Aggiornamento 17-dic-2017

Comitato Scientifico     Comitato di redazione       I link      Rapporti  

  

 

   

homepage comitato scientifico

Sviluppo sostenibile                                Storia e tendenze                                La Green economy                  L'Agenda 2030

cambiamenti globali                     Clima           Energia          Trasporti          Territorio
   INDICATORI e metodologie
 

ALLEANZA ITALIANA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

 

RAPPORTO SDG 2017

 

RAPPORTO SDG 2016

 

INDICATORI E METODOLOGIE

 

2017: L'ITALIA ADOTTA E AGGIORNA I 17 SUSTAINABLE DEVELOPMENT GOALS DELL'AGENDA 2030 DELLE NAZIONI UNITE

Il sito di riferimento in Italia per gli SDG è il sito dell'ASVIS

 

In Assemblea Generale, a fine estate 2015, viene approvata  da parte delle Nazioni Unite l’Agenda 2030, l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile. Destinata, sulla base del mandato del Summit sullo Sviluppo sostenibile del 2012 (Rio+20), a dare seguito e coerenza all'Agenda 21 del Summit della Terra di Rio 1992 e agli obiettivi del Millennio deliberati nel 2000 dalla stessa Assemblea Generale, assume un format decisamente orientato a risultati concreti da ottenere entro l'anno di riferimento, il 2030.

L'Agenda 2030 è articolata in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, gli SDG, organizzati in un sistema di 169 target e oltre 200 indicatori, con i quali vengono delineate a livello mondiale le direttrici dello sviluppo sostenibile dei prossimi anni. La finalità è quella di offrire un quadro integrato di informazioni quantitative  comparabile a livello internazionale, per la misurazione del benessere, della qualità ambientale e della green economy nel quadro dello sviluppo sostenibile.

 

L'Agenda 2030 mobilita gli uffici statistici di tutti i Paesi per produrre i dati degli SDG e aiutare i Paesi in difficoltà. L'Italia può contare sull'ISTAT ed anche sugli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile, i BES, sviluppati da Enrico Giovannini durante la sua presidenza dell'Istituto e pubblicati per la prima volta nel 2013. Proprio in coincidenza dell’uscita del Bes 2016, l’Istat diffonde una prima batteria di indicatori dello sviluppo sostenibile per l’Italia. Gli indicatori diffusi fanno riferimento soprattutto ad indicatori già esistenti, rinviando ad un periodo successivo la diffusione di quelli che necessitano di maggiori approfondimenti o del potenziamento dell’informazione statistica di riferimento.

Nei prossimi mesi, verrà completata dall'ISTAT la costruzione di una mappatura metodologicamente oerente per la misurazione degli indicatori SDG per pervenire al più presto alla diffusione degli indicatori non ancora disponibili. L’impegno dell’Istituto è concentrato anche sul fronte metodologico, per assicurare la diffusione di dati e metadati con la necessaria qualità, e per implementare la produzione di stime e disaggregazioni di indicatori ulteriori rispetto a quelli previsti nella produzione corrente.

 

Il database degli SDG.

La piattaforma è alimentata da 168 indicatori suddivisi per Goal. Presenta inoltre gli indicatori compositi per ciascun Goal. Consente di visualizzare grafici, mappe e tabelle, esportare i dati, eseguire confronti. La piattaforma Asset, è un sistema di analisi grafica che permette di visualizzare i valori e gli andamenti degli indicatori SDG in grafici, mappe e tabelle. È possibile inoltre scaricare le serie storiche, esportare i dati, eseguire confronti tra regioni e macroregioni su più indicatori anche di goal diversi (> vedi la lista completa degli indicatori ).

La piattaforma Asset permette di visualizzare l’andamento degli indicatori compositi dei 17 Goal calcolati a partire dagli indicatori di base con il medesimo metodo Mazziotta - Pareto adottato per il BES  (si vedano i due punti successivi in questa pagina). è disponibile anche la lista degli indicatori base dei compositi.

Il numero degli indicatori per ciascun goal è riportato in figura.

 

 

(> vai al database degli SDG per l'Italia)

 

TORNA SU

 

 

IL RAPPORTO BES 2016

 

IL RAPPORTO BES 2015

 

IL RAPPORTO URBES 2015

 

IL RAPPORTO BES 2014

 

IL RAPPORTO BES 2013

> vai al resoconto a fondo pagina

2016: 12 INDICATORI BES NEL DOCUMENTO ECONOMICO E FINANZIARIO

Con il Decreto del Ministero delle finanze 16 ottobre 2017 recante “Individuazione degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES)” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 267 del 15 novembre 2017 sono stati definiti i dodici indicatori di benessere equo e sostenibile nel ciclo di finanza pubblica per andare oltre il Pil.La normativa prevede poi la redazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze di due documenti, redatti sulla base dei dati forniti dall’Istat: il primo, allegato al Documento di Economia e Finanza, in cui si descrive l’andamento nell’ultimo triennio degli indicatori di benessere nonché le previsioni sulla loro evoluzione; il secondo, da presentare al Parlamento entro il 15 febbraio di ogni anno, in cui viene esaminata l’evoluzione dell’andamento degli indicatori di benessere sulla base degli effetti determinati dalla legge di bilancio per il triennio in corso.

L’Italia è il primo Paese nell’Unione europea e nel G7 ad aver introdotto gli obiettivi di benessere nella politica economica. Ne dobbiamo essere orgogliosi. In Italia bisogna migliorare la demografia, l'inclusione sociale, le strutture a sostegno della famiglia e il tasso di partecipazione dei giovani al lavoro (Padoan).

In via sperimentale, nel DEF 2016 sono stati già introdotti 4 indicatori: del reddito medio disponibile, della diseguaglianza dei redditi, della mancata partecipazione al mercato del lavoro, delle emissioni di CO2 e gli altri gas climalteranti. 

 

.

Ecco i 12 indicatori:

 1) reddito medio disponibile aggiustato pro capite;

 2) indice di diseguaglianza del reddito disponibile;

 3) indice di povertà assoluta;

 4) speranza di vita in buona salute alla nascita;

 5) eccesso di peso;

 6) uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione;

 7) tasso di mancata partecipazione al lavoro, con relativa scomposizione per genere;

 8) rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli;

 9) indice di criminalità predatoria;

 10) indice di efficienza della giustizia civile;

 11) emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti;

 12) indice di abusivismo edilizio.

TORNA SU

 

2016:  IL QUARTO RAPPORTO SUGLI INDICATORI BES DEL BENESSERE EQUO E SOSTENIBILE

Il Rapporto individua complessivamente 12 domini e 130 indicatori, che tengono conto sia di aspetti che hanno un diretto impatto sul benessere umano ed ambientale sia di quelli che misurano gli elementi funzionali al miglioramento del benessere della collettività e dell’ambiente. I diversi domini sono stati definiti  come segue:

  • La salute.

  • L’istruzione e la formazione.

  • Il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita. La piena e buona occupazione guarda alla stabilità del lavoro, al reddito, alle competenze, alla conciliazione degli orari tra tempi di lavoro, personali e familiari, alla sicurezza del lavoro, alla partecipazione dei dipendenti alla vita dell’impresa, alla soddisfazione soggettiva verso il lavoro.

  • Il benessere economico. Reddito, ricchezza, capacità di consumo, condizioni abitative, possesso di beni durevoli, ecc.

  • Le relazioni sociali.

  • La politica e le istituzioni. Apertura e trasparenza. Eliminazione di frode, corruzione e cattiva gestione dei fondi pubblici.

  • La sicurezza.

  • Il benessere soggettivo. Il benessere percepito dalle persone.

  • Il paesaggio e il patrimonio culturale.

