana, gli Stati Uniti hanno rinnovato il loro impegno,  affermando che avrebbero stanziato oltre 3 miliardi di dollari all'anno per tale sforzo a partire dal 2024. Ma nell'ultima bozza di testo dell'accordo non sono indicati modi né tempi per quella promessa finanziaria. Sul meccanismo di Varsavia, per il risarcimento delle perdite e dei danni, nonostante le dichiarazioni, non ci sono progressi a questa sera. La bozza di testo di venerdì mattina si limita ad includere una decisione per creare una struttura di assistenza tecnica.

Carbon pricing: pochi progressi. Uno schema di tariffazione del carbonio del tipo cap&trade stabilisce essenzialmente un limite (cap) alle emissioni, cosicché gli inquinatori che superano tale limite possono acquistare crediti sotto forma di permessi da coloro che rimangono al di sotto del cap. C'è disaccordo su quanto sia efficace un tale schema nel frenare l'aumento delle emissioni. Finora i paesi membri non sono riusciti a ottenere un consenso sulle cosiddette regole dell'"Articolo 6" dell'accordo di Parigi, che si occupano del prezzo del carbonio. E a partire da giovedì, diverse questioni importanti sono rimaste irrisolte, incluso come contare i crediti, quali tipi di crediti dovrebbero essere consentiti e se i paesi in via di sviluppo dovrebbero ottenere disposizioni speciali.

Soluzioni basate sulla natura: qualche progresso. Oltre a ridurre l'uso di combustibili fossili, il modo migliore per combattere il cambiamento climatico è fare affidamento sulla capacità naturale delle foreste e degli oceani di togliere carbonio dall'atmosfera. Su questo fronte, un nuovo impegno di oltre 130 paesi per fermare e invertire la deforestazione entro il 2030 ha mostrato alcuni progressi compiuti al vertice di quest'anno. Tuttavia, molti  rimangono scettici sul fatto che i paesi possano mantenere questo impegno, considerando le promesse simili che in passato sono state disattese.

TORNA SU

 

Giovedì 11 Novembre 2021. è nelle città il fulcro del cambiamento individuale, sociale ed economico per un futuro sostenibile

I colloqui sul clima della COP 26 sono stati scossi iersera da un annuncio inaspettato dei due maggiori emettitori del mondo: Cina e Stati Uniti hanno annunciato un accordo per rafforzare la loro cooperazione sull'azione per il clima e accelerare i tagli alle emissioni in questo decennio. I due maggiori emettitori del mondo hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano la loro intenzione di cogliere questo momento critico per impegnarsi in sforzi estesi, individuali e concordati, per accelerare la transizione verso un'economia globale zero netta. Entrambe le parti hanno promesso di agire in questo decennio decisivo per ridurre le emissioni e mantenere gli obiettivi dell'accordo di Parigi per limitare l'aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 °C e perseguire gli sforzi per tenere gli 1,5 °C a portata di mano. Riconoscono che rimane un divario significativo tra gli attuali impegni, le politiche nazionali di riduzione del carbonio e ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi di Parigi. Le due parti sottolineano l'importanza vitale di colmare questo divario il prima possibile,  attraverso sforzi intensificati. L'accordo è stato discusso dalle due parti per mesi ha detto alla conferenza John Kerry. Una delle aree chiave di cooperazione è sul metano, con entrambe le parti che hanno stabilito di concordare ulteriori misure alla COP 27 nel 2022. Gli Stati Uniti hanno guidato gli sforzi con l'UE per riunire un'alleanza di oltre 100 paesi impegnati a ridurre collettivamente le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Sebbene la Cina non abbia firmato l'impegno, ha dichiarato che intende sviluppare un piano d'azione nazionale completo e ambizioso sul metano per ridurne le emissioni negli anni '20. Creeranno un gruppo di lavoro ad hoc e i Presidenti si incontreranno sul web a giorni.

è di oggi la lettera di Papa Francesco ai cattolici scozzesi che li invita a pregare per il successo della COP 26, alla quale avrebbe voluto partecipare, perché "... il tempo stringe per salvare il pianeta. Questo incontro è inteso ad affrontare una delle grandi questioni morali del nostro tempo: la conservazione della creazione di Dio, data a noi come un giardino da coltivare e come una casa comune per la nostra famiglia umana. Questa occasione non deve essere sprecata, per non dover affrontare il giudizio di Dio per la nostra incapacità di essere amministratori fedeli del mondo che ha affidato alle nostre cure". In un messaggio formale alla conferenza letto a suo nome il 2 novembre, Francesco ha affermato che le doppie ferite inflitte dalla pandemia di Covid-19 e dai cambiamenti climatici sono paragonabili a quelle causate da un conflitto globale e dovrebbero essere affrontate allo stesso modo.

Oggi è la Giornata delle città, delle regioni e dell'ambiente. I relatori si sono concentrati sulle questioni urbane, in particolare su come assicurarsi che le città, i paesi e le infrastrutture del mondo riducano le emissioni e si preparino a condizioni meteorologiche estreme in un mondo più caldo. Le città del mondo, a volte più numerose in abitanti di un intero paese, non hanno posto nel negoziato sul clima delle COP. Alla fine metà della popolazione mondiale che abita le città non è rappresentata direttamente nelle decisioni finali. Tuttavia, anche senza un posto ufficiale al tavolo dei negoziati, con oltre 400 delegati tra governatori, sindaci e consiglieri presenti, città e regioni rivaleggiano con le più grandi delegazioni nazionali della COP 26.  Ogni anno le voci delle città sono più forti e ascoltate come è stato dimostrato ieri, quando i rappresentanti della LGMA sono interventi al segmento di alto livello della COP 26 con il primo ministro britannico Boris Johnson e il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Inoltre, i rappresentanti di città e regioni hanno esercitato pressioni su più rappresentanti nazionali per aggiungere un riferimento esplicito alla collaborazione e all'azione multilivello nella bozza del documento finale. Yunus Arikan,  per ICLEI – Local Governments for Sustainability, ha parlato della necessità e dei benefici della collaborazione multilivello: “Dal 2015, pochissimi Paesi del Nord e del Sud hanno alzato le loro ambizioni nazionali. E questi sono quelli che hanno coinvolto le loro città e regioni. Vogliamo che l'accordo di Parigi sia realizzato attraverso un'azione multilivello e vogliamo replicare quello spirito nei risultati di Glasgow in modo che l'azione multilivello sia abbracciata da tutti i paesi". Il Sindaco di Manchester ha detto: “Lasciato a sé stesso, il mercato non ci porterà agli obiettivi. Quindi avremo bisogno che i nostri governi abbiano il coraggio di fare la loro parte… Abbiamo anche bisogno che abbiano il coraggio di passare il testimone a città e regioni, poiché questa è una corsa che può essere veramente vinta solo muovendo dal basso verso l'alto... Le città sono pronte a guidare questo cambiamento. Proprio come l'accordo di Parigi ha riconosciuto la collaborazione a più livelli, Glasgow deve rafforzare questa chiamata e riconoscere che il suo momento è davvero arrivato. Quindi da Glasgow mandiamo il messaggio che le città e le regioni guideranno la transizione insieme alla giustizia climatica e sociale, non solo per un mondo più verde, ma anche più equo". è importante notare che anche  lil documento congiunto USA - Cina di ieri fa specificamente riferimento all'inclusione delle realtà subnazionali nel loro gruppo di lavoro e nei controlli sulle emissioni di metano.

Le città sono al centro della transizione net zero. Nel Regno Unito, ad esempio, le città rappresentano il 45% delle emissioni di carbonio. Può sembrare molto, ma non se si considera che rappresentano il 54% della popolazione, il che significa che su base pro capite le emissioni di carbonio nelle città sono minori che altrove. In media, una persona che vive in una città emette 4tCO2 all'anno, contro le oltre sei del resto del Paese. Ciò è in parte dovuto al fatto che l'attività industriale tende a localizzarsi al di fuori delle città, ma anche nei trasporti e negli alloggi le città sono più green. Le emissioni dei trasporti sono inferiori nelle città per il modo in cui l'ambiente edificato influenza lo stile di vita quotidiano. La densificazione, una caratteristica distintiva delle città, rende più accessibili le opzioni di trasporto a basse emissioni: i viaggi sono più brevi e possono essere più facilmente effettuati  a piedi o in bicicletta. Anche il trasporto pubblico è più utilizzabile a causa della maggiore domanda.  La relazione tra densità ed emissioni, osservata in tutte le città del UK e mostrata in figura, è una proprietà urbana generale. Vale anche per le abitazioni, più efficienti dal punto di vista energetico, con conseguente minore impronta di carbonio: circa quattro tonnellate di carbonio per abitazione per le città, più di otto fuori. Ciò significa che se vogliamo rendere la COP 26 un successo e rispettare gli impegni in termini di trasporti ed edifici più puliti, dobbiamo cambiare il modo in cui le città sono pianificate, costruite e gestite. È necessario costruire più alloggi all'interno delle aree edificate esistenti, vicino alla rete dei trasporti pubblici, anziché costruire in periferia o in aree isolate. Oltre a una maggiore densità, occorrerà fare altre cose, come il retrofit delle case, l'abbandono dei combustibili fossili, il passaggio alle rinnovabili e l'eliminazione graduale delle auto a benzina e diesel. Le città e le regioni sono importanti siti di azione per il clima. Consumano il 78% dell'energia mondiale e producono più del 60% delle emissioni  e sono vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Nell'ultimo anno, le principali città hanno sperimentato condizioni meteorologiche estreme, come inondazioni improvvise e uragani, e il lento innalzamento dei mari minaccia molte città vicino alle coste.

Le campagne Race To Zero e Race to Resilience di Global Climate Action evidenziano sia la necessità di ridurre le emissioni sia di costruire la resilienza.  Race To Zero è l'iniziativa ONU intorno alla quale si sono raccolte le realtà locali pubbliche e private e la società civile.  è una campagna globale per raccogliere la leadership e il sostegno di aziende, città, regioni e investitori per una ripresa sana, resiliente e a zero emissioni di carbonio che prevenga minacce future, crei posti di lavoro dignitosi e sblocchi una crescita inclusiva e sostenibile. Mobilita una coalizione delle principali iniziative net zero, che rappresenta 733 città, 31 regioni, 3.067 imprese, 173 dei maggiori investitori e 622 istituti di istruzione superiore. Questi attori dell'economia reale si uniscono a 120 paesi nella più grande alleanza di sempre impegnata a raggiungere emissioni nette di carbonio zero entro il 2050 al più tardi. Insieme, questi attori coprono ora quasi il 25% delle emissioni globali di CO2 e oltre il 50% del PIL. Guidata da Muñoz e Topping, Race To Zero mobilita attori al di fuori dei governi nazionali uniti nell'Alleanza per l'ambizione per il clima, lanciata al Summit sull'azione per il clima del Segratario generale ONU nel 2019. Race To Zero, prima della COP 26, si è data l'obiettivo di dare slancio al passaggio a un'economia decarbonizzata, in cui i governi devono rafforzare i loro contributi all'accordo di Parigi. Il messaggio è che imprese, città, regioni e investitori sono uniti per raggiungere gli obiettivi di Parigi e creare un'economia più inclusiva e resiliente. Proprio il Segretario dell'ONU Guterres, nell'evento di chiusura di oggi dell'agenda dell'azione globale per il clima alla COP 26, Racing To a Better World, ha lanciato un gruppo di esperti che analizzerà gli impegni del settore privato per raggiungere lo zero netto al riparo dal greenwashing.   Gli sforzi di tutti coloro che hanno aderito alla Race to Zero, hanno avuto il riconoscimento e un posto di rilievo nella manifestazione. Nicola Sturgeon, Primo Ministro della Scozia, che ha invitato i paesi ricchi a pagare i propri debiti ai paesi poveri e vulnerabili sotto forma di finanziamenti per perdite e danni, e Sadiq Khan, Sindaco di Londra, hanno offerto le loro prospettive come operatori nello spazio dell'azione per il clima.  Italy For Climate, della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che pubblica questo bollettino, è il referente ufficiale, in collaborazione con l’Ambasciata Britannica, per la promozione di Race To Zero. Altri eventi di oggi:

  • Ricostruire meglio: accelerare la collaborazione profonda per l'azione per il clima dell'ambiente costruito

  • Sbloccare il Net Zero nelle città attraverso la trasformazione digitale sostenibile e soluzioni innovative

  • Sostenibilità e resilienza delle città nella crisi climatica e durante la pandemia di Covid.

Notizia di oggi che è d'obbligo citare è che anche l'Italia, insieme ad altri 11 Paesi, ha aderito alla Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA) lanciata oggi alla COP 26 da Danimarca e Costa Rica. BOGA afferma nella sua dichiarazione di intenti di essere una coalizione internazionale di governi e parti interessate che lavorano insieme per facilitare l'eliminazione graduale della produzione di petrolio e gas. La coalizione mira all'eliminazione graduale della produzione di petrolio e gas, a mobilitare nei dialoghi internazionali sul clima azioni e impegni e a creare una comunità internazionale di pratica di questo obiettivo. Purtroppo però l’Italia è l’unica ad aver aderito al Boga solo in qualità di friend, con l’impegno meno stringente possibile previsto dall’iniziativa: mentre ai livelli più ambiziosi di adesione è richiesto, ad esempio, di fissare una data di azzeramento delle nuove estrazioni di combustibili fossili sul suolo nazionale, di mettere in campo riforme per il taglio ai sussidi fossili o di eliminare i finanziamenti per le estrazioni fossili all’estero, ad un friend” del BOGA, è richiesto solo, genericamente, di impegnarsi e lavorare per ridurre il ricorso ai fossili garantendo al contempo una transizione socialmente equa e giusta. A BOGA non aderiscono, è ovvio, i paesi grandi produttori di fossili (Italy for climate).

Il negoziato. La sensazione che dava la COP 26 di oggi è quella dell'attesa di un parto (Nature). I delegati hanno davanti una lunga notte insonne per consegnare i testi finali che devono essere concordati da tutte le parti domani. Il problema nella mente di tutti è come mettere in moto i mercati globali del carbonio e come completare l'articolo 6. Nelle prossime ore i negoziatori di quasi 200 paesi contratteranno su ogni riga. La bozza di proposta pubblicata mercoledì mira a rendere realizzabile l'obiettivo più ambizioso dell'accordo di Parigi: limitare l'aumento della temperatura globale media a non più di 1,5 °C. In serata questo grande passo in avanti non sembrava più impossibile. Il testo rileva che gli attuali impegni nazionali sono insufficienti per evitare un riscaldamento catastrofico e sollecita i paesi, in particolare quelli che non hanno adottato obiettivi più ambiziosi da quando è stato firmato l'accordo di Parigi, ad aggiornare i propri piani di riduzione del carbonio entro la fine del prossimo anno. Senza aumento di ambizioni il target a fine secolo rimarrà a 2,4 °C, o peggio, secondo l'UNEP. Molti operatori di nazioni vulnerabili non hanno gradito la forma generale dell'accordo emergente, giudicato debole. Hanno espresso il timore che anche il riferimento ai combustibili fossili, che non prevede una tempistica fissa, potrebbe finire per essere annacquato. Johnson ha detto che i negoziatori devono trovare un modo per plasmare un accordo che sposti il ​​mondo nella giusta direzione. Il rischio di scivolare indietro sarebbe un disastro assoluto per il pianeta. Da parte sua Kerry ha affermato che mentre rimangono molti ostacoli prima che qualcuno possa dichiarare un successo il vertice di Glasgow, la partnership formale di mercoledì con i cinesi può aiutare le possibilità che i leader mondiali scelgano la solidarietà. "Potremmo andarcene da qui senza lavorare insieme, il mondo chiedendosi dove sarà il futuro", ha detto. "Oppure possiamo andarcene da qui con persone che lavorano insieme per aumentare l'ambizione e percorrere una strada migliore". Tra i lati positivi, c'è "molta più urgenza nel linguaggio, più allarme, più di quanto ho visto in qualsiasi testo precedente, e questo è eccellente", ha detto Christiana Figueres. "Sono anche entusiasta che il testo riconosca che questo è il decennio critico e che dobbiamo dimezzare le emissioni entro il 2030". Lei stessa teme che "Dalla maturità del testo,  la COP non finirà venerdì, penso che andrà a sabato a causa di un grande, grande problema che è la finanza".

Il penultimo giorno, i delegati si sono confrontati con le grandi idee, ma per scoprire che le singole parole contano sempre. Un membro dell'IPCC ha notato quello che sperava fosse un problema "innocuo, perché facilmente risolvibile" nelle decisioni finali. Si tratta della dicitura  "limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C entro il 2100 richiede... di ridurre le emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al 2010 e allo zero netto intorno alla metà del secolo”, che rappresenta in modo errato quanto dice lo  SR15 dell'IPCC sugli 1,5 °C. Infatti sostituisce la frase "1,5 °C con nessun o limitato overshoot" (che richiede riduzioni del 45% entro il 2030) con "1,5 °C entro il 2100 (che non le richiede)". Questo cambiamento potrebbe suggerire che uno scenario in cui le temperature medie globali raggiungono p.es. 1,8 °C entro il 2070 e tornano a 1,5 °C entro il 2100 attraverso una rimozione attiva e significativa di CO2 dopo il 2070 sarebbe ancora coerente con gli obiettivi indicati nel documento finale. In breve, il mondo potrebbe superare gli  1,5°C e tentare di fronteggiare i danni atmosferici, ma, ha spiegato, ci sarebbero danni irreversibili alle persone e al pianeta associati a questo ulteriore riscaldamento globale. E, ha detto, sarebbe diventato formalmente impossibile valutare se l'obiettivo di 1,5 °C sia stato mancato (o raggiunto) se non oltre il 2100. Teme che consentire scenari che limitano il riscaldamento globale a 1,5 °C entro il 2100 attraverso  la rimozione nella seconda metà di questo secolo di livelli arbitrariamente alti di CO2 potrebbe soffocare qualsiasi imperativo per una riduzione tempestiva delle emissioni.

Altre due parole sentite sono state "tornare indietro" in relazione ai negoziati sull'articolo 6. Lo stanco delegato non si riferiva al fatto se ci sarebbe stato o meno accordo, ma piuttosto all'ambizione rappresentata dalle opzioni sul tavolo. A Madrid, i timori di un meccanismo di mercato che possa minare l'integrità ambientale hanno portato alcuni paesi vulnerabili al clima a dichiarare che "nessun accordo è meglio di un cattivo accordo". Un altro delegato ha anche ricordato Madrid, osservando che "questo è in molti modi lo stesso pacchetto che non siamo riusciti a completare a Madrid". Finanza, governance delle perdite e dei danni e l'articolo 6 sono state tra le questioni rimaste irrisolte durante l'ultima COP del 2019. I delegati hanno esperienza con i compromessi tanto che, negli ultimi giorni di questo incontro, molti hanno sperato che i ministri potessero trovare le forme finali delle parole che in passato sono loro mancate. Si vedrà.

C'è stata ressa, per lo più di osservatori, in attesa dell'inizio della plenaria di chiusura che è stata aperta oggi in chiava meramente procedurale, un modo per raccogliere e rendere pubbliche le decisioni che sono pronte per essere adottate, consentendo al contempo il proseguimento delle trattative. Aprendo la plenaria il presidente Sharma ha osservato che "non siamo ancora arrivati" e ha affermato di non avere l'illusione che le parti siano soddisfatte dei testi attuali. Ha chiesto un "cambio di marcia" per raggiungere un accordo sulla finanza, in particolare sull'obiettivo della finanza quantificata collettiva e sulla finanza a lungo termine; sull'articolo 6; sul quadro rafforzato per la trasparenza e sulla mitigazione e il mantenimento degli 1,5 °C a portata di mano, dicendo "sappiamo che non possiamo permetterci di fallire".

Per concludere la giornata in bellezza l'Egitto (campione della libertà) è stato confermato come l'ospite della prossima COP nel 2022 e gli Emirati Arabi Uniti (campione delle rinnovabili, è la sede dell'IRENA) ospiteranno la COP 28 nel 2023.

TORNA SU

Mercoledì 10 Novembre 2021. I trasporti? Ma chi ci pensa? Tutti gli occhi sono puntati sulle bozze del documento finale che la Presidenza sta elaborando. In serata, a sorpresa, arriva la notizia che Stati Uniti e Cina collaboreranno per la decarbonizzazione a breve termine

Usando il treno questa volta, anziché l'aereo con cui era tornato a Londra, Boris Johnson è tornato oggi al vertice sul clima COP 26 a Glasgow per il Transport Day, dove dovrebbero essere fatti una serie di annunci sui trasporti a basse emissioni di carbonio. Arriva quando diversi obiettivi per i trasporto sono già stati elaborati, incluso il fatto che i nuovi veicoli pesanti venduti nel Regno Unito dovranno essere a emissioni zero entro il 2040. Dato che lo stesso limite esisteva già per i veicoli leggeri, possiamo dire che in UK tutti i veicoli saranno decarbonizzati entro il 2040. Trenta paesi hanno anche concordato di lavorare insieme per rendere i veicoli a emissioni zero la nuova normalità. Per i trasporti marittimi saranno presentati piani per corridoi di spedizione green, facilitando il passaggio a navi a emissioni zero. 14 stati, che insieme costituiscono oltre il 40% delle emissioni globali dell'aviazione, hanno sottoscritto un impegno per un nuovo obiettivo di decarbonizzazione. Nel corso della giornata un gruppo di paesi e aziende ha firmato un impegno a "lavorare verso", curiosa dicitura, le automobili a emissioni zero entro il 2040 ed entro il 2035 nei mercati automobilistici maggiori, come aveva preannunciato nei giorni scorsi il Financial Times. L'elenco dei paesi include Canada, Israele e Regno Unito, ma non include diverse nazioni con enormi industrie automobilistiche, tra cui Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania. Ci sono anche lunghi elenchi di città, proprietari di flotte e investitori che hanno aderito. Le case automobilistiche coinvolte includono Mercedes-Benz, Ford e General Motors ma VW, BMW e Toyota non vogliono essere coinvolte. Al contrario, alcuni governi avevano da tempo approvato vari tipi di divieti per il commercio dei veicoli a combustione: il governo britannico sta dettando il passo con il divieto del motore a combustione interna dal 2030. La Norvegia è ancora più severa, perché i veicoli con quel tipo di motorizzazione non potranno più essere venduti dal 2025. La Commissione UE ha proposto il 2035, ma molti paesi vogliono posticipare la data.

Il Transport Day della COP 26, deve essenzialmente dire parole chiare sui veicoli elettrici e sulla dinamica della transizione ai veicoli a emissioni zero per raggiungere gli obiettivi climatici. È anche chiaro che è necessario un impegno per garantire che tutte le vendite di auto nuove siano limitate ai veicoli a emissioni zero e che i paesi dovrebbero mettere in atto politiche per garantire che le aziende proprietarie di flotte si impegnino a dotarsi di flotte a emissioni completamente zero. Queste esigenze sono tutte illustrate nella presentazione ufficiale del Transport Day e, nonostante siano misure innegabilmente necessarie, ciò che manca è l'incoraggiamento per un trasporto veramente green. La transizione elettrica nella mobilità è indispensabile, ma ha i suoi tempi. Al contrario, camminare, treno, bicicletta e altri mezzi simili, le mobilità dolci  e lo sharing delle risorse, sono gli unici modi in grado di ridurre drasticamente le emissioni entro il 2030. I trasporti rappresentano circa il 25% delle emissioni totali di gas serra e, inoltre, sono la principale causa di mortalità nelle città e sulle strade e autostrade. L'inquinamento atmosferico, strettamente legato ai trasporti, provoca ogni anno milioni di morti premature e malattie, come le malattie coronariche o respiratorie ed è il più importante fattore di rischio ambientale per la salute umana. Ciò significa un conto pesante di miliardi di dollari l'anno per la salute individuale e per i sistemi sanitari pubblici. Sfortunatamente, inquinamento atmosferico e cambiamento climatico non sono mai, ipocritamente, indicati come responsabili sui certificati di morte. La cosiddetta tecnologia verde è vista da molti come una panacea alla crisi climatica, inclusa la Presidenza britannica nel caso dei trasporti, ed è al centro di molte politiche pubbliche attuali. Nel caso del trasporto di persone su strada, che in molti paesi avviene principalmente in auto, la grande scommessa è sulle auto elettriche, in linea di principio molto più pulite di quelle convenzionali. Ma una sostituzione uno ad uno dei veicoli con l'auto elettrica non è una soluzione sostenibile. Per rispettare gli obiettivi climatici, è essenziale ridurre le auto in circolazione (reduce) e non solo sostituirle con equivalenti elettrici (improve). Occorre inoltre promuovere il trasporto pubblico (shift), la mobilità condivisa (share), la bicicletta e il buon vecchio camminare. Il trasporto pubblico deve raddoppiare nelle città nel prossimo decennio per raggiungere l'obiettivo di 1,5 °C, secondo l'analisi delle città C40 pubblicata mercoledì. Daniel Firth di C40 Cities ha dichiarato: “Se domani interrompessimo la vendita di veicoli a combustibili fossili, ci vorrebbero 15-20 anni per avere il 100% dei veicoli a emissioni zero. Quindi ci vorrebbe troppo tempo se quella fosse la nostra unica strategia. Considerate invece che possiamo iniziare a costruire piste ciclabili e corsie per autobus domani”.

è importante tener conto che né l'accordo di Parigi, né l'Agenda 2030 dell'ONU del 2015, impegnano i paesi a includere le emissioni del trasporto aereo o marittimo internazionale nei loro contributi nazionali NDC o nei loro progetti di sostenibilità. L'accordo non fa nemmeno menzione diretta delle automobili, lasciando che le loro emissioni siano affrontate dai paesi nei loro piani d'azione individuali. Più di recente, tuttavia, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto di eliminare gradualmente la vendita di motori a combustione interna a livello globale entro il 2040 e ancor prima nei principali paesi produttori. Alcune aziende e governi si stanno già muovendo in quella direzione. Il Canada, ad esempio, ha fissato un obiettivo obbligatorio per tutte le nuove auto leggere e autocarri passeggeri a emissioni zero entro il 2035.

Strada, acqua ed aria sono i settori trasportistici in ordine di difficoltà crescente per la decarbonizzazione. La Dichiarazione sui trasporti ha coronato la giornata per i veicoli stradali.

Per il trasporto marittimo diciotto paesi hanno lanciato la Dichiarazione di Clydebank che mira a stabilire almeno sei corridoi di spedizione green entro il 2025, tra le altre azioni. Ciò richiederà lo sviluppo di forniture di combustibili a emissioni zero, quadri normativi e infrastrutture necessarie per la decarbonizzazione.

L'industria del trasporto aereo globale ha delineato come raggiungere il suo obiettivo climatico a lungo termine durante gli eventi di oggi mediante aerei di nuova tecnologia e carburanti per jet ricavati dai rifiuti. L'impegno è azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050, a sostegno dell'accordo di Parigi. L'aviazione è uno dei pochi settori ad aver assunto un simile impegno globale. L'analisi dettagliata nel rapporto Waypoint 2050 delinea i percorsi per il settore del trasporto aereo per raggiungere lo zero netto. L'industria afferma che un mix di nuove tecnologie,  il potenziale passaggio all'elettricità e all'idrogeno per alcuni servizi più brevi; i miglioramenti nelle operazioni e nelle infrastrutture e una transizione verso il carburante per l'aviazione sostenibile entro la metà del secolo, fornirebbe la maggior parte delle riduzioni di carbonio. In uno degli eventi di oggi si è detto: "Abbiamo identificato gli elementi costitutivi necessari e le la portata della sfida è sostanziale, ma con una politica di sostegno dei governi e il sostegno del settore energetico, si può fare la decarbonizzazione al 2050.  Esortiamo inoltre gli Stati membri dell'ICAO a sostenere l'adozione di un obiettivo climatico a lungo termine alla 41° Assemblea ICAO nel 2022, in linea con impegni del settore".

La bozza del documento finale. Continua ad essere qui il centro dell'attenzione, anche se i negoziati sui punti critici, che abbiamo ripetutamente illustrato, continuano tra mille difficoltà. "La mia grande, grande richiesta a tutti voi è di venire armati della valuta del compromesso", ha perorato il presidente della COP 26 Alok Sharma. “Ciò che concorderemo a Glasgow deciderà il futuro dei nostri figli e nipoti”. Sharma ha anche detto che intende concludere i colloqui venerdì. "Chiedo a tutti noi collettivamente di rimboccarci le maniche e metterci al lavoro", ha aggiunto. Con la prima bozza, presentata questa notte alle 6:00,  la presidenza spera di affrontare le discrepanze negli impegni tra i paesi e chiarire come le dichiarazioni e gli annunci  soddisferanno i requisiti dell'accordo di Parigi del 2015, che si propone di limitare l'aumento della temperatura globale. Il primo ministro britannico Boris Johnson è da oggi tornato a Glasgow e, insieme al presidente Sharma, ha esortare le nazioni partecipanti a dare una spinta finale verso azioni concrete, senza paura di fare compromessi laddove altro non sia possibile. "Abbiamo fatto dei buoni progressi nell'ultima settimana e le parti sono arrivate al tavolo con un atteggiamento propositivo. E abbiamo concordato risultati sostanziali su una serie di questioni, dal genere all'agricoltura. Ma abbiamo ancora molto da fare", ha detto Alok Sharma ai delegati. "Francamente, su alcune questioni vitali, c'è ancora troppa distanza tra di noi. E quindi nei prossimi giorni avremo assolutamente bisogno di vedere un cambio di marcia. Sono sicuro che condividiamo tutti il ​​desiderio di finire venerdì, avendo concordato un risultato ambizioso", ha aggiunto.

La bozza, secondo New Scientist,  va letta nei punti chiave: in primo luogo, il testo invita le Parti ad accelerare l'eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili. Arriva così finalmente un riferimento esplicito ai combustibili fossili. è la prima volta, dicevamo ieri,  che i combustibili fossili sono menzionati in una bozza di testo decisionale sul clima delle Nazioni Unite. Secondo il WRI non ci sarebbe mai stato un testo del genere prima nelle COP, un riferimento specifico all'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili né all'eliminazione graduale del carbone. Se questa linea entrerà nel documento finale, per la prima volta tutti i governi del mondo avranno ammesso che il problema sono i combustibili fossili. Può sembrare assurdo per il comune sentire, ma questo riconoscimento non è mai stato condiviso, in quarant'anni, da tutti i Paesi membri della Convenzione.

Probabilmente la parte più significativa del testo riguarda gli impegni sulle emissioni, riportati nella figura. Molti paesi si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni di gas serra di tanti punti percentuali entro una data futura. Il testo della bozza li invita a rivisitare e rafforzare i loro piani climatici per il 2030 entro la fine del 2022, cioè a fare in 12 mesi quanto non sono riusciti a fare in sei anni dopo Parigi. In precedenza, non si era loro richiesto che presentassero nuovi piani fino al 2025, quindi questi nuovi piani arriverebbero ​​con tre anni interi di anticipo e riguarderebbero le emissioni di questo decennio piuttosto che della metà del secolo e oltre. In sostanza questa parte di testo spinge i paesi a fare piani, entro la fine del prossimo anno, per tagliare le emissioni in questo decennio. Questo è cruciale, perché come abbiamo notato prima, mentre molti paesi si sono impegnati a raggiungere lo zero delle emissioni nette in questo secolo, nella maggior parte dei casi non hanno dato seguito ai piani di riduzione delle emissioni nel breve termine. Naturalmente, il grosso problema qui è che il testo esorta solo i governi a farlo, non li obbliga. Quindi, anche se questo testo sopravviverà ai prossimi giorni di negoziati, non sarà in alcun modo giuridicamente vincolante. Perché il testo abbia raggiunto il suo scopo, dovremo fare affidamento sul fatto che i governi sentano un senso di obbligo, o forse di vergogna. Qualsiasi acquisizione del testo di stanotte potrebbe essere annullata prima che i negoziati si concludano venerdì sera tardi o durante il fine settimana. Proposte ambiziose, come tagliare le emissioni globali del 45% entro il 2030 o accelerare obiettivi climatici aggressivi, sono sul filo del rasoio. Intanto i negoziatori restano bloccati sulle regole che governano il mercato globale del carbonio. I rappresentanti dei paesi in via di sviluppo lamentano che sono stati compiuti pochissimi progressi nel finanziamento dell'adattamento climatico e di perdite e danni. Le delegazioni sembrano rimanere trincerate nelle posizioni pre-COP, muovendosi verso un compromesso a passi da formica, o per niente.

Verso sera un annuncio a sorpresa sembra cambiare le carte in tavola. Cina e Stati Uniti lavoreranno insieme per contrastare i cambiamenti climatici, annuncia questa sera Pechino, con un accordo siglato a margine della  COP 26.  Il contenuto dell'accordo,  importantissimo, è tutto da verificare e si sente dire che i dettagli verranno forniti domani. La Cina e gli Stati Uniti concordano di collaborare su "standard ambientali relativi alla riduzione delle emissioni di gas serra negli anni 2020" e altre "azioni rafforzate per il clima". Include la cooperazione sul metano e un gruppo di lavoro sul miglioramento dell'azione per il clima negli anni '20. Entrambi i paesi intendono comunicare nuovi NDC nel 2025, che dureranno fino al 2035. Ciò potrebbe aiutare i ministri a scegliere tra le due opzioni attualmente dinanzi a loro per dare tempi comuni agli NDC. Entrambi i paesi si sono impegnati a risolvere l'articolo 6 e la trasparenza alla COP 26. Questo annuncio potrebbe essere un regalo tardivo alla Presidenza, proprio mentre cerca di aiutare i paesi a appianare le molte questioni sul tavolo. L'accordo offre agli Stati Uniti più possibilità di impegnare la Cina in una reale responsabilità di una azione climatica corretta e trasparente e potrebbe mitigare l'opinione, che si sta ormai consolidando, che la Cina abbia contribuito poco alla COP 26. Cina in recupero, dunque. Sarebbe stato un grave errore da parte cinese farsi scivolare dalle mani le immense opportunità che si aprono con la green economy ed anche il vantaggio di prime mover che tuttora detiene assieme alla rappresentanza fiduciaria di gran parte dei paesi poveri. Probabilmente i due Presidenti terranno un Summit virtuale nei primi giorni della prossima settimana, su un orizzonte politico che potrebbe andare oltre la questione climatica. L'annuncio arriva a conclusione di una giornata in cui, a partire dal mattino quando è stata diffusa la bozza del testo finale della conferenza sul clima, è stato tutto un susseguirsi di critiche, talvolta pesantissime, al lavoro svolto giudicato debole dagli ecologisti e perfino  incapace di additare i combustibili fossili, carbone gas e petrolio  come la causa principale della crisi climatica.

Negli stessi momenti della serata  viene a conoscenza la decisione di Greta Thunberg e di altre 13 figure simbolo dell'ambientalismo  di bypassare di fatto la COP 26 rivolgendosi con una lettera direttamente al segretario generale dell'ONU Guterres per pregarlo di considerare l'emergenza climatica alla stessa stregua della pandemia, di cui forse è più grave ancora.

TORNA SU

Martedì 9  Novembre 2021. Le donne, protagoniste nelle piazze contro il cambiamento climatico e minoranza entro le mura della COP 26. A notte inoltrata  la presidenza avanza una prima coraggiosa bozza del doccumento finale sotto la spinta di UE e Stati Uniti. Sarà battaglia

Oggi è il giorno dedicato alla questione femminile. Un evento della presidenza è stato dedicato in mattinata all'azione per il clima per la salute e sull'avanzamento dell'uguaglianza di genere. In occasione del Gender Day, la COP 26 si è concentrata sugli impatti climatici sproporzionati subiti da donne e ragazze in tutto il mondo. "Il cambiamento climatico è sessista", ha affermato martedì un funzionario del governo degli Stati Uniti. Secondo l'UNFCC, Oltre il 70% dei poveri del mondo è rappresentato da donne, così come l'80% delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico sono donne e bambini. In Bangladesh, durante le alluvioni, molte donne sono morte per annegamento aspettando i mariti, senza i quali non potevano uscire di casa, invece di mettersi in salvo. E l’Europa? Durante l’ondata di caldo del 2003, solo il 25% dei deceduti era di sesso maschile. Non va meglio negli Stati Uniti. Durante l’uragano Kathrina nel 2005, più di metà dei nuclei familiari poveri era costituito da madri single, dipendenti dalle reti sociali e di solidarietà, ma le donne e le ragazze stanno guidando oggi gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico nelle comunità di tutto il mondo, ha affermato il presidente  Sharma mentre delineava gli impegni per un finanziamento climatico sensibile al genere. Qui alla  COP 26 le donne nelle delegazioni sono aumentate, passando dal 12% in media delle prime edizioni al 38% di oggi. Yemen, Turkemnistan, Corea del Nord e Vaticano hanno compagini completamente maschili. Ma anche il Giappone non brilla: tra 225 delegati, solo 45 sono donne. Maglia rosa, invece, a Moldavia (89%), Samoa (79%) e Messico (78%), che registrano la più alta presenza femminile. Nel complesso, però, la questione di genere non sembra aver molo scaldato gli animi all'interno del Campus. Gli omaggi sono stati alquanto rituali.

Nelle sale di negoziazione è proseguito il lavoro sulla decisione finale del vertice il cui stato è al momento quanto mai deludente e contrastato. La presidenza britannica ha dichiarato che pubblicherà una prima bozza della decisione finale del vertice durante la notte (vedi più avanti). Finora sono stati presentati nuovi testi su tempistiche, trasparenza, finanza e adattamento. "Abbiamo ancora una montagna da scalare", ha avvertito Sharma. Il testo finale specificherà come i paesi hanno promesso di rivedere i loro piani climatici per il 2030. I contenuti saranno cruciali per mettere il mondo sulla strada per gli obiettivi di Parigi. Il testo principale deve essere forte, perché gli annunci fatti al vertice non hanno risolto il problema.

Le nuove previsioni rilasciate martedì suggeriscono che il mondo è ancora lontano dall'obiettivo di Parigi. Il Climate Action Tracker ha rimesso tutto in discussione, affermando che le attuali politiche climatiche ci mettono sulla strada per un spaventoso riscaldamento di 2,7 °C, o 2,4 °C se tutti i governi raggiungessero i loro obiettivi per il 2030. Abbiamo dato numeri migliori nei giorni scorsi:  Il WRI, ad esempio, era stato il più ottimista calcolando che il rispetto degli annunci fatti a Glasgow ci porterebbe a fine secolo a +1,7 °C, addirittura vicini all'obiettivo massimo di Parigi. Sarà bene che alla fine tutti si chiariscano le idee sui vari scenari. Per capire quali paesi stanno facendo di più e di meno, viene in aiuto l'ultima edizione del Climate Change Performance Index che copre 61 paesi che rappresentano il 92% delle emissioni globali. Non un paese sta facendo abbastanza su tutta la linea. I primi classificati sono Danimarca, Svezia e Norvegia. Anche la Cina è tra i primi 10, dopo aver scalato la classifica interrompendo l'aumento delle emissioni e ampliando e fissando obiettivi ambiziosi sulle rinnovabili. Nel frattempo, i ritardatari climatici includono gli Stati Uniti al 55° posto, l'Australia al 58° e il Canada a 61°. Prima dell'inizio della COP 26, eravamo in rotta per 2,7 °C, quindi le promesse finora abbatterebbero di 0,3°C il riscaldamento totale secondo il CAT. Mentre i leader mondiali e i diplomatici negoziano sul clima nuovi dati mostrano che le emissioni globali di CO2 aumenteranno drasticamente quest'anno, probabilmente superando il massimo storico raggiunto prima della pandemia da Covid-19.  Nuovi dati, pubblicati mercoledì scorso sulla rivista Earth System Science Data, evidenziano i fattori chiave che stanno guidando le emissioni globali, incluso il rilancio dell'uso del carbone da parte di Cina e India.

Ancora una volta, anche oggi, le dispute finanziarie hanno occupato gran parte della giornata. Il tempo dedicato a questi temi è il risultato sia della complessità del lavoro, sia delle profonde divisioni tra le posizioni dei paesi sviluppati e di quelle in via di sviluppo. C'era la volontà di impegnarsi su alcune questioni relative alla definizione del nuovo obiettivo di finanziamento collettivo quantificato per il clima. Lo scopo di queste discussioni è stabilire un processo per stabilire l'obiettivo, non assegnare l'obiettivo stesso. C'era più impegno su come portare avanti questo processo, forse attraverso un gruppo di lavoro ad hoc, o un comitato, o una serie di workshop per aiutare i paesi a sviscerare il problema. L'altra arena bollente sono le discussioni sull'adattamento che si sono concentrate sull'obiettivo globale. L'obiettivo globale dell'adattamento, sancito dall'Accordo di Parigi, è una priorità per i paesi in via di sviluppo, che sono più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. A differenza degli obiettivi di temperatura, l'adattamento è più sensibile al contesto, localizzato e, in qualche modo, qualitativo. I colloqui negoziali mirano a istituire un processo che possa chiarire come rendere operativo questo obiettivo e portare verso la  parità tra adattamento e mitigazione nel processo climatico delle Nazioni Unite.

In questa seconda settimana, i negoziati sono sempre sul filo del rasoio: a Madrid i paesi sono stati  molto vicini all'accordo sull'articolo 6 per il mercato del carbonio e sul timing degli NDC, ma sono usciti a mani vuote. Ora Glasgow non può più fallire e deve completare il Paris Rulebook. Sembra che alcuni elementi si stiano combinando in senso favorevole. I ministri ora hanno due opzioni per i tempi comuni per gli NDC, finora erano addirittura nove. Le discussioni tecniche sull'articolo 6 sono state completate e le parti stanno ora condividendo le preoccupazioni sulle questioni cruciali con i ministri facilitatori di Singapore e Norvegia. Può essere  delicato il passaggio dal livello tecnico a quello politico, soprattutto se non tutte le questioni vengono affrontate insieme. Le decisioni spesso arrivano invece ai ministri in pacchetti  rendendo loro difficile andare ad una conclusione. L'equilibrio si può rompere su problemi come la governance del meccanismo internazionale di Varsavia su perdite e danni per i quali sono richieste risorse aggiuntive. Sembra che le posizioni siano più radicate che mai, nonostante il rientro degli Stati Uniti nell'Accordo di Parigi. La posta in gioco è quale organo della Convenzione debba assumersi le responsabilità, se l'organo di governo dell'Accordo di Parigi CMP da solo, o insieme a quello della Convenzione. E, naturalmente, la pandemia incombe. Dopo che diversi negoziatori, incluso il coordinatore finanziario del G-77/Cina, sono risultati positivi al Covid-19, altri hanno dovuto autoisolarsi. Molti di loro sono i negoziatori chiave per l'esito dei colloqui.

Questa sera il Presidente francese Macron ha trovato il modo (ed il tempo giusto) per annunciare che la Francia costruirà nuovi reattori nucleari. Certo, ognuno vende la propria mercanzia, lui il nucleare, Putin il gas, Bolsonaro l'Amazzonia, tutti insieme la Terra. Il governo del Regno Unito ha impegnato 210 milioni di sterline per nuovi impianti nucleari. Questi sarebbero piccoli reattori modulari Rolls Royce da 470 MW, SMR, ciascuno in grado di alimentare 1 milione di case (o un sottomarino?). Gli SMR sono pensati per essere prodotti in serie e quindi più economici. Il governo metterà dei soldi in anticipo, in cambio di prezzi più bassi dell'elettricità in seguito, per far risparmiare denaro alle imprese. L'unico paese che  sta riponendo vera fiducia nel nucleare sembra essere la Cina. La scorsa settimana Bloomberg ha riferito che la Cina sta per costruire almeno 150 nuovi reattori nei prossimi 15 anni, più di quanto il resto del mondo abbia costruito negli ultimi 35 anni. Ciò costerà fino a 440 miliardi di dollari e la Cina supererà gli Stati Uniti. Faranno festa i generali. I quattro paesi citati sviluppano il nucleare da sempre per ragioni militari, come del resto Russia, Israele, Pakistan e India, magari anche l'Iran. Cosi ad un dramma, il clima, se ne aggiunge un altro, con la buona scusa di salvare il mondo dal primo. Grande idea! Un articolo del New York Times si concentra sulle richieste di alcuni leader africani per una transizione più lenta alle energie rinnovabili per i loro paesi, osservando che non ci si può aspettare che rifaranno i loro sistemi così rapidamente come le nazioni ricche. il governo australiano creerà un nuovo fondo da 1 miliardo di dollari per aiutare a commercializzare la tecnologia a basse emissioni, compresa la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e il carbonio nel suolo. Facile il commento che il debole piano australiano per il cambiamento climatico è guidato da preoccupazioni di politica interna, dove Scott Morrison è stato oggetto di pesanti critiche per proposte che sembrano voler mantenere tranquille le aziende di combustibili fossili e del carbone in particolare.

Oggi è stato anche il giorno dedicato alla scienza e all'innovazione. Scienza climatica e genere si incontrano per la verità poco, ma ci sono alcuni grandi esempi come Corinne Le Quéré (in figura). è una scienziata del clima presso l'Università dell'East Anglia, e studia il ciclo del carbonio e come l'oceano sta rispondendo al riscaldamento globale. È membro dell'IPCC e del  Global Carbon Project, un consorzio di scienziati che tiene traccia delle emissioni di carbonio in tutto il mondo e pubblica regolarmente il carbon budget della Terra. Nature dedica oggi un articolo che dà spazio alle opinioni degli scienziati sulla COP 26.

Durante tutta la pandemia, la scienza è stata centrale e il grande pubblico si è confrontato con quella che è la realtà della scienza, le sue certezze e i suoi limiti. Al pari la scienza del clima è una parte fondamentale degli sforzi globali per comprendere e affrontare il cambiamento climatico. Le azioni politiche ed economiche richiedono una adeguata comprensione dei problemi e delle loro complesse interazioni e per tutto questo la scienza ha dato contributi essenzialie più ancora ne darà in futuro. La Giornata della scienza e dell'innovazione alla COP 26 ha cercato di mostrare i molti modi in cui tutti i tipi di scienza contribuiscono ad affrontare la crisi climatica. Un evento in risposta al recente assessment report dell'IPCC sulla scienza fisica ha mostrato come la scienza può aiutare a guarire il pianeta, non solo a diagnosticare i suoi problemi. La conoscenza della realtà sociali indigene è stata al centro della conversazione, poiché la nepalese Pasang Dolma Sherpa ha attirato l'attenzione sul fatto che le popolazioni indigene proteggono l'80% della biodiversità, sebbene rappresentino solo il 6% della popolazione mondiale. Ha detto che i sistemi indigeni della conoscenza devono essere considerati alla pari con altre forme di conoscenza scientifica. Il presidente della COP 26 Sharma ha chiuso il panel, dicendo: “Il futuro non è ancora scritto; possiamo ancora lavorare per mantenere in vita gli 1,5 °C. Ora dobbiamo tradurre gli sforzi degli accademici in un risultato ambizioso e in un decennio di azione, lasciando che la scienza faccia da apripista". La Giornata della scienza e dell'innovazione ha visto anche il lancio dell'Alleanza per la ricerca sull'adattamento, che riunisce 90 organizzazioni di 30 paesi per aumentare la resilienza delle comunità vulnerabili in prima linea nel cambiamento climatico.

Alle 6 della notte è apparsa la prima bozza del testo della decisione finale di copertura. È una lista dei desideri che incorpora le richieste di una dichiarazione della High Ambition Coalition, approvata dalle nazioni vulnerabili, dagli Stati Uniti e dall'UE. Più che scontata una feroce opposizione dai soliti noti  che la vedono come una minaccia ai loro interessi nazionali. La bozza di sette pagine fissa l'obiettivo di 1,5°C come obiettivo di temperatura critica ai sensi dell'accordo di Parigi. La lettera "f" contrassegna i testi che sarebbero introdotti per la prima volta, se adottati. Nella bozza si invitano le parti ad accelerare l'eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili.  Nemmeno l'Accordo di Parigi citava i combustibili fossili. La bozza riconosce che mantenere l'aumento della temperatura a 1,5 °C in questo secolo richiede una riduzione delle emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e a zero netto intorno alla metà del secolo. Esorta i paesi che non hanno ancora presentato contributi nazionali nuovi o aggiornati al raggiungimento dell'obiettivo, a farlo il prima possibile prima della Cop 27 del novembre 2022. Ricorda loro che possono aumentare l'ambizione dei loro piani in qualsiasi momento e li esorta a farlo se necessario per allinearsi all'obiettivo di Parigi ed entro la fine del 2022. Per le vittime dei disastri climatici, il testo esorta i paesi, le organizzazioni internazionali e il settore privato a fornire un supporto rafforzato e aggiuntivo per le attività che affrontano perdite e danni. La bozza di decisione della COP rileva con rammarico che i paesi sviluppati non hanno raggiunto l'obiettivo di 100 miliardi di dollari/anno di finanziamenti per il clima e chiede un aumento delle disposizioni, incluso almeno un raddoppio dei finanziamenti per l'adattamento. Su come impostare un obiettivo finanziario a lungo termine oltre il 2025, c'è solo un segnaposto. Ciò potrebbe suscitare controversie: i paesi in via di sviluppo non vorranno lasciare Glasgow senza un risultato chiaro. Sulla bozza gli africani hanno già detto che da un lato della bilancia, fa avanzare un processo dettagliato per accelerare gli obiettivi di mitigazione del clima, ma, dall'altro, su finanza, perdite e danni, è confuso e vago. Il testo riflette alcuni degli impegni assunti dai leader all'inizio della conferenza. Include un riferimento per ridurre le emissioni non  CO2, come il metano, e riconosce l'importanza della protezione e del ripristino delle foreste. Ci sono anche nuove versioni del testo negoziale sull'articolo 6 e sulle regole del commercio di carbonio. È probabile che gli elementi sull'obiettivo di 1,5 °C, la fissazione di una data per tornare con nuovi piani prima del 2025 e il linguaggio sull'eliminazione graduale del carbone vengano accolti con un forte ostilità. Le principali economie emergenti hanno messo in guardia contro l'inclusione di elementi che secondo loro riaprirebbero i negoziati sul trattato di Parigi e che non dispongono di alcun mandato per discuterne all'interno del processo dei cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Possiamo spostare l'attenzione sull'attuazione, se smettiamo di rinegoziare gli elementi dell'accordo di Parigi, aveva detto lunedì in plenaria un diplomatico indiano per conto del gruppo Basic che comprende Brasile, Sudafrica, India e Cina. La strada per un accordo è impervia stanotte.
 

TORNA SU

Lunedì 8  Novembre 2021. Dopo il discutibile stocktaking del presidente Sharma, adattamento e loss and damage danno inizio ad una settimana difficile

La domenica è servita per i commenti sulla prima settimana della COP 26. Sulla stampa internazionale è un diluvio. Più discreta la stampa italiana, forte del suo ormai atavico disinteresse. Impossibile riferire di questa moltitudine di opinioni e di pareri. Se un commento ci è permesso, a valle di un numero estenuante di letture di giornali e di blog, la nostra impressione è che ci sia una più grande attenzione nel mondo e che si manifestino delle linee di leggero ottimismo da una parte, ma che da un'altra, non piccola, si stia preparando una trappola: dichiarare il fallimento della COP 26 e spingere sulla frustrazione per riaccreditare gas, nucleare innovativo (inesistente), CCS, ostilità alle rinnovabili (intermittenti, si sà), offsetting e quant'altro, come compagni ineluttabili di un presunto progresso e quindi anche di ogni possibile transizione ecologica. Salvare il pianeta vabbè, ma intanto occorre progredire più o meno come sempre e poi, a metà secolo (circa) ne parleremo. Poi se Cina, India, Russia e compagnia non ne vogliono sapere non saremo noi a lasciare i mercati nelle loro mani. Vedete bene che solo parlare di decarbonizzazione fa andare alle stelle i prezzi dell'energia! Altro che fare da soli, come dice Ronchi. Quindi è un eversore chi, come Greta, invita a fare in fretta. Sono voci di casa nostra. Se, per fare un esempio, si legge il Corriere della sera di oggi, è tutto un fiorire di un educato negazionismo e di scetticismo ed ironia sugli impegni ecologici e finanziari annunciati a Glasgow. Intanto oggi il Washington Post ha denunciato che ci sono frodi generalizzate nel conteggio delle emissioni di molti paesi che equivarrebbero, dai calcoli del giornale, a qualcosa come da 8 a 13 GtCO2eq ogni anno, compromettendo gravemente i trend di mitigazione da Parigi ad oggi.

è venuto oggi a Glasgow il Presidente Obama, padre dell'Accordo di Parigi. Sono stati compiuti progressi significativi dall'Accordo di Parigi del 2015 ma, dice intervenendo nel pomeriggio, non abbiamo fatto abbastanza. Non siamo affatto vicini a dove dovremmo essere. Obama ha cercato di tagliare il nodo gordiano della trattativa con un discorso di grande visione, implorando i negoziatori sia di esplicitare i risultati raggiunti finora, sia di spingere per ottenere di più. Nel suo discorso rivolto tanto alle persone che osservano ed ascoltano dall'esterno della conferenza, quanto agli stessi negoziatori, Obama ha affermato che risolvere la crisi climatica sarà un lavoro lungo. Non ha mancato di aggiungere che è stato particolarmente scoraggiante vedere i leader di due dei più grandi emettitori del mondo, Cina e Russia, rifiutarsi di partecipare ai lavori. I loro piani nazionali sembrano riflettere una pericolosa mancanza di urgenza e la volontà di mantenere lo status quo, ed è un peccato. Obama ha lanciato critiche ai politici repubblicani statunitensi, affermando che sia lui che Joe Biden erano stati vincolati in gran parte dal fatto che uno dei loro due maggiori partiti ha deciso non solo di sedersi in disparte, ma di esprimere un'attiva ostilità verso la scienza del clima e fare del cambiamento climatico una questione di parte. Sono stati quattro anni di ostilità attiva dell'ex presidente Donald Trump nei confronti della scienza del clima. Altrove, secondo il Guardian, in una riunione privata dei ministri della High Ambition Coalition (HAC), Obama ha detto che ciò che l'HAC sta cercando di realizzare  è vitale... Vi siete riuniti ancora una volta per parlare non solo della necessità di arrivare a 1,5 °C, ma anche di fornire i fondi di adattamento necessari per coloro che potrebbero finire per pagare il prezzo più alto per azioni che loro stessi non hanno intrapreso. Secondo il giornale, questo ha dato sostegno ai paesi in via di sviluppo che spingono per il rispetto dell'Accordo di Parigi e per gli 1,5 °C per i quali Obama ha espresso profonda preoccupazione per i divari tra gli impegni attuali e l'azione necessaria.

Da Glasgow cosa ci si può aspettare? Il risultato più importante della COP 26, come di ogni vertice delle Nazioni Unite, è un testo che tutti i paesi coinvolti sono disposti sottoscrivere. Questo testo esporrà ciò che i paesi avranno promesso di fare. È in effetti un nuovo trattato internazionale. I negoziatori ci hanno lavorato la scorsa settimana, in capo alla quale il risultato appare un coacervo di bozze di documenti, domande, risposte, bozze, battute, cavilli, cavilli sui cavilli, cavilli metatestuali sulla natura del cavillo come concetto e molto altro ancora, tutti disponibili sul sito web della COP 26 alla pagina "documenti". Una babele nella quale l'uso di una parola sgradita tra milioni può portare a intense discussioni che durano giorni. La difficoltà di fondo è che alla fine ogni paese deve essere d'accordo, altrimenti non ci sarà nessun accordo. Quindi i paesi che sono alla disperata ricerca delle modalità per apportare quei  tagli urgenti alle emissioni che hanno promesso, devono sottoscrivere lo stesso testo dei paesi le cui economie attualmente dipendono dalle esportazioni di petrolio, gas o carbone. Facile il gioco, così, no? è il drammatico limite dell'intera istituzione delle Nazioni Unite. Per questo la COP 26 ha i limiti che abbiamo richiamato ripetutamente: si farà quello che sarà possibile, ma i conti si devono fare sulla mobilitazione dell'intero corpo della società civile mondiale. Tutti gli entusiasmanti annunci della scorsa settimana, come l'India che promette di raggiungere l'azzeramento delle emissioni nette entro il 2070, sono di fatto esterni ai negoziati formali. Il vero test della COP 26 è quanto sia forte il testo finale e se sarà forte. Quali promesse conterrà? Con quale fermezza verranno applicate? E cosa aggiungerà in termini di emissioni di gas serra e aiuti ai paesi vulnerabili ai cambiamenti climatici? In proposito Laurence Tubiana, una delle principali artefici dell'Accordo di Parigi ha avvisato, in una conferenza stampa,  che secondo lei è il greenwashing  la nuova anima nera del movimento mondiale contro il cambiamento  climatico. Parlare per non fare, ora che gli inquinatori sembrano un po' alle corde.

La situazione attuale è decisamente incerta. Per arginare i tentativi di aggirare gli impegni presi, sta uscendo forte la proposta di  fare in modo che i paesi rivedano e, se necessario, aggiornino i loro impegni di riduzione delle emissioni (gli NDC) ogni anno, anziché ogni cinque anni, secondo l'attuale programma. Oggi, il presidente della COP 26 Alok Sharma ha affermato che trovare il consenso non sarà semplice. Sharma aveva programmato di tenere un incontro di inventario sabato, per capire dove fossero arrivati ​​i colloqui, ma è poi stato rimandato a oggi. Ora vuole che una bozza del testo principale sia disponibile domani, che i testi siano più o meno finiti entro mercoledì e che le questioni finali vengano risolte giovedì. Ci sono preoccupazioni per i documenti prodotti finora. Uno di questi documenti, emesso domenica mattina dalla Presidenza come traccia per il documento finale e chiamato al solito nonpaper, è un elenco di termini che dovrebbero essere inclusi nel testo principale. È particolarmente grave  che non menziona l'eliminazione graduale dei combustibili fossili. Ciò potrebbe significare che il testo della presidenza inglese è attualmente del tutto insufficiente, tanto che la stessa Patricia Espinosa, segretaria esecutiva della Convenzione sui cambiamenti climatici, ha affermato che non riflette né lo stato né le prospettive del negoziato. Il governo del Regno Unito sta ricevendo aspre critiche per questa bozza, da alcuni definita  nonsensical, che non fa alcuna menzione delle parole energia, fossile, carburante  o rinnovabile. C'è anche il consueto sforzo per interferire nei negoziati degli interessi costituiti, in particolare dell'industria dei combustibili fossili e dei paesi produttori, sauditi in testa. Un'analisi condotta dalla NGO Global Witness ha rilevato che l'industria dei combustibili fossili ha inviato 503 delegati alla conferenza, più che da ogni singolo paese e più dello stesso paese organizzatore. Greenpeace ha affermato che la delegazione saudita sta cercando di bloccare diversi passaggi chiave. La frustrazione è in agguato, è bene saperlo e prevederlo. Lo stesso Obama ha incoraggiato le persone a trattenere la propria rabbia e ad usarla per continuare a combattere. "Ve lo garantisco, ogni vittoria sarà incompleta", ha detto. “A volte saremo costretti ad accontentarci di compromessi imperfetti perché anche se non contengono tutto ciò che vogliamo, almeno portano avanti la causa. Ma se lavoriamo abbastanza duramente per abbastanza tempo, quelle vittorie parziali si sommeranno. Se spingiamo abbastanza forte, rimaniamo abbastanza concentrati e siamo intelligenti al riguardo, quelle vittorie accelereranno e creeranno slancio”.

Oggi i due temi in calendario, adattamento e loss and damage sono quelli che, come il mercato del carbonio, appaiono i più lontani da un accordo alla COP 26. Adattamento significa aiutare i paesi e le persone che sono direttamente colpite dai cambiamenti climatici, ad esempio coloro che vivono sulle coste devastate dalle tempeste, ma non solo loro,  a trovare modi per sopravvivere e prosperare. è impossibili che i paesi a basso reddito, che sono spesso in prima linea in questi impatti, ce la possano fare da soli. Un loro rappresentante dice: "Sono stati presi molti impegni. È stato molto stimolante... ma una volta che ti siedi nella stanza dei negoziati, i problemi politici sono ancora sempre gli stessi". Apparentemente i paesi ad alto reddito stanno spingendo per una versione del testo finale sui finanziamenti a lungo termine come se si stesse iniziando da zero, il che implicitamente significa che non menzionerebbe le promesse esistenti per i 100 miliardi di dollari. La perdita e il danno sono una contraddizione correlata all'adattamento. Si riferisce a danni climatici a cui non ci si può adattare perché sono gravi oltre ogni ragionevole precauzione, quindi l'unica soluzione è risarcire le persone colpite. Perdite e danni sono stati storicamente visti come un problema dirimente, secondo la dichiarazione dello stesso Sharma, ma è dubbio che questo si tradurrà in azioni concrete per compensare le persone danneggiate dai cambiamenti climatici. Nel Campus si dice sottovoce che gli Stati Uniti hanno fatto tutto il possibile per bloccare la discussione sul finanziamento di perdite e danni. A conti fatti finora non è stato raggiunto un accordo accettabile né sui finanziamenti a lungo termine per il clima, nè sull'adattamento, né su perdite e danni. Gli impegni su danni e perdite su cui si sta discutendo sono: agire con urgenza, necessità di fondi aggiuntivi, rendere operativo il Santiago Network, una rete per mettere in contatto i paesi in via di sviluppo con aziende e operatori che possano fornire aiuto nell'affrontare la crisi climatica. Troppo poco e troppo tardi.

Il Times riporta oggi che i paesi sviluppati, incluso il Regno Unito, devono affrontare un'azione legale di centinaia di miliardi di sterline per risarcire le nazioni più povere per i danni causati dalle tempeste e dall'innalzamento dei mari causati dai danni climatici. Una coalizione di nazioni insulari, guidata da Antigua e Barbuda e Tuvalu, si sta preparando ad avviare un caso presso la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia… Molwyn Joseph, ministro dell'ambiente di Antigua e Barbuda, che rappresenta l'Alleanza SIDS delle Small Island States alla COP 26, ha affermato che le sue isole hanno affrontato i peggiori uragani e hanno diritto al risarcimento, non ad una specie di  carità aleatoria. Per l'adattamento e per le perdite e i danni, secondo alcuni, il tempo sta per scadere ed è già scaduto per molti altri. Mentre le persone in prima linea nel cambiamento climatico stavano raccontando le loro storie, dalla perdita delle loro case all'innalzamento del livello del mare fino alle perdite di mezzi di sussistenza che una siccità persistente può portare, un gruppo di delegati dei paesi in via di sviluppo esprimeva la forte preoccupazione che l'adattamento e le perdite e i danni possano essere declassati nel pacchetto finale di Glasgow. Benché i due temi, a differenza dei temi della decarbonizzazione, abbiano avuto un posto di rilievo nel nonpaper programmatico della Presidenza, questi delegati avrebbero preferito una definizione sostanziale dei due punti nel testo,  piuttosto che quella debole dichiarazione politica.

Oggi, nel primo dialogo ministeriale ad alto livello sulla finanza climatica, il presidente della COP 26 Sharma ha sottolineato che la finanza è un pilastro essenziale dell'accordo di Parigi e ha riconosciuto la necessità di mobilitare migliaia di miliardi, insieme al settore privato, per soddisfare le esigenze di adattamento dei paesi in via di sviluppo e compiere progressi verso l'accordo su un obiettivo finanziario post 2025. Sul miglioramento della prevedibilità dei finanziamenti per il clima, i relatori hanno evidenziato: la necessità di informazioni dettagliate che disaggregano i finanziamenti per l'adattamento; chiarezza sulle tipologie di strumenti, con preferenza per le sovvenzioni rispetto ai prestiti; processi semplificati e tempi di erogazione più brevi per facilitare l'accesso; coinvolgimento delle comunità locali e metodologie chiare per monitorare i progressi, anche attraverso una definizione concordata di finanziamenti per il clima. Sulla finanza per l'adattamento, i relatori hanno discusso, tra gli altri, il rischio di catastrofi e le assicurazioni del raccolto per l'adattamento nel settore agricolo; le riforme normative per i paesi in via di sviluppo per migliorare la mobilitazione delle risorse interne; l'integrazione dell'assessment della resilienza in tutti i settori e l'urgenza porre fine ai sussidi ai combustibili fossili, che non solo favoriscono il cambiamento climatico, ma costituiscono anche una distorsione del mercato che disincentiva lo sviluppo a basse emissioni di carbonio. Sulle tendenze future, i relatori hanno dichiarato che la finanza deve fluire da tutte le fonti, pubbliche e private, nazionali e multilaterali, con l'intero sistema finanziario e una combinazione di diversi strumenti necessari per fornire finanziamenti su larga scala. è stata richiamata l'attenzione sul fatto che i numeri sono importanti, affermando che i paesi vulnerabili hanno accumulato debiti per ricostruire dopo i disastri legati al clima, mentre i paesi sviluppati hanno potuto spendere trilioni per il loro quantitative easing. In tutti i panel del negoziato è stata condivisa la necessità di colmare il divario aumentando i finanziamenti per l'adattamento e riducendo le barriere all'accesso; il ruolo della finanza pubblica nel moderare i rischi degli investimenti e nella mobilitazione dei finanziamenti del settore privato e passare da approcci basati su progetti a approcci programmatici per supportare le trasformazioni settoriali. Anche per l'adattamento è il tempo dei pledges: oggi i paesi hanno annunciato stanziamenti di 232 milioni di dollari per il Fondo per l'adattamento , più del doppio della precedente cifra annuale più alta. Di questi, 20 milioni di dollari provengono dal Regno Unito, con altri contributi forniti da Stati Uniti, Canada, Svezia, Qatar e Germania, tra gli altri. Il Regno Unito ha annunciato  390 milioni di dollari in finanziamenti per l'adattamento dal suo budget per gli aiuti esteri.  Non c'è invece alcun finanziamento separato stanziato per perdite e danni. Il primo ministro delle Barbados Mia Mottley ha definito la mancanza di supporto come immorale. Chiedere a chi è in prima linea del cambiamento climatico di pagare i danni è come chiedere ai passeggeri di un incidente d'auto di pagare, piuttosto che all'autista, ha detto al summit. Un testo di perdite e danni pubblicato nel fine settimana è stato rimandato per essere riscritto. Gli altri eventi della giornata hanno incluso:

  • Eventi della presidenza sull'azione di adattamento e sull'approfondimento di perdite e danni;

  • Dialogo tra i contributori del Fondo di adattamento e riflessioni dei destinatari dei fondi e degli stakeholder;

  • Eventi di azione globale per il clima che analizzano cosa significa resilienza nella pratica;

  • Eventi dell'hub per lo sviluppo della capacitazione dei paesi svantaggiati dell'UNFCCC.

Oggi il negoziato si è faticosamente avviato sul nuovo obiettivo collettivo di finanziamento del clima post-2025. I paesi sviluppati vedono la questione come in gran parte procedurale, cioè il negoziato non dovrebbe prefigurare il risultato. I paesi in via di sviluppo, d'altra parte, hanno iniziato a mettere i numeri sul tavolo. Le nazioni africane e un gruppo di 24 Like minded, gruppo negoziale che include Cina e India, chiedono la mobilitazione di almeno 1.300 miliardi di dollari ogni anno per il resto del decennio. Almeno la metà del denaro dovrebbe essere destinata all'adattamento e almeno 100 miliardi  dovrebbero essere erogati in sovvenzioni. Il capo negoziatore per la Guinea, che ha parlato a nome di un gruppo di 77 paesi in via di sviluppo e della Cina, ha detto alla plenaria che finanziamenti adeguati e affidabili sono una precondizione affinché le nazioni vulnerabili rafforzino i loro piani climatici. I paesi in via di sviluppo vogliono una tabella di marcia chiara per negoziare l'obiettivo finanziario post 2025 e un elenco di argomenti che verranno discussi. Un processo che si concentri su workshop senza obiettivi chiari o discussioni vaghe fino al 2024 non è accettabile secondo loro. Il paradosso è che  questi argomenti sono imbarazzanti per le grandi economie emergenti, tra cui Cina e India: a chi dovrebbe essere chiesto di fornire finanziamenti su larga scala? Un diplomatico indiano ha affermato che le domande sollevate su chi sarebbero i fornitori di risorse sono motivo di preoccupazione. L'India sostiene che   la responsabilità dei paesi sviluppati non è certo diminuita, non avendo ancora rispettato l'impegno di mobilitare $ 100 miliardi all'anno a partire dal 2020. Le controversie procedurali e le interpretazioni legali dell'accordo di Parigi potrebbero mettere la Cina in difficoltà per dover  fornire finanziamenti. Altre economie emergenti più ricche, che stanno già fornendo aiuti ai più vulnerabili, come la Corea del Sud e il Messico, desiderano che i loro contributi vengano conteggiati. Ma la Cina vuole che il suo aiuto rimanga volontario.

TORNA SU

Sabato 6  Novembre 2021. Land use and forestation. Mille interrogativi nel giorno dedicato ai sistemi naturali

La strada e il negoziato oggi hanno preso due direzioni diverse. In strada decine di migliaia di manifestanti, se ne valutano a fine giornata 250.000, chiedono giustizia per il clima. Oggi come venerdì, le attenzioni dei media, sono tutte per loro. Decine di filmati circolano sul web. Piove. Perfino la televisione italiana ha servizi su tutti i canali, più attenti all'indiscutibile glamour delle manifestazioni giovanili che alla diffusione di una informazione corretta, grande assente finora.

Al chiuso del Campus oggi ci si dedica alla natura e alle modalità naturali per contenere e mitigare le emissioni di CO2. Arriva la notizia che il Congresso degli Stati Uniti ha dato il via libera al piano di infrastrutture del Presidente Biden da 1,2 triliardi di dollari, dai quali derivano gli ingenti fondi per il clima e per l'ambiente, 550 miliardi, annunciati da Biden nella sessione di apertura. Negli eventi al di fuori dei negoziati intergovernativi, il tema della giornata era la natura, sia il mare che il verde degli alberi. Una tavola rotonda su Blue Finance ha riunito i governi, il settore privato e la società civile per discutere di soluzioni pronte per gli investimenti basate sulla natura. Un evento sulla natura e l'uso del suolo ha riunito scienziati, popolazioni indigene e governi per esplorare come lavorare con la natura che può aiutare a raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Un evento della presidenza ha discusso della roadmap del commercio di prodotti agricoli e forestali (FACT, Forest, Agriculture and Commodity Trade), un nuovo piano di collaborazione per sfruttare il commercio sostenibile di prodotti agricoli per affrontare la deforestazione. Il suo lavoro include il sostegno ai piccoli proprietari e il miglioramento della tracciabilità e della trasparenza nelle catene dei prodotti. Ci sono poi stati:

  • Un invito all'azione per gli oceani: verso la salute e la resilienza degli oceani;

  • L'Agenda d'azione globale Climate Shot per l'innovazione in agricoltura;

  • Eventi di azione globale per il clima sull'uso del suolo e sul monitoraggio di azioni credibili per il clima.

Comincia in mattinata il Presidente Johnson ad esortare i leader mondiali a impegnarsi a intraprendere azioni radicali per invertire il catastrofico degrado delle foreste mondiali. Non esiste una risposta credibile alla crisi climatica che non implichi la protezione e il ripristino della natura su vasta scala. A livello globale, soluzioni basate sulla natura come foreste, mangrovie e torbiere potrebbero fornire circa un terzo delle soluzioni più efficaci ed economiche alla crisi climatica, oltre ad aiutare le comunità ad adattarsi agli ormai inevitabili cambiamenti. Attualmente attirano solo il 3% del totale dei finanziamenti globali per il clima. Perdiamo circa 30 campi da calcio di foresta ogni minuto, distruggendo complessi sistemi naturali che sostengono centinaia di milioni di persone e di specie viventi.

Il Regno Unito, dice  Lord Goldsmith (International Minister for  the Environment, in figura), ha creato una coalizione di paesi impegnati a porre fine alla deforestazione entro la fine di questo decennio. Più di 100 paesi hanno firmato la dichiarazione  sulle foreste e l'uso del suolo, che rappresentano l'85% delle foreste del mondo. Abbiamo mobilitato, dice,  impegni finanziari senza precedenti: 19,2 miliardi di dollari, 12 dei quali  dai governi, e almeno  7,2 miliardi di investimenti privati ​​e da filantropi. Abbiamo sollecitato le grandi banche multilaterali di sviluppo, inclusa la Banca Mondiale, a impegnarsi non solo ad allineare le loro politiche con gli obiettivi di Parigi, ma a riconciliare i loro interi portafogli con la natura. Attualmente, gli incentivi a favore della distruzione delle foreste superano gli incentivi per proteggerle di 40 a 1. Ci siamo assicurati un impegno pubblico da parte dei maggiori acquirenti di materie prime del mondo a smettere di acquistare prodotti coltivati ​​su terreni deforestati. E poiché la produzione di materie prime è responsabile della stragrande maggioranza della deforestazione, abbiamo riunito 28 paesi chiave, produttori e consumatori, che rappresentano i tre quarti del commercio mondiale di prodotti come olio di palma, soia, cacao, carne bovina e legname per impegnarsi a rompere il legame tra catene di approvvigionamento di materie prime agricole e deforestazione, come stiamo facendo attraverso la legislazione qui nel Regno Unito. Inoltre, le principali istituzioni finanziarie, responsabili di circa 8,7 trilioni di dollari di asset, si impegneranno pubblicamente a eliminare dai loro portafogli la deforestazione per approvvigionare materie prime e a sostenere in trasparenza il passaggio verso la produzione sostenibile di materie prime agricole. Infine, dobbiamo sostenere le comunità indigene che hanno difeso le loro case nella foresta per generazioni, senza supporto o riconoscimento significativi e spesso di fronte di gravi minacce. Le terre delle popolazioni indigene ospitano più di un terzo dei territori forestali vergini  e quasi un quarto del carbonio immagazzinato nelle foreste tropicali del mondo. Oggi abbiamo assicurato 1,7 miliardi di dollari per aiutare quelle comunità a salvaguardare il possesso della terra che è già loro di diritto.

Per comprendere il ruolo delle foreste e dei suoli, ai sensi della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici il tasso di accumulo di CO2 nell'atmosfera può essere ridotto sfruttando il fatto che la CO2 atmosferica può accumularsi negli ecosistemi terrestri sotto forma di carbonio nella vegetazione e nei suoli. Qualsiasi processo, attività o meccanismo che rimuove un gas serra dall'atmosfera viene definito sink (pozzo). Le attività umane impattano sui pozzi terrestri, attraverso l'uso del suolo, il cambiamento di uso del suolo e le attività forestali (LULUCF), impattando  di conseguenza sul ciclo del carbonio, cioè sullo scambio di CO2, tra il sistema della biosfera terrestre e l'atmosfera. Fa testo un Rapporto speciale IPCC su cambiamento climatico, desertificazione, degrado del suolo, gestione sostenibile del territorio, sicurezza alimentare e flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri. I recenti dati del Global Carbon Project ci dicono però che oggi il bilancio degli assorbimenti LULUCF è negativo ed è equivalente stabilmente a 6 Gt di emissioni di CO2 ogni anno (Barbabella, Italy4climate). In valori assoluti, viceversa,  i pozzi di CO2 terrestri e oceanici combinati hanno continuato ad assorbire circa la metà (53% nell'ultimo decennio) della CO2 emessa nell'atmosfera. A livello globale, durante il decennio 2011-2020, i cambiamenti climatici hanno però ridotto l'assorbimento del suolo di circa il 15% e quello degli oceani di circa il 5%.

Questo è il quadro che sta sotto al negoziato di Glasgow sul mercato del carbonio e sui permessi di emissione. Da un lato ci sono soggetti e paesi con larghe carbon footprint (in figura). Dall'altra i detentori di risorse forestali premono per tramutare i loro sink in altrettanti permessi commerciabili su un mercato mondiale tutto da costruire. Ne è un esempio la Russia, refrattaria ad ogni approccio di abbattimento, ma ricca di risorse naturali. Altri casi poco raccomandabili sono  sotto gli occhi di tutti, come il Brasile che sta deforestando in maniera irresponsabile la foresta amazzonica ma ritiene di avere permessi da vendere. La pratica della compensazione delle emissioni è già in realtà molto diffusa, anche nei paesi sviluppati e da noi. è una pratica per ora volontaria e prevalentemente non-market che va sotto il nome di carbon offsetting. Piantare più alberi è una metodologia molto comune per compensare le emissioni di imprese ed iniziative.  Ma mentre la deforestazione continua, piantare alberi non può compensare il carbonio perso quando le foreste in piedi vengono disboscate e non può sostituire le popolazioni perse di fauna selvatica, piante e altre specie, o il danno alle persone che abitano le foreste. I dubbi su queste pratiche sono più che legittimi. Anche gli appassionati della compensazione del carbonio non negano che la pratica sia affetta da gravi pecche. Il programma di compensazione Gold Standard,  sostenuto da gruppi come il WWF, pur non emettendo crediti per progetti di deforestazione evitata a causa delle preoccupazioni di cui sopra, finisce per cadere negli stessi equivoci.

In ambito UNFCCC la compensazione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale (REDD+) è un meccanismo  che crea un valore finanziario per il carbonio immagazzinato nelle foreste, offrendo incentivi ai paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni dai terreni boschivi e investire in percorsi a basse emissioni di carbonio per lo sviluppo sostenibile.  REDD+ e schemi simili soffrono dei medesimi limiti sopra evidenziati.

A Glasgow, pertanto, gran parte del successo sarà alla fine legato alla conclusione del negoziato sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, come più volte abbiamo ricordato nei resoconti dei giorni precedenti. Il negoziato che si occupa delle regole per i mercati del carbonio, come ampiamente previsto, è diventato una delle parti più difficili da finalizzare dell'accordo sul clima di Parigi. Sei anni dopo che l'accordo è stato siglato, i paesi sembrano finalmente fare qualche progresso e si parla persino di una svolta su questa che è la questione che è stato impossibile concludere  a Madrid due anni fa. Gli osservatori affermano che Brasile e India potrebbero essere disposti a rinunciare alle richieste di conteggiare i loro vecchi  crediti di carbonio accumulati in base ai precedenti meccanismi di Kyoto, che molti vorrebbero privi di valore. Il prezzo per questo potrebbe essere che le nazioni ricche concedano ai paesi poveri una quota dei proventi delle transazioni del mercato del carbonio per finanziane l'adattamento ai cambiamenti climatici, ma finora questa è stata una linea rossa per gli Stati Uniti e l'Unione Europea, che si dimostrano intransigenti. Un accordo sull'articolo 6 è considerato cruciale perché molti paesi e aziende mirano a ridurre le loro emissioni a zero netto entro il 2050. Ciò richiede di bilanciare le emissioni residue con una quantità uguale di carbonio che possono dire che viene catturato con certezza  altrove, con gestioni forestali o con mezzi tecnologici.

Il negoziato: Oggi  gli organi sussidiari, il SBSTA, scientifico, e il SBI, operativo completano i lavori sui temi loro assegnati, tra cui finanza, trasparenza e articolo 6. Le discussioni finanziarie sono proseguite durante tutto il giorno. Il pletorico testo licenziato sul nuovo obiettivo collettivo quantificato di finanziamento del clima, post Copenhagen,  mostra quanto distanti su questo tema siano i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo sono. Sull'articolo 6, il mercato del carbonio,  i negoziatori restano convinti che una decisione alla fine sarà presa. I documenti rilasciati finora sono zeppi di parentesi quadre.  Col progredire della giornata, l'elenco dei punti irrisolti è diventato più chiaro: finanza, articolo 6, questioni di trasparenza e tempi comuni per gli NDC ai sensi dell'accordo di Parigi e anche perdita e danno, l'obiettivo globale sull'adattamento e le misure di risposta. I testi risultato dei lavori della prima settimana andranno alla "ministeriale" della seconda per arrivare alle sospirate conclusioni. I negoziatori per la trasparenza erano ansiosi di assicurarsi dell'altro tempo prima inviare il testo ai ministri. I negoziatori dell'articolo 6, pure loro, sono desiderosi di continuare in modalità tecnica e ridurre le opzioni per i ministri. Forse dei facilitatori ministeriali, nominati dalla Presidenza, potrebbero fare la spola con i gruppi tecnici la prossima settimana. Ci sono dei limiti a ciò che il lavoro tecnico può dare, ed a volte è necessaria una guida a livello politico per aiutare a finalizzare le regole tecniche. Le questioni  inoltrate alla seconda settimana della conferenza per ulteriori negoziati includono:

  • L'Articolo 6 (approccio cooperativo);

  • La trasparenza;

  • Perdita e danno;

  • Le misure di risposta;

  • L'adattamento;

  • I tempi comuni per i contributi determinati a livello nazionale (NDC).

Si tratta di una lunga lista di problemi da affrontare nella prossima settimana, che è la stessa   del pacchetto finale della COP 26. I negoziati si svolgeranno in consultazioni agevolate dai ministri, ulteriori colloqui tecnici e consultazioni guidate dalla presidenza. L'esatto equilibrio tra questi tre approcci sarà più chiaro lunedì, quando la Presidenza comunicherà i suoi piani nel corso della sessione di stocktacking.

Per tutta la giornata sono proseguite le trattative finanziarie. La maggior parte di questi negoziati sono a carico degli organi di governo, COP, CMA (Parigi) e CMP (Kyoto) e non dei due organi sussidiari. Non avevano quindi la scadenza di concludere oggi, ma hanno ancora un enorme carico di lavoro di questioni spinose da risolvere. La giornata ha registrato diversi appelli dei paesi in via di sviluppo affinché i finanziamenti per il clima siano di migliore qualità e quantità. L'obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 non è stato ancora raggiunto e alcuni paesi in via di sviluppo hanno sottolineato che i finanziamenti per il clima non possono essere sotto forma di prestiti che aumentano l'onere del debito dei paesi poveri e vulnerabili, in particolare a causa della pandemia. I paesi sviluppati hanno sottolineato i loro sforzi per fornire e mobilitare maggiori finanziamenti per il clima e per migliorare la trasparenza dei loro piani per fornire finanziamenti, come un modo per migliorare la prevedibilità dei flussi di finanziamento per il clima, attraverso relazioni biennali ai sensi dell'articolo 9.5 dell'Accordo di Parigi.

TORNA SU

Venerdì 5 Novembre 2021. Nella giornata dedicata a loro i giovani si rappresentano da soli per le strade di Glasgow

Ci sono davvero due COP in corso. All'interno del vasto Centro conferenze, i delegati in giacca e cravatta fanno discorsi e negoziano un accordo sul clima. Dall'altra parte del fiume Clyde, gli attivisti e chiunque altro abbia una passione per l'azione per il clima ma nessun ruolo ufficiale, sta cercando di far sentire la propria voce. La COP 26 ha visto un numero senza precedenti di manifestanti e attivisti arrivare dalle prime linee della crisi climatica. Dice uno studente: "La gente va in strada perché non può andare alla COP, ma i leader non ci vedono. Non vedono il nostro lavoro". Ciò non ha impedito al movimento giovanile per il clima di Greta Thunberg di ammassarsi oggi in 25.000 nel centro di Glasgow . Ma la più grande protesta finora della COP 26 è prevista per domani.

Nel giorno dedicato ai giovani Greta è incredibilmente per strada, lontana dalla COP. Tutti gli occhi sono puntati su di lei e al Centro Conferenze rimangono in pochi. Compare alla fine della giornata sul palco di George Square per dire: "Siamo stanchi di promesse vuote, di impegni per domani e non vincolanti, siamo stanchi di blablabla. La Cop sarà un fallimento. Non possono pensare di risolvere il problema utilizzando gli stessi metodi che ci hanno portato fin qui. I leader là dentro sanno esattamente quali valori stanno sacrificando per mandare avanti ii loro affari, lo sfruttamento della gente e della natura, i fantasiosi impegni e la mancanza di una drastica azione per il clima. Questa COP è il festival del greenwashing del mondo sviluppato. Inutile invocare nuove tecnologie che arriveranno chissà da dove. Occorre invece un cambiamento radicale delle nostre società". Dice: "Questa COP è meno inclusiva di sempre, è una parata ambientale di facciata, il solito e bla bla bla".

Allineata ai giudizi critici di Greta e degli attivisti, comunica Sky,  anche l’attrice inglese Emma Watson, da sempre molto attiva nelle battaglie civili e sociali. La star  ha partecipato oggi con Thumberg e altri, al Climate Hub organizzato dal New York Times a Glasgow, un forum per discutere di strategie climatiche attuabili. Dice: "Dato che siamo così lontani da ciò di cui abbiano effettivamente bisogno, penso che sarebbe considerato un successo se le persone si rendessero conto di quanto sia un fallimento questa COP". Lo scienziato del clima Myles Allen dell'Università di Oxford ha scritto una lettera aperta agli scioperanti della scuola, in cui ha affermato che loro "sembrano aver avuto un impatto maggiore sulla questione climatica negli ultimi due anni di quanto non sia riuscito a tutti noialtri nei tre precedenti decenni”. Allen sostiene che le società che rilasciano i gas serra dovrebbero essere obbligate a pagare per ripulirlo. Questa, dice, dovrebbe essere la richiesta chiave dei manifestanti. Forzare i potenti inquinatori a pagare sarebbe,  di tutte, probabilmente la più grande sfida politica.

Dentro il campus. Mentre migliaia di giovani manifestanti scendevano per le strade di Glasgow per chiedere giustizia climatica, le voci dei giovani si sentivano anche all'interno della sede del vertice. Una decisione della presidenza della COP 26 ha stabilito che le opinioni di oltre 40.000 giovani leader del clima devono essere ascoltate da ministri, negoziatori e funzionari. Il presidente della COP Alok Sharma esorta i ministri a considerare le priorità dei giovani nei negoziati della COP e nelle azioni nazionali per il clima. La presidenza ha anche annunciato un'iniziativa di 23 paesi per prendere impegni nazionali in materia di educazione al clima, comprese le scuole net-zero e mettere il clima al centro dei curricula scolastici nazionali.

Oggi, la COP 26 si è concentrata su Youth and Public Empowerment, in collaborazione con YOUNGO (l'Ente dei bambini e dei giovani della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) e altri partner giovanili. Nel tentativo di garantire una piattaforma in cui le voci dei giovani possano interagire con i decisori, oggi mirava a dimostrare il ruolo di responsabilizzare ed educazione del pubblico a guidare le azioni per il clima. Gli eventi chiave si sono così articolati:

  • Unificare per il cambiamento: la voce dei giovani globali alla COP 26 – YOUNGO presenta la dichiarazione dei giovani delle loro Conferenze giovanili locali, virtuali e globali, mostrando la posizione globale dei giovani, le proprie azioni per il clima e i loro appelli all'azione da parte dei leader globali;

  • Il ruolo dei parlamenti nelle politiche per il clima e la natura. Questo evento ha toccato il ruolo dei legislatori nel vagliare e rispettare gli impegni nazionali in materia di clima e una più ampia politica in materia di clima e natura. L'evento ha fornito un forum per i parlamentari per offrire le migliori pratiche sulla promozione della responsabilità per la politica del governo e lo sviluppo di un più ampio impegno pubblico;

  • Nel pomeriggio, alle 16 si è tenuto l'incontro dei ministri dell'Istruzione, al quale ha partecipato anche il ministro italiano Patrizio Bianchi; 

  • Youth4Climate alla COP 26. Il Ministro italiano per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e il Presidente designato della COP26, Alok Sharma, hanno fatto i facilitatori in una discussione sui risultati del summit Youth4Climate: Guidare l'ambizione tenutosi a Milano questo settembre. l'Italia intende rendere stabile questo appuntamento.

Sono iniziati oggi anche due giorni di eventi riguardanti la natura e l'uso del suolo, incentrati su come una serie di parti interessate può guidare la transizione verso una gestione più sostenibile della terra e degli oceani e su come riformare il sistema alimentare e agricolo. Gli eventi chiave includeranno:

  • Una tavola rotonda sulla finanza blu della UK e Ocean Risk and Resilience Action Alliance (ORRAA). Questo evento riunirà i leader del governo, delle imprese e della società civile per identificare gli impegni necessari per mobilitare i finanziamenti per sostenere soluzioni pronte all'investimento e basate sulla natura per creare soluzioni positive e risultati tangibili per le comunità e il pianeta.

  • Un invito all'azione oceanica: verso la salute e la resilienza degli oceani. Questo evento si concentrerà sull'importanza di un'azione urgente per il clima per la salute dell'oceano e cercherà il sostegno globale per la protezione di almeno il 30% dell'oceano globale entro il 2030, oltre a mobilitare risorse finanziarie per farlo.

Il negoziato. I negoziatori hanno continuato a cercare di risolvere le questioni chiave prima delle plenarie di chiusura degli organi sussidiari di sabato 6 novembre. Finora, le regole specifiche per l'articolo 6 dell'accordo di Parigi del 2015, cioè sul mercato del carbonio,  sono uno degli ultimi argomenti di negoziazione che rimangono irrisolti. Oggi è circolata una bozza di testo che consente ai paesi di conteggiare i crediti di carbonio verso i loro obiettivi di emissione  e che potrebbe correggere i difetti dei mercati del carbonio che finora sono stati ampiamente inefficaci, o confinarli definitivamente al greenwashing. Un punto critico è il linguaggio che dice che gli acquirenti di crediti di carbonio dovrebbero ricevere meno crediti di quelli che acquistano, come modo per promuovere reali riduzioni complessive delle emissioni. Nella bozza, il controverso volume di crediti inutilizzabili varia dal 2% al 30% del volume scambiato, con i paesi in via di sviluppo che si battono per la fascia più alta. Una seconda proposta devia una parte di ogni transazione del mercato del carbonio in un fondo per l'adattamento nei paesi in via di sviluppo, noto come share-of-proceeds. Gli Stati Uniti e altri paesi ricchi vogliono escludere alcuni scambi da questa tassa. Sono in gioco miliardi di dollari. Il capo negoziatore per il Ruanda, ha dichiarato che gli sviluppatori di progetti climatici nel suo paese chiedono a gran voce una risoluzione all'articolo 6, in modo che possano iniziare a vendere crediti all'estero da energie rinnovabili, fornelli puliti, conservazione delle foreste e altri progetti di riduzione delle emissioni.  I negoziatori non sono riusciti a concordare le regole dell'articolo 6 nelle ultime quattro COP, quindi non c'è alcuna garanzia che avranno successo questa volta.

Per le trattative sulla finanza ci sono state ampie discussioni, mattina e pomeriggio, sul nuovo obiettivo collettivo post-2020 da quantificare sui finanziamenti per il clima. Si tratta di un nuovo punto all'ordine del giorno e le  parti avanzano le loro prime proposte. L'obiettivo a Glasgow non è stabilire un numero specifico, ma stabilire un processo affinché i paesi apprendano, riflettano e i paesi sviluppati, e coloro che sono in grado e disposti a farlo, decidano quanto finanziare e quanto forniranno e mobiliteranno.

L'adattamento è stato il secondo grande cluster della giornata. Le discussioni hanno incluso come sviluppare e implementare processi di pianificazione nazionale per costruire la resilienza e ridurre la vulnerabilità agli effetti del cambiamento climatico. Molti paesi in via di sviluppo sono colpiti in modo sproporzionato, in contrasto con il loro basso contributo alle emissioni globali, per effetto dell'elevata vulnerabilità agli impatti climatici negativi. Molti dei punti all'ordine del giorno riguardano il sostegno ai paesi in via di sviluppo nei loro sforzi. Questa settimana, il l'UNEP ha pubblicato l'ultima edizione del suo Adaptation Gap Report, che esamina quanto viene speso per l'adattamento e quanto è effettivamente necessario. Il rapporto stima che il costo annuale dell'adattamento sarà di 140 - 300 miliardi di dollari entro il 2030 e di 280 - 500 miliardi di dollari entro il 2050. Nel frattempo, i paesi sviluppati non sono nemmeno riusciti a mantenere la promessa di fornire 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020. Chiaramente c'è  una lunga strada da percorrere. Poiché è già stato rilasciato così tanto gas serra, il mondo ne risentirà gli impatti nei secoli a venire, specialmente sotto forma di innalzamento del livello del mare, che è lento ma inesorabile. Di conseguenza, fermare tutte le nostre emissioni di gas serra è solo metà della battaglia, per quanto monumentale sia la sfida. È anche essenziale aiutare le persone più vulnerabili del mondo a trovare modi resilienti di vivere, che si tratti di coltivare colture diverse in grado di far fronte alla siccità o di costruire rifugi per i cicloni. Finora, la COP 26 si sta rivelando molto attiva e propositiva quando si tratta di ridurre le emissioni. Ma è stato fatto ben poco per aiutare le persone ad adattarsi al mondo che cambia.

Perdite e danni si riferiscono a effetti permanenti e dannosi del cambiamento climatico, sia attraverso eventi a rapida insorgenza, come gli eventi meteorologici estremi, o eventi a lenta insorgenza, come l'innalzamento del livello del mare. Poiché i paesi subiscono sempre più questi effetti duraturi, dalla perdita di attività economica a vite perse, le richieste di includere perdite e danni sono state dibattute nele sale di negoziazione, dalla finanza alla trasparenza. Sotto il punto dell'ordine del giorno dedicato alle perdite e ai danni, i negoziati hanno coinvolto il tentativo di capire come riunire le diverse comunità di azione che lavorano sulla riduzione del rischio di catastrofi o sull'agricoltura, per fare due esempi, per sostenere i paesi in via di sviluppo.