  • L’ambiente. Capitale naturale, servizi ecosistemici.

  • La ricerca e l’innovazione.

  • La qualità dei servizi.

A partire dall’edizione 2015, il rapporto BES propone anche alcune misure sintetiche dell’andamento complessivo dei diversi domini. Queste consentono l’aggregazione dei singoli indicatori che compongono un dominio in un unico valore. La sintesi è utile per rendere più agevoli il confronto e l’analisi dei fenomeni osservati, rimandando ai singoli indicatori per ulteriori approfondimenti. Gli indicatori compositi sono stati elaborati solo per i domini di outcome, quelli nei quali si determina il benessere degli individui. Per questi motivi sono stati esclusi dal calcolo interi domini (Politica e istituzioni, Ricerca e innovazione e Qualità dei servizi) oppure singoli indicatori. In due casi, gli indicatori compositi di occupazione e soddisfazione per la vita, sono rappresentati da un unico indicatore al quale è stata applicata una trasformazione di scala per renderlo comparabile con gli altri indicatori compositi (valore Italia 2010 = 100). Un ulteriore criterio per la selezione degli indicatori da includere negli indici compositi è stato determinato da fattori di ordine pratico come la mancanza di una serie storica per l’indicatore o una insufficiente disaggregazione territoriale rispetto agli altri indicatori considerati.

In particolare in questa edizione non viene riportato né l’indice composito sulla sicurezza, i cui dati elementari sono fermi al 2014, né quello per il dominio Paesaggio e patrimonio culturale, al momento aggiornabile solo con i dati censuari. Tali criteri hanno condotto in questa edizione del Rapporto all’elaborazione di 9 indicatori compositi:

  1. Salute

  2. Istruzione e formazione

  3. Occupazione

  4. Qualità del lavoro

  5. Reddito

  6. Condizioni economiche minime

  7. Relazioni sociali

  8. Soddisfazione per la vita

  9. Ambiente

Il metodo di aggregazione Mazziotta - Pareto modificato, AMPI, è presentato in dettaglio al punto successivo di questa pagina.

L’analisi dell’andamento degli indicatori compositi nel corso degli anni consente una prima lettura congiunta dell’evoluzione degli aspetti fondamentali del benessere dei cittadini. Stati considerati tre diversi periodi temporali: il 2010, posto uguale a 100 come anno base  (nel caso dell’ambiente l’anno base è il 2008), il 2013 e l’ultimo anno disponibile che comprende valori degli indicatori riferiti al 2015 o 2016. In  questo intervallo di tempo, l’economia italiana ha attraversato una fase di prolungata recessione fino al 2013, seguita da un anno di sostanziale stagnazione e dal successivo avvio della ripresa economica. Complessivamente il Pil si è ridotto di più di 3 punti dal 2010 al 2015.

L'andamento degli indicatori compositi (in figura) evidenzia nel 2015-16, rispetto al 2013, miglioramenti per i domini relativi a salute, ambiente, istruzione, occupazione, soddisfazione dei cittadini per la vita. Una sostanziale stabilità si rileva invece per qualità del lavoro, reddito, condizioni economiche minime e relazioni sociali. Complessivamente, i maggiori progressi si rilevano per la soddisfazione per la vita e per l’occupazione. Il confronto con la situazione relativa al 2010 mostra un miglioramento per salute, ambiente, istruzione; un recupero completo dell’occupazione e livelli lievemente inferiori rispetto al 2010 per reddito, relazioni sociali e soddisfazione per la vita; divari ancora rilevanti sonopresenti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro.

 

 

Il Rapporto esplicita nella seconda parte tutti gli indicatori e i relativi dati per le Regioni italiane ed alcune città e alcuni elementi di confronto intereuropei e internazionali.

TORNA SU

2015: IL Rapporto BES DEFINISCE IL METODO DI COSTRUZIONE DEGLI INDICI COMPOSITI

Il terzo Rapporto BES del 2015, è importante per le definizioni metodologiche e per la documentazione del metodo di calcolo degli indici compositi sviluppato da Mazziotta e Pareto (MPI) e in seguito modificato per il BES.

L’obiettivo degli indicatori compositi è di fornire una misura sintetica del benessere.

La diffusione di un indice composito, infatti, deve il suo successo alla combinazione tra rigore statistico ed elevato livello di comunicabilità; non è un caso che tra gli indici compositi più noti ci sia lo Human Development Index (Hdi) di Amartya Sen che si basa su un numero esiguo di indicatori aggregati tra loro attraverso medie di potenze.

I requisiti - teorici e pratici – presi in considerazione per i compositi del Bes sono:

  • la comparabilità spaziale, ossia la possibilità di confrontare valori compositi tra unità territoriali diverse;

  • la comparabilità temporale, ossia la possibilità di confrontare valori di sintesi nel tempo;

  • la non-sostituibilità degli indicatori elementari, ossia l’impossibilità di compensare il valore di un indicatore elementare con quello di un altro;

  • la semplicità e la trasparenza del calcolo;

  • l’immediata fruizione e interpretazione dei risultati di output;

  • la robustezza dei risultati ottenuti.

Diversi metodi di standardizzazione e di aggregazione sono stati studiati e confrontati alla ricerca del metodo che meglio rispettasse i requisiti presi in considerazione per i compositi del Bes. è stato infine scelto un metodo MPI modificato: AMPI (Adjusted Mazziotta-Pareto Index), che consiste nell’aggregare, attraverso la media aritmetica, gli indicatori elementari normalizzati con una variante del metodo min-max.  La media ottenuta viene penalizzata dalla variabilità “orizzontale” degli indicatori, cioè tra indicatori di una data annualità e di una data parcella territoriale.

Il Mazziotta-Pareto Index modificato è una funzione per la sintesi di un insieme di indicatori elementari, nell’ipotesi che ciascuna componente non sia sostituibile con le altre (o lo sia solo in parte) e abbiano tutte la stessa importanza. Tale approccio, detto anche non compensativo, richiede una distribuzione bilanciata di tutte le componenti elementari. L’indice viene costruito assegnando un valore di riferimento pari a 100 per una determinata annualità, in modo da rendere gli indicatori indipendenti dai valori assoluti. L'AMPI quindi consente di effettuare  confronti nel tempo soltanto in termini relativi rispetto al valore di riferimento. La variabilità degli indicatori viene definita con una procedura diversa di normalizzazione dei dati con un rescaling degli indicatori elementari rispetto a due goalpost, ovvero un minimo e un massimo che rappresentano il campo di variazione di ciascun indicatore per l'intera serie delle annualità considerate.

I passi per il calcolo dell’AMPI sono i seguenti: Data la matrice tridimensionale X={xijt} con n righe (parcelle territoriali), m colonne (indicatori) e p strati (anni), si calcola la matrice normalizzata R={rijt} con una formula min-max centrata su 100 e con un campo di variazione pari a 60:

 

rijt = 70 + 60 (xijt - minxj)/(maxxj - minxj)        (1)

 

dove xijt è il valore dell’indicatore j nell’unità i per l’anno t. Se l’indicatore j migliora puntando al minimo (tendenza positiva) si calcola il complemento a 200 della formula. La variabile normalizzata rj in entrambi i casi  ha un min-max di 60 (70÷130).