Intorno alla sede dei negoziati c'è stata una serie completa di eventi della Presidenza per considerare il ruolo dei giovani e anche per fare il punto sugli impegni assunti finora da paesi e imprese. Le NGO giovanili sono state protagoniste di un evento intitolato Unifying for Change: The Global Youth Voice at COP 26. È stata un'occasione per rendere nota la Dichiarazione della 16a Conferenza dei Giovani, tenutasi poco prima dell'inizio della COP 26 in Glasgow. Firmato da oltre 40.000 rappresentanti dei giovani, con il contributo di 2.000 organizzazioni di 130 paesi, il messaggio principale della dichiarazione è che i giovani devono essere inclusi in modo significativo e attivo nei processi decisionali per salvaguardare il loro futuro. L'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore ha aperto un evento intitolato Destination 2030: Making 1.5°C a Reality convocato dagli stakeholder di alto livello del clima  con un forte avvertimento: ha proclamato che stiamo entrando in un'era di trasparenza radicale, in cui qualsiasi discrepanza tra impegni e azioni scatenerebbe un'ondata di pressione per la responsabilità e l'azione per il clima. Lord Adair Turner, dello Energy Transition Council, ha presentato le prime stime degli impegni assunti alla COP 26 da paesi e aziende. Elaborando i numeri,  ha sottolineato che, se questi impegni saranno pienamente realizzati, porterebbero a una riduzione di nove delle 22 GtCO2eq, necessarie per tenere in vista gli  1,5 °C.

Gli altri eventi di oggi:

  • Eventi della Global Climate Action Agenda su giovani, acqua e oceano;

  • Evento di alto livello sui bisogni dei paesi in via di sviluppo;

  • Una presentazione di Al Gore: il pericolo in cui ci troviamo e le ragioni della speranza;

  • Il ruolo dei parlamenti nelle politiche per il clima e la natura;

  • Il potere dell'impegno pubblico per sfruttare l'azione per il clima: storie e lezioni di responsabilizzazione da tutto il mondo.

TORNA SU

Giovedì 4 Novembre 2021. Il giorno dell'energia, la chiave della transizione. è solo il carbone il problema?

I primi due giorni della COP 26 sono stati pensati per rilanciare le ambizioni mondiali sul clima. La giornata di oggi è dedicata all'energia, che di quelle ambizioni è la protagonista indiscussa.

Tirando le prime somme delle dichiarazioni dei leader il mondo potrebbe essere sulla buona strada per limitare il riscaldamento al di sotto dei due gradi, obiettivo principale dell'accordo di Parigi sul clima. L'analisi, condotta da Malte Meinshausen, uno degli scienziati dell'IPCC, e pubblicata ieri da  Climate Resource, suggerisce che il mondo potrebbe raggiungere il picco delle temperature medie globali di 1,9 °C rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo, a condizione che tutte le misure nazionali di riduzione del carbonio e tutte le strategie net zero dichiarate vengano rispettate.  è la prima volta che le proiezioni climatiche prevedono un riscaldamento al di sotto dei due gradi. "Per la prima volta nella storia, l'effetto aggregato degli impegni combinati di 194 paesi potrebbe portare il mondo a un riscaldamento inferiore a 2 °C con una probabilità superiore al 50%", si legge in una nota informativa. I nuovi obiettivi climatici annunciati dall'India, incluso l'obiettivo finale di raggiungere zero emissioni nette entro il 2070, sono uno dei fattori chiave delle nuove proiezioni. Anche l'impegno della Cina a raggiungere le emissioni nette zero entro il 2060 – formalizzato nell'ambito del processo dell'Accordo di Parigi la scorsa settimana – ha contribuito a cambiare lo scenario della temperatura.

Proprio la scorsa settimana l'analisi delle Nazioni Unite aveva previsto un aumento della temperatura di 2,2 ° C se tutte le nazioni avessero mantenuto la rotta per raggiungere i loro obiettivi di zero netto. Il rapporto presentato oggi dal responsabile delle Nazioni Unite per il clima Patricia Espinosa, che espone i risultati più significativi dell'anno passato, sostiene che stabilizzarsi a 1,5°C di riscaldamento è ancora tecnicamente possibile, ma richiede un'azione globale immediata e drastica che potrebbe non essere fattibile. La finestra degli 1,5°C è ancora aperta, non ci sono segnali che suggeriscano che non potremmo restare entro gli 1,5 °C, dice Johan Rockström, uno degli autori del Rapporto. Un messaggio simile è stato presentato da Fatih Birol, amministratore delegato dell'IEA, che ha di recente pubblicato una Roadmap per gli 1,5 °C: "La nostra nuova analisi  mostra che il pieno raggiungimento di tutti gli impegni zero netti fino ad oggi e l'impegno globale sul metano da parte di coloro che lo hanno firmato limiterebbero il riscaldamento globale a 1,8 °C". L'analisi dell'Agenzia di Parigi non è stata ancora resa pubblica.

Energy Day significa per noi una cosa: una transizione completa verso le rinnovabili, ma anche pensare all'efficienza energetica, ridurre il consumo eccessivo, programmare una transizione socialmente giusta e garantire l'accesso all'energia per tutti. L'energia rinnovabile è distribuita in modo molto più equo rispetto ai combustibili fossili. Possiamo usare il sole per riscaldare gli edifici, per riscaldare la nostra acqua e per produrre elettricità. Alternative come il nucleare non sono sostenibili e sono ormai bocciate dalla storia. Le molte cose da dire sul nucleare  e l suo recupero paradossale con strizzatine d'occhio da molte parti, non esclusa casa nostra, si legga il commento alla giornata di oggi di Antonio Cianciullo da Glasgow. L'eolico e il solare, tendenzialmente più economici dei combustibili fossili, possono fornire già ingenti quantità di energia  e hanno il potenziale per fornirne molto di più. Nessun discorso sulle tecnologie emergenti, e ce ne sono stati molti al G20 di Roma e all'esordio di questa COP 26, come si è visto proprio ad opera del Presidente americano Joe Biden,  dovrebbe oscurare una realtà fondamentale: il solare e l'eolico sono già pienamente accessibili. Sono le due opzioni definitivamente meno costose per la generazione di elettricità, come richiamato ripetutamente dall'IRENA di Francesco La Camera e,  la scorsa settimana, nel rapporto annuale pubblicato  dalla banca d'affari Lazard. L'energia solare ha un costo medio globale di 36 dollari per megawattora quest'anno, in calo rispetto ai 37 dollari dell'anno precedente e ai 359 dollari della prima edizione del rapporto nel 2009. IL costo medio globale dell'energia eolica è di 38 dollari per megawattora, in calo rispetto ai 40 dollari dell'anno precedente e ai 135 dollari del 2009. Nel frattempo, l'energia del gas naturale è di 60 dollari per megawattora, in aumento rispetto ai 59 dollari dell'anno precedente ma in calo rispetto agli 83 dollari del 2009. Altri, come il carbone e il nucleare, sono molto più costosi (Cianciullo, cit.). I numeri delle serie storiche mostrati nella figura rappresentano i costi livellati dell'energia, un calcolo che tiene conto dei costi di costruzione sommati ai costi di esercizio degli impianti.

Ma oggi a Glasgow si è tentato di fare i conti con il carbone, il vero kingmaker del disastro climatico. All'interno dello Scottish Event Campus, l'incontro principale della giornata è iniziato con l'adesione della Conferenza alle parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres: “Consegnare il carbone alla storia”. Il presidente della conferenza Alok Sharma ha annunciato la nuova Dichiarazione di transizione per l'energia pulita globale, un impegno a porre fine agli investimenti nel carbone, aumentare l'energia pulita, effettuare una transizione giusta e eliminare gradualmente il carbone. L'impegno ha 77 firmatari, tra cui 46 paesi come Polonia, Vietnam e Cile, 23 dei quali si impegnano per la prima volta a porre fine al carbone. Questi  23 paesi hanno promesso di fermare i nuovi impianti per l'energia a carbone e di eliminare gradualmente quelli esistenti. La lista comprende cinque dei primi 20 paesi consumatori di carbone: Corea del Sud, Indonesia, Vietnam, Polonia e Ucraina ma non Stati Uniti, Cina, India, Russia e Australia. Il piano prevede di eliminare gradualmente il carbone entro il 2030 per i paesi sviluppati, mentre quelli a basso reddito potranno arrivare fino al 2040. La Polonia si è voluta classificare come un paese a basso reddito, nonostante sia una delle 25 maggiori economie del mondo. Successivamente ha disdetto l'impegno dichiarando che userà il carbone fino al 2049. L'accordo promette anche una "giusta transizione dall'energia a carbone in modo da avvantaggiare i lavoratori e le comunità" e un rapido aumento della diffusione di energia pulita come l'energia eolica e solare.

Uno dei motivi per cui è così difficile fermare le emissioni di gas serra è che le emissioni provenienti da un paese sono spesso sostenute, finanziariamente o meno, da altri paesi. Quindi è anche una buona notizia che 20 governi abbiano promesso di smettere di finanziare progetti di petrolio, carbone e gas oltre i loro confini. L'elenco include Canada, Regno Unito e Stati Uniti. Il provvedimento entrerà in vigore entro la fine del 2022. La Banca asiatica di sviluppo ha lanciato mercoledì un piano per accelerare la chiusura delle centrali elettriche a carbone in Indonesia e nelle Filippine. La Cina ha segnalato mercoledì di puntare a una riduzione dell'1,8% del consumo medio di carbone per la produzione di elettricità nelle centrali elettriche nei prossimi cinque anni, nel tentativo di ridurre le emissioni di gas serra. Ieri abbiamo segnalato che i governi di Sudafrica, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, insieme all'Unione Europea, hanno annunciato una nuova  Just Energy Transition Partnership, ambiziosa e a lungo termine, per sostenere gli sforzi di decarbonizzazione del Sudafrica.

Dalle NGO presenti a Glasgow arriva un giudizio che definisce insufficienti questi impegni rispetto a ciò che richiede il momento. Un accordo che riguarda solo il carbone non risolve nemmeno la metà del problema. Le emissioni di petrolio e gas già superano di gran lunga il carbone e sono in forte espansione, mentre il carbone sta già entrando in un declino terminale. La scienza, dicono,  è assolutamente chiara sul fatto che i combustibili fossili devono essere eliminati completamente se vogliamo evitare i peggiori impatti dell'emergenza climatica. Questi accordi sul carbone sono un piccolo passo in avanti quando ciò di cui abbiamo bisogno è un balzo da giganti.

Al di sotto degli annunci, procede intanto il negoziato sui suoi obiettivi schedulati. Le trattative sono proseguite oggi a ritmo sostenuto, con la scadenza di sabato per la chiusura dei lavori degli organi sussidiari che si profila ormai vicina. Come è comune in questa fase dei negoziati, molti punti sembrano scontrarsi con le scadenze poiché sfugge ancora il consenso su molte bozze di testo. I momenti salienti della giornata includevano negoziati in materia di finanza, trasparenza e articolo 6 (approcci cooperativi), oltre alla serie di eventi per la giornata dell'energia e ad un evento speciale sul recente rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici.

Negoziati. È stato dedicato molto tempo a tre delle questioni principali: finanza, trasparenza e articolo 6. I negoziatori si sono incontrati anche per lavorare su altre questioni chiave, tra cui adattamento, perdite e danni, tecnologia, scienza e revisione. Le discussioni finanziarie hanno continuato a dominare l'agenda per tutta la giornata. C'è stata una lunga discussione  sulla quarta valutazione biennale e panoramica dei flussi finanziari per il clima. Alcuni hanno evidenziato l'aumento complessivo dei flussi di finanziamento per il clima, mentre altri hanno notato che solo lo 0,34% dei finanziamenti per il clima passa effettivamente attraverso i fondi per il clima delle Nazioni Unite e non raggiunge necessariamente i soggetti più vulnerabili ai cambiamenti climatici. I paesi hanno anche discusso delle linee guida su come i fondi per il clima delle Nazioni Unite - il Global Environment Facility e il Green Climate Fund - dovrebbero allocare i soldi. Le discussioni sulla trasparenza sono andate avanti per sette ore. Queste discussioni ruotano attorno al modo in cui i paesi riferiranno sulle loro azioni, sulle loro ambizioni e sul sostegno ai sensi dell'accordo di Parigi, dalle loro riduzioni delle emissioni e dalle misure di costruzione della resilienza relative agli NDC, al sostegno finanziario e di altro tipo fornito, o ricevuto, per intraprendere azioni per il clima. Sebbene molti abbiano notato progressi, vi sono ancora questioni in sospeso, a partire dalla natura giuridica delle tabelle  e dalla modalità di segnalazione delle perdite e danni. Diversi negoziatori dell'articolo 6 sono rimasti ottimisti sul fatto che questo problema potrebbe essere risolto a Glasgow. Si sono concentrati sul meccanismo di mercato di cui all'articolo 6.4, che regolerà l'acquisto e la vendita dei crediti di carbonio. Le discussioni hanno compreso come includere e salvaguardare i diritti delle popolazioni indigene e come garantire che gli strumenti di mercato (lo scambio dei permessi di emissione) possano portare a una riduzione complessiva delle emissioni globali. I delegati hanno inoltre discusso le modalità di governance e le possibili attività di un programma di lavoro per approcci non di mercato ai sensi dell'articolo 6.

L'energy day è stata una giornata intensa entro e intorno al campus. Il tema della giornata era l'energia e una serie di eventi mirava a mostrare la volontà di porre fine all'uso costante del carbone. La Powering Past Coal Alliance ha organizzato un evento con un'ampia gamma di parti interessate che hanno parlato della fine degli investimenti e della pianificazione della produzione di carbone.  Con un evento speciale, l'IPCC ha dimostrato gli effetti della produzione e dell'uso di combustibili fossili e di altri fattori trainanti del cambiamento climatico. I ricercatori dell'IPCC hanno presentato i risultati chiave del contributo del Gruppo di lavoro I al sesto rapporto di valutazione, che si concentra sulle basi scientifiche fisiche del cambiamento climatico. Il presidente dell'IPCC, Hoesung Lee, ha definito il rapporto come un campanello d'allarme. Il rapporto spiega i cambiamenti senza precedenti nel nostro clima dovuti alle attività umane che colpiscono ogni regione. Come ha spiegato Lee, tutti ne sono colpiti, in più modi e con conseguenze inique, ma, con l'azione, alcuni degli effetti potrebbero essere rallentati e fermati. I cambiamenti climatici e le transizioni energetiche richiedono di mettere al centro le persone. La presidenza ha poi incontrato i membri della Piattaforma delle comunità locali e dei popoli indigeni. Un precedente evento di oggi aveva considerato come accelerare una transizione energetica giusta e inclusiva. In margine all'Energy day di oggi, mette conto di ricordare che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in settembre e in preparazione della COP 26, aveva convenuto un High level dialogue on Energy, il primo incontro ad alto livello per affrontare le questioni energetiche nell'ambito dell'Assemblea generale in 40 anni. L'incontro ha dimostrato un ampio interesse nell'accelerare l'ambizione verso il raggiungimento dell'Obiettivo di sviluppo sostenibile 7 (SDG 7) sull'energia pulita e accessibile e le emissioni nette a zero entro il 2050, obiettivo dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Quarantatrè capi di Stato e di governo e oltre 100 altri leader di alto livello di governi, entità delle Nazioni Unite, altre organizzazioni intergovernative, settore privato e società civile hanno partecipato al Dialogo HLDE, annunciando oltre 137 impegni chiamati Energy Compacts. L'HLDE è stato organizzato attorno a quattro dialoghi  tematici di leadership:

  • accelerare l'azione per raggiungere l'accesso universale all'energia e l'azzeramento delle emissioni nette;

  • garantire transizioni giuste e inclusive per non lasciare indietro nessuno;

  • catalizzare finanza e investimenti;

  • potenziare l'azione attraverso i patti energetici.

Il principale risultato del Dialogo è la prima tabella di marcia globale per un'attuazione accelerata dell'SDG 7, che presenta una strategia chiara per il raggiungimento dell'accesso universale all'energia e della transizione energetica entro il 2030, inclusa una serie di milestone concreti e pratici. A sostegno di questi obiettivi, i governi e il settore privato hanno impegnato nei citati Energy Compact più di 400 miliardi di dollari in nuovi finanziamenti e investimenti. Gli impegni presi mirano a fornire a centinaia di milioni di persone l'accesso all'energia pulita e ad accelerare la transizione energetica, creando al contempo green jobs per non lasciare indietro nessuno.

TORNA SU

Mercoledì 3 Novembre 2021. La finanza internazionale si muove in favore della decarbonizzazione

Consideriamo la COP 26, pur nei suoi evidenti limiti,  il momento e il luogo focali per rilanciare la riduzione delle emissioni di carbonio, ma il gran problema resta quello degli investimenti, e finora non ce ne sono abbastanza. La giornata di oggi è dedicata al finanziamento della lotta al cambiamento climatico. Al di là dell'erogazione di 100 miliardi all'anno del GCF, obiettivo rilanciato e ripromesso al G20 e a Glasgow, ma ancora inevaso, il grande numero che domina il vertice è di 130 trilioni di dollari. Questo è il valore delle attività detenute da 450 istituzioni finanziarie globali che si sono impegnate a raggiungere obiettivi di emissioni nette zero come parte della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), in crescita di 25 volte rispetto a solo un anno fa, come risulta dal Rapporto datato novembre 2021. La GFANZ, attiva in 45 paesi, ha affermato che potrebbe fornire fino a  100 trilioni di US$ di finanziamenti per aiutare le economie a passare allo zero netto nel prossimo tre decenni.

In teoria, le istituzioni, dalle banche agli assicuratori, hanno un enorme potere di spingere le aziende ad abbracciare gli obiettivi di decarbonizzazione. In pratica, ciò sta accadendo lentamente, se non per niente affatto nella maggior parte dei settori. Oggi c'è poco accordo in tutto il settore finanziario su quali obiettivi dovrebbero essere assunti per il net zero e su come misurarli. Inoltre i membri di GFANZ non sono tenuti a smettere di finanziare i combustibili fossili. I gestori di patrimoni che si erano iscritti a GFANZ hanno per ora impegnato solo il 35% del loro patrimonio totale a obiettivi net zero. Il mese scorso le banche che hanno aderito a GFANZ si sono opposte ad una roadmap più esplicita per la riduzione delle emissioni di gas serra proposta dall'IEA che avrebbe richiesto loro di fermare il finanziamento di tutti i nuovi progetti di esplorazione per petrolio, gas e carbone. In effetti, le banche private stanno investendo di più nei combustibili fossili rispetto a quando è stato firmato l'Accordo di Parigi nel 2015. Il grafico a barre mostra il finanziamento totale dei combustibili fossili da parte delle banche dal 2016 al 2020. JPMorgan ha il totale più alto con 317 miliardi di dollari, seguito da Citi con 238 miliardi di dollari, Wells Fargo con 223 miliardi di dollari e Bank of America con 199 miliardi di dollari. La cifra di 130 trilioni di dollari sopravvaluta la quantità di denaro effettivamente destinata alle emissioni nette zero: solo una parte dei portafogli di investimento della maggior parte dei gestori patrimoniali include l'obiettivo di azzeramento. In assenza di una regolamentazione internazionale, i finanzieri dovrebbero attenersi a uno standard chiaro e trasparente. A questo fine, l'International Financial Reporting Standards Foundation, l'organismo di contabilità globale, ha lanciato l'International Sustainability Standards Board per stabilire standard di trasparenza per la finanza climatica per i mercati finanziari coerenti a livello globale. Oggi il cancelliere del Regno Unito Rishi Sunak ha ribadito i piani annunciati a ottobre per richiedere alle società britanniche dal 2023 di pubblicare programmi a emissioni zero, stabilendo come intendono decarbonizzare entro il 2050. Per risolvere le controversie sull'interpretazione del concetto di net zero da parte delle istituzioni della finanza privata, il segretario  delle Nazioni Unite António Guterres ha cercato di mediare annunciando la costituzione di un organo di controllo per analizzare gli impegni zero netto da parte di attori non statali. "C'è un deficit di credibilità e un'eccedenza di confusione sulle riduzioni delle emissioni e sugli obiettivi di zero netto, con significati diversi e metriche diverse", ha detto in un discorso lunedì. Forti contestazioni da parte delle associazioni della società civile, hanno avuto corso nella giornata di oggi, con Greta Thunberg e Greenpeace in prima linea.

Oggi è stato dato l'annuncio da più di 40 leader mondiali che affermano che lavoreranno insieme per potenziare l'adozione delle tecnologie pulite imponendo standard e politiche a livello mondiale in una iniziativa denominata  Glasgow Breakthroughs. Inizialmente saranno interessati cinque settori ad alto contenuto di carbonio, tra cui l'agricoltura e la generazione elettrica, l'acciaio, il trasporto su strada e l'idrogeno. Il piano è stato lanciato dal primo ministro britannico Boris Johnson, insieme a rappresentanti di Stati Uniti, India, UE e, soprattutto, Cina. I firmatari rappresenterebbero oltre il 70% dell'economia mondiale e di ogni regione. Il primo ministro britannico ha dichiarato: "Rendendo la tecnologia pulita la scelta più conveniente, accessibile e attraente, il punto di partenza predefinito in quelli che sono attualmente i settori più inquinanti, possiamo ridurre le emissioni in tutto il mondo. Daremo una spinta in avanti, in modo che entro il 2030 le tecnologie pulite possano essere utilizzate ovunque, non solo riducendo le emissioni ma anche creando più posti di lavoro e maggiore prosperità". I leader firmatari si sono impegnati a discutere i progressi ogni anno in ogni settore, a partire dal 2022. Sarà l'IEA a documentare lo stato di avanzamento dell'iniziativa.

Parallelamente oggi vengono lanciate la Green Grids Initiative, ​​per interconnettere continenti, paesi e comunità alle fonti di energia rinnovabili e garantire che nessuno rimanga senza accesso all'energia pulita; la AIM4C, una nuova iniziativa guidata da Stati Uniti e Emirati Arabi Uniti, con oltre 30 paesi sostenitori, impegnata ad accelerare l'innovazione nell'agricoltura sostenibile; il programma Breakthrough Energy Catalyst che mira a raccogliere fino a 30 miliardi di dollari di investimenti e ridurre i costi per l'idrogeno verde, la DAC, cattura diretta  di CO2 dall'aria e l'accumulo di energia a lungo termine; la First Movers Coalition, annunciata dal Presidente Biden, un club di acquirenti  di 25 grandi aziende globali, guidato dagli Stati Uniti, che si impegnano a impegnare settori come acciaio, autotrasporti, spedizioni, aviazione, alluminio, cemento e prodotti chimici.

Partiti i leader, Johnson con un jet privato,  con la scia delle promesse e delle telecamere al seguito, il negoziato riprende secondo le tradizioni, ma forse in uno stato d'animo più intenso. La giornata ha visto sessioni di consultazione su molti dei principali punti all'ordine del giorno, la finanza, all'ordine del giorno,  e l'articolo 6, il temibile punto sui mercati del carbonio. Sono stati avviati con un successo ineguale i negoziati sui cinque dei punti dell'agenda finanziaria. Sulla guida al Green Climate Fund, GCF, dopo la grande esibizione di dollari dei primi due giorni, i paesi non hanno potuto accettare di dare ai copresidenti un mandato per sviluppare una bozza di testo. Risuona l'eco dell'intervento del primo ministro delle Barbados Mottley di lunedì: "Il fallimento nel fornire i finanziamenti critici e quello delle perdite e dei danni è misurato, amici miei, nelle vite e nei mezzi di sussistenza nelle nostre comunità. Questo è immorale ed è ingiusto”. Bloomberg riferisce che  Greta Thunberg ha usato la giornata finanziaria della COP 26 di ieri per far sentire la sua presenza. Greta e altri attivisti di Greenpeace e dell'Indigenous Environmental Network hanno interrotto un panel sulle compensazioni di carbonio con gli alberi da piantare (offsetting) per protestare contro il greenwashing e i pericoli di fare affidamento sui crediti di emissione.

Nel cuore del negoziato sono state discusse le questioni relative alla finanza, a cominciare dalla compilazione  e relazione di sintesi sulle comunicazioni biennali ai sensi dell'articolo 9.5 dell'accordo di Parigi (trasparenza finanziaria). Sul Rapporto e le linee guida per il GCF,  l'Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), ha sottolineato la necessità di evidenziare le sfide uniche che i piccoli stati insulari in via di sviluppo devono affrontare nell'accesso ai finanziamenti per il clima, tra cui la mancanza di finanziamenti per perdite e danni e gli elevati costi di transazione delle domande di progetto. Citando una proposta di progetto che attende da quattro anni una decisione di finanziamento, il Malawi, per i paesi meno sviluppati (PMA), ha indicato che i fondi non sono sempre accessibili e ha chiesto di riconsiderare le procedure di accreditamento progetto per progetto. La Colombia, (AILAC), ha proposto diverse idee di miglioramento per il GCF tra cui: efficienza e trasparenza; finanziamento di progetti con co-benefici; aumentare le sovvenzioni ai paesi indebitati a reddito medio e medio-alto e fornire prestiti in valute nazionali. Il gruppo è stato sospeso, poiché, come anticipato, le parti non erano d'accordo sulla possibilità che i copresidenti potessero emettere un nuovo testo che fungesse da base per i negoziati.

Nel SBSTA sono state discusse questioni metodologiche nell'ambito dell'accordo di Parigi: i formati tabulari comuni (CTF) per monitorare i progressi nell'attuazione e nel raggiungimento degli NDC; le tabelle di rendicontazione comuni per le relazioni sull'inventario nazionale; gli schemi di relazioni biennali sulla trasparenza (BTR), i documenti di inventario nazionale (NID) e le relazioni di revisione tecnica di esperti (TERR). Nel corso della giornata sono state affrontate le prime difficoltà in merito all'Articolo 6 di Parigi e quindi al mercato del carbonio. Per tutta la giornata, le parti hanno scambiato opinioni sulla bozza di testo in consultazioni informali. I punti in discussione sono l'Articolo 6.2, sulle opzioni di mitigazione trasferite a livello internazionale, ITMO; sull'ambizione di cui al punto 6.2, laddove diversi hanno sostenuto il principio di nessun aumento netto delle emissioni dei partecipanti; sull'Articolo 6.4 (meccanismo); sull'Articolo 6.8 (approcci non di mercato) e sulle fonti di informazione accreditate per l'inventario globale previsto per il 2023. L'ultima versione del testo negoziale, che è stata rilasciata martedì sera, include 373 sezioni tra parentesi quadre, in cui i paesi non sono d'accordo e stanno valutando diverse opzioni. In effetti, la gamma di opzioni proposte dai paesi è aumentata dagli ultimi colloqui sul clima nel 2019. Anche se il Regno Unito riuscisse a ottenere un accordo sull'Articolo 6, ci sono poche possibilità che venga accolto con favore dagli attivisti che sostengono che i governi dovrebbero concentrarsi sulla riduzione delle emissioni in casa propria, piuttosto che cercare di aggirare il problema con i permessi di emissione.

Nei settori tecnici si è riaperto il discorso sui piani di adattamento nazionali (NAP) e sui relativi fondi. Toccata anche la questione dei common time frames, cioè della tempistica, quinquennale, decennale o altro, per l'aggiornamento degli NDC che adombra la difficoltà di avere un quadro di valutazione degli impegni di abbattimento sincronizzato nel tempo. Discussioni informali ci sono state sul Koronivia Joint Work on Agriculture (KJWA).


TORNA SU

Martedì 2 Novembre 2021. Proseguono gli interventi dei leader. L'intervento del Presidente Biden fissa gli obiettivi americani. Finalmente una dichiarazione sulle foreste e sull'uso del suolo

Cominciamo dalla Cina? Il presidente Xi Jinping, in una dichiarazione scritta che non contiene alcun nuovo impegno significativo, ha invitato i paesi sviluppati a "fornire supporto per aiutare i paesi in via di sviluppo a fare meglio nell'affrontare la crisi climatica". Il leader cinese ha anche esortato tutti i Paesi a intraprendere azioni più forti per "affrontare congiuntamente la sfida climatica" e ha affermato che il suo paese "accelererà la transizione verso l'energia green e a basse emissioni di carbonio, svilupperà vigorosamente le energie rinnovabili e pianificherà e costruirà grandi impianti eolici e fotovoltaici".

Diverso il contributo degli Stati Uniti, l'altro grande paese sotto osservazione. Dopo aver duramente criticato Cina e Russia alla conclusione del G20 di Roma, nell’intervento di ieri il presidente Joe Biden si è scusato per il ritiro degli Stati Uniti dall'accordo sul clima di Parigi e ha riconosciuto che "ogni giorno che rimandiamo, il costo dell'inazione aumenta". Biden aveva riconfermato il ritorno all'Accordo di Parigi nel suo primo giorno in carica ed ha ora confermato il piano a lungo termine per decarbonizzare l'economia degli Stati Uniti entro il 2050. Nel piano si chiede al settore elettrico di eliminare le emissioni entro il 2035 attraverso innovazioni di trasmissione, efficienza energetica, stoccaggio e generazione. Saranno necessarie, dice,  diverse altre strategie, tra cui la cattura del carbonio nelle centrali elettriche e la tecnologia DAC per rimuovere la CO2 dall'atmosfera.

Gli esperti affermano che è necessario limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C sopra i livelli preindustriali per mitigare gli impatti peggiori del cambiamento climatico. Biden ha affermato che gli Stati Uniti ora comprendono la sfida che li attende e possono aiutare a raggiungere tale obiettivo. "Stiamo pianificando sia uno sprint a breve termine fino al 2030 che manterrà gli 1,5 °C a portata di mano, sia una maratona che ci porterà al traguardo e trasformerà la più grande economia del mondo in una fiorente economia innovativa, equa e giusta, motore di energia pulita". Il piano di decarbonizzazione a lungo termine emesso dalla Casa Bianca si baserà su cinque strategie, tra cui la decarbonizzazione del settore elettrico entro il 2035, l'aumento dell'efficienza e l'elettrificazione degli edifici e dei trasporti. Altri approcci includono la riduzione delle emissioni di metano attraverso il rilevamento delle perdite e la riparazione dei sistemi di petrolio e gas e lo sviluppo delle tecnologie per rimuovere il carbonio dall'atmosfera. L'amministrazione Biden ha fissato l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra in tutta l'economia del 50-52% entro il 2030. Il piano, tuttavia, dipende dall'approvazione dell'agenda di Biden da parte di un Congresso diviso. Giovedì scorso, la Casa Bianca e i Democratici sembravano aver raggiunto un accordo su un quadro di bilancio di 1,85 trilioni di US$, che include 550 miliardi per programmi per l'energia pulita e il clima nel prossimo decennio. Non è chiaro, tuttavia, se il senatore Joe Manchin sosterrà il piano e i democratici non possano permettersi di perdere voti al Senato. Continua Biden dicendo che l'accordo sulle infrastrutture e il quadro Build Back Better "ci metteranno su un percorso decisivo per raggiungere i nostri obiettivi climatici. Abbiamo e continueremo a utilizzare ogni agenzia e ogni strumento a nostra disposizione per organizzare una risposta climatica che non sia di sacrificio, ma di opportunità e possibilità". Nella figura seguente è riportato il profilo previsto dagli Stati Uniti per la decarbonizzazione al 2050. Il presidente Biden ha anche annunciato al vertice che gli Stati Uniti inizieranno a fornire 3 miliardi di US$ all'anno, entro il 2024, per aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Secondo l'inviato speciale degli Stati Uniti per il clima John Kerry, “il mondo è sempre più concentrato sul mantenimento del limite di 1,5 °C sull'aumento della temperatura. Circa il 65% del PIL globale è ora impegnato su questo obiettivo. A gennaio c'erano solo due o tre entità sulla buona strada per cercare di mantenere gli 1,5 °C. Ora abbiamo più della metà del G20 e dei paesi di tutto il mondo che sono venuti al tavolo per aumentare le loro ambizioni".

Per gli Stati Uniti, il piano di Biden include un'iniziativa dell'intero governo che accelererà i finanziamenti per la mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso "fondi di adattamento multilaterali e bilaterali" e lo sviluppo di "investimenti bancabili" per mobilitare capitali privati. L'obiettivo è mobilitare $ 100 miliardi all'anno per i finanziamenti per il clima, ha detto Biden ai leader mondiali.

Intervenendo questa mattina sulla questione delle foreste all'evento Action on Forests & Land-use,  il Presidente Biden ha confermato l’impegno di conservare il potenziale per assorbire oltre un terzo del carbonio a livello globale e di affrontare questo problema con lo stesso obiettivo negli Stati Uniti. Abbiamo già superato, dice, la sfida di oltre 20 milioni di ettari di terreni forestali in recupero e faremo almeno il 30% di tutte le risorse entro il 2030, ivi compresa, in Alaska, la più grande foresta pluviale temperata del mondo. Oggi Biden ha annunciato un nuovo piano Global Forest che raccoglierà una gamma completa di strumenti diplomatici finanziari e politici per ripristinare i pozzi critici di carbonio e migliorare la gestione del territorio: "Con questo piano gli Stati Uniti aiuteranno il mondo a raggiungere questo obiettivo condiviso e ripristinare almeno altri 200 milioni di ettari di foresta e altri ecosistemi entro il 2030, distribuendo fino a nove miliardi di dollari… Lavoreremo per garantire che i mercati riconoscano il valore economico della tassa sul carbonio naturale e motivino i proprietari terrieri e gli organi di controllo e conservazione del clima, per la creazione di una catena di approvvigionamento sostenibile, il  perseguimento di materie prime più sostenibili … come parte della strategia net zero degli Stati Uniti. Così intendiamo guidare con l'esempio e sostenere altre nazioni e i paesi in via di sviluppo a studiare e immagazzinare le emissioni di carbonio…".

La giornata ha portato, durante questo evento, ad alcune grandi novità sul salvataggio e il ripristino delle foreste, poiché 110 nazioni, che ospitano l'85% delle foreste mondiali, hanno firmato una dichiarazione per fermare e invertire la distruzione di foreste e territori. Si tratta di venti miliardi di dollari mobilitati per porre fine alla deforestazione entro il 2030.  Affrontare il cambiamento climatico non può essere fatto senza porre fine alla perdita di foreste che sono i polmoni del pianeta, secondo il primo ministro Boris Johnson che ha esortato i leader dicendo: "Mettiamo fine a questo grande massacro" .Allo stesso evento ha nuovamente preso la parola il Principe di Galles Carlo d'Inghilterra, che si dice abbia convinto nella notte il Presidente di Amazon, Jeff Bezos a raddoppiare il suo sforzo finanziario. Per questo è stato di grande importanza il suo intervento di oggi nello stesso evento,  per capire il ruolo che si riservano le grandi multinazionali nella lotta al cambiamento climatico. Dice Bezos: "La natura fornisce tutto il cibo che mangiamo l'acqua che beviamo e l'ossigeno che respiriamo ci dà la vita, ma è anche fragile.  Mi hanno criticato a luglio per essere andato nello spazio...  Non ero preparato a vedere da là fuori l'atmosfera che sembra così sottile, il mondo così finito e così fragile.  Quello che tutti sappiamo è che inizia il decennio decisivo in cui dobbiamo stare tutti insieme per proteggere il nostro mondo, un motivo potente per investire nella natura. Ogni anno le foreste e i territori assorbono 11 MtCO2 dall'atmosfera contribuendo a rallentare il cambiamento climatico. Mentre distruggiamo la natura invertiamo questo processo, abbattiamo le foreste, distruggiamo le mangrovie, pavimentiamo le praterie e invece di sequestrare il carbonio lo emettiamo... Ecco perché con 9 organizzazione filantropiche abbiamo annunciato altri 5 miliardi di dollari per sostenere l'obiettivo del recupero ambientale del 30% di tutta la Terra e del mare entro il 2030. Con un miliardo ho istituito il fondo Bezos Earth e sono lieto di annunciare un impegno di due miliardi di dollari di Amazon per ripristinare la natura e trasformare i sistemi alimentari... Oggi 2/3 della terra in Africa è degradata ma  il ripristino può migliorare la fertilità del suolo, aumentare i raccolti, migliorare la sicurezza alimentare, rendere l'acqua più affidabile, creare posti di lavoro e stimolare la crescita economica... Tuttavia non possiamo fare affidamento solo sulle NGO per risolvere la crisi climatica. Anche il settore privato sta facendo la sua parte per ridurre le emissioni di carbonio di cui le aziende hanno bisogno per assumere posizioni di leadership. Perciò Amazon si pone  l'obiettivo di raggiungere il net zero carbon entro il 2040...  Noi possiamo invertire il trend del degrado. Lavoreremo insieme in questa Conferenza e faremo il duro lavoro insieme? è un debito verso  i nostri figli e nipoti. So che la risposta è sì e non vedo l'ora di lavorare con tutti voi in questo viaggio importante e gratificante. Grazie mille per aver alzato l'asticella". Ha dichiarato anche  che Amazon si impegna per 10 miliardi di US$ per accelerare l'adozione di fonti di energia rinnovabile in Africa.

Questa fase del summit dei leader si conclude con la pubblicazione della Glasgow Leaders’ Declaration on Forests and Land use la cui sostanza dice "We therefore commit to working collectively to halt and reverse forest loss and land degradation by 2030 while delivering sustainable development and promoting an inclusive rural transformation".  Il Brasile di Bolsonaro, incredibilmente, ha firmato. Un'alleanza di governi e finanziatori privati ​​si è impegnata a fornire 1,7 miliardi di US$ per aiutare le popolazioni indigene a promuovere i loro diritti alla terra entro il 2025, in riconoscimento del loro ruolo fondamentale nella conservazione delle foreste. Dodici paesi donatori hanno promesso un totale di 12 miliardi di US$ in fondi pubblici, con un cofinanziamento privato per 7,2 miliardi. Regno Unito, Norvegia, Germania, Stati Uniti e Paesi Bassi, insieme a 17 organizzazioni private e filantropiche, hanno stanziato il citato fondo di 1,7 miliardi di US$ per le comunità indigene e locali per aiutarle a preservare le foreste, con la promessa di includerli nel processo decisionale e nella progettazione di programmi climatici e strumenti finanziari. In una dichiarazione, il gruppo si è impegnato a “Riconoscere e promuovere il ruolo dei popoli indigeni e delle comunità locali come custodi delle foreste e della natura” di fronte a “casi crescenti di minacce, molestie e violenza contro di loro”.

Le buone notizie sono continuate in giornata con la comunicazione che decine di paesi, non è del tutto chiaro quanti, ma sicuramente oltre 80 e molto vicino a 100, hanno firmato un impegno a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. è stato sottoscritto un documento preparato a settembre da EU ed USA: il Global Methane Pledge. Cina, India, Australia e Russia non hanno voluto dare il consenso. L'annuncio è arrivato da Ursula von der Leyen dell'UE e dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Nell'attesa dell'annuncio, l'inviato speciale per il clima John Kerry si è dato da fare per riempire il tempo con alcune osservazioni a braccio ai negoziatori riuniti, tra cui possibili buone notizie dal Giappone, che si impegna per 10 miliardi di US$ in cinque anni per il finanziamento climatico. Ciò significa che l'obiettivo di Copenhagen di 100 miliardi di dollari potrebbe essere raggiunto l'anno prossimo. Ci sono stati anche nuovi impegni finanziari da parte di paesi come Spagna e Svizzera. L'Italia si era impegnata al G20 di Roma. La Scozia ha promesso un milione di sterline per sostenere i paesi in via di sviluppo che subiscono perdite e danni dagli impatti climatici oltre ciò a cui possono adattarsi. Si tratta del primo impegno di questo genere.  Il presidente Buhari ha impegnato la Nigeria al net-zero entro il 2060, nonostante qualche dubbio sulle risorse. Il Kenya punta più in alto segnalando che la nuova strategia a lungo termine del Paese includerà l'obiettivo di raggiungere il net-zero entro il 2050, in attesa del supporto finanziario e tecnologico internazionale. Un gruppo di paesi che rappresentano il 32% della produzione mondiale di acciaio, tra cui Regno Unito, UE, Stati Uniti, Canada, Egitto, Israele, Marocco, Corea, Turchia, Giappone, Australia e India, hanno concordato di raggiungere emissioni prossime allo zero entro il 2030. L'accordo è il risultato di un intenso lavoro diplomatico da parte del Regno Unito ed è la prima volta che la decarbonizzazione del settore è stata discussa in modo approfondito in una COP. Sul carbone ci sono 8,5 miliardi US$ da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania per sostenere la transizione del Sudafrica verso l'energia pulita, compresa la creazione di buoni posti di lavoro alternativi nelle regioni minerarie. Panama ha affermato di aver formato una coalizione di paesi carbon negative con Bhutan e Suriname per facilitare il trasferimento globale di conoscenze e migliori pratiche per raggiungere e mantenere questo status. In un NDC aggiornato, l'Argentina si è impegnata a non superare l'emissione netta di 349 MtCO2eq nel 2030. Il suo NDC di dicembre 2020 riferiva un obiettivo di 359 MtCO2eq. Le sue attuali emissioni di gas serra sono di circa 365 MtCO2eq.

Ora i leader se ne vanno e comincia il negoziato. Boris Johnson conclude la due giorni dei leader con una conferenza stampa che è sembrata meno euforica, almeno un po', del discorso di apertura. Per concludere questi due primi giorni della COP 26 possiamo dire che si sta cercando di sfruttare questo slancio nel negoziato che comincia. I negoziatori devono lavorare per mettere a frutto un rinnovato spirito di solidarietà. I paesi sviluppati dovrebbero presentare dettagli sui loro impegni finanziari aggiuntivi per rispettare l'impegno annuale di 100 miliardi di US$, compreso il colmare eventuali carenze, e concordare il processo per stabilire il prossimo obiettivo del sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo. I principali responsabili delle emissioni con piani per il clima per il 2030 insufficienti dovrebbero accettare di tornare al tavolo con piani per il clima più forti entro il 2023. Al di fuori dei negoziati, paesi, imprese, investitori e altri attori dovrebbero sostenere le loro promesse con azioni, risorse finanziarie e senso di responsabilità.

TORNA SU

 

Lunedì 1 Novembre 2021. Parlano i leader per alzare i livelli di ambizione. Xi Jinping e Putin sono rimasti a casa in un clima di crescente tensione con Biden

Questi primi due giorni sono stati programmati per raccogliere nuove e più alte ambizioni da parte dei capi di stato e di governo che sono venuti a Glasgow in 120. Ma, come abbiamo visto al G20, quelli di loro che contano di più non si sono spostati di un millimetro dai livelli di ambizione dichiarati in precedenza. Is up to you, ha detto il Segretario generale dell'ONU Guterres, in un intervento dai toni severi, dopo essersene andato da Roma piuttosto contrariato. La partita in gioco è la decarbonizzazione al 2050 con metà del percorso da fare al 2030.  Lo dicono gli studi di ogni fonte, senza che più nessuno si azzardi sui sentieri del negazionismo. Del 2030 e del phase out del carbone, che qualcuno aveva visto nelle bozze preparatorie, non c'è traccia nel documento finale del G20. Purtroppo il processo di Parigi è su base volontaria. A Glasgow si finirà di metterlo a punto. Ma l'ambizione è un'altra cosa, che per ora non si vede. Gli interventi di oggi, a parte le belle perorazioni, non portano novità. Per questa strada al 2030, invece di una riduzione del 45% delle emissioni avremo un aumento del 16%. Che si tratti, come dice Greta, del solito bla-bla?

Alok Sharma, il Presidente della COP, ha detto: "Non aspettatevi dalla COP 26 la silver bullet per il clima. Le aspettative irrealistiche per il processo COP, in gran parte volontario, non sono utili, perché non ci sono modi per far rispettare le promesse e gli accordi sul clima, o imporre sanzioni per la loro violazione. Certamente non otterremo una risposta o un risultato che risolverà il cambiamento climatico per noi in questo COP o in qualsiasi COP. Quello che abbiamo è quello che i paesi hanno deciso. Quindi l'unico modo in cui possiamo spingere l'ambizione, per spingere il mondo, è che ognuno di noi spinga i propri governi a impegnarsi a fare di più. Noi, come società civile, abbiamo un ruolo enorme da svolgere nello spingere i nostri governi a fare meglio e nel cercare di contrastare l'influenza dei grandi interessi acquisiti che spingono in altre direzioni. Sta ai paesi essere il più ambiziosi possibile e portare con sé gli altri paesi per mostrare la stessa ambizione. In particolare i paesi che hanno storicamente contribuito al problema devono mostrare la dovuta responsabilità. Questo è il tipo di gioco che si può fare in questo momento".

I leader di Cina e Russia non ci sono. In linea con quanto dichiarato da Joe Biden al G20 di Roma, aumentano le tensioni con Cina e Russia e anche in questo contesto potrebbe essere interpretata l'assenza di Vladimir Putin e Xi Jinping da Glasgow. Per molti anni, la Russia non ha preso sul serio il cambiamento climatico. Ad un certo punto, Mosca celebrava l'aumento delle temperature perché ha aperto nuove rotte marittime nell'Oceano Artico. Poco più di un decennio fa, la Cina si è fortemente opposta alla riduzione delle emissioni causate dalla sua crescita economica in forte espansione alimentata dal carbone, puntando il dito sulle responsabilità delle nazioni sviluppate. Le cose sono cambiate. Ora sia la Cina che la Russia riconoscono la sfida climatica e stanno elaborando strategie per affrontarla, sebbene in modi che soddisfano il loro interesse nazionale immediato. La Cina, in particolare, ha sofferto di un inquinamento atmosferico mai visto nel mondo occidentale. Ora è di gran lunga il leader mondiale nell'energia solare con 254 GW seguita dagli Stati Uniti con 75 GW. Le installazioni di energia eolica in Cina erano più del triplo di quelle di qualsiasi altro paese nel 2020. Si prevede inoltre che la Cina produrrà batterie per auto con una capacità doppia rispetto a quelle prodotte dal resto del mondo insieme. Ma la Cina non è sulla stessa linea per quanto riguarda l'eliminazione graduale del carbone. Nemmeno la Russia. Se ne parlerà a metà secolo, hanno fatto sapere. Prima della COP 26 Xi Jinping ha affermato che il suo Paese raggiungerà il picco delle emissioni prima del 2030, per poi diminuire e raggiungere la neutralità carbonica prima del 2060. Ma  non ha detto esattamente come saranno raggiunti questi obiettivi. Il mese scorso, Putin ha affermato che è impossibile negare il cambiamento climatico. Nel suo discorso annuale sullo stato della nazione ad aprile, ha dichiarato che le emissioni nette totali di gas serra della Russia saranno inferiori a quelle dell'UE nei prossimi 30 anni. Ha impegnato la Russia a raggiungere zero emissioni di carbonio entro il 2060. Ancora una volta, non sono disponibili dettagli. Putin afferma che le foreste russe faranno la maggior parte del lavoro, il che è discutibile nella migliore delle ipotesi. L'interesse della Russia è continuare a vendere il suo petrolio e il suo gas, in particolare all'Europa, il suo miglior cliente, il più a lungo possibile. La Russia, tuttavia, deve allinearsi con l'UE se vuole evitare complicazioni. La prevista tariffa doganale dell'UE sulle merci inquinanti è una seria minaccia per l'economia russa e potrebbe infliggere più danni alla Russia delle sanzioni imposte a Mosca dopo l'annessione della Crimea.

Oggi e domani essendo il cosiddetto vertice del leader mondiale della COP 26, molti leader nazionali faranno discorsi.

Il primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson, ha paragonato il cambiamento climatico a un preludio del giorno del giudizio che c'è urgente bisogno di disinnescare. Tuttavia, il discorso di Johnson è stato pieno del suo solito ottimismo, con il verbo possiamo ripetuto ossessivamente. Come il principe Carlo, che in particolare ha sottolineato i potenziali positivi dei mercati, della finanza privata e della tecnologia. Il governo del Regno Unito ha annunciato oggi che darà una parte del denaro ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a implementare tecnologie verdi e sostenibili. L'impegno è di 3 miliardi di sterline nei prossimi cinque anni, il doppio di quanto ha dato il governo nel periodo 2017-2021. All'inizio di quest'anno, però' il governo del Regno Unito ha tagliato il budget per gli aiuti all'estero dallo 0,7% del PIL, lo storico obiettivo della cooperazione internazionale (ODA), allo 0,5%, infrangendo un impegno pubblicamente assunto. Ciò equivale a un taglio di circa 4 miliardi di sterline all'anno. Quindi, mentre questo nuovo impegno di 3 miliardi di sterline in cinque anni è in un certo senso un miglioramento, sta accadendo nel contesto di un taglio significativamente più grande degli aiuti internazionali. tanto per confermarsi il più brillante, Johnson ha scomodato James Bond, uno scozzese di chiara fama nell'interpretazione originale. "Siamo più o meno nella stessa posizione, miei colleghi leader globali: di fronte al problema di disinnescare una bomba che provocherebbe la fine del mondo, siamo qui a chiederci quale filo tagliare quale filo tagliare".

Il Principe Carlo, ambientalista di lungo corso, parlando prima degli altri leader in sostituzione della Regina Elisabetta, ammalata, chiama alla responsabilità tutti i presenti perché, dice, non abbiamo più tempo. Non si potrà procedere da soli, dice, e nemmeno solo con i governi e la società civile. è ormai indispensabile la partecipazione attiva e massiva del settore privato e del settore finanziario. “La portata della minaccia che affrontiamo richiede una risposta globale. Una soluzione a livello di sistema basata sulla trasformazione radicale della nostra attuale economia basata sui combustibili fossili in un'economia realmente rinnovabile e sostenibile. Quindi, signore e signori, il mio appello oggi è che i paesi si uniscano per creare l'ambiente che consenta a ogni settore dell'industria di agire". Dopo di lui ha preso la parola Sir David Attenborough, che s ha lanciato un messaggio potente avvertendo che ora è il momento di agire. Sir David ha detto: "È così che la nostra storia dovrebbe finire? Forse il fatto che le persone più colpite dal cambiamento climatico non siano più una generazione immaginaria futura, ma i giovani vivi oggi, forse questo ci darà l'impulso di cui abbiamo bisogno per riscrivere la nostra storia, per trasformare questa tragedia in un trionfo. Ora capiamo questo problema, sappiamo come fermare i numeri che aumentano e invertire la rotta".

Probabilmente il contributo più drammatico finora di oggi è venuto da Narendra Modi dell'India. Il paese non ha presentato un piano sulle emissioni prima della COP 26, ma il fatto che Modi sia presente di persona suggerisce che ha qualcosa in mente. Modi è venuto per annunciare che l'India punterà a zero emissioni nette entro il 2070. Cioè due decenni dopo la scadenza del 2050 a cui mira il vertice, ma è comunque un progresso. Ciò che farà l'India avrà un'importanza enorme, perché è uno dei maggiori emettitori di gas serra al mondo: il terzo o il quarto, se si considera l'Unione europea come un unico emettitore. Molto importante è l'impegno dichiarato da Modi per cui l'India, al 2050, produrrà metà della sua energia elettrica mediante fonti rinnovabili.

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen,  si presenta a Glasgow forte del prestigio del suo Green Deal e del sistema di recovery post-covid Next Generation EU. "Tutti noi vogliamo essere dalla parte giusta della storia e per questo chiedo a tutti di fare il necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C... L'Europa non risparmierà alcuno sforzo per diventare il primo continente a neutralità carbonica ma a questa COP 26 dobbiamo tutti accelerare la nostra corsa verso net zero perché il tempo sta per finire. In primo luogo serve un forte impegno da parte di tutti a ridurre le emissioni entro il 2030. Net zero entro il 2050 va bene ma non e' sufficiente. Servono azioni concrete in questa decade e per noi questo significa un -55% di emissioni almeno. In secondo luogo i mercati globali delle emissioni di C02 devono diventare una realtà. Mettiamo un prezzo al carbonio, la natura non può più pagare quel prezzo. In terzo luogo dobbiamo mobilizzare la finanza per la transizione climatica per supportare i paesi vulnerabili a compiere un balzo in avanti verso una crescita a energia pulita. L'Unione europea contribuirà pienamente per raggiungere gli obiettivi di adattamento. Con circa 27 miliardi di US$ nel 2020, siamo già il maggiore fornitore di finanziamento per la transizione climatica e ci impegniamo a stanziare altri 5 miliardi di US$ fino al 2027 dal budget EU e raddoppieremo i fondi per la biodiversità soprattutto nei paesi vulnerabili. Infine innovazione e tecnologie sono disponibili, ora dobbiamo metterle in campo. Dobbiamo fare di questo COP 26 un successo, lo dobbiamo ai nostri figli".

Il sempre più autorevole Mario Draghi ha tenuto un intervento oggi, seguito a fine giornata da una conferenza stampa: “Il cambiamento climatico ha gravi ripercussioni sulla pace e la sicurezza globali. Può esaurire le risorse naturali e aggravare le tensioni sociali. Può portare a nuovi flussi migratori e contribuire al terrorismo e alla criminalità organizzata. Il cambiamento climatico può dividerci... Al vertice dello scorso fine settimana a Roma, gli Stati membri del G20 (in gran parte per merito del premier indiano, dirà poi) hanno concordato che dobbiamo limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C - è stata la prima volta - e si sono impegnati a raggiungere emissioni nette pari a zero entro o attorno alla metà del secolo. Abbiamo deciso di intensificare le nostre azioni a partire da questo decennio, migliorare i nostri contributi nazionali determinati e interrompere il finanziamento pubblico internazionale del carbone entro la fine del 2021. Ora, qui alla COP 26 dobbiamo andare oltre, molto più di quanto abbiamo fatto al G20... Dobbiamo rafforzare i nostri sforzi nel campo dei finanziamenti per il clima. Dobbiamo far lavorare insieme il settore pubblico e quello privato, in modi nuovi. Il Principe Carlo ci ha appena fornito una roadmap. Il Primo Ministro Johnson ha evidenziato quanto denaro disponibile ci sia: parliamo di decine di migliaia di miliardi di dollari. Ma ora dobbiamo utilizzarli. Ora dobbiamo trovare modi intelligenti per spenderli, e spenderli velocemente. Abbiamo bisogno, innanzitutto, che tutte le banche multilaterali di sviluppo - e soprattutto la Banca Mondiale - condividano con il settore privato quei rischi che esso non può sostenere da solo. E i nostri giovani devono essere al centro di questo processo...  Le generazioni future ci giudicheranno per ciò che otteniamo o che non riusciamo a raggiungere. Dobbiamo coinvolgerli, ascoltarli e, soprattutto, imparare da loro". In chiusura della conferenza stampa il ministro Cingolani ci ha spiegato come si fa la transizione, dato che con le fonti rinnovabili, lui dice, non è possibile. Occorrono "tecnologie nuove per andare più veloci, altrimenti è difficile riuscire negli obiettivi con le tecnologie attuali. Inutile pensare di farcela nel 2050 con le tecnologie attuali". Nuove tecnologie che sarebbero CCS, cattura e sequestro, DAC, assorbimento diretto, riforestazione. La trascrizione della conferenza stampa, comprese domande e risposte, è disponibile sul sito del governo.

Tra gli interventi di oggi merita una citazione l'accorato appello del primo ministro di Barbados Mia Mottley, poche settimane prima che il paese recida i suoi legami con la regina Elisabetta come sovrana. Mottley ha parlato con passione dei rischi che i paesi caraibici come il suo stanno affrontando con l'aumento globale delle temperature. Rivolgendosi ai leader mondiali, li ha esortati a sforzarsi di più quando prendono decisioni per evitare il cambiamento climatico. 1,5 °C è ciò di cui abbiamo bisogno per rimanere in vita - due gradi è una condanna a morte per la gente di Antigua e Barbuda, per la gente delle Maldive, per la gente di Dominica e Fiji, per la gente di Kenya e Mozambico - e sì, per la gente di Samoa e Barbados. Non vogliamo quella terribile condanna a morte e siamo venuti qui oggi per dire "fate di più, fate di più". Perché la nostra gente, tutti coloro che combattono per il clima, il mondo, il pianeta, hanno bisogno della nostra azione ora, non l'anno prossimo, non nel prossimo decennio.

TORNA SU

 

Domenica 31 ottobre 2021. Gli interventi di apertura della COP 26. La Gran Bretagna autorizza nuove trivellazioni nel Mare del Nord

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha visto oggi l'apertura procedurale, per consentire un rapido avvio dei lavori, con gli obiettivi chiave di aumentare l'ambizione su tutti i fronti e finalizzare le linee guida di attuazione dell'accordo di Parigi a seguito di una serie di rapporti e studi che avvertono della necessità di un'azione urgente per mantenere a portata di mano l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare l'aumento della temperatura media globale a 1,5 °C.

Forti piogge hanno colpito Glasgow il primo giorno della COP26 e un albero caduto ha bloccato le linee ferroviarie provenienti da Londra, costringendo alcuni delegati a prendere voli last minute o noleggiare auto. Altri hanno faticato a padroneggiare le app telefoniche che regolano un regime quotidiano di test del coronavirus per i partecipanti, alcuni dei quali si sono presentati nel luogo di uno dei primi grandi raduni internazionali dall'inizio della pandemia con i test. negativi in mano. "Questa non è una Conferenza normale", ha ammesso Alok Sharma, il Presidente della COP 26. Ma il più grande ostacolo alla COP 26 potrebbe essere il risultato della riunione del G20 delle principali economie a Roma nel fine settimana, dove i leader hanno sostenuto un limite di 1,5 °C sull'aumento della temperatura globale, ma hanno offerto pochi nuovi impegni concreti per raggiungere questo obiettivo. La Gran Bretagna, come padrone di casa della COP 26, terrà la scena nelle prossime due settimane. È a dir poco un peccato che, mentre il premier Johnson batte la grancassa affinché i paesi agiscano con maggiore ambizione per il contenimento delle emissioni, il suo stesso governo proceda allegramente con l'autorizzazione di nuovi giacimenti petroliferi nel Mare del Nord. È proprio questo tipo di divario tra retorica e azione che deve essere affrontato a Glasgow, se si vuole che la conferenza sia considerata un successo. Non c'è più spazio di manovra. Ciò che è stato fatto e non fatto in questo decennio determinerà il destino delle generazioni future. Certamente non le chiacchiere, per dirla con Greta.

"Siamo estremamente grati al governo del Regno Unito per aver ospitato questa conferenza di importanza cruciale in questi tempi senza precedenti e per aver compiuto ogni sforzo per mantenere tutti i partecipanti sani e salvi", ha affermato volenterosamente Patricia Espinosa, segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico. “La devastante perdita di vite e mezzi di sussistenza quest'anno a causa di eventi meteorologici estremi chiarisce quanto sia importante convocare la COP 26 nonostante gli impatti della pandemia si facciano ancora sentire. Siamo sulla strada per un aumento della temperatura globale a fine secolo di 2,7 °C, mentre dovremmo puntare all'obiettivo di 1,5 °C. Chiaramente, siamo in un'emergenza climatica. Chiaramente, dobbiamo affrontarlo. Chiaramente, dobbiamo sostenere i paesi più vulnerabili per farvi fronte. Per farlo con successo, ora è fondamentale una maggiore ambizione. Non abbiamo altra scelta che fare della COP 26 un successo. Per questo abbiamo bisogno di unità di intenti. Dobbiamo lasciare Glasgow con un pacchetto di decisioni equilibrato che rifletta le posizioni di tutti i paesi. Con la volontà di scendere a compromessi tra le molte prospettive possiamo arrivare a soluzioni praticabili e ambiziose che ci aiuteranno a mantenere l'obiettivo 1,5 °C a portata di mano. Siamo pronti a lavorare con tutte le parti e a non lasciare alcuna voce indietro per raggiungere questo importante obiettivo".

È effettivamente necessaria una maggiore ambizione per ottenere progressi su tutti gli elementi dell'agenda sui cambiamenti climatici, compresa la riduzione delle emissioni, l'adattamento da porre al centro dell'agenda, la gestione delle perdite e dei danni causati da eventi climatici estremi e l'aumento del sostegno ai paesi in via di sviluppo. Una questione centrale è la fornitura di sostegno ai paesi in via di sviluppo, soprattutto in relazione all'obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari (GUS$) all'anno entro il 2020. Il sostegno finanziario è cruciale per tutti gli elementi del regime del cambiamento climatico, compresa la mitigazione, ma anche in termini di adattamento, capacitazione, trasferimento tecnologico e molti altri elementi. Molte parti, in particolare i paesi in via di sviluppo, ritengono che, per avanzare verso la piena attuazione dell'Accordo di Parigi, debbano essere prima onorati gli impegni che l'hanno preceduto. La finalizzazione delle linee guida di attuazione dell'accordo di Parigi consentirà la piena attuazione di tutte le disposizioni, che favoriranno azioni climatiche più ambiziose da parte di tutte le parti. In particolare, le linee guida in sospeso riguardano i dettagli relativi all'obiettivo globale sull'adattamento, come segnalare l'azione e il sostegno per il clima in modo trasparente e l'uso di meccanismi basati sul mercato e approcci non di mercato.

Essendo stata posticipata di un anno a causa del COVID-19 e dovendo affrontare i punti della COP 25 tenutasi nel 2019, la COP26 ha un'agenda enorme al di là degli obiettivi chiave. Rivolgendosi alla conferenza successiva alla sua elezione, il presidente della COP, Alok Sharma, ha ringraziato i delegati per essersi recati a Glasgow e ha sottolineato l'urgente necessità di azione: "Come presidente della COP mi impegno a promuovere la trasparenza e l'inclusione. E guiderò questa conferenza in conformità con la bozza del regolamento interno e con il massimo rispetto per la natura partitica del nostro processo. In questo spirito credo che possiamo risolvere le questioni in sospeso. Possiamo portare avanti i negoziati. Possiamo lanciare un decennio di ambizioni e azioni sempre crescenti. Insieme, possiamo cogliere le enormi opportunità per una crescita green, per buoni posti di lavoro verdi, per energia più economica e più pulita. Ma noi dobbiamo partire subito per sviluppare le soluzioni di cui abbiamo bisogno. E quel lavoro inizia oggi. Avremo successo, o falliremo, tutti insieme".

TORNA SU

31 Ottobre 2021, ore 19:00. Primer sulla COP 26: Il testo del documento finale del G20 di Roma per la questione climatica: tutto come prima

In 20 pagine si estende la Leaders declaration del G20. In fatto di lotta al cambiamento climatico il testo recita:

2. ... abbiamo concordato su una visione condivisa per combattere il cambiamento climatico ...

9. Sviluppo sostenibile. ...  Riaffermiamo il nostro impegno ad una risposta globale per accelerare i progressi nell'attuazione degli SDG e per sostenere una
ripresa inclusiva e resiliente in tutto il mondo, in grado di promuovere l'equità e accelerare i progressi su tutti gli SDG, riconoscendo l'importanza delle strategie nazionali, della localizzazione degli SDG, della  responsabilizzazione delle donne e dei giovani, della produzione sostenibile e dei modelli di consumo responsabili, dell'energia a prezzi accessibili, sostenibile e moderna per tutti. Rafforzeremo le nostre azioni per attuare il Piano d'azione sull'Agenda 2030 del G20 ...

10. Sostegno ai paesi vulnerabili. Accogliamo con favore la nuova assegnazione generale di diritti speciali di prelievo (DSP), attuata dal Fondo monetario internazionale (FMI) il 23 agosto 2021, che ha reso disponibile l'equivalente di 650 miliardi di dollari in riserve aggiuntive a livello globale ... Accogliamo con favore i recenti impegni del valore di circa 45 miliardi di dollari, come passo verso un'ambizione globale totale di 100 miliardi di dollari di contributi volontari per i paesi più bisognosi ...

21. Energia e clima. Rispondendo all'appello della comunità scientifica, rilevando con preoccupazione i recenti rapporti dell'IPCC e consapevoli del nostro ruolo di leadership, ci impegniamo ad affrontare le criticità e le minacce urgenti del cambiamento climatico e lavorare insieme per raggiungere un successo alla COP 26 . A tal fine, riaffermiamo il nostro impegno per la piena ed efficace attuazione dell'Accordo di Parigi, agendo attraverso mitigazione, adattamento e finanziamento durante questo decennio critico, sulla base delle migliori conoscenze scientifiche disponibili, che riflettono il principio di responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali. Rimaniamo impegnati nell'obiettivo dell'Accordo di Parigi di mantenere la media globale dell'aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 °C e proseguire gli sforzi per limitarla a 1,5 °C al di sopra dei livelli dell'era preindustriale, anche come mezzo per consentire il raggiungimento dell'Agenda 2030.

22. Riconosciamo che gli impatti del cambiamento climatico a 1,5 °C sono molto inferiori rispetto ai 2°C. Mantenere gli 1,5 °C a portata richiede azioni e impegni significativi ed efficaci da parte di tutti i paesi, tenendo conto dei diversi approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che  allineino le ambizioni a lungo termine con gli obiettivi a breve e medio termine e con la cooperazione internazionale e il sostegno, compresa la finanza e la tecnologia, il consumo e la produzione sostenibili e responsabili, come fattori abilitanti critici, nel contesto dello sviluppo sostenibile. Attendiamo con impazienza una COP 26 di successo.

23. In questo sforzo, informati dalle valutazioni dell'IPCC, accelereremo le nostre azioni di mitigazione, adattamento e finanza, riconoscendo l'importanza fondamentale del raggiungimento dello zero netto globale delle emissioni di gas a effetto serra o neutralità del carbonio entro o circa entro la metà del secolo, e la necessità di rafforzare gli sforzi globali necessari per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Di conseguenza, riconoscendo che i membri del G20 possono contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni globali di gas serra, ci impegniamo, in linea con gli ultimi sviluppi scientifici e con le circostanze nazionali, a intraprendere ulteriori azioni in questo decennio e a  formulare, implementare, aggiornare e migliorare, ove necessario, i nostri NDC al 2030, e formulare Strategie a lungo termine (LTS) che stabiliscano percorsi chiari e prevedibili, coerenti con il raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni antropiche e l'eliminazione da parte dei pozzi entro la metà del secolo o intorno alla metà del secolo, tenendo conto dei diversi approcci, tra cui l'economia circolare del carbonio, gli sviluppi socioeconomici, economici, tecnologici e di mercato e la promozione delle soluzioni più efficienti. Riconosciamo gli sforzi compiuti fino ad oggi, compreso lo zero netto e la neutralità del carbonio e gli impegni e nuovi e ambiziosi NDC e LTS, da parte dei membri del G20 e di quelli attesi alla COP 26.

24. Forniremo piani nazionali di recupero e resilienza che allocano, secondo le circostanze nazionali, una quota ambiziosa delle risorse finanziarie per mitigare e adattarsi al clima ed evitare minacce al clima e all'ambiente. Riconosciamo il Sustainable Recovery Tracker sviluppato in collaborazione con l'IEA, incoraggiandone l'aggiornamento. Al fine di sviluppare il pieno potenziale di soluzioni zero, a basse emissioni, innovative, moderne e pulite, collaboreremo per accelerare lo sviluppo e l'implementazione delle soluzioni più efficienti ed efficaci e aiutarli a raggiungere rapidamente la parità dei costi e la redditività commerciale, anche per garantire l'accesso all'energia pulita per tutti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ci impegniamo a potenziare la ricerca pubblica, lo sviluppo e la distribuzione. Aumenteremo la nostra cooperazione per lo sviluppo di capacità rafforzate a livello nazionale e sviluppo e trasferimento di tecnologia a condizioni concordate, anche attraverso iniziative globali chiave e progetti congiunti o bilaterali sulle soluzioni più efficienti in tutti i settori dell'economia.

25. Gli impatti del cambiamento climatico vengono sperimentati in tutto il mondo, in particolare dai più poveri e più vulnerabile. Sottolineiamo l'importanza dell'effettiva attuazione dell'obiettivo globale su adattamento e presenteremo comunicazioni in materia di adattamento. Ci impegniamo inoltre ad aumentare i finanziamenti per l'adattamento, al fine di raggiungere un equilibrio con la fornitura di finanziamenti per la mitigazione e per far fronte alle esigenze di paesi in via di sviluppo, anche facilitando meccanismi, condizioni e procedure di accesso ai fondi disponibili, tenendo conto delle strategie, delle priorità e delle esigenze nazionali. Ricordiamo e riaffermiamo l'impegno assunto dai paesi sviluppati, per l'obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 e annualmente fino al 2025 per rispondere alle esigenze dei paesi in via di sviluppo, nel contesto di significative azioni di mitigazione e trasparenza sull'attuazione e per sottolineare l'importanza di raggiungere questo obiettivo pienamente il prima possibile. A questo proposito accogliamo con favore i nuovi impegni presi da alcuni dei membri del G20 ad aumentare e migliorare ciascuno il proprio contributo per finanziare i fondi fino al 2025 e promuovere nuovi impegni da parte di altri. Notiamo che il Climate Finance Delivery Plan, mostra, in base alle stime dell'OCSE, che l'obiettivo potrà essere soddisfatto entro il 2023. Ricordiamo inoltre che l'Accordo di Parigi mira a rafforzare la risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà e che uno dei suoi obiettivi è rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni GHG e uno sviluppo resiliente al clima. Incoraggiamo le istituzioni finanziarie internazionali, a intensificare gli sforzi per perseguire l'allineamento con l'Accordo di Parigi entro tempi ambiziosi, per sostenere strategie di ripresa e transizioni sostenibili, NDC e  strategie a lungo termine di sviluppo a basse emissioni di gas serra, nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, e definire piani per mobilitare, in linea con i loro mandati, i finanziamenti privati, e l'approvazione interna procedure, continuando a sostenere la realizzazione dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

26. Ci impegniamo a ridurre significativamente le nostre emissioni collettive di gas serra, tenendo conto delle circostanze nazionali e nel rispetto dei nostri NDC. Riconosciamo che le emissioni di metano rappresentano un contributo significativo al cambiamento climatico e riconosciamo, in base alle circostanze nazionali, che la sua riduzione può essere uno dei modi più rapidi, più fattibili e più convenienti per limitare il cambiamento climatico e i suoi effetti. Accogliamo con favore il contributo di varie istituzioni, al riguardo, e prendiamo nota di iniziative specifiche sul metano, tra cui l'istituzione dell'International Methane Emissions Observatory (IMEO). Promuoveremo ulteriormente la cooperazione, per migliorare la raccolta dei dati, la verifica e la misurazione a supporto degli inventari dei gas serra e per fornire dati scientifici di alta qualità.

27. Aumenteremo i nostri sforzi per attuare l'impegno assunto nel 2009 a Pittsburgh di eliminare e razionalizzare, nel medio termine, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che favoriscono gli sprechi e ci impegniamo a raggiungere questo obiettivo, fornendo un sostegno mirato ai più poveri e ai più vulnerabili.

28. Riconosciamo lo stretto legame tra clima ed energia e ci impegniamo a ridurre l'intensità delle emissioni nel settore energetico, nell'ambito degli sforzi di mitigazione,  per rispettare tempi coerenti con l'obiettivo di Parigi della temperatura. Collaboreremo per l'implementazione e la diffusione di tecnologie a emissioni a zero o a basse emissioni di carbonio e rinnovabili, compresa la bioenergia sostenibile, per consentire la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni. Ciò consentirà anche a quei paesi che si impegnano a eliminare gradualmente i nuovi investimenti nella generazione di energia dal carbone senza abbattimenti  per farlo il più presto possibile. Ci impegniamo a mobilitare finanziamenti internazionali pubblici e privati ​​per sostenere lo sviluppo di un'energia green, inclusiva e sostenibile e porremo fine alla erogazione di finanziamenti pubblici internazionali per nuova generazione di energia a carbone senza abbattimento all'estero entro la fine del 2021.

29. Mentre ci stiamo riprendendo dalla crisi, ci impegniamo a mantenere la sicurezza energetica, mentre affrontiamo il cambiamento climatico e garantiamo transizioni giuste e ordinate dei nostri sistemi energetici che garantiscano l'accessibilità economica, anche per le famiglie e le imprese più vulnerabili. In questo sforzo, rimarremo vigili sull'evoluzione dei mercati energetici, tenendo conto delle tendenze nel corso degli anni, e promuoveremo un dialogo intenso. Di conseguenza, il G20 in collaborazione con l'International Energy Forum (IEF) faciliterà un dialogo tra produttori e consumatori per rafforzare efficienza, trasparenza e stabilità dei mercati energetici. Sottolineiamo l'importanza di mantenere flussi di energia ininterrotti da varie fonti, fornitori e provenienze, esplorando percorsi con una maggiore sicurezza energetica e la stabilità dei mercati, promuovendo al contempo l'apertura, la concorrenza e la libertà dei mercati energetici internazionali. Riconosciamo il ruolo della digitalizzazione nel migliorare la sicurezza energetica e la stabilità del mercato attraverso una migliore pianificazione energetica, garantendo nel contempo la sicurezza dei sistemi energetici contro i rischi di attacchi, anche attraverso l'uso doloso delle TIC. Oltre a continuare ad affrontare sfide tradizionali per la sicurezza energetica, siamo consapevoli che le transizioni verso l'energia pulita richiedono un miglioramento della comprensione della sicurezza energetica, integrando aspetti come la quota crescente delle fonti di energia intermittente, la crescente domanda di accumulo di energia, la flessibilità del sistema che modifica i modelli climatici, l'aumento degli eventi meteorologici estremi, lo sviluppo responsabile delle tipologie e delle fonti energetiche, catene di approvvigionamento affidabili di minerali e materiali critici responsabili e sostenibili, nonché dei semiconduttori e delle relative tecnologie.

30. Politiche per la transizione e la finanza sostenibile. ... Siamo d'accordo sull'importanza di un'analisi più sistematica di rischi macroeconomici derivanti dal cambiamento climatico e dei costi e benefici delle diverse transizioni, nonché dell'impatto macroeconomico e distributivo delle strategie di prevenzione dei rischi e delle politiche di mitigazione e adattamento, anche avvalendosi di metodologie consolidate. Noi chiediamo ai diversi filoni di lavoro del G20 ad agire in sinergia, nell'ambito dei rispettivi mandati ed evitando duplicazioni, per informare le nostre discussioni sul mix di politiche più appropriato per passare a economie a basse emissioni di gas serra, tenendo conto delle circostanze nazionali. Tale mix di politiche dovrebbe includere investimenti in infrastrutture sostenibili e tecnologie innovative che promuovono decarbonizzazione ed economia circolare e un'ampia gamma di meccanismi fiscali, di mercato e normativi per sostenere le transizioni verso l'energia pulita, compreso, se del caso, l'uso di meccanismi di tariffazione del carbonio e degli incentivi, fornendo al contempo un sostegno mirato ai più poveri e ai più vulnerabili ...

TORNA SU

31 Ottobre 2021, ore 18:00. Primer sulla COP 26: I contenuti del documento finale del G20 di Roma secondo la Reuters

I leader del Gruppo delle 20 principali economie hanno concordato oggi una dichiarazione finale che ha sollecitato un'azione significativa ed efficace per limitare il riscaldamento globale, ma hanno assunto pochi impegni concreti e ha deluso gli attivisti del clima. Il risultato di giorni di duri negoziati tra i diplomatici lascia un enorme lavoro da fare alla COP 26, dove la maggior parte dei leader del G20 volerà direttamente da Roma. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che venerdì ha avvertito che il mondo sta precipitando a capofitto verso il disastro climatico, ha affermato che il vertice di Roma non ha soddisfatto le sue speranze ma non le ha nemmeno sepolte: "Mentre accolgo con favore il reimpegno del G20 verso soluzioni globali, lascio Roma con le mie speranze insoddisfatte, ma almeno non sono tramontate", ha detto in un tweet. "Avanti alla COP 26 di Glasgow per mantenere vivo l'obiettivo degli 1,5 °C e per attuare le promesse sulla finanza e l'adattamento per le persone e il pianeta". La soglia degli 1,5°C deve essere soddisfatta, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, per evitare una drammatica accelerazione degli eventi climatici estremi come siccità, tempeste e inondazioni, e per raggiungerla, raccomandano di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050. La posta in gioco è enorme, tra cui la sopravvivenza stessa dei paesi bassi, l'impatto sui mezzi di sussistenza economici in tutto il mondo e la stabilità del sistema finanziario globale.

Un autorevole commentatore dice che il G20 ha agito con la responsabilità che ha in quanto comunità dei principali responsabili delle emissioni, ma stiamo vedendo solo mezze misure piuttosto che azioni concrete ed urgenti. Il blocco del G20, che comprende Brasile, Cina, India, Germania e Stati Uniti, rappresenta circa l'80% delle emissioni globali di gas serra. Il documento finale afferma che gli attuali piani nazionali su come ridurre le emissioni dovranno essere rafforzati se necessario (?) e non fa alcun riferimento specifico al 2050 come data per raggiungere le emissioni nette di carbonio zero. “Riconosciamo che gli impatti del cambiamento climatico agli 1,5 °C sono molto inferiori rispetto ai 2 °C. Mantenere 1,5 °C alla portata delle politiche richiederà azioni significative ed efficaci e impegno da parte di tutti i paesi", afferma il comunicato. I leader hanno riconosciuto solo l'importanza chiave di fermare le emissioni nette entro la metà del secolo o intorno alla metà del secolo, una frase che ha rimosso la data del 2050 che sembrava contenute nelle versioni precedenti della dichiarazione finale, frase che  rende l'obiettivo piuttosto indeterminato. La Cina, il più grande emettitore di CO2 al mondo, ha fissato una data obiettivo del 2060 e anche altri grandi inquinatori come India e Russia non si sono impegnati a rispettare la data obiettivo del 2050.

Gli esperti delle Nazioni Unite affermano che anche se gli attuali piani nazionali saranno pienamente attuati, il mondo viaggia verso un riscaldamento globale di 2,7 °C, con conseguenze catastrofiche. La dichiarazione finale del G20 include un impegno a fermare il finanziamento della produzione di energia elettrica a carbone all'estero entro la fine di quest'anno, ma non fissa una data per l'eliminazione graduale dell'energia a carbone, promettendo solo di farlo il prima possibile. Questo modo di dire ha sostituito un obiettivo fissato in una precedente bozza della dichiarazione finale che dichiarava di  raggiungere questo obiettivo entro la fine degli anni '30, mostrando quanto sia forte il respingimento da parte di alcuni paesi dipendenti dal carbone. Il G20 non ha inoltre fissato alcuna data per l'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili, affermando che mireranno a farlo a medio termine (?).

Sul metano, che ha un impatto più potente ma meno duraturo dell'anidride carbonica sul riscaldamento globale, hanno annacquato la loro formulazione da una precedente bozza che si impegnava i paesi del G20 allo sforzo di ridurre significativamente le loro emissioni collettive di metano. La dichiarazione finale riconosce semplicemente che la riduzione delle emissioni di metano è uno dei modi più rapidi, fattibili ed economici per limitare il cambiamento climatico.

Fonti del G20 hanno affermato che i negoziati sono stati difficili sul finanziamento per il clima, che si riferisce all'impegno del 2009 delle nazioni ricche di fornire $ 100 GUS$ all'anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare il cambiamento climatico. Non sono riusciti a mantenere l'impegno, generando sfiducia e una riluttanza tra alcune nazioni in via di sviluppo ad accelerare i loro impegni di riduzione delle emissioni. "Ricordiamo e riaffermiamo l'impegno assunto dai paesi sviluppati, verso l'obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 e annualmente fino al 2025 per soddisfare le esigenze dei paesi in via di sviluppo", afferma la dichiarazione del G20. I leader sottolineano nel comunicato l'importanza di raggiungere pienamente questo obiettivo il prima possibile. L'Italia triplicherà il suo contributo finanziario per il clima a 1,4 GUS$ all'anno per i prossimi cinque anni, ha affermato il primo ministro Mario Draghi. Ma l'importo è considerevolmente inferiore a quello che i più stimano dovrebbe essere il contributo equo del paese.

Le Nazioni Unite hanno affermato che la scorsa settimana le concentrazioni di gas serra hanno raggiunto un record nel 2020 e che il mondo è molto fuori strada nel limitare l'aumento delle temperature. I leader mondiali inizieranno la COP26 lunedì con due giorni di discorsi che potrebbero includere alcuni nuovi impegni per il taglio delle emissioni, prima che i negoziatori tecnici si scontrino sulle regole dell'accordo sul clima di Parigi del 2015.

TORNA SU

30 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Cosa si deve fare e chi lo deve fare nel negoziato che si apre a Glasgow

Circa 20.000 persone provenienti da 196 paesi, tra cui leader mondiali, scienziati e attivisti, si riuniranno a Glasgow per il vertice sul clima delle Nazioni Unite più atteso da anni. Durante l'evento di due settimane, funzionari governativi e leader aziendali presenteranno i loro ultimi impegni per ridurre le emissioni di gas serra, mentre gli scienziati discutono degli sforzi per monitorare le emissioni, comprendere gli impatti e far avanzare il potenziale soluzioni climatiche. I negoziatori continueranno anche le discussioni sugli aiuti finanziari ai paesi a basso reddito, che hanno contribuito meno alla crisi climatica, ma che ora devono prepararsi alle sue conseguenze e sviluppare le proprie economie senza fare affidamento sui combustibili fossili. Continuano a infuriare le discussioni  su come definire e monitorare i finanziamenti per il clima, ora che anche i paesi ricchi riconoscono di non aver rispettato l'impegno, preso 12 anni fa, di fornire 100 GUS$ all'anno alle nazioni in via di sviluppo entro il 2020. Le valutazioni scientifiche hanno anche confermato che gli impegni presi dai governi a Parigi non sono stati mantenuti. I paesi hanno l'obbligo legale ai sensi dell'accordo di Parigi di presentare piani climatici in linea con le ultime valutazioni scientifiche.

La presidenza britannica della COP 26 ha stabilito le proprie priorità per i colloqui, vale a dire l'ambizione di mantenere 1,5 gradi alla portata, l'adattamento, il finanziamento e la collaborazione. Questi sono stati rozzamente riassunti dal primo ministro britannico Boris Johnson come: carbone, automobili, contanti e alberi. L'agenda formale della COP 26 è suddivisa in vari percorsi. Uno è per la stessa COP, ovvero la conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). C'è poi una Conferenza delle parti che funge da riunione delle parti (CMA) per il Protocollo di Kyoto (CMA 16) e analogamente per l'Accordo di Parigi (CMA  3). Infine, ci sono tracce per due organismi tecnici, l'Organismo sussidiario per l'attuazione (SBI52-55) e l'organismo sussidiario per la consulenza scientifica e tecnologica (SBSTA52-55). Le questioni che devono essere negoziate formalmente includono i progressi nella fornitura di finanziamenti per il clima, inclusa la comunicazione periodica di quanto ha dato e sarà dato da ciascun paese. I colloqui discuteranno l'equilibrio tra i finanziamenti per la mitigazione rispetto all'adattamento e un nuovo obiettivo dal 2025 in poi, che deve essere superiore all'impegno esistente per i paesi ricchi di erogare 100 GUS$ all'anno. Questo obiettivo, per ora mancato, si dice nei corridoi che verrà raggiunto entro il 2023. Molte parti dei colloqui riguarderanno l'ambizione, vale a dire i progressi verso gli obiettivi dell'accordo di Parigi sulla limitazione del riscaldamento, la fornitura di finanziamenti per il clima e il sostegno all'adattamento. I negoziatori affronteranno anche la questione delle perdite e danni causati dall'inevitabile cambiamento climatico, compresi i dettagli operativi della Rete di Santiago che dovrebbe offrire assistenza tecnica e dibatteranno sull'eventuale messa a disposizione di ulteriori finanziamenti specifici per il clima per gestire questo problema.

L'articolo 6 dell'accordo di Parigi, sulla cooperazione internazionale volontaria, che comprende la spinosa questione dei mercati del carbonio, rimane irrisolto, tre anni dopo che il resto del libro delle regole di Parigi è stato finalizzato. I punti critici includono come – o anche se – evitare il doppio conteggio dei tagli alle emissioni commerciati come permessi di emissione di carbonio e se accantonare una quota dei proventi del commercio per sostenere l'adattamento. Recenti notizie di stampa riferiscono una posizione ammorbidita dal Brasile, che è stata la principale fonte di opposizione a regole forti sul doppio conteggio nei vertici precedenti. I negoziatori devono anche decidere se consentire il riporto di schemi, metodologie e/o crediti creati nell'ambito del mercato del carbonio del Protocollo di Kyoto, il meccanismo di sviluppo pulito, CDM. Altre questioni per l'articolo 6 includono come ottenere una mitigazione complessiva reale quando vengono scambiati tagli alle emissioni, forse tramite la cancellazione automatica di una frazione dei crediti, nonché come o se salvaguardare specificamente i diritti umani nel nuovo mercato del carbonio. La COP 26 tenterà anche di concordare tempi comuni per gli impegni climatici dei paesi, i ben noti NDC che sono finora stati rilasciati con scadenze variabili,  e il quadro di trasparenza rafforzato di Parigi, in modo da poter monitorare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi dichiarati. L'UE si è recentemente espressa a favore di tempi comuni quinquennali per gli impegni, essendosi precedentemente opposta a questa soluzione. Infine, i paesi devono elaborare i restanti dettagli dell'inventario globale (il cosiddetto global stocktaking) che valuterà i progressi complessivi verso gli obiettivi dell'accordo di Parigi. Ciò dovrebbe iniziare poco dopo la COP 26 e terminare nel 2023.

TORNA SU

29 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Il G20 a Roma di domani e dopodomani  condiziona la  COP 26. Le indiscrezioni sul comunicato finale

Il prossimo vertice sul clima della COP 26 è un momento decisivo nella lotta per mantenere il pianeta dalla catastrofe climatica, secondo il  Financial Times. Eppure i presagi non sono propizi. La pandemia ha ritardato di un anno il vertice e ha creato miseria logistica. Sebbene la maggior parte dei paesi abbia presentato piani nuovi o aggiornati, il risultato combinato lascia ancora il mondo con la prospettiva di 2,7 °C di riscaldamento entro la fine del secolo. Il rischio di fallimento a Glasgow è reale, eppure la chiave per il successo della COP 26 è in gran parte nelle mani dei leader dei paesi del G20 di Roma, condizionato dal convitato di pietra Xi Jinping. 

Conforta che il Presidente americano atterra a Roma nella notte portando con sé la notizia che gli Stati Uniti investiranno 550 GUS$ nella lotta al cambiamento climatico. Mai finora un paese o una regione avrebbero messo in campo uno sforzo di questa portata. Non è però chiaro, nemmeno questa volta, come il Presidente riuscirà ad ottenere il consenso del Congresso.

I leader di Russia e Cina partecipano da remoto. La Turchia ha quasi scatenato un incidente diplomatico alla vigilia dell'incontro. E gli Stati Uniti, l'Australia e la Francia saranno allo stesso tavolo per la prima volta da quando Washington e Parigi sono entrati in conflitto per la questione dei sottomarini. IL vertice del Gruppo dei 20 previsto per questo fine settimana a Roma è il primo incontro di persona dei leader delle maggiori economie mondiali dall'inizio della pandemia di COVID-19. Non appena l'evento si conclude inizia il vertice delle Nazioni Unite dedicato al cambiamento climatico. Per molti versi, la riunione di due giorni del G20 funge da preambolo della COP 26 con il dossier sul clima al centro della scena. Alcuni dei presidenti e dei primi ministri partecipanti si sono incontrati a un vertice del Gruppo dei sette incentrato sul COVID a luglio e alcuni si sono incontrati nei corridoi delle Nazioni Unite durante l'Assemblea generale a New York il mese scoo. Ma questa è la prima volta che i leader dei paesi che rappresentano il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione mondiale si riuniranno in gruppo dopo quasi due anni di blocco. Sebbene la ripresa economica sia uno dei punti principali dell'agenda, l'Italia ospitante spera che i leader stabiliscano una scadenza condivisa a metà del secolo per raggiungere lo zero netto delle emissioni di gas serra e vuole esplorare anche un impegno per ridurre le emissioni di metano. Le Nazioni Unite e gli attivisti per il clima vogliono anche che i paesi del G20 mantengano i loro impegni di lunga data di fornire 100 GUS$ all'anno in aiuti per il clima per aiutare le nazioni povere a far fronte agli impatti del riscaldamento globale. I membri del G20 sono responsabili di oltre l'80% delle emissioni globali e quindi il futuro del clima è nelle loro mani.

Ma cosa si può sperare se il leader della Cina, primo inquinatore di carbonio al mondo e numero due dell'economia, non si presenta a Roma?  La Cina ha   in funzione più di 1.000 centrali a carbone e 240 circa programmate o già in costruzione. Insieme, le centrali a carbone della seconda economia mondiale emetteranno 170 GtCO2 nel corso della loro vita, più di tutte le emissioni globali di CO2 tra il 2016 e il 2020, secondo i dati BP. Il presidente Xi Jinping, che non lascia la Cina dall'inizio del 2020, dovrebbe partecipare a distanza, così come il presidente russo Vladimir Putin. Anche il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador non verrà e il primo ministro giapponese Fumio Kishida non ha confermato la sua presenza a causa delle elezioni nazionali del fine settimana. L'assenza di Xi e Putin è un segnale che dovrebbe preoccupare l'Europa. Se la Cina non viene a Roma, se la Russia, che ha molto da vendere all'Europa non èartecipa G-20, questo G20 potrbbe essere una conferma della fragilità europea da il punto di vista energetico, e non solo. L'annuncio del mese scorso di un accordo tra Stati Uniti e Gran Bretagna per vendere sottomarini nucleari all'Australia ha scoperto la vulnerabilità geopolitica dell'Europa. L'accordo ha fatto naufragare l'accordo da 66 GUS$ della Francia per la vendita di sottomarini diesel di fabbricazione francese in Australia e ha portato un governo francese a intraprendere l'azione senza precedenti di richiamare i suoi ambasciatori negli Stati Uniti e in Australia. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron si sono parlati due volte al telefono e dovrebbero incontrarsi in privato a Roma. Macron mira a garantire il sostegno degli Stati Uniti per l'istituzione di una difesa europea più forte, complementare alla NATO che contribuisca alla sicurezza globale. Macron non ha parlato con il primo ministro australiano Scott Morrison da quando la vendita dei sottomarini in Francia è andata a vuoto.

La Turchia, uno dei membri del G20, era in grado di gettare un velo sull'imminente riunione quando la scorsa settimana ha minacciato di espellere gli ambasciatori di 10 nazioni occidentali per il loro sostegno a un attivista incarcerato. Quattro degli inviati minacciati provenivano dalle nazioni del G20 Germania, Francia, Canada e Stati Uniti. Il G-20 include anche Argentina, Australia, Brasile, Cina, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Regno Unito e Unione Europea. La Spagna detiene un seggio permanente. Il premier italiano Mario Draghi, che ha contribuito a salvare l'euro, avrà il suo da fare nel tentativo di guidare l'incontro verso l'assunzione di alcuni solidi impegni climatici in vista di Glasgow ed al contempo tracciare una nuova via per l'Europa nel complesso quadro del multilateralismo.

Nelle ultime ore alcuni giornalisti (Reuters, Bloomberg, altri...) hanno visto una bozza di comunicato, soggetta a modifiche, che dice: ci impegniamo ad affrontare la sfida esistenziale del cambiamento climatico. Riconosciamo l'importanza chiave del raggiungimento dell'azzeramento netto delle emissioni globali di gas serra o della neutralità del carbonio entro il 2050. Tuttavia, la data del 2050 appare nella bozza tra parentesi, indicando che è ancora oggetto di negoziazione. Altri impegni nella bozza includono che i membri del G20 faranno il massimo per smettere di costruire nuove centrali elettriche a carbone ma "tenendo conto delle circostanze nazionali", come si dice per evitare impegni fermi. I leader del G20 affermerebbero di voler interrompere il finanziamento del carbone offshore e di voilersi impegnare a fondo per un sistema energetico largamente decarbonizzato negli anni '30. La bozza di 11 pagine è datata giovedì e mostra che i risultati chiave devono ancora essere concordati. Molti riferimenti a obiettivi e scadenze sul clima sono ancora tra parentesi o con grandi strisce di testo evidenziate in vari colori, il che significa che non sono stati finalizzati. Ciò include il voto di intraprendere un'azione immediata per mantenere a portata di mano l'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Nel complesso sembra che i negoziati siano molto lenti, in particolare su questioni climatiche ed energetiche. La Cina e l'India sono state un ostacolo alla stesura della dichiarazione, sembra, con la delegazione cinese che insisteva sui punti contesi. Porre fine al finanziamento del carbone all'estero potrebbe evitare emissioni pari a 230 MtCO2 all'anno. Un thinktank italiano propone quattro test climatici per il G20 tra cui finanza e accesso ai vaccini, sbloccando trilioni di potenza finanziaria per una ripresa equa e transizioni climatiche, tagli più rapidi delle emissioni per limitare il riscaldamento a 1,5 °C e nuovi impegni sul carbone. Il consenso, però, non è affatto garantito.