I minimi e i massimi vengono poi sostituiti da due goalpost calcolati in modo da porre uguale a 100 il totale, per esempio per l'intera Italia) per l’anno base mentre la variabilità è calcolata per ogni indicatore sui dati particellari di tutte le annualità: sia rifil valore di riferimento per l’indicatore j nell'anno base. Calcolando il minimo dei minimi MIN e il massimo dei massimi MAX su i e t, cioè nello spazio (le particelle geografiche componenti, i) e nel tempo (le serie storiche, t), e calcolando per l'indicatore j la differenza tra massimi e minimi, dj, i goalpost sono i seguenti:

 

gj±rifj  ± dj /2

 

L'indicatore xj viene a questo punto normalizzato min - max utilizzando questi goalpost e inserendoli nella formula (1) sopra proposta. Si ottiene in questo modo la matrice degli indicatori ampi = {ampiijt}. Per ogni annualità e per ogni particella geografica calcoliamo infine l'indice composito a partire dalla media μit e dalla deviazione standard σit  calcolate per ognuno degli m indicatori (j = 1,2 ... m):

AMPIit± = μit ± σit cvit = μit ± σ2it /μit

 

dove σit cvit è la penalizzazione. Nei problemi di sviluppo adotteremo AMPI-, cioè applicheremo alla media una penalità tanto maggiore quanto meno uniforme è la stringa dei valori degli indicatori per la parcella i-esima al tempo t-esimo. Si noti che la penalità proposta dal metodo Mazziotta - Pareto non è altro che il rapporto tra varianza e media di ciascuna stringa di indicatori. Alle medie non vengono applicati pesi perché gli indicatori vengono ritenuti tutti di pari importanza.

Sorprende invece che le normalizzazioni vengano eseguite senza fare riferimento ai target degli indicatori.

 

Un caso esempio di tipo internazionale

Non ci vuole molta esperienza per capire che la formulazione statistico-matematica sopra esposta è più che sufficiente per confondere le idee al lettore. Per chiarire almeno in parte la procedura viene proposto un caso esempio sviluppato dallo stesso Mazziotta (> leggi il ppt) per un indicatore composito  calcolato su dati OECD con quattro indicatori e due annualità, 2011 e 2014. Per avere il foglio di calcolo excel dell'AMPI basta farne richiesta al Comitato Scientifico scrivendo a federico@susdef.it. Gli indicatori OECD sono:

  • Life expectancy – Aspettativa di vita alla nascita.

  • Educational attainment – Risultati scolastici. % della popolazione adulta (15 -64) con almeno un titolo di scuola media superiore

  • Employment  - Tasso di occupazione a standard EU

  • Household disposable income – Reddito disponibile per le famiglie

La matrice X è la seguente:

 

 

Il dato di riferimento è Average per i quattro indicatori 2011, in ultima riga. La matrice R normalizzata e riferita a questi valori e ai goalpost di ogni indicatore è la seguente, con medie e varianze nelle ultime due righe e colonne:

 

 

 

Sulla base delle medie nella penultima colonna e delle deviazioni standard in ultima si calcola l'indice AMPI per le due annualità (colonne 2 e 5). In figura ci sono i valori delle penalità in prima e quarta colonna.

A differenza dell'originale indice di Mazziotta, l'indice modificato AMPI consente lo studio delle dinamiche temporali degli indici.

Secondo il Rapporto 2015 l’AMPI soddisfa tutti requisiti presi in considerazione per le sintesi del BES:

 - la comparabilità spaziale, ossia la possibilità di confrontare valori di sintesi tra unità territoriali;

- la comparabilità temporale, ossia la possibilità di confrontare valori di sintesi nel tempo;

- la non-sostituibilità degli indicatori elementari, ossia l’impossibilità di compensare il valore di un indicatore elementare con quello di un altro;

- la semplicità e trasparenza di calcolo;  

- l’immediata fruizione e interpretazione dei risultati di output; 

- la robustezza dei risultati ottenuti.

La formulazione dell'AMPI poggia su alcune motivazioni di carattere tecnico e interpretativo di seguito riportate.

Normalizzazione: La maggior parte degli indicatori elementari non ha un campo di variazione predefinito e, quindi, fissare un campo chiuso (per esempio, 0-1, come si fa di norma) è giudicato fuorviante. Per tale motivo, si preferisce normalizzare gli indicatori in una scala "aperta" in cui il livello di riferimento è il valore centrale (100). Inoltre, la normalizzazione min-max con i signpost consente di effettuare confronti temporali, minimizzando l’effetto dovuto alla diversa variabilità degli indicatori.

Aggregazione: Generalmente, per misurare lo sviluppo, si utilizzano degli indici basati sulle medie geometriche  per le loro caratteristiche tecniche (maggiore è lo squilibrio tra le componenti e minore è il risultato), ma non per quelle teoriche (si presuppone che la grandezza da sintetizzare sia di natura moltiplicativa, anziché additiva). La formula AMPI può essere scomposta in due parti: l’effetto medio (componente additiva) e l’effetto penalità (variabilità orizzontale o sbilanciamento) e, secondo gli autori, rende l’AMPI più facilmente interpretabile.

Confronto con i metodi distance-to target: Il metodo distance to target viene adottato negli studi e nelle applicazioni della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Viene illustrato e documentato nei paragrafi successivi di questa pagina. Si consideri che è ormai opinione comune che un indicatore di sviluppo sostenibile debba necessariamente avere un target. Ne è prova proprio l'Agenda 2030 dove tutti i goal sono associati a target puntuali che non possono essere ignorati dal metodo di rappresentazione né dei singoli indicatori né dei compositi. Confermiamo viceversa l'approccio di normalizzazione min-max, consacrato dall'HDI dell'UNDP per rendere possibile la comparazione tra indicatori diverse e tra gli stessi indicatori in regioni geografiche diverse.

A ciascun indicatore si può associare come max il target, come ad esempio il 27% di energia rinnovabile per l'Europa nella nuova Strategia 2030. Spesso si pone il problema della definizione dell'estremo opposto, il min. Talvolta viene adottato il valore dell'indicatore nell'anno di riferimento, come è il caso del 1990 per le emissioni di gas serra. Con questa scelta l'indicatore min-max può assumere valori negativi. Talaltra si adotta il valore peggiore della serie storica per una data regione o il peggiore di tutte nel caso di serie storiche di più regioni geografiche.

Un indicatore composito distance-to-target punterà a distanza zero. Se la distanza è quadratica ccorre avere l'avvertenza, prima di calcolare la distanza dal target, di porre =1 i punti delle serie storiche normalizzate che superano il proprio target.

Un caso esempio degli indicatori distance to target.

Utilizziamo un indicatore doppio comprendente le emissioni serra dell'Europa a 28 e della percentuale di fonti energetiche rinnovabili. Le serie storiche fornite da Eurostat sono in tabella nelle prime due righe.  Nella terza e quarta ci sono le serie storiche normalizzate min-max tra 1990 e il target al 2030. Nella quinta riga c'è l'indicatore AMPI di Mazziotta con i signpost min(1990) = 2 e max(2030) = 0 (Medie Mazziotta in DtT). In ultima riga è la distanza quadratica di Mahalanobis, capace di tener conto della correlazione lineare tra i due indicatori, che ha come target max(2030) = D(2030) = 0.

Indicatori min(1990) 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 max(2030)
Emissioni GHG in tCO2eq 5636933 5336019 5291536 5177334 4801602 4907505 4756751 4691401 4597127 4422091 4450151 3382160
% di energia rinnovabile 0,0 9,5 10,4 11,0 12,4 12,9 13,2 14,4 15,2 16,1 16,7 27,0
Emissioni GHG min-max 0,00 0,13 0,15 0,20 0,37 0,32 0,39 0,42 0,46 0,54 0,53 1,00
Rinnovabili in min-max 0,00 0,35 0,39 0,41 0,46 0,48 0,49 0,53 0,56 0,60 0,62 1,00
Medie Mazziotta in DtT 2,40 1,86 1,83 1,76 1,59 1,63 1,57 1,54 1,50 1,44 1,43 0,00
DtT Mahalanobis 1,93 1,21 1,16 1,11 0,97 0,97 0,92 0,85 0,80 0,72 0,70 0,00

 

Nella figura a sx è rappresentato l'andamento della serie storica in unità normalizzate tra min = 0 e max =  1.