TORNA SU

28 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Un nuovo assessment degli NDC presentati negli ultimi giorni: a fine secolo il global warming sarà di 2,7 °C

C'è un'ampia copertura attraverso i media internazionali del nuovo rapporto sul divario delle emissioni dell'UNEP, l'ultimo Emissions Gap Report. Porta alla conclusione chiave che il pianeta si scalderà di 2,7 °C rispetto ai livelli preindustriali anche con i nuovi impegni assunti dai paesi in vista del vertice sul clima COP 26. Si tratta di un livello disastroso che causerebbe inondazioni devastanti, ondate di caldo e il rischio di pericolosi punti di non ritorno (tipping points). Sommando i piani e gli impegni dei governi sul clima si stima che essi equivalgono a non meglio di 4 GtCO2 in meno dalle emissioni annuali nel 2030 rispetto ai piani originali, che risalgono ai tempi dell'accordo di Parigi. Per avere la possibilità di rimanere al di sotto di 1,5 °C di riscaldamento, un obiettivo adeguato all'accordo internazionale di Parigi, sarebbe necessario che le emissioni nel 2030 siano inferiori di 28 GtCO2 rispetto a quanto previsto dall'attuale impegno.

La stampa inglese più qualificata commenta sull'aumento della temperatura superficiale media terrestre prevedibile con gli attuali impegni, osservando che il mondo non è riuscito a ricostruire meglio (build back better), noi diremmo a fare della resilienza climatica trasformativa, dopo il Covid-19, certamente perché solo circa un quinto della spesa per la ripresa è stata destinata agli sforzi per ridurre le emissioni. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha definito i risultati del rappoto dell'UNEP un segnale, un thundering wake up call, per i leader mondiali, mentre gli esperti hanno chiesto un'azione drastica contro le compagnie che commerciano e le imprese che usano i combustibili fossili". Il New York Times osserva che la stima della temperatura presuppone che ogni paese mantenga effettivamente le sue promesse, quelle dichiarate negli NDC aggiornati, osservando che molti governi non hanno ancora messo in atto politiche o leggi per raggiungere i loro obiettivi dichiarati a breve e a medio termine, come del resto fa notare lo stesso Rapporto dell'UNEP. I paesi del G20, che rappresentano l'80% delle emissioni globali, non sono sulla buona strada per raggiungere i loro impegni originali, né meno che mai quelli nuovi,  per il 2030. Il rapporto dell'UNEP esamina anche i 50 paesi, più l'UE, che si sono impegnati a raggiungere lo zero netto per la metà del secolo, concludendo che questi piani potrebbero ridurre di 0,5 °C l'aumento della temperatura entro il 2100. Tuttavia, il problema è che molte delle strategie connesse a questi obiettivi net-zero sono ambigue. Il rapporto arriva dopo una raffica di nuovi impegni sul clima, avanzati la scorsa settimana, anche da parte degli esportatori di combustibili fossili dell'Arabia Saudita e dell'Australia.

Separatamente la UN Environment Programme Finance Initiative ha pubblicato un rapporto per il gruppo delle principali economie del G20 che si riunisce prima del vertice COP 26 a Roma, alla fine di questa settimana, che li esorta a garantire che gli impegni net-zero assunti dalle istituzioni finanziarie siano solidi, supportati dalla scienza e a concordare una volta per tutte la fine del finanziamento per nuovi progetti di combustibili fossili. a quanto ci è dato sapere questa è la prima volta che l'organismo delle Nazioni Unite si pronuncia esplicitamente su questo problema. Inoltre, il Financial Times riporta che l'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore e il finanziere David Blood hanno creato un nuovo gestore patrimoniale che, secondo loro, darà la priorità all'affrontare il cambiamento climatico anziché ai rendimenti finanziari a breve termine e quindi trasformerà concettualmente e radicalmente il modello di investimento tradizionale. Il giornale ha un articolo che richiama i giganti degli investimenti ad assumersi la responsabilità del cambiamento dato che sono gli unici ad avere la potenzialità di fare davvero la differenza per il pianeta.

A seguito delle notizie di inizio settimana sulle nazioni più ricche che non riescono a mantenere il loro impegno di aumentare i finanziamenti internazionali per il clima ai paesi più poveri, il Guardian riporta un nuovo articolo che rileva che i paesi a basso reddito spendono cinque volte di più per pagare gli interessi dei loro debiti debito rispetto a quanto spendono per far fronte all'impatto del cambiamento del clima e alla riduzione delle emissioni. In effetti gran parte del finanziamento che viene dato alle nazioni più povere arriva loro sotto forma di prestiti aggiuntivi.

Passando all'analisi dei comportamenti del settore privato, un altro rapporto di un gruppo di NGO denuncia che i piani climatici elaborati da un parte rilevante dei principali inquinatori, tra cui BP e Microsoft, sono carenti a causa della loro forte dipendenza da strategie net-zero che presumono che si possa continuare a emettere gas serra fintanto che un giorno si troverà il modo di rimuoverli attivamente dall'atmosfera.

TORNA SU

27 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Il mistero della politica climatica degli Stati Uniti

I politici americani, repubblicani, ma non solo, sono corrotti. Così dichiara Jeffrey Sachs, direttore del Center for Sustainable Development alla Columbia University, alla sessione internazionale degli Stati generali della green economy 2021 di Rimini. Jeffrey Sachs è stato nominato da Papa Francesco membro ordinario della Pontificia accademia delle scienze sociali, prestigioso consesso di accademici in cui siede, fra gli altri, anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Sachs è stato uno degli autori principali dell’enciclica climatica Laudato si’ del 2015 e da allora è stato onnipresente nei dibattiti economici e sociali nell’orbita vaticana.

I corruttori di cui parla Sachs vanno ricercati nella vasta corte di industrie e di governi corrivi che conosciamo con il nome di Big oil. Da qui nascerebbero le difficoltà del Presidente Biden a portare avanti la sua politica e presentarsi a Glasgow da sommo protagonista come fece Obama a Parigi con in mano un documento congiunto cl presidente cinese, Xi Jinping. In realtà si tratta di un andirivieni. A Kyoto Al Gore, vice di Clinton,  costruì e firmo l'omonimo Protocollo, ma gli Stat Uniti di Bush si ritirarono prontamente. Gli Stati Uniti ricomparvero alla COP di Bali nel 2007, senza rientrare nel Protocollo di Kyoto, ma come costruttori e promotori di un patto universale sul clima, legally binding, che molto tempo dopo, dopo il disastro USA - Cina del 2009 a Copenhagen, fu realizzato a Parigi nel 2015. Anche qui non ci fu molto tempo prima che Trump facesse le valigie, mettendo in crisi l'Accordo, Ora Biden è rientrato nell'accordo. In queste trentennali vicende mai si è verificato che il Senato o il Congresso americani abbiano espresso un voto favorevole ad un impegno americano nella lotta ai cambiamenti climatici. I presidenti democratici si sono potuti muovere solo negli spazi angusti delle prerogative riservate al loro ruolo. Ora che farà Biden con le scadenze ravvicinate del G 20 in Italia e della COP 26 in Scozia, eventi ai quali sarà presente con tutta l'intenzione di farla da protagonista?

Sullo sfondo c'è sempre il conflitto di interessi con la Cina, prima perché esentata dagli obblighi di riduzione delle emissioni del Protocollo di Kyoto ai sensi della Convenzione climatica del 1992 di Rio de Janeiro, ora perché le due superpotenze si contendono i mercati e la supremazia mondiale sul terreno della green economy. Come dice Sachs una guerra fredda climatica tra i due giganti sarebbe la scelta peggiore. La parola d'ordine è cooperare, magari soltanto per contenere i cambiamenti climatici che stanno massacrando entrambi i paesi. Non sarà facile, vedremo.

Da quando Joe Biden ha prestato giuramento come Presidente degli Stati Uniti nel gennaio 2021, la sua amministrazione ha adottato misure per affrontare il cambiamento climatico come una delle sue principali priorità e per impegnarsi nuovamente nella diplomazia internazionale per allineare gli Stati Uniti come leader globale sul cambiamento climatico. L'amministrazione Biden ha fissato obiettivi ambiziosi e ampi piani per l'azione per il clima, ma il Congresso dovrà approvare una nuova legislazione che lo consenta. Le emissioni degli Stati Uniti, diminuite a causa della pandemia si prevede che aumenteranno di nuovo senza nuove politiche. Gli Stati Uniti hanno presentato un NDC migliorato ma non siano sufficiente per il percorso di Parigi, si tratterebbe del 50% di riduzione al 2030. Questo giudizio, secondo il CATUS Climate  Action Tracker, non include i due atti legislativi attualmente all'esame del Congresso: il piano per l'occupazione americano da 1.000 GUS$ del presidente Biden (legge per le infrastrutture) o la legge di bilancio molto più grande, da 3,5 GUS$, poiché i due progetti devono ancora essere approvato dalla Camera dei rappresentanti e sono oggetto di negoziazione.

Il presidente Biden ha ordinato alle agenzie e ai dipartimenti di attuare politiche favorevoli al clima in tutto il governo e di rivedere e affrontare la promulgazione della cancellazione  dei provvedimenti climatici dei quattro anni precedenti. In uno dei suoi primi ordini esecutivi, il presidente Biden ha riaffermato l'obiettivo di raggiungere emissioni nette di gas a effetto serra pari a zero entro il 2050 e ha istituito un approccio a livello di governo per affrontare il cambiamento climatico, imponendo l'uso del potere d'acquisto federale, della proprietà e delle terre e delle acque pubbliche per sostenere l'azione per il clima e l'istituzione di interagenzie di alto livello per facilitare il coordinamento, la pianificazione e l'azione per il clima a livello federale. Ha anche chiesto ai capi delle agenzie di identificare i sussidi ai combustibili fossili e adottare misure per fermarli; ha sospeso i contratti di locazione per le  trivellazioni di petrolio e gas naturale nell'Arctic National Wildlife Refuge e ha revocato i permessi per l'oleodotto Keystone XL. L'American Rescue Plan Act, firmato  l'11 marzo 2021, mentre si concentrava principalmente su COVID-19 e misure di stimolo economico per le famiglie, includeva anche una serie di disposizioni relative al clima. La legge prevede oltre 30 GUS$ per assistere i sistemi di trasporto di massa che hanno subito perdite a causa della riduzione dei passeggeri durante la pandemia. La legge fornisce inoltre 350 GUS$ ai governi statali e locali che svolgono un ruolo importante nell'attuazione e nell'applicazione di misure locali per l'energia e il clima.

Il NDC degli Stati Uniti per il 2030 è coerente con i 2 °C di riscaldamento, ma non ancora coerente con il limite di temperatura di 1,5 °C dell'accordo di Parigi. Le politiche e le azioni degli Stati Uniti nel 2030 non portano a percorsi di emissione in calo e comporterebbe comunque emissioni superiori ai suoi obiettivi. Inoltre, gli Stati Uniti devono anche fornire ulteriore sostegno agli altri. Le proiezioni sulle emissioni per il 2020 sono inferiori del 20% ai livelli del 2005, ovvero da 2 a 6%  in meno rispetto all'obiettivo per il 2020. L'amministrazione Biden ha fissato l'obiettivo di decarbonizzare il settore energetico entro il 2035, il che è coerente con un percorso dell'accordo di Parigi. Per raggiungere questo obiettivo, l'amministrazione intende stabilire uno standard per l'energia pulita (CES) e investire 65 GUS$ nella modernizzazione della rete elettrica ma, anche qui, il Congresso deve approvare. Ha inoltre fissato l'obiettivo del 50% di tutti i nuovi veicoli venduti nel 2030 a zero emissioni. Ha inoltre proposto standard più severi per il risparmio di carburante e le emissioni per i veicoli passeggeri per gli anni 2023 - 2026 e una riduzione graduale della produzione e del consumo di idrofluorocarburi (HFC) nei prossimi 15 anni. L'attuazione di queste politiche proposte porterebbe a una riduzione del 2% delle emissioni nel 2030 rispetto alle attuali proiezioni politiche.

Le politiche e le azioni climatiche degli Stati Uniti al 2030 necessitano di miglioramenti sostanziali per essere coerenti con il limite di temperatura di 1,5 °C dell'accordo di Parigi. Se tutti i paesi seguissero l'approccio statunitense, il riscaldamento raggiungerebbe i 2 - 3 °C a fine secolo. L'obiettivo di ridurre le emissioni del 50% - 52% (o 43 -50% escludendo il LULUCF) al di sotto dei livelli del 2005 entro il 2030 è quasi sufficiente rispetto ai percorsi delle emissioni domestiche ma non sarebbe equo nel confronto internazionale. Se tutti i paesi seguissero questo approccio, il riscaldamento potrebbe essere mantenuto a, ma non molto, al di sotto dei 2 °C. L'amministrazione Biden si è impegnata ad aumentare i suoi finanziamenti per il clima, ma i contributi alla fine del 2020 sono stati bassi rispetto alla sua giusta quota. Gli Stati Uniti devono aumentare il livello dei loro contributi finanziari internazionali per il clima nel periodo post-2020 e accelerare la graduale eliminazione dei finanziamenti fossili all'estero.

Il Piano Biden propone emissioni nette pari a zero per gli Stati Uniti entro il 2050, ma l'obiettivo non è  stato approvato in legge. Per ora l'obiettivo risulta ripetutamente menzionato negli ordini esecutivi, che hanno forza di legge, che si riferiscono all'attuazione di politiche o strategie coerenti con questo obiettivo. L'obiettivo è stato menzionato anche nella presentazione ufficiale del NDC e in altri piani nazionali, incluso il piano infrastrutturale American Jobs Plan.

TORNA SU

26 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Gli Stati generali della green economy dedicati alla lotta al cambiamento climatico

è Edo Ronchi a mettere a fuoco la gravità del problema nella sua introduzione di apertura degli Stati generali 2021. La COP 26 è a rischio di fallimento perché le ambizioni finora dichiarate da tutti i paesi non sono all'altezza dell'obiettivo di Parigi degli 1,5 °C. Si è già detto che il primo punto all'ordine del giorno a Glasgow è l'adeguamento delle ambizioni agli obiettivi. Ricordiamo infatti che l'accordo di Parigi è basato sulla volontà d'impegno che i vari paesi intendono esprimere, non a quote fisse di abbattimento predeterminate come fu fatto nel 1997 con il Protocollo di Kyoto. Un primo set di impegni fu dichiarato prima di Parigi, gli ultimi risalgono ad oggi, giorno nel quale anche l'Australia, grande produttore e consumatore di carbone, ha fatto sapere che arriverà al net zero entro il 2050, proprio come l'Europa e molti altri. Il problema, dice Ronchi, è la Cina, non perché non abbia essa pure intrapreso una strada per la decarbonizzazione, ma perché lo farà a modo suo ed andrà a Glasgow con tutte le decisioni già prese, senza margini per il negoziato. La Cina vale oggi il 30% circa delle emissioni globali e fino al 2026 non ridurrà le proprie emissioni. La sua posizione, la sua strategia di decarbonizzazione al 2060, contrastano col contemporaneo rilancio della produzione elettrica a carbone per sostenere la sua posizione di vantaggio nella competizione economica mondiale e appare sostanzialmente ricattatoria rispetto al resto del mondo. A Glasgow si opporrà duramente anche alle misure di carbon pricing. Dopo aver portato a casa gran parte della manifattura mondiale dandone una interpretazione a bassa tecnologia e ad alte emissioni, ora non vorrà pagare il prezzo delle maggiori emissioni per la produzione delle sue merci che Europa e Stati Uniti vogliono farle pagare con il meccanismo di adeguamento alle frontiere, noto come border tax, nè indulgerà all'istituzione di un mercato e quindi di un prezzo internazionale del carbonio. Come sempre, pur essendo ormai il primo o il secondo tra i paesi sviluppati, si farà forza dell'appoggio dei paesi in via di sviluppo che è una eredità sicura di un lungo periodo di difesa dei loro interessi nel negoziato internazionale sul clima, e non solo, e della sua larga penetrazione commerciale e finanziaria in quegli stessi paesi.

Secondo l'IEA (Cozzi) che ha recentemente presentato il suo World Energy Outlook, per la prima volta disponibile gratuitamente alla COP 26, a partire dal 2015 le politiche messe in campo in questi sei anni, un arco di tempo molto piccolo,  hanno portato la stima dell'anomalia termica a fine secolo da 3,5 a 2,6 °C. I nuovi NDC finora presentati ed aggiornati ad horas in vista di Glasgow, ci porteranno a 2,1 °C. Il resto è da fare, ma è alla portata, se ognuno fa il proprio dovere. Tutti i fossili avranno il picco nei prossimi dieci anni, subito il petrolio, nel 2025 il gas. Per il carbone, ormai prevalentemente impiegato nella generazione elettrica, si parla di 750 GW installati nel 2011 - 2020 contro i 260 GW tra 1990 e 2000. Dal 2021 al 2030 si stimano nuove installazioni per 350 GW. Al 2030, in un modo o nell'altro, dovremo ridurre le emissioni serra di 6,1 GtCO2eq con uno sforzo ripartito al 40% per le fonti rinnovabili, al 20% per l'efficienza e al 30% con l'eliminazione delle emissioni di metano.

La visione di Ronchi è che non possiamo aspettar l'accordo di tutti e, quindi, che il fronte dei paesi democratici, compresi gli USA, nonostante le sue continue e gravi incertezze, trovi una via comune per la decarbonizzazione e la green economy, tanto da costringere la Cina a inseguire sul piano tecnologico e commerciale. Per ora è certo che i paesi occidentali hanno commesso l'errore di lasciare alla Cina l'iniziativa industriale sulle tecnologie rinnovabili e sul digitale, come nel caso eclatante del 5G, e che la reazione, l'accorciamento delle catene del valore, il recupero delle produzione esternalizzate sarà quanto mai difficile. Troppo vantaggioso è stato a cavallo del secolo globalizzare l'economia sfruttando i bassi salari asiatici ed africani e delocalizzare l'industria pesante e l'attività mineraria, tutto per spostare gli investimenti nel settore finanziario, fare soldi con i soldi e creare povertà, precarietà e disoccupazione. Ora è tardi, ma la lezione delle crisi, ultima quella pandemica, è stata durissima. L'economia occidentale non si è nemmeno dimostrata capace di proteggere il benessere della popolazione, dei giovani e delle donne, come fa invece la Cina. Sono nate le nuove povertà e le miserevoli politiche populiste di stampo protezionistico e retrotopico. Per il côtè democratico sussiste, nonostante tutto questo, una forma etica di superiorità, testimoniata dalla recente dichiarazione della Corte costituzionale tedesca che ha assunto rapidamente una dimensione universalistica, non meno della lezione dei ragazzi di Greta Thunberg che ha puntato il dito senza infingimenti sui governi e sul sistema industriale-finanziario. La sostanza del pronunciamento dei giudici tedeschi ne fa una questione di libertà per le generazioni future. Se andiamo ad esaurire il carbon budget nei prossimi anni, le generazioni sopravvenienti non avranno più la libertà di gestire il clima. Per conseguenza è fatto obbligo alla Germania, e per portato a ciascun singolo paese fuori dalla giurisdizione tedesca, di provvedere comunque a leggi e regole che impediscano l'esaurimento del budget, senza aspettare che si raggiungano i problematici accordi globali in sede ONU che devono necessariamente aspettare di essere sottoscritti da tutti. Si tratta di un vero e proprio nuovo principio che, se accolto, è destinato a mutare la sorte della lotta al cambiamento climatico.

Posto che alcuni pensano che stiamo emergendo dalla pandemia e, riscontrata una effettiva crescita del PIL, al di là delle attese per l'Italia, sono le stesse emissioni serra a riprendere con una forza inattesa che denuncia che due anni di pandemia non hanno cambiato affatto il trend delle emissioni ad andare al passo della crescita, senza disaccoppiarsi affatto. In Italia, che al 2019 era al -27% in fatto di emissioni serra rispetto al 1990, le nostre stime dicono che a fine 2021 ci ritroveremo al +6% rispetto al 2019, dopo l'illusorio crollo del 2020. Così se ne va il primo dei dieci anni da qui al 2030 dove dovremo arrivare al -55%. Ciò è evidentemente inaccettabile. La BCE ci ammonisce che i costi della mitigazione sarebbero oggi un niente rispetto a quanto costeranno gli interventi ritardati. Abbiamo ridotto il consumo di energia del 23% rispetto al 1990 ma dovremo ridurre di un altro 32% al 2030. Se non cambiamo passo raggiungeremo gli obiettivi 2030 nel 2039 e quelli delle rinnovabili, 70% al 2030,  nel 2059, come emerge da un rapporto recente della Fondazione ENEL presentato a Cernobbio. Per le rinnovabili elettriche infatti, negli ultimi cinque anni lo sviluppo si è fermato. Nel 2020 siamo scesi di 0,4 Mtep in energia primaria. Su un TWh di elettricità rinnovabile il 96% è stato fotovoltaico ma l'eolico è andato male. Da un GW di FER elettriche installato nel 2020 dobbiamo passare a 7 GW su base annua, ed un anno se ne è già andato.

Per il nostro paese, conclude Ronchi, occorre una legge per la protezione del clima che definisca i target articolandoli per settori e territori e occorre creare un organismo tecnico indipendente per la valutazione delle misure. Le autorizzazioni vanno concesse in sei mesi e i controlli si faranno dopo. Regioni e comuni vanno coinvolti, anche dando loro poteri sostitutivi. Né si può procedere ignorando la dimensione sociale della transizione, che più che probabilmente sarà accompagnata da una raffica di sindromi nimby (Cingolani) e di opposizioni ambientaliste in nome della difesa del paesaggio. A buttare la palla in tribuna ci si mettono in tanti, come sta succedendo con l'aumento dei prezzi dell'energia, che viene imputato furbescamente alla decarbonizzazione mondiale e locale. Ci pensa l'IEA (Cozzi) a smentire la fake news  e a testimoniare che si stanno verificando strozzature della offerta (il 40% in più di unplanned shutdown in più rispetto all'anno precedente) di origine geopolitica. Irrilevante il carico del prezzo del carbonio, ETS compreso.

TORNA SU

 

25 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: L'enigma cinese alle soglie della COP26

Non esiste alcun percorso di abbattimento delle emissioni credibile per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C senza che la Cina nel prossimo decennio accelerari la sua transizione energetica e la sua decarbonizzazione. La Cina mira a diventare carbon neutral entro il 2060. Eppure Pechino esita e si protegge nel breve termine, in parte a causa di un contesto macro e geopolitico globale incerto e in parte a causa delle minacce interne di instabilità sociale e stagnazione economica. La posizione negoziale della Cina alla COP 26 di Glasgow si servirà al solito,  più o meno strumentalmente, del sostegno di molti paesi in via di sviluppo, a meno che gli Stati Uniti e gli altri paesi ricchi non riescano a modificare il loro tradizionale atteggiamento rispetto al Sud del mondo per quanto riguarda il finanziamento del clima, la mitigazione e l'adattamento.

La Cina è il più grande emettitore al mondo di anidride carbonica in volume, responsabile di oltre un quarto delle emissioni complessive di gas serra del mondo su base annua. Si prevede che il paese sarà sottoposto a un attento esame alla COP 26  sui suoi  impegni NDC. Significativamente, il presidente cinese Xi Jinping ha affermato che il suo paese mirerà a che le sue emissioni raggiungano il loro punto più alto prima del 2030 e, all'Assemblea Generale ONU 2020 che la neutralità del carbonio sarà raggiunta entro il 2060. Un anno dopo, nella stessa sede,ha anche promesso che il paese smetterà di costruire centrali elettriche a carbone all'estero.

 

 

L'impegno della Cina per il 2030 è ampiamente considerato come un obiettivo che potrebbe essere migliorato; sta infatti continuando a costruire centrali a carbone in casa ed è fuori traiettoria per il limite di riscaldamento globale di 1,5°C. Sebbene sia scontato che il paese sta sfuggendo agli impegni che gli spetterebbero, la mancanza di ambizione nel breve termine è una risposta alle minacce interne di instabilità sociale e ai timori di stagnazione economica e a un ambiente macro e geopolitico globale molto complesso e controverso. Questi pongono grandi sfide per la transizione energetica della Cina. Tutti i paesi hanno assolutamente bisogno di una maggiore ambizione per rendere la COP 26 di Glasgow un successo. Ma come autoproclamato campione dei paesi in via di sviluppo e vulnerabili al clima, la Cina cercherebbe di porsi al riparo dalle critiche per non essere all'altezza. Probabilmente riceverà sostegno da gran parte del Sud del mondo, a meno che i paesi ricchi, che hanno maggiori responsabilità sul clima a causa della loro quota maggiore di emissioni storiche e del mancato rispetto delle promesse sui finanziamenti per il clima per la mitigazione e l'adattamento, non trovino un'efficace rapporto alternativo con i paesi in via di sviluppo.

Il mondo ha bisogno che sia gli Stati Uniti che la Cina riescano ad affrontare congiuntamente il cambiamento climatico. Su base pro capite, le emissioni della Cina sono circa la metà di quelle degli Stati Uniti, mentre i due paesi insieme rappresentano circa il 40% delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, la politica globale è cambiata notevolmente da quando è stato firmato l'accordo di Parigi del 2015 e il quadro che ha guidato l'impegno bilaterale tra le superpotenze del carbonio di allora è improbabile che sia utile ora. Il meglio che la cooperazione climatica USA-Cina può sperare di ottenere è una riduzione delle ostilità in questa area, dove il cambiamento climatico è responsabilità comune, anche se le altre tensioni, economiche e militari, aumentano. La forza di questa ipotesi, alquanto immaginifica, è che va oltre la dicotomia competizione contro cooperazione, accettando che entrambi i paradigmi possano coesistere ed essere utili per una corsa verso l'alto sull'azione globale per il clima.

In questa situazione sempre più pericolosa, le crescenti tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina hanno alzato ulteriormente la posta in gioco. Non è più tempo di cooperazione sul clima e di impegni comuni tra le superpotenze del carbonio, come ai tempi di Obama. La politica globale è cambiata notevolmente da quando è stato firmato l'Accordo di Parigi del 2015. Come candidato presidenziale nel 2020, Joe Biden si è ripetutamente concentrato sulle emissioni all'estero della Cina. La Cina... e la sua proposta di via della seta, ha detto Biden, ... stanno portando il carbone più sporco del mondo principalmente dalla Mongolia e lo stanno diffondendo in tutto il mondo. Eppure non tutto è perduto. Lo sforzo di ripresa globale post-pandemia rappresenta un momento opportuno per rinnovare le richieste di crescita green in un momento in cui l'accordo di Parigi, il calo dei costi delle energie rinnovabili e le mutevoli politiche energetiche in tutto il mondo, stanno accelerando la transizione verso economie a basse emissioni di carbonio. Molti leader, paesi e regioni hanno ascoltato questa chiamata. Il Green Deal dell'Unione europea, un insieme ambizioso e integrato di prospettive di green economy, digitali e di economia circolare, è stato proposto come motore della ripresa economica post-COVID, strutturato con il Fit for 55, una serie di proposte politiche interconnesse per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Gli Stati Uniti hanno convocato un vertice dei leader in occasione della Giornata della Terra 2021, impegnato a raggiungere un obiettivo net zero a metà del secolo, ed sta ora tentando di far approvare un'ambiziosa legislazione in materia di infrastrutture e bilancio con un'attenzione particolare alla decarbonizzazione.

Dall'altra parte, nel suo 14° piano quinquennale (2021-2025), la Cina si è impegnata a ridurre l'intensità di carbonio e di energia della sua economia e ad aumentare la quota di energie rinnovabili nel suo mix energetico, ma non si è impegnata a un tetto alle emissioni di carbonio o all'utilizzo del carbone. Il suo impegno per il 2030 è troppo facile da raggiungere. A livello interno, la minaccia di perdita di posti di lavoro, instabilità sociale e stagnazione economica nelle aree produttrici di carbone pone evidentemente grandi sfide per la transizione energetica della Cina. Nell'ultimo decennio, la Cina ha utilizzato una politica industriale aggressiva a basse emissioni di carbonio nei suoi piani quinquennali e nelle strategie a lungo termine, per posizionarsi come il principale fornitore globale di tecnologie pulite. La Cina rappresenta l'80% della produzione solare fotovoltaica globale e il 90% della nuova energia eolica installata in Asia nel 2020. La Cina ha rafforzato la sua sicurezza energetica attraverso l'elettrificazione e la decarbonizzazione. I politici si preoccupano da tempo delle forniture di petrolio della Cina, problematiche al punto che la diversificazione delle forniture energetiche funziona a favore della resilienza geopolitica a lungo termine del paese. La Cina ha anche sfruttato il passaggio dalle industrie inquinanti e ad alta intensità energetica per spostare l'economia a monte della catena del valore verso l'innovazione e i servizi, e nel processo ha contribuito a mitigare l'inquinamento atmosferico, una questione causa di grande preoccupazione popolare, e anche rafforzare la legittimità del partito unico nel processo.

Oggi, nella luce della COP 26,  è quasi inevitabile che la competizione tra i blocchi regionali, Cina, Stati Uniti ed Europa,  i tre attori più significativi in ​​questo contesto, sia sempre più una caratteristica della politica climatica. L'UE propone, come parte di Fit for 55, un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere imponendo un prezzo del carbonio sulle importazioni dall'esterno per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, in cui le aziende trasferiscono la produzione in paesi meno severi sulle emissioni e anche l'amministrazione Biden ne sta escogitando uno. Non sorprende che la Cina consideri questa una forma di protezionismo commerciale ed è apertamente contraria al piano. Le tariffe sul carbonio sono solo un'area in cui è probabile che la politica climatica diventi controversa. Indipendentemente dal merito degli adeguamenti alle frontiere del carbonio, dovrebbe essere possibile creare spazi per un dibattito sempre più difficile, senza prendere in ostaggio il clima, andando a cercare in altre aree possibili compensazioni o accordi. L'UE lo sta già facendo: mentre un accordo con la Cina sugli investimenti è stato congelato e le sanzioni per ritorsione sono aumentate, i due mercati sono stati comunque in grado di fare un importante annuncio congiunto dei leader sull'eliminazione graduale dei refrigeranti quest'anno.

Il leitmotiv della Conferenza di Glasgow è che il modo più produttivo per lottare contro i cambiamenti climatici è una corsa verso l'alto, e il modo migliore per iniziare è dare l'esempio. Non spetta solo moralmente ai paesi ricchi farsi avanti, ma è anche una buona decisione strategica in questo pericoloso momento diplomatico. Ciò dovrebbe comprendere vari aspetti: è necessario un maggiore investimento pubblico nella ricerca, sviluppo e diffusione di tecnologie pulite e verdi, chiaramente preferibile al protezionismo. Ma al di là di quel sostegno alla mitigazione, i paesi ricchi devono comprendere l'importanza pressante della solidarietà: i paesi vulnerabili al clima, molti dei quali soffrono di crisi fiscali e del debito a seguito della pandemia, hanno assolutamente bisogno di un sostegno concreto; fallire continuerà solo a erodere la fiducia. Le promesse di finanziamento del clima dei paesi ricchi sono state insincere e insufficienti; i 100 miliardi di dollari promessi nell'accordo di Parigi non sono stati pagati; il sostegno all'accesso ai vaccini è fondamentale e devono essere offerte misure per affrontare la crisi del debito. I paesi sviluppati devono anche fare di più per affrontare le perdite e danni, il termine usato per descrivere misure come il risarcimento richiesto quando le nazioni vulnerabili affrontano rischi climatici devastanti e l'adattamento non è più possibile. Un tale approccio ai paesi in via di sviluppo aiuterebbe a cambiare le dinamiche del rapporto con la Cina, che altrimenti può effettivamente utilizzare i Paesi più poveri come scudo protettivo nei negoziati. Evita anche un attacco bellicoso e diretto alla Cina sulla sua necessità di aumentare l'ambizione, in un punto in cui il sentimento nazionalista in Cina rende politicamente sgradevole intraprendere azioni imposte dall'Occidente. Nonostante l'evidente soft power favorevole all'ambiente e l'allineamento interno con l'azione per il clima in Cina, l'approccio dei suoi negoziatori alle loro controparti nelle capitali occidentali è stato gelido nella migliore delle ipotesi. È molto meglio, quindi, che i paesi ricchi che mirano a una maggiore ambizione climatica, costruiscano la fiducia con i paesi vulnerabili e in via di sviluppo attraverso dimostrazioni concrete di solidarietà e consentano loro di spingere per una maggiore ambizione verso gli  1,5 °C. Ciò include la comprensione del loro ruolo come probabili destinatari della finanza cinese e il riconoscimento che il lato della domanda dell'equazione della finanza cinese all'estero è importante. Per molti paesi, costringerli a scegliere tra l'Occidente e la Cina li mette in una situazione impossibile.

TORNA SU

24 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Il negoziato sull'articolo 6 di Parigi continua a Glasgow

Lo scambio di emissioni internazionale ai sensi dell'articolo 6 sarà ancora una volta sotto i riflettori durante la COP 26 in cui si dovrà trovare una risposta all'enigma del commercio del carbonio. Il commercio del carbonio è stato introdotto per la prima volta nei Protocollo di Kyoto del 1997, come meccanismo mediante il quale i paesi ricchi potevano trasferire parte della loro riduzione del carbonio ai paesi in via di sviluppo. Funziona così: una tonnellata di anidride carbonica ha lo stesso impatto sull'atmosfera ovunque venga emessa, quindi se è più economico tagliare una tonnellata di anidride carbonica in India che in Italia, il governo o le aziende italiane potrebbero pagare i progetti, pannelli solari, per esempio, o un parco eolico, in India che ridurrebbe le emissioni lì e conterebbe quei crediti di carbonio nel proprio budget di riduzione delle emissioni. In questo modo, i paesi poveri ottengono l'accesso ai finanziamenti tanto necessari per gli sforzi di riduzione delle emissioni e i paesi ricchi devono affrontare un onere economico inferiore nel taglio del carbonio. Tuttavia, il sistema è stato in alcuni casi soggetto ad abusi ed è comunque inadeguato in un mondo in cui tutti i paesi, sviluppati e in via di sviluppo, devono tagliare il carbonio il più velocemente possibile. Il commercio del carbonio è stato incluso nell'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, ma i conflitti su come implementarlo non sono mai stati risolti. Le discussioni sull'articolo 6 hanno aiutato limitare la COP 25 di Madrid nel 2019. I significativi progressi compiuti sulle regole del mercato del carbonio a Madrid stanno già aiutando a dare il via agli accordi di scambio di emissioni tra i singoli paesi, ma gli stessi non sono stati in grado di raggiungere un accordo completo e i negoziati continuano.

Con regole efficaci sulla trasparenza e una contabilità solida, che sono alla base dei meccanismi del mercato del carbonio, lo scambio internazionale  di quote di emissione può mobilitare significativi investimenti del settore privato e aiutare a raggiungere gli obiettivi di Parigi. I dettagli della contabilità e della trasparenza sono fondamentali per evitare rischi reali di doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni. Il contenuto di queste regole è importante quanto gli obiettivi climatici principali dei paesi, poiché i numeri sono validi solo quando c'è la capacità di garantire che i paesi riducano chiaramente le emissioni e conteggino tali riduzioni in modo coerente. Le imprese lo sanno. Durante la COP 25 di Madrid, 64 aziende, gruppi imprenditoriali e organizzazioni non governative che rappresentano più di 1 miliardo di lavoratori in 130 paesi hanno firmato la Dichiarazione sulla corretta contabilità del carbonio.

L'articolo 6 delinea i modi in cui i paesi possono cooperare volontariamente per combattere il cambiamento climatico, generare investimenti e realizzare uno sviluppo sostenibile. Le varie collaborazioni hanno il potenziale per aiutare i paesi ad andare più veloci, ma solo se i paesi li progettano correttamente. L'articolo 6 (vedi il testo in italiano nella colonna di sinistra) definisce tre distinti percorsi di cooperazione:

  1. Approcci cooperativi dal basso, bilaterali o regionali tramite risultati di mitigazione trasferiti (Articolo 6.2);

  2. Un meccanismo di accredito centralizzato per contribuire alla mitigazione e al sostegno dello sviluppo sostenibile (articolo 6.4);

  3. Approcci non di mercato (Articolo 6.8).

il primo meccanismo consentirebbe a un paese che ha superato il suo impegno di Parigi di vendere permessi a una nazione che non è riuscita a raggiungere i propri obiettivi. Questo superamento potrebbe essere in termini di riduzione delle emissioni, ma potrebbe riguardare anche altri tipi di obiettivi. Ad esempio, alcuni paesi hanno fissato obiettivi per la capacità di energia rinnovabile o l'espansione delle foreste.

Il secondo meccanismo creerebbe un nuovo mercato internazionale del carbonio, governato da un organismo delle Nazioni Unite, per lo scambio di permessi di emissione creati ovunque nel mondo dal settore pubblico o privato. I crediti di carbonio potrebbero, ad esempio, essere generati da una nuova centrale elettrica rinnovabile, dall'ammodernamento di una fabbrica per ridurre le emissioni o dal ripristino di un'area forestale. Questo nuovo mercato è a volte indicato come il Meccanismo di sviluppo sostenibile (SDM). Sostituirebbe il CDM di Kyoto, che assegnava ai paesi sviluppati obiettivi di emissioni legalmente vincolanti che si applicavano dall'inizio del 2008 fino al 2012.

Il meccanismo finale dell'articolo 6 per gli approcci non di mercato è meno ben definito, ma fornirebbe un quadro formale per la cooperazione climatica tra paesi, in cui non è coinvolto alcun commercio, come gli aiuti allo sviluppo. Ciò potrebbe includere attività simili a quelle previste dagli altri meccanismi, ad esempio il supporto per un nuovo parco eolico, ma senza alcuna compravendita dei conseguenti crediti di CO2.

Le regole per i mercati del carbonio e altre forme di cooperazione internazionale, sono le ultime da risolvere, dopo che il resto del libro delle regole è stato concordato alla fine del 2018. Ai suoi sostenitori, l'articolo 6 offre un percorso per aumentare significativamente l'ambizione climatica o ridurre i costi, coinvolgendo il settore privato e diffondendo finanziamenti, tecnologia e competenze in nuove aree. Per i suoi critici, rischia di minare fatalmente l'ambizione dell'Accordo di Parigi in un momento in cui vi sono chiare prove della necessità di andare oltre e più velocemente per evitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Alcuni dei tanti problemi che circondano l'articolo 6 includono l'importanza di evitare il doppio conteggio, che è quando i crediti di carbonio sono inclusi sia dal paese ospitante che dal paese acquirente, e garantire una riduzione netta delle emissioni piuttosto che compensarli in altri paesi. Mentre un accordo era stato quasi raggiunto a Madrid, questo aspetto è stato rinviato e i colloqui riprenderanno da zero a Glasgow.

TORNA SU

23 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Ma ci sono leader capaci di guidare la lotta contro i cambiamenti climatici?

Greta Thunberg continua a sorprenderci. La (ex) ragazzina scrive un articolo amaro per il Guardian in cui parla di Regno Unito e del mondo intero incapace di provvedere alla sua stessa sopravvivenza a fronte del riscaldamento globale. Non ci sono leader all'altezza, dice in forma interrogative pro bono pacis. In realtà non ci sono. è una ulteriore intuizione di questa incredibile ragazza e il re, di fronte a lei, è veramente nudo. Quanto dice in questo articolo ci preannuncia una COP 26 quantomeno deludente. Poi i media e gli ambientalisti parleranno di fallimento, nessuno di responsabilità.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha definito il recente rapporto dell'IPCC sulla crisi climatica un codice rosso per l'umanità. "Siamo sull'orlo del baratro", ha detto. Quello che vediamo è che la negazione della crisi climatica ed ecologica è così profonda e che nessuno tratta la crisi come una crisi. Gli avvertimenti continuano ad annegare in una marea costante di greenwash e scompaiono nel flusso di notizie quotidiane dei media.

Per avere speranza occorre anzitutto essere onesti. I fatti sono chiarissimi, ma ci rifiutiamo di accettarli. Ci rifiutiamo di riconoscere che ora dobbiamo scegliere tra salvare il pianeta vivente o salvare il nostro modo di vivere insostenibile. Perché vogliamo entrambi. Chiediamo entrambi. Ma la verità è che è troppo tardi per questo. E non importa quanto possa sembrare scomoda la realtà, questo è esattamente ciò che i nostri leader hanno scelto per noi con i loro decenni di inazione. I loro decenni di bla, bla, bla. Se vogliamo rimanere al di sotto degli obiettivi fissati nell'accordo di Parigi e quindi ridurre al minimo i rischi di innescare reazioni a catena irreversibili al di fuori del controllo umano, abbiamo bisogno di riduzioni annuali immediate, drastiche, delle emissioni, come mai il mondo ha visto. E poiché non abbiamo le soluzioni tecnologiche che da sole faranno qualcosa di simile nel prossimo futuro, significa che dobbiamo apportare cambiamenti fondamentali alla nostra società. Siamo sulla strada per un mondo più caldo di almeno 2,7 ° C entro la fine del secolo, e questo solo se i paesi rispettano tutti gli impegni presi. Attualmente non sono affatto vicini a farlo.

In effetti, stiamo accelerando nella direzione sbagliata. Attualmente si prevede che il 2021 sperimenterà il secondo aumento di emissioni più grande mai registrato e si prevede che le emissioni globali aumenteranno del 16% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010. Secondo lIEA solo il 2% della spesa per la ripresa dei governi è stata investita in energia pulita, mentre la produzione e la combustione di carbone, petrolio e gas sono state sovvenzionate da 5,9 GUS$ nel solo 2020. La produzione mondiale di combustibili fossili pianificata entro il 2030 rappresenta più del doppio di quanto sarebbe compatibile con l'obiettivo di 1,5°C.

Greta fa una dura e documentata critica del Regno Unito che ospita la COP 26. Ma c'è n'è per tutti. La Cina, il più grande emettitore di CO2 al mondo, sta progettando di costruire 43 nuove centrali a carbone in aggiunta alle 1.000 già in funzione, vantando di essere un pioniere ecologico impegnato a lasciare un mondo pulito e bello alle generazioni future. La nuova amministrazione degli Stati Uniti ha recentemente annunciato piani per aprire milioni di acri per petrolio e gas che alla fine potrebbero portare a una produzione fino a 1,1 miliardi di barili di petrolio greggio e 4,4 trilioni di piedi cubi di gas fossile. Essere di gran lunga il più grande produttore di petrolio nella storia, nonché il produttore di petrolio numero uno al mondo, non sembra mettere in imbarazzo gli Stati Uniti mentre afferma di essere un leader climatico. La verità è che non ci sono leader del clima. Non ancora. Almeno non tra le nazioni ad alto reddito. è ipocrita continuare a nascondersi dietro abili conti, scappatoie e statistiche incomplete. Limitare il riscaldamento a 1,5 ° C è possibile secondo le leggi della chimica e della fisica, ma farlo richiedere cambiamenti senza precedenti.

L'emergenza climatica ed ecologica è, ovviamente, solo un sintomo di una crisi di sostenibilità molto più ampia. Una crisi sociale. Una crisi di disuguaglianza che risale al colonialismo e oltre. Una crisi basata sull'idea che alcune persone valgono più di altre e, quindi, hanno il diritto di sfruttare e rubare la terra e le risorse di altre persone. È tutto interconnesso. È una crisi di sostenibilità che tutti trarrebbero vantaggio dall'affrontare. Ma è ingenuo pensare di poter risolvere questa crisi senza affrontarne le radici. Le cose possono sembrare molto oscure e senza speranza e la sensazione di disperazione è più che comprensibile. Ma dobbiamo ricordare a noi stessi che possiamo ancora ribaltare la situazione. È del tutto possibile se siamo pronti a cambiare. Tutto ciò che servirebbe davvero è un leader mondiale o una nazione ad alto reddito o una grande stazione televisiva o un quotidiano leader che decide di essere onesto, per trattare veramente la crisi climatica come la crisi che è. Un leader che conta tutti i numeri e poi intraprende azioni coraggiose per ridurre le emissioni al ritmo necessario. Allora tutto potrebbe essere messo in moto verso l'azione, la speranza, lo scopo e il significato.
 

Chi sarà quel leader?

TORNA SU

22 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: La insostenibile vicenda del finanziamento dei paesi più svantaggiati

Dodici anni fa, al vertice sul clima delle Nazioni Unite a Copenaghen, le nazioni ricche avevano assunto un impegno significativo e promesso di trasferire 100 GUS$ all'anno alle nazioni meno ricche entro il 2020, per aiutarle ad adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuire a mitigare l'aumenta della temperatura. Quella promessa è stata ignorata. Le cifre per il 2020 non sono ancora arrivate, e chi ha negoziato l'impegno non è d'accordo sui metodi contabili, ma un rapporto dell'anno scorso per l'ONU ha concluso che gli unici scenari realistici hanno mostrato che l'obiettivo è stato mancato. Le frustrazioni per questo fallimento stanno contribuendo all'aumento delle tensioni in vista della COP 26. Rispetto all'investimento necessario per evitare livelli pericolosi del cambiamento climatico, l'impegno dei 100 GUS$  è irrilevante. Saranno necessari trilioni di dollari ogni anno per raggiungere l'obiettivo dell'accordo di Parigi. Le nazioni in via di sviluppo  avranno bisogno di centinaia di GUS$ all'anno per adattarsi al riscaldamento che è già inevitabile. Così recita un articolo pubblicato oggi da Nature.

Una raffica di impegni poco prima dell'incontro di Glasgow ha fatto sperare che, entro il 2022, le nazioni ricche riusciranno a far fronte agli impegni presi. Ma, guardando già più avanti, alla COP 26 devono iniziare le discussioni su un aumentato impegno finanziario per il clima per la metà degli anni '20. È  peraltro improbabile che le cifre siano aumentate molto nel 2020: un Rapporto recente della MDB afferma che i finanziamenti per il clima forniti ai paesi in via di sviluppo sono diminuiti l'anno scorso, in parte a causa della pandemia di COVID-19, secondo il WRI. Ma alcuni analisti affermano che i numeri dell'OECD, quelli della figura accanto, sono enormemente gonfiati. In un rapporto del 2020, Oxfam ha stimato il finanziamento pubblico per il clima a soli 19 - 22,5 GUS$ 2017-18, circa un terzo della stima dell'OECD. Oxfam sostiene che, oltre alle sovvenzioni, dovrebbe essere conteggiato solo il beneficio maturato dal prestito a tassi inferiori a quelli di mercato, non il valore totale dei prestiti. Dice anche che alcuni paesi conteggiano erroneamente  gli aiuti destinati a progetti per il clima. Il Giappone, ad esempio, tratta l'intero valore di alcuni progetti di aiuto come rilevanti per il clima anche quando non sono esclusivamente mirati azione per il clima. Come altro esempio, alcuni progetti di costruzione di strade sono segnalati come aiuti per il clima, con la maggior parte o tutti i loro costi inclusi nelle stime dell'OECD. Molti paesi a basso e medio reddito sono d'accordo con Oxfam, e alcuni vanno oltre: nel 2015, il ministero delle finanze indiano ha contestato la stima dell'OECD di 62 GUS$ nel 2014, affermando che la cifra reale era di appena 1 miliardo. L'ambasciatore del cambiamento climatico di Antigua e Barbuda afferma che le nazioni ricche hanno gonfiato intenzionalmente i loro aiuti per il clima.

Sebbene le nazioni ricche abbiano concordato collettivamente l'obiettivo di 100 GUS$, non hanno sottoscritto alcun accordo formale su ciò che ciascuno dovrebbe pagare. Un Rapporto di ottobre del WRI, ad esempio,  ha calcolato che gli Stati Uniti dovrebbero contribuire con il 40-47% dell'intero importo, a seconda che il calcolo tenga conto della ricchezza, delle emissioni totali o della popolazione. Ma il suo contributo medio annuo dal 2016 al 2018 è di circa 7,6 GUS$. Anche Australia, Canada e Grecia sono molto al di sotto di ciò che avrebbero dovuto dare. Giappone e Francia hanno trasferito più della loro giusta quota, sebbene quasi tutti i loro finanziamenti sono avvenuti sotto forma di prestiti rimborsabili e non di sovvenzioni. La maggior parte dei finanziamenti per il clima è andata a progetti per ridurre le emissioni serra, mentre l'accordo di Parigi mirava a un equilibrio tra mitigazione e adattamento. Ma solo 20 GUS$ sono andati a progetti di adattamento nel 2019, meno della metà dei fondi per progetti di mitigazione, (fonte OECD). Le stime delle Nazioni Unite dicono che i paesi in via di sviluppo hanno già bisogno di 70 GUS$ all'anno per l'adattamento e necessiteranno di 140 - 300 miliardi nel 2030.
emissioni. I politici dei paesi sviluppati preferiscono spendere per ridurre le emissioni, mentre gli aiuti all'adattamento sono visti solo come un aiuto a specifici paesi beneficiari. Un altro motivo per lo squilibrio è che il denaro è sempre più fornito come prestito piuttosto che come sovvenzione e l'adattamento non lo è quasi mai. La finanza privata, in particolare, sembra quasi sempre andare a progetti di mitigazione che possono generare ritorni su
investimenti, come i parchi solari e le auto elettriche. La maggior parte dei finanziamenti per il clima andrà anche ai paesi a reddito medio, non ai paesi più poveri e più vulnerabili. A luglio, l'Istituto internazionale per l'ambiente e lo sviluppo di Londra ha riferito di aver cercato di rintracciare i finanziamenti per i progetti di adattamento nei 46 paesi meno sviluppati, trovando solo  5,9
GUS$  tra 2014 e 2018, meno del 20% del totale dichiarato daii paesi sviluppati.

L'impegno di 100 miliardi di dollari è stato a lungo visto come un minimo destinato ad aumentare nel tempo. Ma alcuni paesi destinatari si sono detti disposti ad accettare l'obiettivo minimo, purché a fronte di un piano certo. Un gruppo di ministri delle finanze di 48 paesi vulnerabili al clima, ha chiesto quel piano, compresi più finanziamenti basati su sovvenzioni e almeno il 50% dei finanziamenti per l'adattamento. Anche i paesi recettori stanno destinando i propri budget ai cambiamenti climatici. Il governo del Bangladesh, ad esempio, afferma che i suoi totali di spesa legati al clima sono di almeno 3 GUS$,   il 7% del budget complessivo del governo, o lo 0,73% del PIL del paese. Inoltre le famiglie povere nelle zone rurali del Bangladesh spendono 2 GUS$ all'anno per prevenire disastri legati al clima o riparare i danni che provocano, secondo un'analisi di Oxfam.

Canada, Giappone e Germania hanno annunciato i loro rinnovati impegni nella riunione del G7  a giugno, nella quale tutti hanno ribadito il loro impegno a contribuire con 100 GUS$ all'anno fino al 2025. A settembre, l'UE ha promesso ulteriori 5 GUS$ entro il 2027 e per gli Stati Uniti il presidente Joe Biden ha promesso 11,4 GUS$ per anno entro il 2024, che lo renderebbe il più grande finanziatore mondiale. Ma gran parte di quel finanziamento richiede l'approvazione del Congresso degli Stati Uniti e, in fondo, molti altri paesi contribuiranno molto di più in proporzione alla loro economia. L'UE e i suoi Stati membri stanno già fornendo circa il doppio dell'importo che gli Stati Uniti hanno promesso, anche con un'economia di appena tre quarti di quella americana. Alcune persone sostengono che le promesse dovrebbero escludere la finanza privata, per evitare confusione. Alcuni governi stanno rispondendo alla richiesta di più finanziamenti per l'adattamento. Ad agosto, la Danimarca ha detto che avrebbe fatto destinare il 60% dei suoi finanziamenti per il clima all'adattamento, e altri paesi, compresi i Paesi Bassi e il Regno Unito, si sono impegnati ad aumentare i finanziamenti per l'adattamento.

Siamo in ogni caso molto al di sotto delle stime dell'IPCC secondo cui sono necessari 1.600 - 3.800 GUS$ all'anno per evitare un riscaldamento superiore a 1,5 °C. Nel frattempo i combustibili fossili sono ancora sovvenzionati per 554 GUS$ per anno tra il 2017 e il 2019. Per di più nel 2020, la spesa militare globale annuale ha raggiunto i 2.000 GUS$. La pandemia e i suoi effetti economici hanno richiesto per la sanità pubblica migliaia di miliardi, rendendo incerte le prospettive a medio - lungo termine della finanza climatica.

TORNA SU

21 Ottobre. Primer sulla COP 26: Alcuni paesi tentano di cambiare le conclusioni dell'IPCC

BBC News ha scoperto come i paesi stiano cercando di cambiare dati scientifici cruciali su come affrontare il cambiamento climatico. La fuga di notizie rivela che Arabia Saudita, Giappone e Australia sono tra i paesi che chiedono alle Nazioni Unite di minimizzare la necessità di allontanarsi rapidamente dai combustibili fossili. Mostra anche che alcune nazioni ricche sono restie a  pagare di più agli stati più poveri per passare a tecnologie più green. Mancano pochi giorni prima che alla COP 26 venga chiesto loro di assumere impegni significativi per rallentare il cambiamento climatico e mantenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi. I documenti trapelati consistono in oltre 32.000 osservazioni presentate da governi, aziende e altre parti interessate al team di scienziati che stanno scrivendo il rapporto delle Nazioni Unite che deve raccogliere le migliori prove scientifiche su come affrontare il cambiamento climatico.

La fuga di notizie mostra un certo numero di paesi e organizzazioni che sostengono che il mondo non ha bisogno di ridurre l'uso di combustibili fossili così rapidamente come raccomanda l'attuale bozza del rapporto. Un consigliere del ministero del petrolio saudita chiede che frasi come la necessità di azioni di mitigazione urgenti e accelerate a tutte le scale... dovrebbero essere eliminate dal rapporto. Un alto funzionario del governo australiano rifiuta la conclusione che sia necessaria la chiusura delle centrali elettriche a carbone, uno degli obiettivi dichiarati dalla COP 26. L'Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo e l'Australia è uno dei maggiori esportatori di carbone.

L'impianto gas norvegese di Sleipner dotato di CCSUno scienziato senior dell'India's Central Institute of Mining and Fuel Research, che ha forti legami con il governo indiano, avverte che il carbone rimarrà probabilmente il pilastro della produzione di energia per decenni a causa di quelle che ritiene una sfide tremenda di fornire elettricità a prezzi accessibili. L'India è il secondo consumatore mondiale di carbone. Numerosi paesi sono favorevoli a tecnologie emergenti e attualmente costose progettate per catturare e immagazzinare permanentemente l'anidride carbonica nel sottosuolo. Arabia Saudita, Cina, Australia e Giappone, tutti grandi produttori o utilizzatori di combustibili fossili, - così come l'Opec, supportano la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS). Si sostiene che la CCS potrebbe ridurre drasticamente le emissioni di combustibili fossili dalle centrali elettriche e da alcuni settori industriali.

A destra l'immagine dell'impianto di estrazione di gas naturale norvegese di Sleipner che usa la CCS per stoccare nel fondo marino l'eccesso di CO2.

L'Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio al mondo, chiede agli scienziati IPCC di cancellare la loro conclusione secondo cui l'obiettivo degli sforzi di decarbonizzazione nel settore dei sistemi energetici deve essere quello di passare rapidamente a fonti a zero emissioni di carbonio e di eliminare gradualmente i combustibili fossili. Contestano la dichiarazione anche Argentina, Norvegia e Opec. La bozza del Rapporto in effetti accetta che la CCS potrebbe svolgere un ruolo in futuro, ma afferma che ci sono incertezze sulla sua fattibilità. Dice che c'è una grande ambiguità nella misura in cui i combustibili fossili con la CCS sarebbero compatibili con gli obiettivi 2 °C e 1,5 °C come stabilito dall'accordo di Parigi. L'Australia chiede agli scienziati dell'IPCC di eliminare un riferimento all'analisi del ruolo svolto dai lobbisti dei combustibili fossili nell'annacquare l'azione sul clima in Australia e negli Stati Uniti. L'Opec chiede inoltre all'Ipcc di cancellare ogni riferimento all'attivismo di lobby, proteggere i modelli di business estrattivi e prevenire l'azione politica. Quando è stato contattato in merito ai suoi commenti alla bozza di rapporto, l'Opec ha dichiarato alla BBC: "La sfida di affrontare le emissioni ha molti percorsi, e dobbiamo esplorarli tutti. Dobbiamo anche utilizzare tutte le energie disponibili, come soluzioni tecnologiche pulite ed efficienti per aiutare a ridurre le emissioni, garantendo che nessuno venga lasciato indietro.

L'IPCC afferma che i commenti dei governi sono fondamentali per il suo processo di revisione scientifica ma che i suoi autori non hanno l'obbligo di incorporarli nei rapporti. I nostri processi, dicono, sono progettati per proteggersi dalle pressioni esercitate da tutte le parti. Tutti i commenti sono giudicati esclusivamente sulla base di prove scientifiche, indipendentemente da dove provengano. Se i commenti fanno pressioni, se non sono giustificati dalla scienza, non saranno integrati nei rapporti dell'IPCC.

Christiana Figueres, la diplomatica costaricana che ha supervisionato la storica conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Parigi nel 2015, concorda sul fatto che sia fondamentale che i governi facciano parte del processo della elaborazione dell'IPCC.

Il consumo di carne

La bozza di Rapporto afferma che le diete a base vegetale possono ridurre le emissioni di gas serra fino al 50% rispetto alla dieta occidentale media ad alta intensità di emissioni. Brasile ed Argentina dicono che questo non è corretto. Entrambi i paesi invitano gli autori a cancellare o modificare alcuni passaggi nel testo che fanno riferimento alle diete a base vegetale che svolgono un ruolo nell'affrontare i cambiamenti climatici o che descrivono la carne come un alimento ad alto contenuto di carbonio. L'Argentina ha anche chiesto che vengano rimossi dal rapporto i riferimenti alle tasse sulla carne rossa e alla campagna internazionale che esorta le persone a rinunciare alla carne per un giorno. La nazione sudamericana raccomanda di evitare la generalizzazione sugli impatti delle diete a base di carne sulle opzioni a basse emissioni di carbonio, sostenendo che ci sono prove che le diete a base di carne possono anche ridurre le emissioni di carbonio. Sullo stesso tema, il Brasile afferma che le diete a base vegetale non garantiscono di per sé la riduzione o il controllo delle relative emissioni e mantiene il focus del dibattito sui livelli di emissione dei diversi sistemi di produzione, piuttosto che sui tipi di cibo. Il Brasile, che ha visto aumenti significativi del tasso di deforestazione in Amazzonia e in alcune altre aree forestali, contesta il riferimento a questo come risultato di cambiamenti nelle normative governative, sostenendo che ciò non è corretto.

Il Green Climate Fund

Potrà sorprendere che un n numero significativo di commenti vengano dalla Svizzera per modificare parti del rapporto che sostengono che i paesi in via di sviluppo avranno bisogno del sostegno, in particolare del sostegno finanziario, dei paesi ricchi per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Alla conferenza sul clima di Copenaghen del 2009 è stato concordato che le nazioni sviluppate avrebbero fornito 100 GUS$ l'anno in finanziamenti per il clima per i paesi in via di sviluppo entro il 2020, un obiettivo che deve ancora essere raggiunto. L'Australia fa eco alla Svizzera. Dice che gli impegni climatici dei paesi in via di sviluppo non dipendono tutti dalla ricezione di un sostegno finanziario esterno. Descrive anche una frase contenuta nella bozza di relazione della mancanza di impegni pubblici credibili sulla finanza come commento soggettivo. L'Ufficio federale svizzero dell'ambiente ha dichiarato alla BBC che,  sebbene i finanziamenti per il clima siano uno strumento fondamentale per aumentare l'ambizione climatica, non sono l'unico strumento rilevante.

Ancora nucleare?

Per finire in gloria, un certo numero di paesi per lo più dell'Europa orientale sostengono che la bozza del rapporto dovrebbe essere più positiva sul ruolo che l'energia nucleare può svolgere nel raggiungimento degli obiettivi climatici delle Nazioni Unite. L'India va anche oltre, sostenendo che quasi tutti i capitoli contengono un pregiudizio contro l'energia nucleare. Sostiene che si tratta di una tecnologia consolidata con un buon sostegno politico tranne che in alcuni paesi. La Repubblica ceca, la Polonia e la Slovacchia criticano una tabella del rapporto secondo cui l'energia nucleare ha solo un ruolo positivo nel raggiungimento di uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Sostengono che può svolgere un ruolo positivo nel realizzare la maggior parte dell'agenda di sviluppo delle Nazioni Unite.

TORNA SU

20 Ottobre 2021. Primer sulla COP 26: Perché è così difficile liberarsi dai sussidi ai combustibili fossili

I sussidi ai combustibili fossili sono una delle maggiori barriere finanziarie che ostacolano la transizione alle fonti di energia rinnovabile. Ogni anno, i governi di tutto il mondo investono circa mezzo trilione di dollari per abbassare artificialmente il prezzo dei combustibili fossili, più del triplo di quanto ricevono le rinnovabili. Questo nonostante i ripetuti impegni dei politici a porre fine a questo tipo di sostegno, comprese le dichiarazioni dei gruppi di nazioni del G7 e del G20. è quanto testimoniato da un articolo di Nature di oggi. Per ora 53 paesi hanno riformato i loro sussidi ai combustibili fossili tra il 2015 e il 2020. E il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è l'ultimo politico di alto profilo a giurare di eliminarli. Ma occorre fare molto di più. "Nei prossimi anni, tutti i governi devono eliminare i sussidi ai combustibili fossili", afferma l'IEA nel suo WEO 2021.

Come vengono sovvenzionati i combustibili fossili? I sussidi ai combustibili fossili assumono generalmente due forme. I sussidi alla produzione sono agevolazioni fiscali o pagamenti diretti che riducono i costi di produzione di carbone, petrolio o gas. Questi sono comuni nei paesi occidentali e sono spesso influenti nel promuovere infrastrutture come oleodotti e giacimenti di gas. I sussidi al consumo, viceversa, riducono i prezzi del carburante per l'utente finale, ad esempio fissando il prezzo alla pompa di benzina in modo che sia inferiore a quello di mercato. Questi sono più comuni nei paesi a basso reddito: in alcuni aiutano le persone a ottenere carburante per cucinare pulito che altrimenti non potrebbero permettersi. In altri, come in Medio Oriente, le sovvenzioni sono talvolta considerate come un aiuto ai cittadini per beneficiare della dotazione di risorse naturali di un paese. L'IEA stima che 52 economie avanzate ed emergenti, che rappresentano circa il 90% delle forniture globali di combustibili fossili, hanno concesso sussidi per un valore medio di 555 GUS$ ogni anno dal 2017 al 2019, scendendo a 345 GUS$ nel 2020 solo a causa del minor consumo e del calo dei prezzi del carburante durante la pandemia di COVID-19.

Ci sono stime anche peggiori: l'IISD stima che il solo gruppo di paesi del G20 abbia erogato una media di  584 GUS$ tra il 2017 e il 2019, superiore al dato IEA. I maggiori fornitori di sussidi sono, per IISD,  Cina, Russia, Arabia Saudita e India. I costi nascosti dei combustibili fossili, come il loro impatto sull'inquinamento atmosferico e sul riscaldamento globale, sono, in effetti, una sorta di sussidio, perché gli inquinatori non pagano per i danni che causano. Il FMI ha calcolato i sussidi totali ai combustibili fossili nel 2020 pari a 5.900 GUS$, quasi il 7% del PIL globale, in gran parte a causa di questi costi esterni.

Perché i sussidi sono così difficili da eliminare?

I paesi del G7 e del G20 hanno promesso di eliminare i sussidi inefficaci per i combustibili fossili, anche se non hanno definito chiaramente cosa significhi questa frase. Alcuni paesi non sono d'accordo sul fatto di avere sussidi da rimuovere. Il governo UK, ad esempio, afferma di non averne, sebbene l'IISD lo consideri tra i peggiori paesi OCSE, calcolando che ha speso in media 16 GUS$ per sostenere i combustibili fossili nel 2017-19. La UK ha annunciato nel 2020 che avrebbe posto fine al supporto per l'energia da combustibili fossili all'estero. Ogni nazione ha le sue ragioni per sovvenzionare i combustibili fossili, spesso intrecciate con le sue politiche industriali. Ci sono tre principali ostacoli alla rimozione dei sussidi alla produzione: le compagnie di combustibili fossili sono potenti gruppi politici; ci sono preoccupazioni legittime sulla perdita di posti di lavoro nelle comunità che hanno poche opzioni di lavoro alternative e, infine,  le persone spesso temono che l'aumento dei prezzi dell'energia possa deprimere la crescita economica o innescare l'inflazione.

Un modo per superare le esitazioni politiche a rimuovere i sussidi energetici è mantenere il sostegno, ma semplicemente spostarlo sull'energia green. Le imprese statali che supportano i combustibili fossili possono diversificarsi nelle rinnovabili. I periodi di bassi prezzi del petrolio sono generalmente considerati momenti favorevoli per rimuovere i sussidi al consumo, poiché i prezzi al dettaglio possono essere mantenuti stabili. È importante che i paesi stiano attenti a garantire che le politiche climatiche non danneggino le comunità a basso reddito. Secondo l'IISD la rimozione dei sussidi al consumo in 32 paesi ridurrebbe le loro emissioni di gas serra in media del 6% entro il 2025.  Secondo l'UNEP l'eliminazione graduale del sostegno ai combustibili fossili potrebbe ridurre le emissioni globali tra l'1% e l'11% dal 2020 al 2030, con l'effetto maggiore in Medio Oriente e Nord Africa. Tale riduzione potrebbe essere amplificata se il denaro che avrebbe sovvenzionato i combustibili fossili fosse invece utilizzato per sostenere le energie rinnovabili. Un Rapporto del  2020 di IRENA ha registrato circa 634 GUS$ in sussidi al settore energetico nel 2020 e ha scoperto che circa il 70% è andato ai combustibili fossili. Solo il 20% è andato alla produzione di energia rinnovabile, il 6% ai biocarburanti e poco più del 3% al nucleare. Il rapporto IRENA ha anche tracciato uno scenario di come i sussidi energetici globali potrebbero cambiare entro il 2050 per aiutare a limitare l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 °C, rispetto ai livelli preindustriali. Vede i sussidi per i combustibili fossili e l'elettricità rinnovabile diminuire e passare alle energie rinnovabili nei trasporti e negli edifici e alle misure di efficienza energetica. Tuttavia, viene mantenuto un certo sostegno ai combustibili fossili, quasi tutti che rafforzerebbero la cattura e lo stoccaggio del carbonio per processi industriali come la produzione di cemento e acciaio.

Alcuni sostenitori del clima mettono in guardia contro lo sviluppo di nuovi sussidi ai combustibili fossili in nome della riduzione delle emissioni. Potrebbe essere il caso dei sussidi per l'idrogeno blu, prodotto da combustibili fossili  con la CO2 catturata e immagazzinata. A margine dei vertici del G20 e del G7, gruppi di piccoli paesi hanno lavorato a lungo insieme per cercare di arrivare ad un consenso sulla riforma delle sovvenzioni. Non è sufficiente eliminare gradualmente solo i sussidi: in definitiva, l'obiettivo dovrebbe essere quello di impedire del tutto ai governi di concedere alle aziende licenze per l'estrazione di combustibili fossili.

TORNA SU

 

27 Ottobre 2021. La COP 26 dei giovani a Milano, Youth for climate, con Greta Thunberg protagonista

All'evento Youth4Climate Driving Ambition quasi 400 giovani provenienti da 186 paesi hanno discusso della necessità e dell'urgenza di un'azione e si sono organizzati in gruppi di lavoro tematici. Il documento finale dei giovani verrà finalizzato il 25 ottobre in tempo per essere presentato alla COP 26. Intanto però i giovani hanno presentato una serie di richieste ai ministri della pre-COP, divise in quattro sezioni:

Partecipazione e ruolo dei giovani

Richiediamo ai paesi e alle istituzioni competenti di garantire urgentemente un coinvolgimento  significativo dei giovani in tutti i processi decisionali sui processi con implicazioni sul cambiamento climatico e sulla pianificazione, progettazione, attuazione e valutazione delle politiche climatiche a livello multilaterale, livello nazionale e locale con un ambiente favorevole. Richiediamo ai paesi di aumentare urgentemente il supporto finanziario, amministrativo e logistico per promuovere l'impegno dei giovani a guidare efficacemente l'ambizione climatica e l'azione concreta.  Richiediamo a Paesi, organizzazioni internazionali e istituzioni finanziarie pubbliche e private di destinare con urgenza, e rendere facilmente accessibili, fondi per sostenere la partecipazione dei giovani ai processi decisionali con implicazioni sui cambiamenti climatici a tutti i livelli.

Recupero sostenibile post pandemia

Chiediamo una transizione energetica urgente, olistica, diversificata e inclusiva entro il 2030 che dia priorità all'efficienza energetica e all'energia sostenibile, mantenendo l'obiettivo +1,5 °C a portata di mano; finanziamenti per lo sviluppo di capacità, ricerca e condivisione di tecnologie per garantire una transizione con posti di lavoro dignitosi, fornendo un sostegno adeguato alle comunità colpite e vulnerabili. Chiediamo il rafforzamento di diversi mezzi di attuazione da rendere immediatamente disponibili per misure di adattamento, resilienza e perdite e danni di proprietà locali per garantire che soluzioni adeguate e continue raggiungano i gruppi e le regioni più vulnerabili. Chiediamo che le soluzioni basate sulla natura abbiano la priorità come strategia chiave per affrontare la crisi climatica che sottolinea anche la necessità di una società socialmente giusta ed equa, in particolare riconoscendo, rappresentando, rispettando e proteggendo le popolazioni locali e indigene e i diritti e le conoscenza locali. Esortiamo i decisori a tutti i livelli, nei settori pubblico e privato, a creare un sistema di finanziamento del clima trasparente e responsabile con una solida regolamentazione delle emissioni di carbonio, evitando le finzioni degli investimenti climatici nelle comunità più vulnerabili, garantendo nel contempo pari opportunità per persone di ogni genere, età ed estrazione sociale, oltre a sradicare lo sfruttamento delle donne e il lavoro minorile. Chiediamo, alla COP 26, il riconoscimento della responsabilità del turismo nel raggiungere gli obiettivi climatici globali e le sue vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici, in particolare per i paesi dipendenti dal turismo, come le piccole isole. Chiediamo l'inclusione di tutte le parti interessate (compresi i giovani, le donne, le comunità indigene e altri gruppi emarginati), nei processi di sviluppo delle capacità, monitoraggio, investimento e processo decisionale, verso una ripresa resiliente del turismo blu e verde.

Infrastrutture ed iniziativa privata

 Sostenere la partecipazione di giovani imprenditori, artisti, agricoltori e atleti, in particolare provenienti da economie emergenti e gruppi emarginati (minoranze etniche, indigeni, persone con disabilità, ecc.), nonché operatori non statali già attivi, con pratiche etiche e sostenibili nello sviluppo sostenibile e nell'adozione di soluzioni di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, facilitando loro l'accesso ai finanziamenti pubblici e privati, e promuovendo lo sviluppo di infrastrutture critiche (incluso l'accesso a Internet). Richiedere agli stakeholder non governativi, in particolare al settore privato, di allineare le operazioni attuali e future e la loro catena di fornitura con l'obiettivo delle emissioni nette zero. La transizione deve iniziare immediatamente e richiede una chiara rendicontazione dei piani e il raggiungimento degli obiettivi intermedi, almeno su base annuale. Migliorare la trasparenza in materia ambientale e la responsabilità degli attori non pubblici garantendo loro informative sul clima solide e annuali che includano i dati di origine sottostanti; garantire che tali informazioni e i set di dati siano certificati da istituti competenti. L'abolizione dell'industria dei combustibili fossili deve iniziare rapidamente e immediatamente con un'eliminazione totale entro il 2030 al più tardi e garantire una transizione decentrata ed equa progettata per e con le cooperative di lavoratori, le comunità locali e indigene e le persone più colpite dalla crisi climatica e dall'emigrazione. Tutti gli attori non statali, compresi gli organismi delle Nazioni Unite, la moda, lo sport, l'arte, l'imprenditorialità, le entità agricole ecc. non devono accettare alcun investimento in combustibili fossili nè attività di lobbying influenzate da questa industria, in particolare se connesse ai negoziati internazionali.

Per una società climaticamente consapevole

I decisori devono essere ritenuti responsabili nel lavorare con i giovani e le comunità per affrontare il cambiamento climatico, riconoscere e sostenere le popolazioni vulnerabili, garantire l'accesso a varie risorse come i servizi sanitari e dare spazio alle diverse voci. Devono supportare la creazione di piattaforme e meccanismi multistakeholder per condividere informazioni e soluzioni sul clima e favorire la partecipazione negli spazi decisionali. Invitiamo i governi a garantire a tutti un'istruzione completa e universale sui cambiamenti climatici, un'alfabetizzazione climatica e finanziamenti adeguati secondo tempi stabiliti a livello internazional. L'obiettivo principale è fornire alle persone di tutte le età le conoscenze, le abilità, i valori e le attitudini per affrontare il cambiamento climatico. L'istruzione dovrebbe avere un approccio olistico, integrando la conoscenza indigena e locale, la prospettiva di genere e promuovere cambiamenti negli stili di vita, negli atteggiamenti e nei comportamenti, garantendo la neutralità climatica e la resilienza climatica delle istituzioni educative. Le azioni chiave includono: integrare l'apprendimento del cambiamento climatico nei curricula a tutti i livelli introducendo elementi di conoscenza  del cambiamento climatico nelle materie esistenti; formare responsabili politici, insegnanti, bambini, giovani, settore privato e comunità; integrare il cambiamento climatico nelle politiche educative e l'educazione sul cambiamento climatico nelle politiche tra cui gli NDC e i piani di adattamento nazionali, NAP; garantire la revisione delle politiche di educazione climatica e il coordinamento tra i ministri dell'istruzione e dell'ambiente, promuovendo l'educazione formale, non formale e informale, l'apprendimento tra pari e le attività extracurriculari. I giovani dovrebbero avere accesso ai finanziamenti per i progetti guidati dai giovani e un maggiore accesso a stage retribuiti, scambi e attività di sviluppo delle capacità. Invitiamo i governi a altri attori rilevanti a sensibilizzare sull'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici per ogni persona nel mondo, dando risalto ai rifugiati climatici, attraverso i media tradizionali e utilizzando campagne, arte, sport, intrattenimento, comunità leader, influencer e social media. Dobbiamo consentire a ogni persona nel mondo di partecipare alla conoscenza delle soluzioni climatiche attraverso programmi di sviluppo delle capacità incentrati su advocacy e leadership, nonché garantire che tutti possano partecipare ai processi decisionali.  Formare giornalisti e comunicatori per trasmettere l'urgenza e le implicazioni della crisi climatica in modo trasparente, accessibile e colloquiale semplificando le scoperte scientifiche, facilitando la comprensione delle politiche e sottolineando l'esistenza e la fattibilità delle soluzioni, regolamentando la pubblicità, definendo e prevenendo il greenwashing, evidenziando le disuguaglianze climatiche, combattendo la disinformazione e utilizzando i social media e i mezzi di comunicazione tradizionali.

TORNA SU

9 Agosto 2021. Il IPCC anticipa l'uscita del VI Assessment Report, WG I, in vista della COP 26 di Glasgow

Dopo otto anni di lavoro – basati su più di tre decenni di ricerche precedenti – il IPCC AR6 WG I ha un unico messaggio: il tempo sta per scadere.

I fenomeni  climatici estremi riempiono le pagine dei quotidiani, l'atmosfera e i mari si stanno riscaldando a ritmi senza precedenti nella storia umana e alcune delle conseguenze sono irrevocabili. Solo drastici tagli alle emissioni di gas serra in questo decennio possono impedirci di aumentare le temperature globali in misura disastrosa, conclude il Rapporto.

L'IPCC è l'organismo dei maggiori esperti mondiali di clima, costituito nel 1988 e incaricato di preparare rapporti completi sullo stato delle nostre conoscenze del clima. Il suo primo rapporto nel 1990 metteva in guardia sulle potenziali conseguenze dell'aumento delle emissioni di gas serra ed è stato fondamentale per la creazione, due anni dopo, della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il trattato madre dell'accordo di Parigi del 2015. Da allora, i rapporti sono stati prodotti all'incirca ogni sette anni. Oggi è stata pubblicata solo la prima parte, che tratta delle basi fisiche del cambiamento climatico. Il prossimo anno seguirà il Rapporto sugli impatti della crisi climatica e sui modi per ridurre tali impatti. Ogni rapporto si estende su migliaia di pagine, che rappresentano l'intero spettro della conoscenza umana del sistema climatico, ma è ridotto a pochi messaggi chiave chiamati sommario per i responsabili delle politiche (SPM), votato in assemblea. Anche i governi svolgono un ruolo chiave in questa fase e possono moderare i risultati dell'SPM. I governi non possono dunque ignorare i risultati che essi stessi hanno approvato. L'incontro SPM di quest'anno è durato due settimane.

Dopo che questo rapporto sarà completato l'anno prossimo, il processo IPCC continuerà. I ricercatori presenteranno articoli per la peer review e la pubblicazione su riviste scientifiche e gli autori principali dell'IPCC sceglieranno i più significativi per ulteriori indagini e la inclusione in un settimo rapporto di valutazione, che probabilmente sarà pubblicato verso la fine di questo decennio. Riteniamo però che questo sia l'ultimo rapporto dell'IPCC ad essere pubblicato mentre abbiamo ancora la possibilità di evitare i peggiori danni del crollo climatico.

Cosa dice il Rapporto in sostanza? Per punti:

A. Lo stato del clima

A.1 È inequivocabile che l'influenza umana ha riscaldato l'atmosfera, l'oceano e la terra. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell'atmosfera, nell'oceano, nella criosfera e nella biosfera.

A.2 La portata dei recenti cambiamenti nel sistema climatico nel suo insieme e lo stato attuale di molti aspetti del sistema climatico sono senza precedenti per molti secoli e per molte migliaia di anni.

A.3 Il cambiamento climatico indotto dall'uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in ogni regione del mondo. Prove di cambiamenti osservati in fenomeni estremi come ondate di calore, forti precipitazioni, siccità e cicloni tropicali e, in particolare, la loro attribuzione all'influenza umana, si è rafforzata dal quinto rapporto di valutazione (AR5).

A.4 Il miglioramento della conoscenza dei processi climatici, delle evidenze paleoclimatiche e della risposta del sistema climatico all'aumento del forzante radiativo fornisce una stima migliore della sensibilità  climatica all'equilibrio pari a 3°C (per un raddoppio della concentrazione atmosferica GHG equivalente, ndr.), con un range più ristretto rispetto ad AR5.


B. Possibili futuri climatici

B.1 In generale, la temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo, secondo gli scenari di emissione considerati. Il riscaldamento globale di 1,5 °C e 2 °C sarà superato durante il 21° secolo a meno che non vi siano profonde riduzioni delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e delle altre emissioni di gas serra nei prossimi decenni.

B.2 Molti cambiamenti nel sistema climatico diventano più gravi in relazione diretta all'aumento del riscaldamento globale. Includono aumenti della frequenza e dell'intensità degli estremi termici, ondate di calore marine e forti precipitazioni, siccità agricola ed ecologica in alcune regioni e cicloni tropicali intensi, nonché riduzioni del ghiaccio marino artico, della copertura nevosa e del permafrost.

B.3 Si prevede che il continuo riscaldamento globale intensificherà ulteriormente il ciclo globale dell'acqua, compresoa la sua variabilità, le precipitazioni monsoniche globali e la gravità degli eventi umidi e secchi.

B.4 In scenari con emissioni di CO2 crescenti, i pozzi di assorbimento del carbonio oceanici e terrestri si prevede che saranno meno efficaci nel rallentare l'accumulo di CO2 nell'atmosfera.

B.5 Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra passate e future sono irreversibili per secoli a millenni, in particolare i cambiamenti nell'oceano, nelle calotte glaciali e nel livello globale del mare.

C. Informazioni sul clima per la valutazione del rischio e l'adattamento regionale

C.1 I fattori naturali e la variabilità interna modulano i cambiamenti causati dall'uomo, specialmente a scala regionale e nel breve termine, con scarsi effetti sul riscaldamento globale secolare. Queste modulazioni sono importanti da considerare nella pianificazione dell'intera gamma di possibili cambiamenti.

C.2 Con l'ulteriore riscaldamento globale, ogni regione dovrebbe sperimentare sempre più cambiamenti simultanei e multipli nei fattori di impatto climatico. in diverse condizioni climatiche i cambiamenti dei fattori di impatto saranno più diffusi a 2 °C rispetto agli 1,5 °C del riscaldamento globale e ancora più diffusi e/o pronunciati per livelli di riscaldamento più elevati.

C.3 Esiti a bassa probabilità, come il default della calotta glaciale, il cambiamento improvviso della circolazione oceanica, alcuni eventi estremi compositi e un riscaldamento sostanzialmente maggiore di quello valutato come intervallo di riscaldamento futuro molto probabile, non si possono escludere e fanno parte della valutazione del rischio.


D. Limitare i futuri cambiamenti climatici

D.1 Dal punto di vista delle scienze fisiche, limitare il riscaldamento globale indotto dall'uomo a uno specifico livello, richiede la limitazione delle emissioni cumulative di CO2, raggiungendo almeno lo zero netto di CO2 emissioni, insieme a forti riduzioni di altre emissioni di gas serra. Forti, rapide e prolungate riduzioni delle emissioni di CH4 limiterebbero anche l'effetto di riscaldamento causato dalla diminuzione dell'inquinamento da aerosol e migliorerebbero la qualità dell'aria.

D.2 Scenari con emissioni di gas serra (GHG) basse o molto basse (SSP1-1.9 e SSP1-2.6) portano in pochi anni a effetti percepibili sulle concentrazioni dei gas serra e degli aerosol, e sulla qualità dell'aria, rispetto a scenari di emissioni di gas serra elevate o molto elevate (SSP3-7.0 o SSP5-8.5). Differenze percepibili  sulle tendenze della temperatura superficiale globale tra questi scenari contrastanti inizierebbero ad emergere dalla variabilità naturale entro circa 20 anni e su periodi di tempo più lunghi per molti altri fattori di impatto climatico (alta confidenza).

TORNA SU

24 Giugno 2021. Il Parlamento europeo approva la EU Climate Law, la legge delle leggi

A sei anni dalla COP 21 di Parigi, il Parlamento europeo ha approvato una legge che rende giuridicamente vincolanti gli obiettivi dell'Unione europea in materia di emissioni di gas serra, aprendo la strada a una revisione della politica per ridurre più rapidamente l'inquinamento che provoca il riscaldamento del pianeta. I negoziatori del Parlamento e dei 27 paesi membri dell'UE hanno raggiunto un accordo ad aprile sulla legge sul clima, che pone obiettivi di riduzione delle emissioni più rigorosi al centro del processo decisionale dell'UE. Il disegno di legge fissa obiettivi per ridurre le emissioni nette dell'UE del 55% entro il 2030, dai livelli del 1990, ed eliminare le emissioni nette entro il 2050. Il Parlamento ha formalmente approvato la legge con 442 voti favorevoli, 203 contrari e 51 astenuti. Alcuni parlamentari verdi si sono astenuti, dopo aver cercato un più ambizioso taglio del 60% delle emissioni entro il 2030. I gruppi di destra hanno votato contro.

La legge sul clima guiderà la governance dell'UE nei prossimi decenni, a cominciare dall'ampio pacchetto di politiche che la Commissione proporrà il 14 luglio, progettate per ridurre le emissioni più velocemente per raggiungere gli obiettivi climatici. Comprenderà obiettivi più ambiziosi in materia di energie rinnovabili, riforme del mercato del carbonio dell'UE e norme più severe in materia di CO2 per le nuove auto. La maggior parte delle leggi dell'UE sono progettate per raggiungere il precedente obiettivo del blocco di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 e necessitano di un aggiornamento per raggiungere i nuovi obiettivi. Le emissioni dell'UE nel 2019 sono state inferiori del 24% rispetto al 1990. I nuovi obiettivi sono progettati per mettere l'UE su un percorso che, se seguito a livello globale, limiterebbe l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C, come richiesto dall'Accordo di Parigi. Il 28 giugno i rappresentanti dei paesi membri dell'UE approveranno formalmente la legge. Parlamento e Ue firmeranno poi il testo, un passaggio formale, prima che diventi legge.

La legge crea un organismo indipendente di esperti scientifici, due per ciascun paese,  per fornire consulenza sulle politiche climatiche, seguire le indicazioni dell'IPCC e definire il budget per i gas serra per le emissioni totali che l'UE può produrre dal 2030 al 2050 per raggiungere i suoi obiettivi climatici.

Dopo il 2050, l'UE punterà alle emissioni negative.  La Commissione presenterà una proposta per un ulteriore obiettivo per il 2040 sei mesi al più tardi dopo la prima revisione globale nel 2023 prevista dall'Accordo di Parigi. La commissione pubblicherà una stima della quantità massima di emissioni di gas serra  che l'UE può emettere fino al 2050 senza mettere in pericolo gli impegni di Parigi (il cd. carbon budget), che servirà anche per definire l'obiettivo rivisto dell'UE per il 2040. Entro il 30 settembre 2023, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione valuterà i progressi collettivi compiuti da tutti i paesi dell'UE, nonché la coerenza delle misure nazionali, verso l'obiettivo dell'UE di diventare climaticamente neutra entro il 2050.

La proposta di Climate Law dovrebbe essere approvata a breve dal Consiglio europeo. Sarà poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

TORNA SU

 

20 giugno 2021. Viene resa disponibile una anticipazione del VI Rapporto di assessment, WKG1, dell'IPCC, che verrà pubblicato nel 2022

È trapelata una bozza del VI Rapporto dell’IPCC, del WKG 1. In 4000 pagine sostiene che il cambiamento climatico rimodellerà radicalmente la vita sulla Terra nei prossimi decenni, anche se gli esseri umani riusciranno a domare le emissioni di gas serra. Estinzione delle specie, malattie più diffuse, caldo invivibile, collasso dell'ecosistema, città minacciate dall'innalzamento dei mari: questi e altri devastanti impatti climatici stanno accelerando e sono destinati a diventare dolorosamente evidenti prima di 30 anni. Le soglie pericolose sono più vicine di quanto si pensava. Del documento non è purtroppo previsto il rilascio fino a febbraio 2022, troppo tardi per le Conferenze delle Parti delle Convenzioni ONU di quest’anno.

La bozza del rapporto arriva in un momento di risveglio ecologico globale e di impegni net-zero tanto generalizzati quanto mal definiti da parte di governi e aziende di tutto il mondo. Le sfide che evidenzia sono sistemiche, intrecciate nel tessuto stesso della vita quotidiana dove i meno responsabili del riscaldamento globale soffriranno in modo sproporzionato. Gli shock climatici già avvenuti hanno alterato drammaticamente l'ambiente e spazzato via un gran numero di specie viventi, sollevando la domanda se l'umanità stia preparando la propria scomparsa. La vita sulla Terra potrebbe riprendersi da un drastico cambiamento climatico evolvendosi in nuove specie e creando nuovi ecosistemi, ma gli umani non possono.

Sono tre le conclusioni principali nella bozza del rapporto:

Il primo punto è che con 1,1 gradi Celsius di riscaldamento registrato finora, il clima sta già cambiando. Un decennio fa, gli scienziati credevano che limitare il riscaldamento globale a 2°C sopra i livelli della metà del 19° secolo sarebbe stato sufficiente per salvaguardare il nostro futuro. Questo obiettivo è sancito dall'Accordo di Parigi. Con le tendenze attuali, ci stiamo dirigendo verso i 3 °C a fine secolo. I modelli precedenti prevedevano che non avremmo visto cambiamenti climatici in grado di alterare la Terra prima del 2100, ma il nuovo rapporto delle Nazioni Unite afferma che il riscaldamento prolungato anche oltre 1,5 gradi Celsius potrebbe produrre conseguenze progressivamente gravi, lunghi secoli e, in alcuni casi, irreversibili. Il mese scorso, la WMO ha previsto una probabilità del 40% che la Terra superi la soglia di 1,5 gradi per almeno un anno entro il 2026. Per alcune piante e animali potrebbe essere troppo tardi. Anche a 1,5 °C di riscaldamento, le condizioni cambieranno oltre la capacità di adattamento di molti organismi, osserva il rapporto. Le barriere coralline, ecosistemi da cui dipendono mezzo miliardo di persone, ne sono un esempio. Le popolazioni indigene dell'Artico affrontano l'estinzione culturale poiché l'ambiente su cui sono costruiti i loro mezzi di sussistenza e la loro storia si scioglie sotto i loro piedi. Un mondo in via di riscaldamento aumenta la durata delle stagioni degli incendi, raddoppiato le potenziali aree bruciabili e ha contribuito alle perdite dei sistemi alimentari.

Il secondo punto è che gli attuali livelli di adattamento saranno inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici. Decine di milioni di persone in più rischiano di affrontare la fame cronica entro il 2050 e altri 130 milioni potrebbero sperimentare la povertà estrema entro un decennio se si permette che la disuguaglianza si approfondisca. Nel 2050, le città costiere in prima linea della crisi climatica vedranno centinaia di milioni di persone a rischio di inondazioni e mareggiate sempre più frequenti rese più mortali dall'innalzamento dei mari. Circa 350 milioni di persone in più che vivono nelle aree urbane saranno esposte alla scarsità d'acqua a causa di gravi siccità a 1,5 °C di riscaldamento; 410 milioni a 2°C. Quel mezzo grado in più significherà anche 420 milioni di persone in più esposte a ondate di calore estreme e potenzialmente letali. Si prevede che i costi di adattamento per l'Africa aumenteranno di decine di miliardi di dollari all'anno.

In terzo luogo, il rapporto delinea il pericolo di impatti composti e a cascata, insieme al superamento delle soglie di non ritorno nel sistema climatico note tipping point, che gli scienziati hanno appena iniziato a misurare e comprendere. Nel sistema climatico viene ora identificata una dozzina di percorsi che possono attivare della un cambiamento irreversibile e potenzialmente catastrofico. Il riscaldamento di 2 °C potrebbe causare lo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartico occidentale con abbastanza acqua da sollevare gli oceani di 13 metri in modo irreversibile. Altri punti critici potrebbero vedere il bacino amazzonico trasformarsi da foresta tropicale a savana e miliardi di tonnellate di fuoruscita di carbonio dal permafrost della Siberia alimentare un ulteriore riscaldamento. In un futuro più immediato, alcune regioni, Brasile orientale, Sud-est asiatico, Mediterraneo, Cina centrale e le coste quasi ovunque, potrebbero essere colpite da più calamità climatiche contemporaneamente: siccità, ondate di calore, cicloni, incendi e inondazioni. Gli impatti temibili includono la perdita di habitat e di resilienza, lo sfruttamento eccessivo dell’acqua, l’inquinamento, specie non autoctone invasive e diffusione di parassiti e malattie.

Ci sono pochissime buone notizie nel rapporto, ma l'IPCC sottolinea che si può fare molto per evitare gli scenari peggiori e prepararsi a impatti che non possono più essere evitati. La conservazione e il ripristino dei cosiddetti ecosistemi del carbonio blu, ad esempio foreste di alghe e mangrovie, migliorano gli stock di carbonio e proteggono dalle mareggiate, oltre a fornire habitat per la fauna selvatica, mezzi di sussistenza costieri e sicurezza alimentare. Il passaggio a diete più a base vegetale potrebbe ridurre le emissioni legate al cibo fino al 70% entro il 2050. Non basterà, però, l’auto elettrica o piantare miliardi di alberi. Abbiamo bisogno di un cambiamento trasformazionale che operi su processi e comportamenti a tutti i livelli: individuo, comunità, imprese, istituzioni e governi. Dobbiamo ridefinire il nostro modo di vivere e di consumare.

TORNA SU

 

 

18 Aprile 2021. Tra Cina e Stati Uniti un nuovo deal per il clima

La Cina e gli Stati Uniti hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui affermano di essere impegnati a lavorare insieme e con altri paesi per affrontare il cambiamento climatico. La dichiarazione ha fatto seguito a un incontro a Shanghai alla fine della scorsa settimana tra l'inviato cinese per il clima Xie Zhenhua e la sua controparte statunitense John Kerry. Gli Stati Uniti e la Cina si sono impegnati a cooperare tra loro e con altri paesi per affrontare la crisi climatica, afferma il comunicato, aggiungendo che entrambe le nazioni continueranno a discutere azioni concrete negli anni '20 per ridurre le emissioni volte a rispettare l'Accordo di Parigi.

Entrambe le parti hanno promesso piani per ridurre ulteriormente le proprie emissioni. Il presidente Biden svelerà le sue proposte durante o prima del vertice statunitense della prossima settimana. Il presidente Xi potrebbe annunciare obiettivi cinesi più stretti al Forum Boao - un forum cinese per i leader economici e di governo - anche questa settimana. Il vice ministro degli Esteri cinese Le Yucheng ha segnalato che è improbabile che la Cina prenda nuovi impegni nell'incontro sul cambiamento climatico convocato dal presidente Joe Biden per la prossima settimana. Alla domanda sugli obiettivi climatici della Cina, Le ha detto che per un grande paese con 1,4 miliardi di persone, questi obiettivi non sono facilmente realizzabili.