Nella figura qui sotto sono invece rappresentate le due versioni dell'indicatore composito in serie storica tra 2006 e 2015 con i dati Eurostat della tabella. I valori numerici sono quelli calcolati nelle due ultime righe della tabella: in quinta (serie rossa in figura) è la media dei due indicatori con la correzione di Mazziotta prima descritta.

In sesta riga (serie blu in figura) è la distanza dal target utilizzata dalla fondazione. Si tratta di una distanza fisica calcolata con la formula di Mahalanobis che tiene conto della correlazione tra i due indicatori.

Come si vede i valori assoluti sono diversi pur se l'andamento delle due serie è sostanzialmente simile. Il calcolo del trend, che è palesemente lineare, dà luogo alle equazioni rappresentate nella figura. Le due rette risultano divergenti, essendo la serie rossa più rapidamente convergente verso lo zero, che è per entrambe le serie il target vettoriale al 2030. Infatti la estrapolazione lineare al 2030 della serie rossa non raggiunge il target al 2030, mentre la previsione lineare della serie blu delle distanze raggiunge il target alcuni anni prima del 2030, nel 2026. La serie rossa, costruita con le medie,  proseguendo nel trend attuale, sarebbe al target solo nel 2043.

 

 

TORNA SU

 

 

 

 

IL RAPPORTO ISSI 2005

Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, 2005

2005: INDICATORI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA (ISSI)

Elaborazione: A. Barbabella e A. Federico. Collaborazioni tecnico-scientifiche: Andrea Bianco (Ambiente), Fabiana Carrara (Economia, Ambiente), Arianna Cecchi (Fondi Strutturali), Mara Cossu (Turismo, Fondi Strutturali), Francesca De Lucia, Paolo Salvi, Pierluigi Manzione (Agenda 21 Locale) Andrea Innamorati (Società), Giuseppe Onufrio (management), Giulia Sagnotti, Marco Bianchini, Sergio Ragonese (Stock ittici), Maria Angela Sorce (Economia, Società), Silvia Vaghi (Economia, Ambiente)

Il Progetto ha sviluppato una propria metodologia formale di tipo matematico-statistico capace di trattare il problema sistemico dello sviluppo sostenibile con la sua complessità, caratterizzato dalla molteplicità dei fenomeni che lo determinano e dalla multi-disciplinarietà delle conoscenze necessarie per farvi fronte. Tale metodologia costituisce una caratteristica sperimentale del Progetto basata sulla definizione di target dinamici di medio periodo da associare agli indicatori chiave, che sono stati identificati nel corso delle consultazioni promosse dal CNEL. Tale metodologia, già applicata una prima volta nel Rapporto ISSI del 2002, consente una rappresentazione originale della sostenibilità che associa una lettura di sintesi – per settore e complessiva – mantenendo una completa trasparenza su indicatori e obiettivi. In questo senso il Progetto, pur tenendo conto nella sua elaborazione dei documenti ufficiali elaborati in sede governativa, europea e internazionale, e contenendo le medesime informazioni statistiche di base, non è con queste direttamente confrontabile in quanto dati e informazioni statistiche sono lette all’interno di una metodologia originale che al momento non costituisce un riferimento istituzionale.

 

INDICE

1. INTRODUZIONE

PARTE I – IL QUADRO DI RIFERIMENTO ISTITUZIONALE

2. LO SVILUPPO SOSTENIBILE NEL NEGOZIATO INTERNAZIONALE MULTILATERALE

2.1. I limiti allo sviluppo e il nostro futuro comune
2.2. Rio de Janeiro (UNCED) e Agenda 21
2.3. Le Convenzioni Globali e gli Accordi Ambientali Multilaterali
2.4. Rio + 5 (UNGASS)
2.5. L’Assemblea del Millennio
2.6. Il finanziamento dello sviluppo sostenibile: la Conferenza di Monterrey
2.7. Il Summit per lo Sviluppo Sostenibile (WSSD); Johannesburg 2002
2.8. La crisi del multilateralismo

3. LA SCALA REGIONALE: L’UNIONE EUROPEA

3.1. ll V Piano di azione per lo sviluppo sostenibile
3.2. Il Processo di Cardiff
3.3. Il Processo di Lisbona
3.4. I Consigli di Primavera
3.5. Il VI Piano di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile
3.6. La Strategia di Goteborg
3.7. Gli indicatori strutturali

4. LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA

4.1. Il Piano CIPE 1993 per l’attuazione di Agenda 21
4.2. L’azione del Ministero dell’Ambiente
4.3. La Strategia di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile
4.4. Il Rapporto OECD 2002 sulla performance ambientale italiana
4.5. Le Agende 21 locali
4.6. I fondi strutturali e il finanziamento dello sviluppo sostenibile


PARTE II – IL QUADRO DI RIFERIMENTO METODOLOGICO

5. GLI INDICATORI DI SVILUPPO SOSTENIBILE
5.1. Natura ed importanza degli indicatori di sviluppo sostenibile
5.2. Gerarchie ed integrazione degli indici
5.3. La dinamica temporale degli indicatori di sviluppo sostenibile
5.4. Modelli di riferimento per i sistemi di indicatori di sviluppo sostenibile
5.5. Tipologia degli indicatori
5.6. L’approccio delle Nazioni Unite
5.7. L’Unione Europea
5.8. La dimensione nazionale
5.9. I grandi progetti internazionali
5.10. La selezione degli obiettivi
5.11. I metodi di aggregazione e di combinazione degli indicatori

Appendice 5.1: I Principi di Bellagio

PARTE III - IL PROGETTO CNEL

6. IL MODELLO ISSI
6.1. La distanza dall’obiettivo
6.2. La presentazione dei risultati

7. LA DEFINIZIONE DEL SISTEMA DEGLI INDICATORI DI SVILUPPO SOSTENIBILE IN 
ITALIA

7.1. I domini i temi e gli indici chiave che definiscono la sostenibilità nel
Progetto CNEL
7.2. Il "core-set" degli indicatori
7.3. Il sistema dei target
7.4. Il format degli indicatori

8. LE FASI DELLA CONSULTAZIONE

8.1. Strutturazione della consultazione
8.2. Risultati della prima fase della consultazione
8.3. La seconda consultazione e la scelta dei target

9. STATO E TENDENZA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA

9.1. Economia
9.2. Società
9.3. Ambiente

10. IL SISTEMA INFORMATIVO DEL PROGETTO CNEL

11. DISPONIBILITA’ E QUALITA’ DEI DATI STATISTICI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
IN ITALIA

11.1. Le criticità del sistema statistico nazionale

DOCUMENTI DI RIFERIMENTO

LISTA DEGLI ACRONIMI

IL LIBRO CHE NEL 2002 PROPONE LA METODOLOGIA

Editori Riuniti, 2002

 

LA METODOLOGIA DELL'INDICATORE CNEL-ISSI  NELL'ULTIMO SVILUPPO PRE CRISI

Edizioni Ambiente,2007

Ambiente 2007

serie storica ISSIambiente

Società ed Economia 2007

serie storica ISSIsocietà &economia

Risorse 2007

serie storica ISSIrisorse

Indice integrato dello sviluppo sostenibile in Italia al 2007

serie storica

valutazione qualitativa

IL RAPPORTO

 

“Il verbo ambire in latino corrisponde all’italiano circondare. Ambiens, ambiente era ciò che stava intorno, il circostante. Non è più così, ora ambiens, l’ambiente è circondato da noi. Aria, acqua, suolo, sono sotto assedio e si restringono. Circondati, si arrenderanno.”

Erri De Luca; “Alzaia”; 2004

 

“If we could first know where we are, and whiter we are tending, we could better judge what to do, and how to do it”

Abramo Lincoln; Illinois Republican State Convention; 1858

La finalità del Progetto “Indicatori per lo sviluppo sostenibile” del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è quella di predisporre un rapporto sullo sviluppo sostenibile in Italia basato su un sistema di indici (aggregati tematici di indicatori) e di indicatori (descrittori diretti di fenomeni economico-sociali ed ambientali), capace di descrivere lo stato attuale della sostenibilità  in Italia e  di consentirne il monitoraggio nel futuro.

Gli indicatori e gli indici sono necessari per rendere l’informazione disponibile in forma concisa e fruibile a livello di decisione politica e di opinione pubblica. L’utilizzo degli indicatori si sta diffondendo rapidamente anche nel linguaggio politico e nella pratica della vita di tutti i giorni. Lo sviluppo di indicatori  economico-sociali ed ambientali risponde ad una domanda emergente di chiarezza sullo stato del paese ed al bisogno di orientare le scelte in maniera informata. Questa sensibilità crescente dell’opinione pubblica a valutare i fatti sulla base dei dati comporta alcuni rischi. Molti possono essere tentati di orientare gli uni e le altre alle proprie necessità. L’uso degli indicatori  richiede pertanto la comprensione e la condivisione di concetti e definizioni, una rete di agenzie e di istituti capaci di produrre buoni dati, un largo accesso alle tecnologie informatiche, una buona conoscenza delle finalità strategiche delle politiche messe in campo, in particolare nel settore ambientale, nelle problematiche  dello sviluppo e nella dimensione della sostenibilità.

L’efficacia di un indicatore è determinata dalla sua capacità di rappresentare un fenomeno, dalla qualità fisica delle misure, dalla disponibilità dei dati per comporre quella che chiamiamo la “serie storica”, dalla credibilità di un progetto che ne disegna  l’evoluzione futura, oggetto delle scelte politiche, e ne fissa gli obiettivi e i tempi. Gli indicatori possono essere usati  a livello internazionale  e nazionale come strumenti per il reporting, sullo stato dell’economia o sullo stato dell’ambiente, per chiarificare obiettivi e stabilire priorità, per valutare le performance delle politiche, e quindi, infine,  per il monitoraggio dei  progressi  verso lo sviluppo sostenibile.

Gli indicatori ambientali correntemente in uso sono stati sufficientemente sperimentati e consolidati e concordati nelle sedi internazionali. Più complessa è la questione degli indicatori di sostenibilità che, pur non costituendo una categoria completamente separata, hanno il compito aggiuntivo di rappresentare contestualmente processi originati nell’economia e nella società oltre che nell’ambiente, in un una forma che sia capace di evidenziarne le interdipendenze e valorizzarne gli equilibri. A questi indicatori è richiesto anche un “buon successo di pubblico”, perché dalla conoscenza e coscienza dei cittadini possa essere derivato un forte supporto alle scelte politiche necessarie.

In materia di indicatori va registrata l’opera di pionierismo dell’OECD, basata su una struttura concettuale ovvero su un modello ormai largamente diffuso e denominato Pressione-Stato-Risposta, PSR, che ha influenzato le attività di ricerca di un gran numero di  Paesi, come Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Ungheria, Giappone, Olanda, Regno Unito e  Stati Uniti, e di varie organizzazioni e di istituti internazionali. Alcuni parametri sono stati sviluppati soltanto recentemente come indicatori; altri sono stati usati sul campo per molto tempo ma solamente ora  vengono proposti con finalità più ampie per la verifica della sostenibilità. Le attività tecnico-scientifiche di sostegno alle convenzioni globali e regionali, basate su modelli, che richiedono output quantitativi formalmente definiti, hanno  prodotto indicatori utili, come, ad esempio,  le misure per determinare quando sono stati superati i carichi critici sull’ambiente. E’ opportuno che gli indicatori siano riferiti all’uomo ed all’ambiente in quanto tali: in economia è quindi opportuno esprimere gli aggregati in termini pro capite, mentre l’uso del territorio va riferito alla capacità di carico (carrying capacity) degli ecosistemi. Da questa impostazione  derivano concetti come lo spazio ambientale e l’impronta ecologica, indici che esprimono i limiti di utilizzo e di sfruttamento delle risorse di origine naturale  e di territorio. La quantità di territorio necessaria per la produzione delle risorse naturali utilizzate da ogni persona ne definisce  l’impronta ecologica (Rees e Wackernagel, 1994).

Una  categorizzazione di origine World Bank suddivide gli indicatori in puntuali, tematici e sistemici.

Gli indicatori puntuali vengono generalmente raccolti in  liste di grandi dimensioni. Essi rappresentano gli insiemi minimi di aggregazione dei dati, molto vicini al dato fisico, di cui sono descrittori efficienti. Le liste consistono in  grandi elenchi  o menu di indicatori, il numero dei quali  può  facilmente eccedere il centinaio.  I progetti di maggiori dimensioni offrono una cornice  logica  e una moltitudine di indicatori potenziali che  gli utenti possono selezionare secondo le loro necessità. In altri casi, come nel nostro Progetto, un grande set di indicatori viene disegnato per essere usato nella sua interezza e per dare un quadro completo  dello sviluppo sostenibile per un paese. 

Programmi basati su grandi elenchi di indicatori puntuali privilegiano la completezza rispetto alla condivisione e non propongono normalmente  sessioni di validazione. Tutti i grandi  programmi compiono un sforzo di comparazione dei valori degli  indicatori  con gli andamenti di altri paesi e con gli obiettivi preesistenti,  come gli orientamenti di qualità, le linee guida  o gli  impegni  internazionali  sottoscritti nelle convenzioni del negoziato multilaterale. Resta il fatto comunque che per la maggioranza degli  indicatori puntuali delle grandi liste non esistono standard univoci.

Alcuni progetti privilegiano un approccio di media complessità, riducendo la quantità delle informazioni nella costruzione di indicatori per lo sviluppo sostenibile. Questo approccio è a carattere  tematico e comporta lo sviluppo di un set   ridotto di indicatori per ognuno dei problemi maggiori in materia di politica ambientale e socio-economica. In molti casi anche gli approcci delle grandi liste a menu strutturano gli indicatori in temi in funzione delle classi di problemi riconosciuti aprendo il capitolo delle metodologie di combinazione, con le quali si possa rappresentare un tema combinando una pluralità di descrittori.

I progetti nazionali sviluppati  da alcuni paesi, Canada, Olanda, e dai paesi del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, e Svezia), seguono tipicamente l’approccio tematico. Tutti e tre i sistemi adottano il modello OECD PSR, in combinazione con  un elenco di temi stabiliti in funzione delle politiche ambientali. Il set  canadese,  collegato al Green Plan nazionale. usa un approccio sistemico ad  un livello molto globale.  Quello olandese e il set dei  Paesi Nordici  sono strutturati in funzione dei  temi delle policy e sono stati progettati esplicitamente per il reporting ufficiale.

Per problemi simili sono stati scelti indicatori diversi nelle tre liste. Per esempio, la qualità ambientale urbana è volta a volta rappresentata da indicatori trasportistici, dai tempi di superamento dei limiti di qualità dell’aria, ovvero, a un livello molto più generale, da indici non ristretti al solo traffico urbano. Un progetto non include sorprendentemente la qualità dell’aria urbana ma solo indicatori di pressione. Per il tema delle foreste, tematica comune dei paesi nordici, viene posta nelle liste la pressione generata dallo sfruttamento della risorsa forestale ma non sempre la riforestazione, che non è necessariamente un buon indicatore di risposta. La superficie forestale è assunta come un indicatore di stato, quindi le pressioni non sono i raccolti del legname ma l’acidificazione, la siccità antropogenica e l’eccesso di nutrienti.