La dichiarazione congiunta arriva nonostante le crescenti tensioni tra le due potenze, aumentando le possibilità di un accordo globale sulle emissioni nel vertice delle Nazioni Unite quest'anno a Glasgow. L'impegno, che segue due giorni di riunioni ad alto rischio a Shanghai, è un segnale che il cambiamento climatico potrebbe essere una rara area di collaborazione in un rapporto teso. Secondo John Kerry  questa è la prima volta che la Cina dice che si tratta di una crisi e che  concordiamo elementi critici su dove indirizzarci. Kerry ha detto che è molto importante cercare di tenere lontane altre cose come le controversie sui diritti umani e Hong Kong, perché il clima è una questione di vita o di morte in tutto il mondo. Il leader cinese Xi Jinping, in quella che sembrava essere una replica agli Stati Uniti, ha avvertito che la questione del clima non dovrebbe essere una merce di scambio per la geopolitica o una scusa per introdurre barriere commerciali. La Cina agirà sicuramente, ha detto,  in base alle sue parole e le sue azioni produrranno sicuramente risultati. Speriamo che le economie avanzate diano un esempio in termini di slancio per la riduzione delle emissioni e per aprire la strada anche all'adempimento degli impegni per i finanziamenti per il clima. Xi si è impegnato a sostenere che la Cina impiegherà il tempo più breve nella storia del mondo per passare dal picco alla neutralità del carbonio. Tuttavia ha respinto i piani dell'UE per sviluppare il cosiddetto meccanismo di aggiustamento del carbonio ai confini, la border tax,  che mira a garantire che le aziende che producono in paesi con regole climatiche più permissive affrontino un costo del carbonio quando esportano in Europa (vedi il post seguente).

TORNA SU
 

10 Marzo 2021. Il Parlamento europeo propone l’adozione del Carbon Border Adjustment Mechanism

Con un meccanismo di adeguamento alle frontiere, CBAM, il prezzo delle merci importate in Europa rifletterebbe più accuratamente il loro contenuto di carbonio. Ciò garantirebbe che gli obiettivi climatici dell'UE non siano compromessi dal trasferimento della produzione in paesi con politiche climatiche meno ambiziose.

Nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissioni dell'UE (ETS), le industrie dell'UE si trovano ad affrontare una riduzione del limite delle emissioni verso il 2030, insieme a un prezzo da pagare se le emissioni superano un certo livello di riferimento. L'obiettivo è quello di guidare le industrie europee verso un percorso di riduzione delle emissioni di gas serra. Tuttavia, le importazioni nell'UE non sono soggette all'ETS e quindi acquisiranno un vantaggio competitivo sempre maggiore se i produttori di paesi terzi beneficeranno di costi del carbonio interni inferiori o nulli. Nell'attuale sistema ETS, l'assegnazione gratuita di diritti di emissione a livelli di riferimento mira a salvaguardare la competitività dell'industria ed evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Tuttavia, più diventeranno asimmetrici gli obiettivi di emissione e le misure politiche, più sarà fondamentale livellare efficacemente le condizioni di scambio per l'industria dell'UE attraverso disposizioni rafforzate sulla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

Nel 2015 il rapporto tra le emissioni importate e le emissioni esportate dall'UE era di 3:1, dal momento che l'UE importava 1317 Mt di CO2 e ne esportava 424. L'UE è il principale importatore di carbonio al mondo e il tenore di carbonio delle merci esportate dall'UE è nettamente inferiore a quello delle merci importate. Il Parlamento Europeo, nella sua risoluzione del 10 marzo 2021, parte dalla osservazione che gli sforzi europei volti a contrastare i cambiamenti climatici sono superiori alla media degli sforzi internazionali e sottolinea che, per misurare l'impronta climatica complessiva dell'Unione, è necessario un efficace metodo di rendicontazione che tenga conto delle emissioni delle merci e dei servizi importati. Circa il 27 % delle emissioni globali di CO2 dovute alla combustione riguarda attualmente merci scambiate a livello internazionale. Alle importazioni nette di beni e servizi nell'UE è riconducibile oltre il 20 % delle emissioni interne di CO2 dell'Unione. Benché l'UE abbia notevolmente ridotto le sue emissioni interne di gas serra, le emissioni GHG incorporate nelle importazioni verso l'UE hanno registrato un costante aumento, compromettendo in tal modo gli sforzi compiuti dall'UE per ridurre la sua impronta carbonica globale.  

Il Parlamento chiede pertanto alla Commissione di mettere a punto metodologie intese a determinare l'impronta di carbonio e ambientale di ogni prodotto, adottando un approccio basato sull'intero ciclo di vita e garantendo che la contabilizzazione delle emissioni incorporate dei prodotti sia quanto più realistica possibile, includendo le emissioni prodotte dai trasporti internazionali. Sulla base di tale metodologia si può dare attuazione al meccanismo di CBAM previsto dal Green Deal, a condizione che sia compatibile con le norme del WTO e con gli accordi di libero scambio dell'UE, che non sia discriminatorio e non costituisca una restrizione dissimulata del commercio internazionale. Un CBAM creerebbe un incentivo per le industrie europee e i partner commerciali dell'UE a decarbonizzare le proprie industrie e sosterrebbe pertanto le politiche climatiche dell'UE e globali a favore della neutralità GHG in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi.  Il CBAM dovrebbe essere concepito esclusivamente per promuovere gli obiettivi climatici e non dovrebbe essere utilizzato impropriamente come strumento per rafforzare il protezionismo, le discriminazioni o le restrizioni ingiustificabili e al contempo dovrebbe essere non discriminatorio e mirare a garantire condizioni di parità a livello globale.

Il Parlamento chiede alla Commissione di proporre, a integrazione dell'introduzione del CBAM, norme e standard più ambiziosi e vincolanti relativi alla riduzione delle emissioni GHG e ai risparmi in termini di risorse e di energia per i prodotti immessi sul mercato dell'UE, a sostegno del quadro strategico in materia di prodotti sostenibili e del nuovo piano d'azione per l'economia circolare. Ritiene che, al fine di evitare eventuali distorsioni nel mercato interno e lungo la catena del valore, il CBAM dovrebbe applicarsi a tutte le importazioni di prodotti e materie prime coperti dal sistema EU ETS, anche se integrati in prodotti intermedi o finali. In una fase iniziale (già entro il 2023) e previa una valutazione d'impatto, il CBAM dovrebbe applicarsi al settore energetico e ai settori industriali ad alta intensità energetica come quelli del cemento, dell'acciaio, dell'alluminio, della raffinazione del petrolio, della carta, del vetro, dei prodotti chimici e dei fertilizzanti, che continuano a beneficiare di consistenti quote gratuite e rappresentano tuttora il 94 % delle emissioni.

Il contenuto di emissioni GHG delle importazioni dovrebbe essere contabilizzato sulla base di parametri di riferimento trasparenti, affidabili e aggiornati per prodotto a livello degli impianti nei paesi terzi e che, qualora l'importatore non renda disponibili i dati, dovrebbe essere contabilizzato il contenuto medio globale di emissioni GHG dei singoli prodotti, ripartito per i diversi metodi di produzione che presentano intensità di emissioni differenti. La fissazione del prezzo del carbonio per le importazioni dovrebbe coprire le emissioni dirette e indirette e quindi anche tenere conto dell'intensità di carbonio della rete elettrica di ciascun paese o, qualora l'importatore renda disponibili i dati, l'intensità di carbonio del consumo energetico a livello di impianto.  Per affrontare il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di CO2, nel rispetto delle norme del WTO, il CBAM deve imporre oneri per il contenuto di carbonio delle importazioni in modo da rispecchiare i costi del carbonio sostenuti dai produttori dell'UE e la fissazione del prezzo del carbonio dovrebbe rispecchiare l'evoluzione dinamica del prezzo delle quote dell'UE nel quadro del sistema EU ETS. Secondo il Parlamento gli importatori dovrebbero acquistare le quote da una riserva distinta di quote rispetto all'EU ETS, in cui il prezzo del carbonio corrisponde a quello del giorno dell'operazione nell'EU ETS.

L'iniziativa deve mirare a rendere superfluo il CBAM man mano che il resto del mondo avrà raggiunto il livello di ambizione che l'UE ha fissato in termini di riduzione delle emissioni di CO2. A tal fine la Commissione deve intensificare gli sforzi per conseguire una fissazione del prezzo globale della CO2 e per agevolare il commercio di tecnologie per la protezione del clima e dell'ambiente, ad esempio attraverso iniziative di politica commerciale come l'accordo sui beni ambientali del WTO. Consequenzialmente l'attuazione del CBAM deve essere accompagnata dall'eliminazione di tutte le forme di sovvenzioni dannose per l'ambiente concesse alle industrie ad alta intensità energetica a livello nazionale.

TORNA SU

 

6 Marzo 2021. L'Italia manda in Europa la sua strategia di decarbonizzazione a lungo termine

Poca attenzione è stata dedicata alla Strategia di lungo termine di decarbonizzazione per l’Italia al 2050 che è stata presentata dai quattro ministeri competenti, agricoltura compresa, alla commissione EU l’11 febbraio, in piena crisi di governo qui da noi. Si tratta invece di un documento valido, a differenza del PNIEC corrente. Al 2050 i 210 MtCO2eq del PNIEC sono portati a 50, un ben diverso obiettivo che forse potremmo pensare di neutralizzare. Si prospettano, tra l’altro, 300 GW di fotovoltaico in più, un impegno al quale occorre porre mano fin da subito.

Una strategia al 2050 è contenuta tra le richieste nella decisione di approvazione dell’Accordo di Parigi del dicembre 2015. Nel 2018 la   Commissione europea ha pubblicato una comunicazione denominata “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”, ed ha richiesto agli Stati Membri di redigere le loro strategie nazionali.

Tra i punti rilevanti del documento italiano, oltre l’incremento della generazione elettrica fotovoltaica, va annotato il pesante abbattimento dei consumi finali di energia del 40% al 2050. Nei trasporti e nel civile la penetrazione dell’elettricità nelle motorizzazioni e nel condizionamento degli edifici mediante pompe di calore potrà garantire il percorso di decarbonizzazione.

Il documento mette a confronto uno scenario di riferimento a politiche correnti, quindi secondo l’attuale PNIEC, con uno scenario di decarbonizzazione capace di conseguire gli obiettivi europei. La figura seguente evidenzia la grande differenza fra le emissioni italiane del 2018 e le emissioni nel 2050 nello scenario di riferimento e nello scenario di decarbonizzazione della nuova Strategia. Va da sé che lo scenario di decarbonizzazione implica il phase out del carbone, già programmato dal PNIEC al 2025, del petrolio, un sostanziale ridimensionamento nell’uso del gas naturale non biologico e un lancio deciso e convinto dell’idrogeno verde (si veda a tal proposito il nuovo Rapporto del GSE-RSE).  Per l’idrogeno si adombra la possibilità di una progressiva riconversione delle infrastrutture per il trasporto e la distribuzione del gas naturale, in una prima fase utilizzando una miscelazione che è già compatibile fino al 20% di idrogeno.

La strategia non nasconde la difficoltà e l’urgenza delle scelte politiche per la decarbonizzazione per il loro elevato impatto economico e sociale in un quadro di tecnologie non ancora pronte e comunque sviluppabili solo su una base europea di collaborazione integrata. È deplorevole che non vi sia una discussione pubblica ampia di queste tematiche, ineludibile anche perché la transizione energetica che la strategia delinea implica impatti sul territorio molto rilevanti. Si pensi alle pale eoliche e ai campi fotovoltaici per i quali, in Italia, esiste un oggettivo conflitto con usi alternativi del territorio per finalità non solo agricole ma anche turistiche e paesaggistiche. Ma non è facendo finta di niente o rinviando i nodi controversi che si potrà portare a termine la transizione in un regime di condivisione e di integrazione di un assetto socioeconomico e culturale profondamente diverso.

TORNA SU

 

23 Marzo 2020. Toni Federico: Partire dalla crisi sanitaria per risolvere la crisi climatica

La pandemia Covid-19 fu definita all’inizio come un cigno nero, ovvero come un evento a probabilità zero secondo la ben nota definizione di N.N. Taleb. Niente di più falso, se si considera che avvisaglie di zoonosi virali epidemiche, AIDS, Ebola, MERS, SARS, ne sono arrivate in continuazione in questi ultimi anni. Che si sia trattato di focolai asiatici e africani ci ha spinto alla falsa idea che si trattasse di problemi altrui. Così i piani pandemici e la medicina territoriale sono stati declassati in tutto l’occidente. Oggi impariamo dalla Corea del Sud, paese ad alto sviluppo tecnologico e sociale, che la preparedness alle epidemie, come per Giappone e la California ai terremoti, può salvare la vita a milioni di persone.

Ma abbiamo una chance per il dopo Covid-19, imparare dall’esperienza. Tutti i governi sono stati messi alla frusta dal coronavirus. Hanno commesso una serie incredibile di errori di visione, di strategia e di azione pratica. Sarebbe davvero grave che gli stessi errori venissero fatti in fase di ripartenza. Non sfugge che ci sono tristi coincidenze tra la crisi in atto e quelle che temiamo saranno le prime gravi manifestazioni del cambiamento climatico. Queste possono comparire improvvisamente, con gradi elevati di impatto sulla popolazione e con gravità e durata imprevedibili. Potrebbero, si teme, essere addirittura irreversibili. Quantomeno dell’Accordo di Parigi in avanti, del 2015, tutti i paesi del mondo sono avvertiti, eppure l’azione politica ristagna.  Farsi trovare impreparati una seconda volta sarebbe intollerabile.

Tra cambiamenti climatici ed inquinamento dell’aria c’è uno stretto legame. La cronaca e la ricerca scientifica stanno dimostrando ora che le popolazioni esposte a lungo all’inquinamento dell'aria, come nella nostra Lombardia, stanno pagando un prezzo altissimo al coronavirus, quando già oltre 5 milioni di persone in tutto il mondo muoiono prematuramente ogni anno a causa del degrado della qualità dell’aria. Non sorprende che questa crisi globale stia portando a una riduzione della domanda di energia e delle emissioni globali di gas serra. Eppure si tratterebbe a fine anno, secondo il WMO, di una contrazione delle emissioni serra su scala globale del 5-6% che sappiamo essere una misura affatto inadeguata al contenimento del riscaldamento terrestre a fine secolo di 1,5 – 2 °C, per il quale ci siamo impegnati a Parigi.

Per affrontare questo tipo di crisi distruttive e riaprire concrete possibilità di un futuro migliore, servono politiche e misure innovative e di vasta portata, un intervento pubblico - nazionale ed europeo - di dimensioni mai viste prima e un impegno straordinario dei governi, dei cittadini e delle imprese. Un numero crescente di prove dimostra che il perseguimento di una crescita a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima è il modo migliore per sbloccare durevolmente benefici economici e sociali. Si calcola che un'azione decisa per il clima potrebbe offrire benefici economici globali netti tra oggi e il 2030 pari a 26 trilioni di US$, con la creazione di oltre 65 milioni di nuovi posti di lavoro.

Tutto ciò è possibile conservando un’adeguata consapevolezza, una visione condivisa e scelte chiare con un’accelerazione dei Green Deal europeo e italiano, con la promozione delle fonti rinnovabili, del risparmio energetico e della decarbonizzazione, a partire dalla conferma del phase out dal carbone entro il 2025.

Il Green Deal  è la via da seguire  per una più forte e duratura ripresa, perché  valorizza le  migliori potenzialità dell’Italia: quelle delle sue produzioni di qualità, sempre più green e inscindibili dalla decarbonizzazione e dalla circolarità dei modelli di produzione, distribuzione e consumo; quelle del riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare come le fonti rinnovabili di energia e le smart grid elettriche lo sono per un’economia climaticamente neutra; quelle del suo modello di agricoltura sostenibile, strategica per la sicurezza alimentare, e della sua bioeconomia rigenerativa; quelle delle sue città da rilanciare con un vasto programma di rigenerazione urbana nella chiave della transizione energetica; quelle della mobilità futura, decarbonizzata, elettrica e condivisa; quelle dell’innovazione digitale che può contribuire a migliorare il  lavoro , lo studio e la  cura della nostra salute, riducendo la nostra impronta ecologica e realizzando una barriera di monitoraggio, difesa ed early warning per la salute, per il degrado ambientale, la qualità dell’aria ed il clima. L’attuale crisi sanitaria ha posto definitivamente in luce le potenzialità dello smart working e dello smart learning, con prospettive promettenti di riduzione della mobilità e vantaggi per il clima e la qualità dell’aria.

Tutto ciò ovviamente comporta un aumento ed una focalizzazione degli investimenti pubblici e privati verso la conversione alla sostenibilità di un’economia malata e bisognosa di un forte rilancio, ed una nuova sensibilità dei cittadini in fatto di consumi, non ultimi quelli alimentari, attualmente insostenibili e iniquamente distribuiti. La lezione della pandemia apre la strada ad un rinnovato ruolo dello Stato nei settori strategici e nei beni comuni essenziali: la difesa del territorio, settore nel quale abbiamo perso di vista il Piano nazionale  di adattamento, che sarebbe stato molto utile per la stessa pandemia, la sanità pubblica, la ricerca e l’istruzione, l’accelerazione della transizione energetica con un rilancio delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, e un nuovo sistema di trasporto decarbonizzato, smart e sostenibile. Una nuova economia rilanciata su catene del valore più corte e sulle eccellenze nazionali permetterebbe inoltre un aumento delle esportazioni rispetto alle importazioni e rendendo così sempre meno difficile la eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambente. Gli aiuti alle imprese dovranno essere condizionati dagli obiettivi climatici e di sviluppo sostenibile. Il concetto, i piani e le misure di questa transizione giusta devono essere intrapresi senza esitazioni nella trasformazione economica e sociale che farà seguito alla crisi sanitaria.

Questa scelta è indispensabile per garantire una difesa strategica dei livelli occupazionali, dell’innovazione e delle risorse industriali del nostro Paese a fronte di un quadro commerciale compromesso e di possibili rischi a carico della presenza italiana sui mercati. L’Europa e l’Italia debbono conservare il ruolo di punta nelle politiche di mitigazione climatica, sostenendo il carbon pricing, rafforzando il sistema ETS non meno che il negoziato multilaterale sul clima a partire dalla COP 26, nonostante il suo rinvio di dodici mesi, dalla cooperazione internazionale e dal rinnovato sostegno al Fondo per il clima (GCF).

Che ci piaccia o no, il mondo è cambiato, sembra completamente diverso da come ci appariva qualche mese fa e probabilmente non sembrerà più lo stesso e dovremo scegliere un nuovo modo di procedere. Sono parole di Greta Thunberg, semplici, come lei stessa è, dette in occasione della Giornata della Terra del 22 aprile dell’anno del Covid-19.

TORNA SU

20 Marzo 2020. Toni Federico ed Edo Ronchi: La carbon tax: dare un prezzo alle emissioni che alterano il clima

Publicato nel n° 2020/1 di ECONOMIA ITALIANA, Rivista quadrimestrale fondata nel 1979 da Mario Arcelli

Si è appena conclusa la COP 25 ospitata a Madrid dal governo spagnolo con un rinvio all’anno prossimo della regolazione dei mercati del carbonio di cui all’Art. 6 dell’Accordo di Parigi. Le grandi manifestazioni per il clima che si sono svolte nel 2019 in tutto il mondo hanno posto a un fronte ampio di opinione pubblica, di forze sociali e politiche l’interrogativo “Cosa possiamo fare di concreto per ridurre in modo più consistente le emissioni di gas serra che stanno sconvolgendo il clima?”

In Italia le emissioni di gas serra sono a 426 MtCO2eq (Milioni di tonnellate di CO2 equivalenti) e non calano dal 2014. Per allinearci con la traiettoria dell’Accordo di Parigi per il clima dovremmo almeno dimezzare, entro il 2030, le emissioni del 1990, cioè ridurle a 260 MtCO2eq. Con le misure attualmente vigenti, secondo ISPRA, ci mancano misure per tagliare 120 MtCO2eq nei prossimi 10 anni,12 all’anno,. C’è un solo strumento in grado di disincentivare l’impiego di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) e di generare risorse finanziarie rilevanti in grado di finanziare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio: è la carbon tax. Secondo la World Bank è in atto una forte diffusione di questo strumento nel mondo: i paesi che hanno introdotto misure per dare un prezzo alle emissioni di carbonio sono cresciuti da 19 nel 2010 a ben 56 nel 2019. In Europa già 10 Paesi hanno introdotto una carbon tax: Finlandia, Danimarca, Slovenia, Polonia, Norvegia, Svezia, Francia, Spagna, Portogallo e, recentemente, anche la Germania.

La carbon tax è necessaria per coinvolgere i consumatori e le imprese in scelte di riduzione delle emissioni di gas serra. La carbon tax va introdotta gradualmente nei settori non regolati da sistemi EU ETS (Emissions Trading System) di scambio delle emissioni, tipicamente i trasporti e il civile, che già pagano un prezzo per le proprie emissioni, partendo da un livello basso cheva fatto crescere gradualmente preparando la sua introduzione con una fase di discussione e di confronto pubblico. Una parte di questa tassa va impiegataper ridurre altre tasse, a partire da quelle sul lavoro e per compensazioni sociali per le famiglie a basso reddito. La parte rimanente, intorno alla metà, andrebbe investita in attività che riducano le emissioni, alimentino la green economy e l’occupazione.

La carbon tax è anche lo strumento più efficace per ridurre i sussidi esistenti, dannosi per l’ambiente, perché consente di applicare e comunicare un criterio omogeneo per la loro graduale riallocazione: dare e far pagare un prezzo per le emissioni di carbonio. (> leggi l'intero articolo)

TORNA SU

 

 

5 Novembre 2019: Nuovo Rapporto su clima ed economia in un mondo più green: Stato e tendenze del 2018, con un focus sugli impatti ecosistemici dei cambiamenti climatici, di Toni Federico

 

Venezia: alluvione del 5 Novembre 2019

VeneziaNegli ultimi decenni, i cambiamenti climatici hanno causato impatti sui sistemi naturali e umani in tutti i continenti. Allo stato delle conoscenze l’evidenza dell'impatto dei cambiamenti climatici è più forte e completa per i sistemi naturali. Alcuni impatti sui sistemi umani sono stati attribuiti ai cambiamenti climatici, con un contributo più o meno distinguibile da altre influenze.

In molte regioni, il cambiamento del regime delle precipitazioni o lo scioglimento della neve e del ghiaccio stanno alterando i sistemi idrologici, influenzando le risorse idriche in termini di quantità e qualità. I ghiacciai continuano a ridursi quasi in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici, influenzando il deflusso delle risorse idriche a valle. Il cambiamento climatico sta causando il riscaldamento e lo scongelamento del permafrost in regioni ad alta latitudine e ad alta quota.

Molte specie terrestri, di acqua dolce e marine, hanno modificato in risposta ai cambiamenti climatici la loro distribuzione geografica, le attività stagionali, i modelli di migrazione, la loro numerosità e le interazioni tra le specie. Anche se solo poche recenti estinzioni di specie sono state finora attribuite ai cambiamenti climatici, si deve osservare che, negli ultimi milioni di anni, cambiamenti climatici globali naturali più lenti di quelli attuali hanno causato cambiamenti significativi nell'ecosistema ed estinzioni di specie.

Gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sui raccolti sono stati maggiori degli impatti positivi ed hanno influito negativamente sui raccolti di frumento e granoturco per molte regioni e nell'aggregato globale. Sulla resa del riso, che è un altro alimento di importanza globale, gli effetti sono inferiori rispetto alle altre colture. Gli impatti osservati riguardano principalmente gli aspetti produttivi della sicurezza alimentare. Diversi recenti rapidi aumenti dei prezzi alimentari, conseguenti ad eventi climatici estremi nelle principali regioni produttrici, indicano una sensibilità dei mercati a tali eventi.

Fortunatamente i danni alla salute umana causati dai cambiamenti climatici sono relativamente ridotti rispetto ad altri fattori di stress, anche se non sono ben quantificati. Tuttavia, c'è stata una maggiore mortalità correlata alle ondate di calore e una diminuzione della mortalità attribuita al freddo in alcune regioni. I cambiamenti locali della temperatura e delle piogge hanno alterato la distribuzione di alcuni vettori acquatici di malattie. Le differenze di vulnerabilità e di esposizione derivano da fattori non climatici, socioeconomici e demografici, e da disuguaglianze multifattoriali prodotte da processi di sviluppo irregolari. Le persone socialmente, economicamente, culturalmente, politicamente, istituzionalmente o altrimenti emarginate sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici e si segnalano anche pericoli derivanti da alcune delle risposte di adattamento e mitigazione. Tali processi sociali comprendono la discriminazione di genere, di classe, di etnia, di età e di disabilità.

Gli impatti di recenti eventi climatici estremi, come ondate di calore, siccità, inondazioni, cicloni e incendi, rivelano vulnerabilità ed esposizioni di alcuni ecosistemi e di molte comunità umane all’attuale variabilità climatica. Gli impatti di tali estremi legati al clima comprendono l'alterazione degli ecosistemi, l'interruzione della produzione alimentare e dell'approvvigionamento idrico, danni alle infrastrutture e agli insediamenti, morbilità, mortalità e conseguenze per la salute mentale e il benessere umano. Questi impatti sono più gravi per effetto di una significativa mancanza di preparazione per i rischi generati dall'attuale variabilità climatica. I pericoli legati al clima esacerbano altri fattori di stress, spesso con esiti negativi per i mezzi di sussistenza, specialmente per le persone che vivono in povertà. I pericoli legati al clima influenzano la vita delle persone povere direttamente attraverso l'impatto sui mezzi di sostentamento, la riduzione dei raccolti o la distruzione delle case e indirettamente, ad esempio, attraverso l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e l'insicurezza alimentare. Anche i conflitti violenti aumentano la vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Conflitti violenti su larga scala danneggiano le risorse che facilitano l'adattamento, comprese le infrastrutture, le istituzioni, le risorse naturali, il capitale sociale e le opportunità di sostentamento.

I dati dimostrano che gli eventi estremi hanno sviluppato negli ultimi decenni una tendenza a gravare sulla collettività con costi crescenti. Secondo Figueres[1], Segretario della UNFCC a Parigi 2015, i disastri innescati dal clima nel 2017 sono costati all'economia globale 320 GUS$ e circa 10.000 vite perdute[2]. I costi totali dei disastri del 2018, inclusi i tifoni, gli uragani, le ondate di caldo e gli incendi che hanno devastato l'Europa e gli Stati Uniti, sono fortunatamente inferiori. È probabile che questi eventi contribuiscano a un aumento esponenziale dei danni, stimabili a circa 2.200 GUS$ negli ultimi due decenni[3].  Il recente Rapporto speciale dell’IPCC SR15 (cit.) prevede impatti devastanti anche solo con un’anomalia di 2 °C a fine secolo. Si tratterebbe della perdita in quasi tutto il mondo delle barriere coralline e di ondate di calore estreme che metterebbero in pericolo la vita di più di un terzo della popolazione mondiale.

Il clima è anche la principale causa di spostamenti: gli ultimi dati mostrano che il 76% dei 31,1 milioni di sfollati durante il 2016 sono stati costretti lontano dalle loro case a seguito di eventi climatici.

Secondo il WHO l'inquinamento dell'aria indoor e outdoor, è causa del 10% dei decessi a livello mondiale. Le morti sono concentrate in modo schiacciante nei paesi a basso e medio reddito. L’inquinamento dell’acqua causa perdite umane pari a non meno della metà di quelle dell’aria[4]. Solo in questo ultimo anno l’attenzione dei media è stata richiamata sul grave inquinamento da microplastiche nel mare e negli alimenti e, in piena emergenza, nessuno sembra in grado di affrontare questa drammatica distopia per tutte le specie viventi.

Lo sforzo di ricerca maggiore è oggi dedicato alla previsione di quello che succederà con il progredire del riscaldamento terrestre. I conti economici sono difficili e differenziati a seconda dell’evoluzione dei modelli di sviluppo e la distribuzione del danno sarà inevitabilmente ineguale e forzatamente iniqua. Secondo alcuni scenari, gli impatti e i costi saranno molto più gravi di quanto non potrebbe sembrare dalle differenze, apparentemente piccole, di gradi o frazioni di grado centigrado, delle anomalie termiche a fine secolo. A 2 °C, le calotte polari inizieranno a disfarsi, portando, nel corso dei secoli a decine di metri di innalzamento del livello del mare. Altri 400 milioni di persone soffriranno di scarsità d'acqua, le grandi città della fascia equatoriale del pianeta diventeranno invivibili e anche nelle latitudini settentrionali le ondate termiche uccideranno migliaia di persone ogni estate. Ci sarebbero 32 volte più ondate di calore estreme in India, ognuna di durata cinque volte più alta, cui sarebbero esposte 93 volte più persone rispetto ad oggi.

A 3 °C, l'Europa meridionale sarebbe in condizioni di siccità permanente e la siccità media in America centrale durerebbe 19 mesi in più. Nell'Africa settentrionale, la cifra è di 60 mesi in più: cinque anni. A 4 °C, ci sarebbero 8 milioni di casi in più di febbre dengue ogni anno nella sola America Latina e andremmo a rischio di crisi alimentari globali ogni anno. I danni provocati dalle inondazioni dei fiumi sarebbero cresciuti trenta volte in Bangladesh, venti in India e fino a sessanta nel Regno Unito. A livello globale, i danni provocati dai disastri naturali legati al clima potrebbero superare di più del doppio la ricchezza che esiste oggi nel mondo. Conflitti interetnici e guerre per le risorse potrebbero raddoppiare questa stima[5].

Il cambiamento climatico impatta ogni territorio in ogni paese in ogni continente.  Nature stima che, se le temperature aumentassero di soli 2 °C, il PIL globale scenderebbe del 15% a fine secolo. A +3 °C, il PIL globale scenderebbe del 25%. Se non si fa nulla, le temperature saliranno di 4 °C entro il 2100 e il PIL mondiale si ridurrà di oltre il 30% rispetto ai livelli del 2010. È peggio della Grande depressione del secolo scorso, dove il commercio globale è diminuito del 25% ma, questa volta, il danno sarebbe permanente.           

Rossiglione (Alessandria), alluvione del 2019

 

[1] C. Figueres et al., 2018, Emissions are still rising: ramp up the cuts, Nature 564, 27-30 (2018), in: https://www.nature.com/articles/d41586-018-07585-6/

[2] Petra Low, 2018, Hurricanes cause record losses in 2017 - The year in figures, in: https://www.munichre.com/topics-online/en/climate-change-and-natural-disasters/natural-disasters/2017-year-in-figures.html

[3] UN ISDR; 2018, Economic Losses, Poverty and Disasters 1998-2017, in: https://www.unisdr.org/files/61119_credeconomiclosses.pdf

[4] AA.VV., 2017, The Lancet Commission on Pollution and Health, in: http://www.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS0140-6736(17)32345-0.pdf

[5] David Wallace-Wells, 2019, The Uninhabitable Earth: A Story of the Future, Allen Lane

TORNA SU

 

 

23 Settembre 2019: Il Rapporto speciale IPCC SROCC sull'oceano e la criosfera

L'IPCC ha pubblicato il suo Rapporto speciale sull'oceano e la criosfera in un clima caldo al termine di una settimana di approvazione plenaria a Monaco. In questa riunione i delegati del governo hanno approvato linea per linea il Sommario di 42 pagine per i politici. Approvato il Sommario, l’IPCC ha pubblicato l’intero Rapporto di assessment SROCC che copre sei capitoli e oltre 800 pagine, oltre ai materiali supplementari. I singoli capitoli sono ancora soggetti ad aggiornamenti che devono essere apportati al Report completo per assicurarsi che sia coerente con il Sommario votato.

Lo SROCC è il secondo rapporto speciale che l'IPCC ha pubblicato quest'anno e il terzo del sesto ciclo di valutazione dell'IPCC. La Relazione sui cambiamenti climatici e sulla terra  è stata pubblicata nel mese di agosto, mentre il Rapporto SR15, sugli 1.5°C è stato pubblicato nell'ottobre del 2018. Il prossimo Rapporto speciale sarà "Cambiamenti climatici e città", sarà pubblicato dopo il suo sesto Rapporto di assessment, AR6, nel 2021-22.

Il rapporto speciale SROCC valuta le nuove conoscenze acquisite dopo AR5 e addirittura SR15 per spiegare come l'oceano e la criosfera si prevede che cambino con il riscaldamento globale in atto, i rischi e le opportunità che questi cambiamenti offrono agli ecosistemi e alle persone e le opzioni di mitigazione, di adattamento e di governance per ridurre i rischi futuri. La dichiarazione di apertura del Rapporto afferma che "tutte le persone sulla Terra dipendono direttamente o indirettamente dall'oceano e dalla criosfera che svolgono ruoli fondamentali come l'assorbimento e la ridistribuzione della CO2 e del calore antropogenici da parte dell’oceano, nonché il loro coinvolgimento cruciale nel ciclo idrologico”. L'oceano globale copre il 71% della superficie terrestre, e contiene "circa il 97% dell'acqua, fornisce il 99% dello spazio biologicamente abitabile e circa la metà della produzione primaria”. La criosfera include "neve, ghiacciai, calotte glaciali, banchi di ghiaccio, iceberg, ghiaccio marino, ghiaccio di lago, ghiaccio di fiume, permafrost e terreno stagionalmente ghiacciato”.  Gli oceani e la criosfera forniscono servizi tra cui "cibo e acqua dolce, energia rinnovabile, salute e benessere, valori culturali, commercio e trasporti”.

È "praticamente certo" che l'oceano globale si sia riscaldato senza sosta dal 1970, mentre "il riscaldamento globale ha portato a un diffuso restringimento della criosfera”.

 L'innalzamento del livello del mare

Gli oceani sono già aumentati di circa 0,2 m dalla fine del 1800, con un ritmo che accelera negli ultimi decenni. Nel suo quinto rapporto di valutazione (AR5, 2013), l'IPCC ha stimato che fosse improbabile superare 1 m in questo secolo, anche negli scenari di emissioni molto elevate.

Tuttavia, una serie di studi pubblicati negli anni suggeriscono che le proiezioni potrebbero essere molto più elevate, fino a 2m o più in questo secolo. Con il rilascio di questa settimana del Rapporto speciale IPCC: Ocean and Cryosphere in Changing Climate, SROCC, è utile prendere visione del livello attuale di comprensione delle dinamiche del livello del mare passate e future.

Ricostruire i cambiamenti passati nei livelli globali del mare è lungi dall'essere un compito semplice. Misurazioni satellitari di alta qualità con copertura globale sono disponibili dai primi anni '90, mentre prima si faceva affidamento sugli indicatori di marea sparsi in tutto il mondo. Questi indicatori di marea coprono principalmente le regioni costiere e sono anche soggetti a fattori che possono complicare l'interpretazione delle variazioni locali del livello del mare, in particolare la subsidenza o lo scioglimento dei ghiacciai. AR5 presentava tre stime dell'innalzamento globale del livello del mare: Due set di dati aggiuntivi sono stati pubblicati negli ultimi anni. Tutti e cinque questi set di dati sono mostrati nella figura seguente (linee colorate), insieme all’altimetro satellitare (in nero) dopo il 1993. La seconda figura mostra il tasso di variazione medio a 20 anni in mm /anno.

Livello del mare e velocità di variazione annua secondo varie stime

Il livello del mare è aumentato tra 18 e 20 cm dal 1900. Il più recente set di dati mostra un aumento inferiore rispetto ai precedenti. Le stime sono per lo più d'accordo negli ultimi decenni; divergenze maggiori sono evidenti prima del 1980. I tassi di variazione dei livelli globali del mare sono indicati come medie mobili a 20 anni, a più lungo termine perché i singoli anni sono sensibili alle temperature globali della superficie influenzate da fenomeni come El Niño. Il tasso attuale di innalzamento del livello del mare, misurato da altimetri satellitari accurati, è circa il 50% più veloce di quanto sperimentato negli anni '40. Secondo il recente Rapporto AMS sullo stato del clima del 2018, l’accelerazione durante il periodo post-1993 è di circa 0,1 mm/anno ogni anno. È importante notare che il livello globale nasconde molta variabilità locale. Secondo l'IPCC AR5, spostando i venti superficiali, l'espansione del riscaldamento dell'acqua dell'oceano e l'aggiunta dello scioglimento del ghiaccio può alterare le correnti oceaniche che, a loro volta, portano a cambiamenti nel livello del mare che variano da un luogo all'altro.

IPCC AR5 suggerisce inoltre che i ghiacciai in fusione possono influenzare la forma e il campo gravitazionale della Terra, causando fluttuazioni regionali dei livelli del mare. Compattazione dei sedimenti, la piastra tettonica e la subsidenza localizzata possono svolgere un ruolo in regioni specifiche. Queste differenze locali sono chiaramente visibili nella figura seguente, che mostra i dati da altimetri satellitari durante il periodo dal 1992 al 2014. Parti del mondo,  come l'Australia, hanno visto innalzamenti molto più veloci della media globale nella, mostrati in tonalità di rosso, mentre altri, come parti degli Stati Uniti e delle coste occidentali Messico, hanno effettivamente visto scendere il livello del mare (sfumature di blu).

Variazioni locali del livello del mare tra 1992 e 2014

L’impatto sociale ed economico

Le comunità che vivono a stretto contatto con ambienti polari, montani e costieri sono particolarmente esposte ai pericoli attuali e futuri del cambiamento dell'oceano e della criosfera. Quasi il 10% della popolazione mondiale, circa 670 milioni di persone, vivono in regioni di alta montagna, mentre circa quattro milioni di persone vivono nell'Artico. Le coste sono le aree più densamente popolate della Terra. A partire dal 2010, il 28% della popolazione globale (1,9 miliardi di persone) vive in aree a meno di 100 km dalla costa e meno di 100 metri sul livello del mare, comprese 17 grandi città, che ospitano ciascuna più di cinque milioni di persone. Gli stati in via di sviluppo delle piccole isole ospitano circa 65 milioni di persone.

Le osservazioni indicano che i cambiamenti pervasivi dell'oceano e della criosfera ... stanno già avvenendo, causati dal cambiamento climatico indotto dall'uomo, dalle alte montagne, alle regioni polari, verso le coste e nelle profondità dell'oceano. Su questo trend si prevede che questi impatti avranno costi enormi: "I previsti degradi della salute e dei servizi oceanici entro il 2050 costano all'economia globale 428 G$ all'anno e 1.979 G$ all’anno entro il 2100”. Le comunità "saranno obbligate ad adattarsi” anche se gli sforzi attuali e futuri per ridurre le emissioni di gas serra riusciranno a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C. Semplicemente diminuirebbe il costo dell'adattamento.

Criosfera. Entro la fine del secolo, i ghiacciai dovrebbero perdere18% della loro massa rispetto ai livelli del 2015 in uno scenario a basse emissioni. La perdita prevista raddoppia a circa un terzo in uno scenario ad alte emissioni. Si prevede che si verifichi l'innalzamento del livello del mare che accompagna la perdita di questi ghiacciai tra 94 e 200 mm per gli scenari a basse e alte emissioni, rispettivamente. Nelle regioni non polari con relativamente poca copertura del ghiaccio, come l'Europa centrale e l'Asia del Nord, gli effetti sono molto più pronunciati, con in media oltre l'80% della massa attuale del ghiacciaio perduta al 2100. Come già previsto da AR5, i ghiacciai continueranno a sciogliersi anche senza ulteriori cambiamenti climatici.

Un servizio chiave della criosfera è fornire una fonte di acqua potabile. Il rapporto considera minore il rischio che il declino del ghiacciaio comporta per l'approvvigionamento di acqua potabile, ma la tendenza è stata segnalata nelle aree rurali dell'Himalaya e delle Ande. Vi sono prove del fatto che tali cambiamenti potrebbero determinare un declino della qualità dell'acqua in alcune regioni perché  i ghiacciai detengono un'importante riserva di sostanze chimiche tossiche di origine umana, tra cui DDT,metalli pesanti e fuliggine.

Oltre agli umani, ci si aspetta che le condizioni mutevoli in alta montagna abbiano conseguenze per gli ecosistemi alpini. In molti casi questi cambiamenti sono utili, almeno a breve termine. La biodiversità complessiva è infatti aumentata a quote più elevate a causa di aree più abitabili. Tuttavia, ciò avviene a scapito di alcune specie montane che diminuiranno in numero.

La sorte delle regioni polari

Il Rapporto viene pubblicato nella stessa settimana in cui l'estensione minima del ghiaccio marino artico è stata annunciata come la seconda più piccola mai registrata. Raggiunta ogni anno alla fine dell'estate, fa registrare il 18 settembre 2019 4,15 Mkm2 contro il minimo storico di 3.39 Mkm2 nel 2012. Il rapporto afferma: "Vi è una forte fiducia nel fatto che la stagione di scioglimento dei ghiacci nel mare artico si sia prolungata di tre giorni per decennio dal 1979 a causa della precoce fusione, e sette giorni per decennio a causa del successivo congelamento".

Il Rapporto riferisce che le temperature dell'aria superficiale dell'Artico negli ultimi due decenni sono "aumentate di oltre il doppio rispetto alla media globale". “Gli studi di attribuzione mostrano l'importante ruolo degli aumenti antropogenici dei gas a effetto serra nel causare gli aumenti osservati della temperatura della superficie artica, e un ulteriore prevedibile riscaldamento dell'Artico. Questo rapido fenomeno in parte deriva dalla rapida perdita della copertura del ghiaccio marino nella regione. Man mano che il ghiaccio marino artico diminuisce, l'energia del sole che sarebbe stata riflessa dal ghiaccio è invece assorbita dall'oceano, causando ulteriore riscaldamento. Anche le temperature del mare artico superficiale hanno continuato a riscaldarsi: “Le tendenze di agosto 1982-2017 rivelano che le temperature estive  aumentano di circa mezzo grado per decennio su vasti settori del bacino artico che sono privi di ghiaccio in estate"...

TORNA SU

 

16 Settembre 2019: Sfatati in linguaggio semplice cinque luoghi comuni dei negazionisti sul cambiamento climatico

Il cambiamento climatico non è altro che una parte del ciclo naturale

   Temperature globali negli ultimi 65 milioni di anni e possibile futuro riscaldamento globale a seconda della quantità di GHG che emetteremo

emperature globali negli ultimi 65 milioni di anni e possibile futuro riscaldamento globale a seconda della quantità di gas serra che emettiamoIl clima della Terra è sempre cambiato, ma lo studio della paleoclimatologia o dei climi passati ci mostra che i cambiamenti negli ultimi 150 anni - dall'inizio della rivoluzione industriale - sono stati eccezionali e non possono essere naturali. I risultati della modellazione suggeriscono che il riscaldamento previsto per il futuro potrebbe essere senza precedenti rispetto ai precedenti 5 milioni di anni. L'argomento dei cambiamenti naturali è ripreso dalla storia secondo cui il clima della Terra si sta appena riprendendo dalle temperature più fredde della Piccola era glaciale (1300-1850 d.C.) e che le temperature oggi sono davvero le stesse del periodo caldo medievale (900-1300 d.C.) . Il problema è che sia la Piccola era glaciale che il periodo di riscaldamento medievale non furono cambiamenti globali ma regionali a livello del nord-ovest, dell'America orientale, della Groenlandia e dell'Islanda. Uno studio che utilizza 700 record climatici ha mostrato che, negli ultimi 2000 anni, l'unica volta in cui il clima in tutto il mondo è cambiato contemporaneamente e nella stessa direzione è stato negli ultimi 150 anni, quando oltre il 98% della superficie del pianeta si è riscaldato.

I cambiamenti sono dovuti a macchie solari e ai raggi cosmici 

Comparison of global surface temperature changes (red line) and the sun’s energy received by the Earth (yellow line)

 since 1880 (NASA)

Le macchie solari sono tempeste sulla superficie del sole che provengono da un'intensa attività magnetica e possono essere accompagnate da brillamenti solari. Queste macchie solari hanno il potere di modificare il clima sulla Terra. Ma gli scienziati che utilizzano sensori sui satelliti registrano la quantità di energia solare che colpisce la Terra dal 1978 e non vi è stata alcuna tendenza al rialzo. Quindi non possono essere la causa del recente riscaldamento globale.

I raggi cosmici galattici (GCR) sono radiazioni ad alta energia che hanno origine al di fuori del nostro sistema solare e possono persino provenire da galassie distanti. È stato suggerito che potrebbero aiutare a seminare o creare nuvole. Così i GCR ridotti che colpiscono la Terra significherebbero meno nuvole, il che rifletterebbe meno luce solare nello spazio e causerebbe il riscaldamento della Terra. Ma ci sono due problemi con questa idea. In primo luogo, le prove scientifiche mostrano che i GCR non sono molto efficaci nel seminare nuvole. In secondo luogo, negli ultimi 50 anni, la quantità di GCR è effettivamente aumentata, raggiungendo livelli record negli ultimi anni. Se questa idea fosse corretta, i GCR dovrebbero raffreddare la Terra, cosa che non fanno.

La CO₂ è poca cosa in atmosfera - non può avere un grande effetto di riscaldamento.

Questo è un tentativo di giocare una classica carta di buon senso ma è completamente sbagliato. Nel 1856, lo scienziato americano Eunice Newton Foote condusse un esperimento con una pompa ad aria, due cilindri di vetro e quattro termometri. Ha dimostrato che un cilindro contenente anidride carbonica e posto al sole intrappolava più calore e rimaneva più caldo più a lungo di un cilindro con aria normale. Gli scienziati hanno ripetuto questi esperimenti in laboratorio e nell'atmosfera, dimostrando ancora l'effetto serra del biossido di carbonio. Per quanto riguarda l'argomentazione a senso comune secondo cui una parte molto piccola di qualcosa non può avere un grande effetto su di essa, bastano solo 0,1 grammi di cianuro per uccidere un adulto, che rappresenta circa lo 0,0001% del peso corporeo. Confrontalo con l'anidride carbonica, che attualmente costituisce lo 0,04% dell'atmosfera ed è un forte gas serra. Nel frattempo, l'azoto costituisce il 78% dell'atmosfera e tuttavia è altamente non reattivo.