E’ pertanto importante considerare che un punto di vista comune, può condurre a scelte diverse, secondo le specificità territoriali e le implicazioni politico-amministrative. Questo accade spesso anche tra paesi che potrebbero essere  classificati come simili per molti aspetti, o tra regioni dello stesso paese.  Gli utenti e i fornitori di informazioni possono arrivare a soluzioni diverse in contesti diversi Le differenze tra le liste di indicatori prodotte per le medesime finalità possono essere esse stesse una buona chiave di lettura dei diversi contesti. L'ambiente è diverso nei vari paesi almeno quanto la struttura sociale e l’assetto dell’economia e gli indicatori variano per  riscontrare queste differenze. Inoltre, dal momento che  le  necessità politiche cambiano nel tempo, possono essere richiesti indicatori diversi per rispondere alle necessità nuove. 

Gli indicatori sistemici si situano ad un livello di generalità  e di complessità ancora superiore. Sono stati progettati affinché un solo numero sia in grado di indicare se un sistema complesso  è in difficoltà dal punto di vista ambientale o, più in generale, se la via per uno sviluppo sostenibile o più sostenibile viene adeguatamente seguita. Tali indicatori sono i più  ambiziosi in termini di concentrazione delle informazioni.

Per gli indicatori sistemici vengono usate altre denominazioni come il “portafoglio indicatori" e gli "indicatori sinottici" o "indicatori aggregati" sebbene l’aggregazione spesso non sia esattamente il metodo adottato.  Gli indicatori sistemici non hanno in genere qualità analitiche apprezzabili per i dettagli dei processi economici ecologici e sociali. Se un indicatore sistemico ha identificato un problema in atto, possono essere necessari ulteriori approfondimenti per scoprire la natura precisa del problema. 

Gli  indicatori di benessere come l’ISEW, l’HDI, il GPI, lo Spazio Ambientale, l’Impronta Ecologica (il RIBES sviluppato dal WWF per l’Italia) e il “Genuine Savings” della World Bank,  appartengono a questa categoria di indicatori. Sono tutti validi esempi di indicatori sistemici  con utili  implicazioni di policy. Valori stabilmente  declinanti di indici come questi mostrano chiaramente che lo sviluppo di un  Paese intero non è complessivamente sostenibile. Per converso,  valori opposti, positivi e continui non garantiscono necessariamente  la sostenibilità.

Altri importanti esempi di indicatori sistemici sono il TMR, i flussi materiali e il bilancio dei nutrienti. Matrici e bilanci input-output dei flussi di materia sono stati sviluppati in molti paesi industriali per il controllo  dell’inquinamento per dispersione di composti chimici che possono condurre ad accumulazioni  pericolose nell’ambiente. Questo approccio è stato sviluppato per composti persistenti, come i composti del piombo ed i metalli pesanti, allo scopo di identificare le priorità per le politiche di controllo dell’inquinamento industriale.

Molte organizzazioni, istituzioni e agenzie governative e private nel  mondo stanno sviluppando indicatori per ottenere misure quantitative del progresso verso lo sviluppo sostenibile, oppure partecipano a campagne sperimentali e benchmark per la validazione delle liste concordate a livello internazionale.

Anche per l’Italia tali attività sono un obiettivo ineludibile per il quale va potenziato il contributo di ricerca scientifica, pubblica e privata, e migliorato costantemente il livello quantitativo e qualitativo dei dati prodotti. Cruciale, in questi settori, il contributo operazionale di APAT e ISTAT. Il nostro Paese ha ospitato a fine 1999 la conferenza OECD sugli indicatori per lo sviluppo sostenibile e, di seguito, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha messo in cantiere la nuova Environmental Performance Review OECD per l’Italia che è stata terminata nel 2002.

L’Istituto Sviluppo Sostenibile Italia (ISSI), ha presentato  con il suo primo Rapporto 2002, “Un futuro sostenibile per l’Italia” (Roma, Editori Riuniti il primo approccio metodologicamente organico  alla definizione ed alla misura dei parametri dello sviluppo sostenibile in Italia. Quella stessa metodologia, sviluppata ed approfondita, costituisce la base del Progetto del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che viene presentato in queste pagine.

La distribuzione geografica mondiale dei centri d’iniziativa e delle pubblicazioni mostra che l'origine prevalente del lavoro sugli indicatori si determina laddove sussistono stili di governo basati sul consenso. Alcuni di questi  paesi hanno assunto il ruolo di pionieri e continuano a migliorare i loro schemi e ad adattarli alle esigenze emergenti della gestione delle politiche ambientali e dello sviluppo sostenibile. Programmi come quelli della CSD e dell’OECD, dotati di consenso ed adesioni crescenti, contribuiscono alla diffusione di metodi e di pratiche per sostenere tali politiche. Le liste degli indicatori prodotte hanno una struttura comune che si manifesta nel numero degli indicatori, nell’adozione di modelli formali, nella finalità strategica di orientare le scelte delle priorità e degli obiettivi delle politiche, nella flessibilità delle proposte.

Resta sostanzialmente aperta la questione della scelta, in favore di  “liste” di indicatori, puntuali o tematici, oppure di indicatori sistemici unitari, per referenziare in maniera efficiente il percorso nazionale verso uno sviluppo sostenibile o più sostenibile. La prima opzione corrisponde alla scelta di “core-set” di indicatori, selezionati da ampi gruppi di lavoro interdisciplinari, che producono liste ormai superiori a 100 elementi in tutti i progetti affermati a livello mondiale.  Dai “core-set”, in affinità esplicita con le linee delle politiche di governo, quale che sia il livello istituzionale dal globale al locale, vengono estratti gruppi ristretti di indicatori di riferimento (indicatori chiave), non diversamente da quanto fa il progetto ISSI, scelti per guidare le politiche e monitorare i progressi in ognuna delle tematiche prioritarie. In molti contesti sembra essere questa la scelta prevalente, perché esime i gruppi di esperti dal difficile compito della scelta dei “pesi” da attribuire ai singoli processi e dall’arduo calcolo dei coefficienti combinatori per la generazione di indici integrati.

Va però osservato che  le liste, piccole e grandi, restano un approccio per “addetti ai lavori”, sono dotate di un appeal e di una capacità di comunicazione inferiore rispetto agli indicatori sistemici unici,  che invece mirano ad una definizione di un indice integrato di sviluppo alternativo al PIL, capace di mettere in luce, al di là della crescita economica,  la qualità del modello di sviluppo e la sua sostenibilità.

Gli indicatori sistemici unici hanno ormai una storia ed una tradizione consolidate con una variante a prevalenza economica nelle culture anglosassoni (ISEW, GPI, HDI, …), e una prevalenza degli approcci  ecologici in area europea (Spazio Ambientale, Impronta Ecologica, RIBES, Flussi materiali, MIPS, …). In Italia si nota una prevalenza di questo tipo di approcci, sviluppati sempre per merito delle associazioni ambientaliste, con una limitata esposizione del settore della ricerca scientifica e delle amministrazioni. In questo senso è rilevante l’iniziativa promossa dal CNEL, a cui compete particolarmente mettere in evidenza due aspetti fondamentali: lo sviluppo dei processi partecipativi e di concertazione a tutti i livelli e il problema delle specificità nazionali e regionali dei processi verso lo sviluppo sostenibile. Entrambi gli aspetti  hanno trovato un’adeguata rappresentazione nella scelta degli indicatori, nella selezione degli obiettivi e dei target.

Le peculiarità nazionali sono ben note e sono legate all’assetto geopolitico del Paese, alla sua rilevanza in area Mediterranea, al suo straordinario patrimonio naturale, artistico e di cultura, alla ricchezza delle sue città storiche, alla scarsità e fragilità del territorio, all’esposizione al rischio di eventi naturali, in aggravamento per effetto dei cambiamenti climatici, alla lunghezza del profilo costiero, ai problemi dell’immigrazione, ai livelli perduranti di disoccupazione e di cattiva occupazione, al ritardo nel recupero dei differenziali sociali, in particolare di genere, ai problemi di coesione interna, alla biodiversità, alla tipicità delle culture e delle colture regionali, allo squilibrio dei flussi turistici …. Nessuno di questi elementi è stato trascurato nella messa a punto di questo approccio italiano alla scelta degli indicatori per lo sviluppo sostenibile.

Alcuni altri aspetti vanno messi in luce. Politiche di governo sostenibili devono puntare sulla manutenzione e rinaturalizzazione del territorio italiano, piuttosto che sul rilancio dell’infrastrutturazione, e sulla lotta all’abusivismo ed alla criminalità ambientale, entrambi segni di un malessere crescente nel rapporto tra sviluppo economico, società ed ambiente. Queste linee programmatiche orientano l’economia italiana verso la dematerializzazione, laddove essa già appare caratterizzata da valori minori di intensità energetica e di flussi materiali rispetto  ad altri paesi sviluppati. La scelta di un “core-set” di indicatori per l’Italia non può dunque prescindere dal quantificare questi processi, dall’evidenziare gli andamenti dei flussi materiali a livello globale e d’impresa e dal privilegiare le quote di ricchezza tecnologica, umana e sociale generate dall’economia della conoscenza e dell’informazione. Né vanno persi di vista gli elementi strutturali ormai patologici, in Italia come in tutto il mondo sviluppato, legati all’intensità crescente di mobilità e di trasporto del modello economico prevalente, ma anche a modelli di consumo difficili da modificare, processi entrambi lesivi della qualità dell’ambiente, della vita e della salute, in particolare in un paese come l’Italia caratterizzato da una morfologia urbana, del territorio e delle coste assolutamente unica.

Su queste premesse è stato sviluppato questo progetto. Il rapporto che di seguito lo illustra è articolato in tre parti, dieci capitoli, tabelle, schede statistiche ed una bibliografia referenziata sul web.

La prima parte referenzia il quadro istituzionale internazionale, europeo e nazionale.

Nel Cap. 2 si espone  il quadro di riferimento internazionale allo stato attuale del negoziato per l’ambiente e per  lo sviluppo sostenibile. Il Cap. 3  analizza il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo sostenibile che è entrato come categoria costituzionale già a far parte dei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, poi di Nizza ed ora della Costituzione Europea. La piccola e contraddittoria storia dello sviluppo sostenibile nel nostro paese  è l’oggetto del Cap. 4. 

La seconda parte illustra il quadro della metodologia adottata per lo sviluppo dei sistemi di indicatori per lo sviluppo sostenibile. Nel Cap. 5 sono descritti gli approcci di riferimento per la costruzione di un sistema di indicatori con particolare attenzione a quegli elementi che, ormai condivisi a livello internazionale, fanno da quadro sicuro di riferimento per il Progetto del CNEL. Viene trattata con particolari approfondimenti la tematica degli obiettivi. Un indice di sviluppo sostenibile si distingue sostanzialmente da un generico indicatore statistico proprio perché viene associato ad un obiettivo da raggiungere entro un certo tempo. La selezione degli obiettivi è dunque il cuore delicato della costruzione di un sistema complesso di indici per lo sviluppo sostenibile e, più degli indici stessi, dà al progetto il senso di un percorso da effettuare.

La terza parte riporta il lavoro svolto dal Progetto CNEL.

Il Cap. 6 descrive sinteticamente il metodo ISSI sviluppato dall’Istituto nel primo Rapporto annuale 2002 sulla sostenibilità in Italia, allo scopo di fissare i riferimenti metodologici del Progetto.  Nel Cap. 7 viene presentato il Progetto del CNEL  comprendente la scelta metodologica, la selezione  degli indicatori e la fissazione di target e tempi attraverso le fasi del processo di consultazione. Nel capitolo 8 vengono illustrate le due fasi della consultazione che hanno validato le impostazioni generali del lavoro, le liste degli indicatori ed i target. Lo stato e la tendenza  dei processi di sostenibilità in Italia sono presentati nel Cap. 9 attraverso lo studio degli andamenti degli indici aggregati ai livelli fino al terzo. Il Rapporto si conclude con l’analisi dell’andamento dell’indice generale di sostenibilità per l’Italia e con una breve descrizione, nel Cap. 10, del sistema informativo messo a punto dall’Istituto ISSI per supportare il Progetto. Il Cap. 11 espone le principali criticità e le carenze del sistema informativo nazionale rilevate nelle fasi di raccolta primaria dei dati e nella elaborazione delle relative serie storiche.

In allegato si trovano le schede metodologiche sviluppate per ciascuno dei 56  indicatori che costituiscono la base informativa del Progetto CNEL ordinate per dominio, 19 per l’economia, 21 per la società e 16 per l’ambiente.

TORNA SU

Il Rapporto BES 2013

 

 

BES 2013

la sintesi

 

 

Sistema di visualizzazione degli indicatori del BES

 

Le tavole statistiche del Rapporto BES 2013

           
           
           
           
           
           

 

Il Rapporto preparatorio del 2012 del Comitato CNEL-ISTAT sulla misurazione del benessere

 

Rapporto preparatorio del 2010

 

 

2013: Il Progetto BES del CNEL e dell'ISTAT per andare oltre il PIL verso lo sviluppo sostenibile

Il dibattito sulla misurazione del benessere degli individui e delle società è all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale a partire dalle iniziative OCSE dello scorso decennio e massimamente dal Rapporto Stiglitz. La crisi (alimentare, energetica e ambientale, finanziaria, economica e sociale) può accelerare lo sviluppo di nuovi parametri in grado di guidare i decisori politici, sia i comportamenti delle imprese e delle persone.

Il Rapporto BES 2013 conferma per ora la centralità del Prodotto interno lordo come misura dei risultati economici di una collettività. La sua ragion d’essere  consiste pertanto nell’integrare tale misura con indicatori nuovi di carattere economico, ambientale e sociale che rendano credibile la valutazione sullo stato e sul progresso di una società e allargare la partecipazione nella fase delle scelte.

La solidità scientifica e la legittimazione democratica del percorso seguito, promosso da Enrico Giovannini (in figura), consentono di dire che, da oggi, il nostro Paese è dotato di uno strumento tra i più avanzati per monitorare le condizioni in cui viviamo, informare i cittadini e indirizzare le decisioni politiche. Gli indicatori del Bes aspirano a divenire un riferimento costante e condiviso in grado di segnare la direzione del progresso. Così come avviene in alcuni paesi, le relazioni di accompagnamento alle nuove leggi potrebbero cercare di valutare l’impatto di queste ultime sui diversi domini del Bes.

Il Cnel, già nel 2005, grazie al contributo dei ricercatori che oggi sono nella Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha elaborato e quindi approvato nel corso dell’assemblea del 28 aprile 2005 il progetto dell’indicatore ISSI di cui riferiamo in altra parte della pagina.

Da parte sua, l’Istat sta sviluppando diversi modelli econometrici, così da offrire strumenti previsivi e di valutazione delle politiche in grado di cogliere diversi aspetti del benessere.