Gli scienziati manipolano i dati per mostrare una tendenza al riscaldamento

Questo è un argomento semplicistico utilizzato per attaccare la credibilità degli scienziati del clima. Richiederebbe una cospirazione che coinvolga migliaia di scienziati in oltre 100 paesi per raggiungere le dimensioni richieste per farlo. Gli scienziati correggono e convalidano i dati continuamente. Ad esempio, dobbiamo correggere i record storici della temperatura in base al modo in cui sono stati misurati. Tra il 1856 e il 1941, la maggior parte delle temperature del mare furono misurate usando l'acqua di mare issata sul ponte in un secchio. Anche questo non era coerente in quanto vi era uno spostamento da secchi di legno a tela e da navi a vela a navi a vapore, che alterava l'altezza del ponte della nave - e questi cambiamenti a loro volta alteravano la quantità di raffreddamento causata dall'evaporazione mentre il secchio veniva sollevato. Dal 1941, la maggior parte delle misurazioni sono state effettuate alle prese d'acqua del motore della nave, quindi non c'è raffreddamento dall'evaporazione per giustificare. Dobbiamo anche tener conto del fatto che molte città si sono espanse e che le stazioni meteorologiche che si trovavano nelle aree rurali si trovano ora in aree urbane che di solito sono significativamente più calde della campagna circostante. Se non avessimo apportato queste modifiche alle misurazioni originali, il riscaldamento della Terra negli ultimi 150 anni sarebbe sembrato addirittura maggiore del cambiamento che è stato effettivamente osservato, che ora è circa 1 °C di riscaldamento globale.

I modelli climatici sono inaffidabili e troppo sensibili agli effetti dell'anidride carbonica

Ciò è errato e fraintende il funzionamento dei modelli. È un modo per minimizzare la gravità dei futuri cambiamenti climatici. Esiste una vasta gamma di modelli climatici, da quelli rivolti a meccanismi specifici come la comprensione delle nuvole, ai modelli di circolazione generale (GCM) che vengono utilizzati per prevedere il clima futuro del nostro pianeta. Esistono oltre 20 importanti centri internazionali i cui  team hanno costruito ed eseguito GCM contenenti milioni di righe di codice che rappresentano la più approfondita comprensione del sistema climatico. Questi modelli vengono continuamente testati in base a dati storici e paleoclimatici nonché a singoli eventi climatici come le grandi eruzioni vulcaniche, per assicurarsi che ricostruiscano il clima in maniera adeguata. Nessun singolo modello potrà mai essere considerato esatto in quanto rappresenta un sistema climatico globale molto complesso. Ma avere così tanti modelli diversi, costruiti e calibrati in modo indipendente, significa che si tratta di rappresentazioni affidabili proprio perché tra loro convergenti. Prendendo l'intera gamma di modelli climatici, un raddoppio dell'anidride carbonica potrebbe riscaldare il pianeta da 2 °C a 4,5 °C, con una media di 3,1 °C (la cosiddetta climate sensitivity). Tutti i modelli mostrano una notevole quantità di riscaldamento quando all'atmosfera viene aggiunta ulteriore anidride carbonica. La scala del riscaldamento previsto è rimasta molto simile negli ultimi 30 anni, nonostante l'enorme aumento della complessità dei modelli, dimostrando che si tratta di un risultato scientifico che è  già da tempo sulla strada giusta. Combinando tutte le nostre conoscenze scientifiche sui fattori naturali (solare, vulcanico, aerosol e di ozono) e di origine umana (gas serra e cambiamenti nell'uso del suolo) il riscaldamento e il raffreddamento del clima mostra che il 100% del riscaldamento osservato negli ultimi 150 anni è a causato dall'uomo e dalle sue attività (IPCC, AR5). Non esiste alcun supporto scientifico per la negazione del cambiamento climatico. Il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), istituito dalle Nazioni Unite per sintetizzare apertamente e in modo trasparente la conoscenza climatica, fornisce sei chiare linee di prova per i cambiamenti climatici. Man mano che il clima estremo diventa sempre più evidente, le persone si stanno rendendo conto che non hanno bisogno degli scienziati per dire loro che il clima sta cambiando - lo stanno purtroppo vedendo e vivendo in prima persona.

Le ultime due figure qui presentate mostrano, la prima, la ricostruzione del modello della temperatura globale dal 1970 con la media dei modelli in nero con intervallo di modelli in grigio rispetto ai record di temperatura osservati della NASA, dal NOAA, da HadCRUT, da Cowtan e Way, da Berkeley Earth e da Carbon Brief, nei vari colori evidenziati.

L'ultima figura qui accanto, prodotta da Carbon Brief,  rappresenta per linee separate  ciascuna delle influenze naturali e umane sulle temperature globali dal 1850.

TORNA SU

 

Luglio 2019: Un articolo di Toni Federico fa il punto sul "Cambiamento climatico e la transizione energetica dopo Parigi"

Pubblicato sul n° 2/2019 di Economia Italiana il nuovo saggio fornisce materiali di orientamento necessari per mettere a fuoco la crisi climatica alla vigilia dell'entrata in vigore dell'Accordo di Parigi, prevista per il 2020.

C’è un nesso stretto, causale, tra la crisi climatica in atto che mette in seria discussione l’equilibrio ecologico del pianeta e lo stesso sviluppo economico e sociale così come lo conosciamo, determinato in gran parte dalle modalità di uso delle risorse naturali dalle quali ricaviamo l’energia. La base scientifica del cambiamento climatico è ormai piuttosto evidente e condivisa, al di là di ogni polemica o negazione: pompando in atmosfera gas serra oltre la resilienza dell’ecosistema atmosfera-oceano, cambiano i flussi di energia riemessi dalla terra che si scalda in misura proporzionale all’aumento della concentrazione atmosferica dei gas ad effetto serra. Le basi scientifiche delle dinamiche climatiche sono affidate ad un Panel di scienziati appartenenti a tutti i maggiori istituti di ricerca del mondo, lo International Panel on Climate Change, IPCC, che ha finora prodotto 5 rapporti di assessment climatici e si appresta a pubblicare il prossimo, AR6, nel 2022. Si tratta di un’impresa scientifica epocale in termini di investimenti e di partecipazione, che sta via via cancellando ogni illusione negazionista, in particolare quella che non sarebbero le attività umane l’origine dei cambiamenti climatici. A Parigi, nel Dicembre 2015, al culmine di un quarto di secolo di trattative, in un quadro di governance globale piuttosto incerta, si è finalmente trovato un Accordo in base al quale l’aumento della temperatura media terrestre dovrebbe stare ben al di sotto dei 2° C di anomalia rispetto al periodo preindustriale. Poiché la quota delle emissioni serra attribuibile agli usi energetici dei combustibili fossili si avvicina all’80%, l’ipotesi di contenere i cambiamenti climatici è condizionata da una trasformazione del modello globale della produzione e del consumo dell’energia. Nell’Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile l’obiettivo SDG 13 (lotta ai cambiamenti climatici), i cui target sono fissati dall’Accordo di Parigi, è strettamente connesso allo SDG 7 (energia pulita ed accessibile), i cui target prescrivono aumenti adeguati delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, in un quadro di garanzie di un accesso equo all’energia. Questo mutamento, assieme alle implicazioni di carattere sociale ed ambientale, è l’asse di quella che chiamiamo transizione energetica.

TORNA SU

5 Giugno 2019: Il Senato rifiuta di dichiarare l'emergenza climatica per l'Italia

Il Senato, il 5 giugno,  vota la mozione 135 che riconoscendo che le attività antropiche, contribuisc(ono) al "riscaldamento globale" (global warming)… ignora la COP 26 ed impegna il governo a:

  1. adottare ogni iniziativa finalizzata alla decarbonizzazione dell'economia … garantendo la sicurezza del sistema energetico …;

  2. attuare ogni misura che favorisca la transizione dalle fonti energetiche fossili alle fonti rinnovabili, compatibilmente con la grid parity, e il passaggio dall'economia lineare all'economia circolare (?);

  3. porre in essere ogni iniziativa volta a favorire l'autoproduzione distribuita di energia da fonti rinnovabili…;

  4. promuovere politiche di sviluppo infrastrutturale e … iniziative virtuose di mobilità urbana…;

  5. promuovere … misure per l'utilizzo responsabile del suolo;

  6. ad attuare tutte le misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi di riduzione di GHG concordate a livello internazionale ed europeo.

TORNA SU

31 maggio 2019: La lezione di Francesco per la giustizia climatica

In occasione del Convegno di cui al punto precedente, "Priorità per una transizione ambiziosa, giusta e sostenibile" che mette al centro le implicazioni sociali della lotta al cambiamento climatico e della transizione energetica che comporta innovazione e nuovi investimenti, quindi cambiamenti che possono avere un peso sociale,  è più che mai di attualità la lezione di Francesco sulla giustizia climatica dell'Enciclica Laudato sì del 2015.

I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituisco­no una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela.

I cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse pro­duttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa.

Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera. Per esempio, l’esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata e l’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazioni costiere impoverite che non hanno dove trasferirsi. L’impatto degli squilibri attuali si manifesta an­che nella morte prematura di molti poveri e nei conflitti generati dalla mancanza di risorse

Spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più li si considera un mero danno collaterale.

Ciò si deve in parte al fatto che opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente.

Si pretende di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzio­ne che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e "il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero".

L’iniquità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con con­seguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto dan­ni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame.

In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’at­tività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando ces­sano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere.

Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco in­quinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commer­ciali e di proprietà strutturalmente perverso. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poveri han­no meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impatto ambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processi necessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara la coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificate ed è opportuno puntare specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti.

Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’in­differenza.

TORNA SU

 

 

8 Ottobre 2018: Il Rapporto speciale dell'IPCC sul riscaldamento della terra a 1,5 °C

Atteso, arriva puntualmente oggi il Rapporto speciale SR15 dell'IPCC, come dagli impegni presi dal pool di scienziati a Parigi, alla COP 21 del 2015.

Il piano editoriale del Rapporto SR15 è impostato su cinque capitoli per un totale di 225 pagine ed è preceduto dal Sommario per i decisori politici, votato in plenaria dall'IPCC riga per riga dopo una settimana di dure trattative ad Incheon nella Corea del Sud, complicate dall'atteggiamento negazionista della delegazione statunitense post-Obama. Il Rapporto dovrà essere modificato per tener conto dei cambiamenti introdotti per far approvare il Sommario. C'è un documento che li contiene, fatto sta che il testo dello SR15 che qui presentiamo non è ancora definitivo. La lista degli autori, inclusi i revisori, è composta da 91 scienziati ed esperti di politica provenienti da 44 nazionalità. I capitoli sono i seguenti:

Capitolo 1: Inquadramento e contesto (15 pagine)
Capitolo 2: Percorsi di mitigazione compatibili con 1,5 ° C nel contesto dello  sviluppo  sostenibile e dell'Agenda 2030 (40 pagine)
Capitolo 3: Impatti del riscaldamento globale di 1,5 ° C su sistemi naturali e umani (60 pagine)
Capitolo 4: Rafforzamento e attuazione della risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico (50 pagine)
Capitolo 5: Sviluppo sostenibile, eliminazione della povertà e riduzione delle disuguaglianze (20 pagine)
Box - Casi di studio integrati / temi regionali e trasversali (fino a 20 pagine)
Domande frequenti (FAQ - 10 pagine)

figura SPM_1

Va innanzitutto segnalata l'eliminazione della premessa contenuta nella prima bozza del documento come High level statement (> vedi) che sarebbe stata ottima per chiarezza per illustrare i risultati del Rapporto.  È un chiaro segno delle difficoltà che ci sono state per ottenere l'unanimità dei governi su quali elementi evidenziare nella presentazione del documento. La fattibilità e le linee guida dell'azione per mantenere l'aumento della temperatura a 1,5 ° C e l'importanza di renderla coerente con l'Agenda 2030  sono state tagliate dalla prima sezione del documento. Sono considerate in dettaglio altrove, ma questa censura dimostra la mancanza di consenso sulle conclusioni generali.

I contenuti del Rapporto SR15  nella sua edizione definitiva si possono così rappresentare:

Per capire di cosa si tratta parlando di 1,5 °C: Il mondo si è riscaldato di 1 °C sin dai tempi pre-industriali (1850 -1900 secondo IPCC) a causa dell'attività umana.

“Estimated anthropogenic global warming matches the level of observed warming to within ±20%”

In base alle tendenze attuali, è probabile che supereremo il limite di 1,5 ° C tra il 2030 e il 2052. Il pianeta si sta riscaldando in modo tutt'altro che uniforme", la terraferma più velocemente degli oceani e l'Artico si sta riscaldando a 2-3 volte il tasso medio globale. Il trend del riscaldamento antropogenico è di 0,2 °C per decade (linea rossa nella fig. SPM_1).

“Warming greater than the global annual average is being experienced in many land regions and seasons, including two to three times higher in the Arctic. Warming is generally higher over land than over the ocean"

C'è un lasso di tempo tra le emissioni di gas serra e il loro effetto sul clima. Ciò significa che il mondo si sta riscaldando ulteriormente e che il livello del mare sta crescendo. Il Rapporto però ritiene  improbabile che le emissioni passate siano sufficienti a far salire le temperature oltre la soglia del 1,5 ° C.

The anthropogenic emissions ... will continue to cause further long-term changes in the climate system, such as sea level rise, with associated impacts”

Per stabilizzare le temperature, le emissioni devono raggiungere lo zero e rimanerci (Fig. SPM_1). Ciò significa ridurre le emissioni il più possibile e sottrarre l'anidride carbonica dall'aria per eliminare le emissioni residue. L'entità del riscaldamento è in definitiva determinata dal tempo che impiegheremo per raggiungere le zero emissioni.  Il riscaldamento globale sta già impattando le persone e gli ecosistemi. I rischi tra 1,5 °C e 2 °C sono proporzionalmente crescenti.

“Temperature rise to date has already resulted in profound alterations to human and natural systems, bringing increases in some types of extreme weather, droughts, floods, sea level rise and biodiversity loss, and causing unprecedented risks to vulnerable persons and populations"

Gli impatti e i rischi del cambiamento climatico. Ci saranno ondate di caldo, siccità e inondazioni più pesanti a 2 °C rispetto a 1,5 °C. La bozza le definiva "differenze sostanziali negli estremi". Questa formulazione è stata sostituita da "robuste differenze nelle caratteristiche climatiche regionali", dando ragione agli Stati Uniti che sostenevano che sostanziale era un concetto troppo soggettivo. Si prevede che i livelli del mare aumenteranno  in questo secolo di 10 cm in più sotto i 2 °C di riscaldamento rispetto agli 1,5 °C. Ciò espone 10 milioni di persone in più ad impatti come le inondazioni costiere, l'acqua salata che si riversa nei loro campi e le forniture di acqua potabile. Il riscaldamento più lento fa loro guadagnare tempo per potersi adattare. Nel corso di secoli e millenni i livelli del mare continueranno a salire dopo che le temperature si saranno stabilizzate. Il disfacimento delle calotte glaciali in Groenlandia e in Antartide potrebbe portare a innalzamenti di diversi metri.

Uno dei risultati quantitativi più eclatanti riguarda la perdita di biodiversità. SR15 prevede la proporzione di specie che perderanno metà della loro estensione geografica. Su 105.000 specie studiate, il tasso raddoppia tra il riscaldamento di 1,5 °C e quello del 2 °C, al 16% per le piante, all'8% per i vertebrati e al triplo, il 18% per gli insetti.

Circa 1,5-2,5 milioni di chilometri quadrati di permafrost in più scongeleranno in questo secolo con un riscaldamento 2 °C rispetto a 1,5 °C. Una superficie equivalente all'area geografica dell'Iran, del Messico o dell'Algeria. In un circolo vizioso, lo scongelamento del permafrost rilascia metano, uno dei gas serra. La probabilità di un'estate artica senza ghiaccio in mare aumenta di dieci volte, da una volta al secolo a 1,5 °C a una volta ogni dieci anni a 2 °C. Gli ecosistemi marini saranno colpiti dall'acidificazione e dal riscaldamento degli oceani. I 2 °C eliminano virtualmente le barriere coralline, rispetto a un calo del 70-90% per gli 1,5 °C. Le comunità agricole e di pesca saranno colpite più duramente da questi effetti, in particolare nell'Artico, nelle zone aride, nelle isole e nei paesi più poveri. Limitare il riscaldamento globale a 1.5 °C riduce l'importo dei rischi associati alla povertà e ai cambiamenti climatici per un valore che arriva a diverse centinaia di milioni di dollari entro il 2050.

Quel mezzo grado di riscaldamento in più è molto negativo per la salute. Espande la gamma di zanzare che trasportano malattie come la malaria e la dengue e il caldo rende l'intera gamma di condizioni più letali. La quantità e la qualità delle colture di base soffrono maggiormente un riscaldamento di 2 °C rispetto agli 1,5 °C, così come il bestiame, peggiorando la disponibilità di cibo in molte parti del mondo.

“Overall, food security is expected to be reduced at 2 °C warming compared to 1.5 °C warming, due to projected impacts of climate change and extreme weather on crop nutrient content and yields, livestock, fisheries and aquaculture, and land use (cover type and management)”

Si prevede che la crescita economica subirà gli effetti del riscaldamento globale, a parità di tutte le altre condizioni. SR15 non tenta di bilanciare questi danni valutando con i costi e i benefici del taglio delle emissioni e dell'investimento nella resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici.

Esistono molti strumenti per proteggersi dagli impatti del riscaldamento globale, come le dighe sulle coste marine  o le colture resistenti alla siccità. Ma questi adattamenti hanno dei limiti e alcune popolazioni vulnerabili subiscono perdite. L'Accordo di Parigi ha dato riconoscimento al capitolo "perdite e danni", ma il sistema delle Nazioni Unite non ha ancora dato un sostegno concreto alle vittime.

I percorsi verso gli 1.5 °C (Figura SPM_1). Vengono prefigurati due tipi di percorso, il secondo dei quali caratterizzato da un overshoot che si riduce a zero a fine secolo. Solo 9 dei 91 scenari referenziati in SR15 si mantengono sempre sotto gli 1,5°C. Per mantenersi sotto gli 1,5 °C, le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire di circa il 45% tra il 2010 e il 2030 e raggiungere lo zero netto nel 2050. Questo percorso è significativamente più arduo di quello necessario per 2 °C che comporta una riduzione di circa il 20% entro il 2030 e zero netto solo entro il 2075.

“The first involves global temperature stabilising at or below before 1.5 °C above pre-industrial levels. The second pathway sees warming exceed 1.5 °C around mid-century, remain above 1.5 °C for a maximum duration of a few decades, and return to below 1.5C before 2100. The latter is often referred to as an ‘overshoot’ pathway”

Il grafico sottostante (Figura SPM_3a) mostra quanto siano rapide le discese delle emissioni di CO2 (a sinistra) e di non CO2 (a destra)  per conseguire gli 1,5 °C. Le linee e le ombreggiature blu mostrano esempi di percorsi che soddisfano il limite di 1,5 ° C con poco (< 0,2 °C) o nessun superamento, mentre il grigio mostra quelli in cui le temperature hanno un overshoot alto temporaneo prima di tornare indietro di nuovo. L'obbligo di raggiungere lo zero netto entro il 2050 è lo stesso per i percorsi futuri con e senza overshoot. Il metano e il black carbon, i gas serra più potenti, dovranno essere ridotti di almeno il 35% entro il 2050, rispetto al 2010. Tuttavia, i tagli delle emissioni non di CO2 devono essere effettuati con attenzione. Il maggior utilizzo di bioenergia per sostituire i combustibili fossili, potrebbe spingere verso l'alto l'inquinamento da ossido di azoto dall'agricoltura che riscalda il clima.

Figura SPM_3a

Nel complesso il Rapporto SR15 prefigura una transizione senza precedenti verso una green economy.

“These systems transitions are unprecedented in terms of scale, but not necessarily in terms of speed, and imply deep emissions reductions in all sectors, a wide portfolio of mitigation options and a significant upscaling of investments in those options.”

I dettagli di questa transizione sono illustrati nel capitolo due di 113 pagine del Rapporto e in un allegato tecnico di 99 pagine, basato sulla ricerca che utilizza modelli di valutazione integrati (IAM > vedi più avanti). Questi modelli combinano diversi filoni di conoscenza per esplorare in che modo lo sviluppo umano e le scelte sociali interagiscono e influenzano l'ecosistema globale. Ci sono molti modi diversi per rispettare il limite dell'1,5 °C sotto un'ampia gamma di ipotesi sul futuro sviluppo umano ed economico. Questi percorsi riflettono diversi futuri in termini di politiche globali e preferenze sociali, implicando compromessi e co-benefici diversi per lo sviluppo sostenibile e altre priorità. Tuttavia, tutti i percorsi 1,5 °C condividono alcune caratteristiche, tra cui le emissioni di CO2 che scendono a zero netto e il consumo di carbone residuo che è in gran parte eliminato gradualmente entro la metà del secolo. Includono anche le energie rinnovabili che soddisfano la maggior parte delle future forniture di energia elettrica, con un uso dell'energia resa più efficiente.

Gli investimenti negli usi industriali del  carbone non diminuiti sono fermati entro il 2030 nella maggior parte dei percorsi 1,5 °C, dice il secondo capitolo. Alcuni investimenti fossili realizzati nei prossimi anni, o quelli realizzati negli ultimi anni trascorsi, avranno probabilmente bisogno di essere ritirati prima di recuperare completamente i loro investimenti di capitale o prima della fine della loro vita operativa.

Questi cambiamenti sono ancora più marcati per il settore elettrico, che va decarbonizzato intorno alla metà del secolo. Ciò significa che entro il 2050 l'utilizzo del carbone nel settore energetico si ridurrà vicino allo 0% e le fonti rinnovabili forniranno il 70-85% del mix energetico. Non includendo la bioenergia, il dispiegamento di energie rinnovabili nei percorsi 1.5C aumenta tra le sei e le 14 volte entro il 2050, rispetto al 2010. L'uso di energia nucleare aumenta nella maggior parte dei percorsi 1.5 °C, ma non in tutti. Tutti i  percorsi di 1,5 ° C includono tutti profondi tagli in altri gas a effetto serra, come una riduzione del 35% delle emissioni di metano al di sotto dei livelli del 2010 entro il 2050.

La transizione energetica è accelerata di diversi decenni nei percorsi di 1,5 °C rispetto ai percorsi dei 2 °C. Oltre a passare all'elettricità a zero emissioni di carbonio, le riduzioni supplementari nei percorsi da 1,5 °C a quelle da 2 °C provengono principalmente dai trasporti e dall'industria,  con le emissioni dell'industria che scendono del 75-90% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2050.  Inoltre, la domanda di energia deve essere ridotta in misura maggiore mediante gli sforzi per migliorare l'efficienza degli usi finali.

Vale la pena notare che gli IAM hanno una ben nota propensione verso le soluzioni tecnologiche, come la commutazione della fonte di approvvigionamento energetico o l'aggiunta della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Gli scienziati IPCC hanno iniziato a esplorare altri modi per limitare il riscaldamento a 1,5 °C, ad esempio cambiando radicalmente il modo in cui viene utilizzata l'energia. Infine, vale la pena aggiungere che i modelli IAM sono in grado di esplorare ciò che è tecnicamente fattibile, ma non ciò che è socialmente, ambientalmente, politicamente o istituzionalmente fattibile.
Quanta anidride carbonica può essere emessa prima di superare la soglia di 1,5 °C? Il modo in cui vengono calcolati questi carbon budget è cambiato rispetto all'ultima grande valutazione dell'IPCC nel 2014, aumentando le stime di circa 300 Gt. Ma il margine rimane stretto. Le stime del carbon budget variano a seconda della misura del riscaldamento che si utilizza. Se si  usa la temperatura media della terra è di 420 Gt di CO2 per dare una probabilità del 66% di rimanere al di sotto di 1,5 °C. Se si calcolano le temperature della superficie del mare, che aumentano più lentamente, il carbon budget è di 570 Gt. In entrambi i casi stiamo esaurendo il budget a un ritmo di 42 Gt all'anno. Ci sono anche "sostanziali" incertezze su quanto sia sensibile il clima alle emissioni di gas serra e al livello delle emissioni storiche, che influenzano le dimensioni del carbon budget. Ulteriori emissioni di carbonio rilasciate durante lo scioglimento del permafrost e il metano emesso dalle zone umide potrebbero ridurre il budget fino a 100 Gt nel corso del secolo e continuare anche oltre.

Forse la più dibattuta tra le questioni è stata in questi anni quella delle tecnologie carbon negative (NET o CDR). Il rapporto SR15 riconosce che limitare il riscaldamento a 1,5 °C richiederà l'uso delle NET che rimuovono la CO2 dall'atmosfera. Per limitare l'innalzamento della temperatura globale a 1,5 °C senza overshoot, sarà necessario un certo utilizzo delle NET:

“All pathways that limit global warming to 1.5C with limited or no overshoot project the use of CDR on the order of 100-1000 GtCO2 [billion tonnes] over the 21st century”

Vale la pena notare che l'SPM sembra sottovalutare il grado in cui potrebbero essere necessarie le NET per limitare il riscaldamento a 1,5 °C rispetto al rapporto SR15 completo. Il SPM afferma che la mitigazione convenzionale non è sufficiente e che c'è un ulteriore bisogno di NET ma  dipinge un'immagine troppo rosea su questo. L'SPM parla di rimozione 100-1000 GtCO2 entro il 2100. Ma il rapporto completo mostra un valore  medio molto più vicino all'estremità superiore dell'intervallo.

Anche con sforzi di mitigazione rapidi, è probabile che le NET saranno tenuti a compensare le emissioni di settori che non possono facilmente ridurre le loro emissioni a zero. Questi settori includono la produzione di riso e carne, che producono metano e il trasporto aereo. Il grado in cui saranno necessarie le NET è importante perché ognuna di esse incontra "barriere economiche e istituzionali" e può essere causa di possibili impatti su persone e animali selvatici.  Molte tecnologie NET richiederebbero di cambiare drasticamente il modo in cui utilizza la terra. Ciò include bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS) e afforestazione. La BECCS coinvolge coltivazioni, bruciandole per produrre energia, catturando la CO2 rilasciata durante il processo e conservandola in un sito sotterraneo. Non ci sono nemmeno, finore, esperienze significative di BECCS che ne possano assicurare l'efficacia e la sostenibilità. L'afforestazione comporta inoltre la trasformazione di terre sterili in foreste:

“Afforestation and bioenergy may compete with other land uses and may have significant impacts on agricultural and food systems, biodiversity and other ecosystem functions and services”

Alla geoingegneria viene dedicata poca attenzione. La cosiddetta modificazione della radiazione solare - il pompaggio di particelle nell'aria per riflettere la luce solare - potrebbe essere "teoricamente efficace" nel raggiungere l'obiettivo degli 1,5 °C. Ma è escluso dagli scenari SR15 del modello a causa di "grandi incertezze", "il gap di conoscenza", "rischi sostanziali" e "vincoli istituzionali e sociali". La eccessiva attenzione dedicata dai media e dal mondo industriale alla geoingegneria finirà, si teme, per creare un alibi ai decisori politici per ritardare ulteriormente l'inizio delle azioni necessarie.

Una domanda comune sul limiti dell'obiettivo degli 1,5 °C è se ne vale la pena dal punto di vista economico. In altre parole, i benefici dei danni climatici evitati dovuti alle inondazioni, ad esempio, superano i costi cumulativi di riduzione delle emissioni? Sfortunatamente, SR15 non considera esplicitamente il costo totale dei percorsi per gli 1,5 °C, perché la letteratura scientifica sull'argomento è limitata. Invece, il rapporto SR15 esamina i costi di abbattimento marginali globali di questo secolo, i costi per tonnellata delle emissioni evitate. Questi costi sono talvolta calcolati come prezzo del carbonio utilizzato dai modello IAM che utilizzano spesso un prezzo del carbonio come proxy per tutte le politiche climatiche. Il prezzo del carbonio può essere imposto direttamente dal mercato come costo marginale effettivo di abbattimento o implicitamente da politiche di regolamentazione.

In generale, l'SPM afferma che i costi di abbattimento marginali sono circa tre o quattro volte più alti nei percorsi degli1,5 ° C, rispetto ai 2 °C. Stabilisce inoltre le esigenze di investimento previste per i percorsi di 1,5 °C:  per il periodo dal 2015 al 2050 i costi dei percorsi che limitano il riscaldamento a 1,5 °C sono stimati in circa 900 miliardi di dollari. Si deve tener conto che gli investimenti annuali in tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio e nell'efficienza energetica devono aumentare di circa 5 volte nel 2050 rispetto al 2015. Il SPM aggiunge che le "lacune di conoscenza" rendono difficile confrontare questi costi di mitigazione con i benefici del riscaldamento evitato. Ad esempio, i costi dell'adattamento a 1,5 °C potrebbero essere inferiori a quelli dei 2 °C,  anche se sono "difficili da quantificare e confrontare".

In particolare, tuttavia, mentre i percorsi IAM stabiliscono i costi per limitare il riscaldamento a 1,5 °C, in genere non ne considerano i vantaggi. Questi potenziali danni climatici evitati, limitando il riscaldamento a 1,5 °C, sono molto incerti:

“Balancing of the costs and benefits of mitigation is challenging because estimating the value of climate change damages depends on multiple parameters whose appropriate values have been debated for decades (for example, the appropriate value of the discount rate) or that are very difficult to quantify (for example,the value of non-market impacts; the economic effects of losses in ecosystem services; and the potential for adaptation, which is dependent on the rate and timing of climate change and on the socioeconomic content)”

L'altro grande capitolo della via agli 1,5 °C è quello dell'adattamento. Il rapporto rileva che, in generale, la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici sarà inferiore a 1,5 °C rispetto a 2 °C. Tuttavia, avverte che, anche se il riscaldamento globale è limitato a 1,5 °C, non sarà possibile prepararsi a tutti gli impatti dei cambiamenti climatici. Il rapporto descrive l'adattamento umano ai cambiamenti climatici come "il processo di adeguamento al clima attuale o previsto e ai suoi effetti, al fine di moderare il danno o sfruttare opportunità vantaggiose". La prima opzione di una lista di otto, la gestione del rischio di catastrofi, è definita dagli autori come "un processo per progettare, implementare e valutare strategie, politiche e misure per migliorare la comprensione del rischio di catastrofi e promuovere il miglioramento nella preparazione, risposta e recupero di emergenza".

Mentre le temperature continuano a salire, è probabile che ci sia una richiesta crescente di integrazione tra mitigazione e adattamento, "per ridurre la vulnerabilità, anche se capacità istituzionali, tecniche e finanziarie nelle agenzie in prima linea costituiscono dei vincoli". Un'altra opzione di adattamento è la migrazione climatica. Il rapporto rileva che, al momento, vi è "poco accordo sul fatto che la migrazione sia adattabile, in relazione al rapporto costo-efficacia":

Migrating can have mixed outcomes on reducing socio-economic vulnerability and its feasibility is constrained by low political and legal acceptability, and inadequate institutional capacity”

Diversamente dal testo del Rapporto SR15, la migrazione non è elencata come opzione di adattamento nell'SPM. L'ultima opzione di adattamento, si riferisce alla possibile diffusione di informazioni climatiche pertinenti tramite previsioni giornaliere e avvisi meteorologici, oltre a previsioni stagionali e persino proiezioni multi-decadali. Questi tipi di servizi sono già utilizzati in settori come l'agricoltura, la salute e la gestione delle catastrofi. Per ridurre i rischi per gli ecosistemi naturali si può procedere con il ripristino degli spazi naturali degradati, il rafforzamento delle azioni per fermare la deforestazione e il perseguimento di un'agricoltura e un'acquacoltura sostenibili. Anhe i costi totali associati all'adattamento al riscaldamento globale di 1,5 °C sono difficili da quantificare e confrontare con i 2 °C per effetto delle lacune nella letteratura scientifica. Il SPM rileva che l'adattamento è stato, in genere, finanziato da fonti del settore pubblico, come i governi nazionali, i canali associati all'ONU e attraverso fondi multilaterali sul clima.

L'Accordo di Parigi e lo sviluppo sostenibile. Gli obiettivi climatici si collocano nell'SDG 13 dell'Agenda 2030, il cui obiettivi e target furono lasciati generici quando l'Agenda 2030 fu votata nel 2015, prima dell'Accordo di Parigi. Ma questo non risolve tutti i problemi: tra lotta ai cambiamenti climatici e obbiettivi di sviluppo sostenibile ci possono essere contraddizioni.

Il capitolo finale del rapporto (il quinto) è dedicato all'esame di come i cambiamenti climatici potrebbero avere un impatto sullo sviluppo sostenibile, la povertà e la disuguaglianza. Il SPM rileva che, in tutto il mondo, le comunità più povere, svantaggiate e vulnerabili, alcune popolazioni indigene e comunità locali dipendenti da mezzi di sussistenza agricoli o costieri, rischiano di essere influenzate in modo sproporzionato dal riscaldamento globale.

Una gran parte dei poveri del mondo fa affidamento sull'agricoltura di sussistenza e quindi sarà direttamente influenzata dall'impatto dei cambiamenti climatici su temperatura, precipitazioni e siccità. Una affermazione chiave del rapporto è che questi sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C possono effettivamente andare di pari passo con molti altri intesi a risolvere i problemi di disuguaglianza e di eliminazione della povertà. In effetti, limitare la temperatura a 1,5 °C anziché a 2 °C potrebbe risparmiare la povertà, entro il 2050, a diverse centinaia di milioni di persone.

La limitazione del riscaldamento globale potrebbe anche aiutare il mondo a raggiungere molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (gli SDG), afferma il rapporto. I 17 SDG sono una serie di obiettivi, concordati nel 2015, che mirano a "porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare a tutti i popoli pace e prosperità" entro il 2030, secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Già segnalate da molti autori, alcune contraddizioni potrebbero sorgere tra le azioni per limitare il riscaldamento a 1,5 °C e gli SDG. Le opzioni di mitigazione coerenti con i percorsi 1.5 °C determinano molteplici sinergie e qualche contraddizione con gli SDG. Gli effetti netti dipenderanno dalla velocità e dall'entità dei cambiamenti, dalla composizione del portafoglio di mitigazione e dalla gestione della transizione. L'adattamento agli effetti del cambiamento climatico e la riduzione delle vulnerabilità climatica può promuovere lo sviluppo sostenibile. Può garantire la sicurezza di cibo e acqua, ridurre i rischi di disastri, migliorare la salute e ridurre la povertà e la disuguaglianza. Le misure di adattamento che riducono anche le emissioni, come gli edifici a basse emissioni di carbonio efficientemente raffreddati, possono aiutare i settori a diventare più green a un costo inferiore.

La mitigazione si adatta particolarmente bene agli obiettivi di sviluppo per la salute, l'energia pulita, le città e le comunità e il consumo e la produzione responsabili. Ma se non correttamente gestiti, potrebbero danneggiare gli obiettivi di povertà, fame, acqua e accesso all'energia. Indirizzare i finanziamenti verso infrastrutture che riducano le emissioni e si adattino ai cambiamenti climatici può contribuire a raggiungere l'obiettivo degli 1,5 °C in modo da sostenere lo sviluppo sostenibile e ridurre la povertà. Si intendono compresi fondi privati ​​da investitori istituzionali, gestori patrimoniali e banche di sviluppo o di investimento, nonché fondi pubblici. I governi possono aiutare con politiche che riducono il rischio di investimento per i progetti a bassa emissione e per l'adattamento.

Nel SPM viene pubblicato il grafico seguente che riassume gli effetti positivi (sinergie) e negativi (contraddizioni) delle opzioni di mitigazione per raggiungere gli 1,5 °C su ciascuno degli SDG. Sul grafico, la lunghezza totale delle barre rappresenta la dimensione dell'effetto positivo o negativo, mentre l'ombreggiatura mostra il livello di sicurezza (da chiaro a scuro: da basso a molto alto). Le tecniche di mitigazione sono suddivise in tre settori: approvvigionamento energetico, domanda di energia e terra. Le opzioni valutate nel settore dell'approvvigionamento energetico includono biomassa e fonti rinnovabili, nucleare, CCS con i combustibili fossili e BECCS. Il settore della domanda energetica comprende opzioni per migliorare l'efficienza energetica nei settori dei trasporti e dell'edilizia. Il settore fondiario comprende l'afforestazione e la riduzione della deforestazione, l'agricoltura sostenibile, le diete a basso contenuto di carne, una riduzione degli sprechi alimentari e la gestione del carbonio nel suolo.

Il grafico a barre mostra come le opzioni di mitigazione che riducono la domanda di energia, in gran parte attraverso il passaggio a tecnologie e comportamenti più efficienti dal punto di vista energetico, hanno i maggiori impatti positivi e il minimo impatto negativo sugli SDG. Gli obiettivi che vedono i maggiori impatti positivi includono quelli per città e comunità sostenibili, buona salute e benessere ed energia pulita a prezzi accessibili. Impatti negativi possibili e temibili sono quelli della crescita delle popolazioni svantaggiate che fanno ricorso ai consumi di energia fossile o, al converso, politiche di contenimento dei consumi e delle emissioni che aggravano l'arretratezza e la disponibilità di risorse proprio per coloro che già stanno pagando i prezzi maggiori del cambiamento climatico a causa della loro posizione geografica o dell'arretratezza tecnologica. Del pari grave potrebbe essere l'esclusione dal lavoro di coloro che contribuiscono alla catena del valore dei combustibili fossili, ove non si provveda per tempo alle conversioni tecnologiche ed occupazionali necessarie. Le opzioni legate sia all'approvvigionamento energetico che al settore terrestre potrebbero avere un impatto considerevole sulla disponibilità di acqua dolce e sui servizi igienico-sanitari, così come sulla vita terrestre, come mostra il grafico. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che queste opzioni si basano sulla BECCS e sull'afforestazione, che, se implementati su larga scala, potrebbero assorbire grandi quantità di suolo e altre risorse, come l'acqua e la biodiversità.  Le contraddizioni tra mitigazione e adattamento, limitando il riscaldamento globale a 1,5 °C, come quando le colture bioenergetiche, il rimboschimento o l'afforestazione invadono il terreno necessario per l'adattamento agricolo, possono minare la sicurezza alimentare, i mezzi di sostentamento, le funzioni e i servizi ecosistemici e altri aspetti della sostenibilità. La gestione di queste contraddizioni richiederà una attenta governance delle energie rinnovabili e delle tecnologie come la BECCS. Afferma il rapporto: "I risultati sottolineano l'importanza di un approccio integrato nello sviluppo di acqua, energia e politica climatica".

Le cose da fare. Le più grandi industrie inquinanti dovranno intraprendere cambiamenti radicali. Le energie rinnovabili dovranno fornire dal 70 all'85% di energia entro il 2050. C'è ancora spazio per la generazione da combustibili fossili se combinata con la tecnologia per catturare e immagazzinare le emissioni di CO2, ma è un piccolo spazio: circa l'8% per il gas e quasi zero per il carbone entro il 2050. Le industrie ad alta intensità energetica dovranno ridurre la loro CO2 dal 75 al ​​90% entro il 2050 rispetto al 2010, se si vogliono rispettare gli 1,5 °C. Un limite a 2 °C richiederebbe una riduzione dal 50 all'80%. Questi abbattimenti possono essere ottenuti con tecnologie nuove e già esistenti che sono tecnicamente provate, ma devono ancora essere implementate su larga scala e sono limitate dai costi e da altri vincoli. Anche l'edilizia e i trasporti dovranno spostarsi pesantemente verso l'elettricità. Gli edifici dovrebbero usare energia elettrica dal 55 al ​​75% della loro energia consumata entro la metà del secolo, mentre il settore dei trasporti dovrebbe spingere le sue fonti a basse emissioni dal 35 al 65% dei consumo energetico, da meno del 5% nel 2020.

Ci saranno scelte difficili su come usare il terreno. Molti scenari dipendono in larga misura dalla bioenergia e/o dall'espansione delle foreste, la afforestazione, potenzialmente in conflitto con la domanda di pascoli e seminativi. Una maggior sostenibilità dell'agricoltura e "diete a minor consumo di risorse", cioè mangiare meno carne, può aiutare a mitigare i fattori di pressione.

La riduzione delle emissioni nel settore dell'energia per l'obiettivo degli 1,5 °C richiederà circa 900 miliardi di dollari di investimenti all'anno tra il 2015 e il 2050. L'investimento totale necessario per l'approvvigionamento energetico sale così a livelli tra 1600 a 3800 GUS$ e per la domanda di energia da 700 a 1000 GUS$ in 35 anni. L'investimento necessario è superiore del 12% circa rispetto ai 2 °C. Saranno necessari strumenti per rimuovere la CO2 dall'atmosfera, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e/o le foreste, per catturare da 100 a 1000 Gt  nel corso del secolo, per stare entro gli 1,5 ° C. Se il consumo di materia viene tenuto sotto controllo (tipicamente con l'economia circolare), si riduce al minimo la necessità di rimozione del carbonio dall'atmosfera. Le misure di rimozione del carbonio potrebbero contribuire a contenere o riportare il riscaldamento a 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali se il mondo superasse la soglia ma, se utilizzate su larga scala potrebbero avere impatti significativi su terra, energia, acqua e sostanze nutritive. I governi dovranno limitare le contraddizioni (trade offs) e assicurarsi che la CO2 sia rimossa in modo effettivamente permanente.

Gli attuali impegni nazionali sul clima previsti dall'accordo di Parigi sono inadeguati all'obiettivo. Porterebbero a 52-58 Gt di emissioni di CO2 all'anno nel 2030, in linea con un aumento della temperatura di 3 °C. Quasi tutti i percorsi verso gli 1,5 °C richiedono che le emissioni di gas a effetto serra scendano al di sotto delle 35 Gt / anno. Minori saranno le emissioni nel 2030, più facile sarà limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Il ritardo nella riduzione dei gas serra rischia di aumentare il costo delle riduzioni, di legare i paesi ad infrastrutture che emettono carbonio o, al contrario, di sprecare gli investimenti effettuati in attività ad alte emissioni. Potrebbe anche aggravare la distribuzione disomogenea degli impatti climatici tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.

Nel complesso, gli autori del Rapporto mettono nel Sommario per gli operatori politici che precede il Rapporto stesso solo argomentazioni di cui sono ragionevolmente sicuri. Alcuni resoconti hanno valutato l'entità del consenso contando le quotazioni riportate nelle parentesi che accompagnano le affermazioni. "Sicurezza molto alta" appare cinque volte, "Alta confidenza" 107 volte, "Media confidenza" 60 volte e "Scarsa confidenza" solo due volte.

TORNA SU


 

 

Giugno 2016: Parigi: una nuova governance per il cambiamento climatico, di Toni Federico

Abstract C’è una crisi climatica in atto che mette in seria discussione l’equilibrio ecologico del pianeta e lo stesso sviluppo economico e sociale così come lo conosciamo. La base scientifica del cambiamento climatico è piuttosto evidente, al di là di ogni inutile polemica: pompando in atmosfera gas serra oltre la resilienza dell’ecosistema atmosfera-oceano, cambiano i flussi di energia riemessi dalla terra che si scalda in misura proporzionale all’aumento dello stock atmosferico di gas ad effetto serra. A Parigi, nel Dicembre 2015, al culmine di un quarto di secolo di trattative in un quadro di governance globale piuttosto incerta, si è finalmente trovato un Accordo in base al quale l’aumento della temperatura media terrestre dovrebbe stare ben al di sotto dei 2° C di anomalia rispetto al periodo preindustriale. (> leggi il testo completo)

 

  

11 settembre 2015: Udienza di Papa Francesco in sostegno della lotta mondiale contro i cambiamenti climatici

 

"Siamo qui per rivolgerle umilmente una preghiera: faccia un messaggio, un suo messaggio, alla Conferenza di Parigi. Noi l'aspettiamo e pensiamo che possa fare da contributo importante affinché abbia un esito positivo e veramente importante per tutti".

 

Con queste parole il Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi,  ha concluso l'11 settembre nella Sala Clementina  del Vaticano la sua presentazione dei risultati della due giorni del  Convegno sulla giustizia ambientale e i cambiamenti climatici (> ascolta una registrazione di sala della presentazione di Edo Ronchi".

 

La presentazione ha dato spunto alle parole del Santo Padre, che a sua volta ha concluso accogliendo la richiesta di Ronchi "... potete contare sul sostegno mio personale e di tutta la Chiesa, a partire da quello, indispensabile, della preghiera. Fin da ora offro al Signore il nostro comune sforzo, chiedendogli di benedirlo perché l’umanità sappia finalmente dare ascolto al grido della terra - oggi la nostra madre terra è tra i tanti esclusi che gridano al Cielo per un aiuto! La nostra madre terra è un'esclusa! -, anche al grido della terra, nostra madre e sorella e dei più poveri tra coloro che la abitano, e prendersene cura. In questo modo la creazione si avvicinerà sempre di più alla casa comune che l’unico Padre ha immaginato come dono per la famiglia universale delle sue creature". (> leggi il testo dell'allocuzione di Papa Francesco oppure ascolta l'allocuzione).

Il Convegno si è tenuto nella sede vaticana a Roma dell'Istituto Patristico Agostiniano dal 10 all'11 settembre.

La relazione di apertura della fondazione per lo sviluppo sostenibile è stata tenuta dal Presidente Edo Ronchi (> scarica il testo del documento) che dice: "Dal 1990 al 2014 le emissioni sono cresciute di oltre il 30% e la concentrazione di gas serra ha superato le 400 ppm, la più alta negli ultimi 800 mila anni. La temperatura media è aumentata di 0,85°C dal 1880. Il tasso di crescita annua è passato dalla media dell’1,3% del 1970-2000, al 2,2% del 2000-2010". Le proposte principali sono:

  •  Definire target legalmente vincolanti e periodicamente verificabili che,almeno per i grandi emettitori, siano coerenti con l’obiettivo dei 2°C e con il principio di progressiva convergenza in pro-capite.

  • I Paesi con emissioni pro-capite superiori a 3 tonnellate dovrebbero vietare la costruzione di nuove centrali a carbone e cominciare a chiudere quelle più vecchie e inefficienti. Occorre ridurre anche il consumo di petrolio e non realizzare nuove perforazioni per sfruttare giacimenti petroliferi in zone ecologicamente delicate.

  • I sussidi ai combustibili fossili, che sono alla notevole cifra di 510 mld di dollari nel 2014, vanno eliminati.

  • Andrebbe invece estesa l’introduzione della carbon tax.

TORNA SU

 

 

Comitato Scientifico della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile

Via Garigliano 61a, 00198 Roma

Tel.: +39 06 8414815

info@susdef.it

www.fondazionesvilupposostenibile.org

 

 

 

 

 

Coordinatore: Toni Federico (email:federico@susdef.it)

  Storia e tendenze dello sviluppo sostenibile        La Green economy                  Clima   Energia   Trasporti    Territorio