L’insieme degli indicatori sul Benessere Equo e Sostenibile utilizzato in questo Rapporto non è definitivo e per ora non coglie il risultato di una nuova definizione del benessere. Il risultato conseguito è pero l’allargamento della base statistica a molti e nuovi indicatori che finalmente consentiranno probabilmente, subito dopo, di aggregare i nuovi indici di benessere. Ulteriori proposte deriveranno dall’uso concreto degli indicatori del Bes 2013. Il tema della misurazione del benessere degli individui e della società può già contare su importanti esperienze nazionali e internazionali. Si tratta di un tema che è uscito dalle accademie ed è oggi affrontato anche da leader politici, dalla statistica ufficiale e da ampi settori della società civile. In tutto il mondo, sia in paesi sviluppati sia in paesi emergenti che in via di sviluppo, istituzioni pubbliche e private hanno intrapreso percorsi e iniziative per costruire sistemi di indicatori o misure integrate in grado di dare conto della complessità della società e di monitorare i fenomeni che contribuiscono al benessere dei cittadini.

Il Rapporto opportunamente ricorda che l’Ocse ha promosso dal 2001 programmi per aumentare la consapevolezza sul tema della misurazione del progresso della società. Con la “Dichiarazione di Istanbul”, adottata da importanti organizzazioni internazionali nel giugno 2007, si è raggiunto un primo consenso internazionale sulla necessità di intraprendere la misurazione del progresso della società andando oltre le misure economiche convenzionali come il Pil pro capite.

Il Rapporto finale della “Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale” promossa dal governo francese propone uno spostamento dell’enfasi dalla misurazione della produzione economica alla misurazione del benessere delle persone, reddito e ricchezza, flussi e stock, attraverso raccomandazioni che suggeriscono di valutare la performance economica guardando al reddito e ai consumi piuttosto che alla produzione, approfondendo gli elementi distributivi ossia non solo quanto siamo ricchi ma quanto equamente è distribuita la ricchezza e concentrando l’attenzione sulla condizione delle famiglie. La Commissione raccomanda, inoltre, di misurare il benessere attraverso un approccio multidimensionale che tenga conto anche degli aspetti di valutazione soggettiva dei cittadini e di considerare indicatori di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale.

L’importanza del dibattito sugli indicatori di benessere dipende dal fatto che “quello che si misura” influenza “quello che si fa”. Se gli strumenti utilizzati non sono corretti, o non riescono a cogliere le caratteristiche rilevanti del fenomeno di interesse, essi possono indurre a prendere decisioni inefficaci o addirittura sbagliate. La misurazione del benessere attraverso indicatori più articolati e condivisi dalla società sottende, quindi, possibili cambiamenti dell’azione politica e punta a realizzare un migliore funzionamento della democrazia in un’epoca nella quale la crescita economica si è fatta più problematica e nella quale gli obiettivi di buon governo devono necessariamente andare oltre il Pil.

Il concetto di benessere cambia secondo tempi, luoghi e culture e non può quindi essere definito univocamente, ma solo attraverso un processo che coinvolga i diversi soggetti sociali. La definizione del quadro di riferimento porta con sé, dunque, un processo di legittimazione democratica che rappresenta l’elemento essenziale nella selezione degli aspetti qualificanti il benessere individuale e sociale. Giungere a un accordo sulle dimensioni più importanti (i cosiddetti domini del benessere) permette anche di individuare le priorità dell’azione politica. Al fine di definire gli elementi costitutivi del benessere in Italia, il Cnel e l’Istat hanno costituito un “Comitato di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana” composto da rappresentanze delle parti sociali e della società civile. Inoltre, l’Istat ha costituito un’ampia e qualificata Commissione scientifica di esperti dei diversi domini riconducibili al benessere.

Gli autori non ritengono possibile, quantomeno per ora, sostituire il Pil con un altro indicatore singolo del benessere di una società. Per ora  si procede a selezionare l’insieme degli indicatori ritenuti più rilevanti e rappresentativi del benessere. Il progetto BES si è prefisso l’obiettivo di analizzare livelli, tendenze temporali e distribuzioni delle diverse componenti, così da identificare punti di forza e di debolezza, nonché particolari squilibri territoriali o gruppi sociali avvantaggiati/svantaggiati, anche nella prospettiva intergenerazionale della sostenibilità.

Una prima ampia consultazione sull’importanza delle dimensioni del benessere è stata realizzata a febbraio 2011 con l’inserimento nell’indagine multiscopo, la più grande indagine sociale annuale dell’Istat, di una lista di quesiti sui diversi aspetti importanti per la vita. Condotta su un campione di 45 mila persone dai 14 anni in poi, rappresentativo della popolazione residente in Italia, ha reso possibile raccogliere le opinioni di tutti gli strati della popolazione. Il sito www.misuredelbenessere.it  offre strumenti d’informazione sul progetto e ha offerto la possibilità di rispondere, tra ottobre 2011 e gennaio 2012, a un questionario online e di collaborare a un blog, consentendo a cittadini, istituzioni, centri di ricerca, associazioni, imprese di contribuire a definire che cosa conta davvero per l’Italia, facendo sì che il processo di individuazione delle dimensioni rilevanti sia realmente condiviso e, quindi, legittimato.

Questo articolato processo deliberativo ha condotto all’individuazione di 134 indicatori raggruppati in 12 domini: salute; istruzione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; ricerca e innovazione; qualità dei servizi.

Il progetto del Benessere Equo e Sostenibile si fonda sull’analisi di un ampio numero di indicatori, disaggregati a livello territoriale e per gruppi sociali in modo da osservarne la distribuzione e rilevare la presenza di disuguaglianze significative. Gran parte degli indicatori selezionati sono disaggregabili fino alla scala regionale. Il Comitato ha convenuto sulla necessità di utilizzare sia indicatori oggettivi, sia indicatori soggettivi, che raccolgono, cioè, percezioni e opinioni dei cittadini, i quali consentono di acquisire informazioni complementari su aspetti ed eventi della realtà oggetto di indagine che non sarebbero acquisibili altrimenti. Seguendo le raccomandazioni dell’Ocse e di Eurostat, l’Istat ha iniziato a misurare negli ultimi anni un indicatore rappresentativo della soddisfazione della vita nel complesso, tipicamente affiancato da misure di soddisfazione per aspetti specifici della vita: la condizione economica, il lavoro, le relazioni sociale e così via. Di conseguenza, si è ritenuto opportuno inserire l’indicatore sintetico soggettivo in un dominio a sé, mentre indicatori soggettivi tematici sono stati inseriti nei domini di pertinenza (ad esempio, gli aspetti di soddisfazione per il lavoro nel dominio “lavoro e conciliazione dei tempi di vita”).

Alcune iniziative internazionali e nazionali puntano ad aggregare tutte le informazioni disponibili in un unico indice sintetico di benessere. In merito a tale ipotesi, il Comitato ha ritenuto inadatta una misura unica del benessere che potrebbe fornire indicazioni fuorvianti o poco significative dovendo aggregare domini estremamente articolati. Tuttavia comprendendo le difficoltà di interpretazione di un set di indicatori molto ampio, il Comitato di indirizzo, nella prossima edizione del Rapporto, si impegnerà a verificare la possibilità di operare aggregazioni settoriali quanto meno a livello di singolo dominio (salute, ambiente, ecc.).

Infine, il Comitato ha concordato sulla necessità, in taluni casi, di utilizzare indicatori relativi a specifici gruppi sociali, qualora si ritenga che i fenomeni analizzati richiamino una valutazione complessiva del benessere nel Paese, ad esempio le attività ludiche dei bambini, l’occupazione delle donne con figli piccoli, il sovraffollamento delle carceri etc.

Stando così le cose  la misurazione della sostenibilità del benessere è solo un obiettivo futuro di cui il Progetto non ha ancora stabilito le premesse. La sostenibilità non è solo materia ecologica, ma deve comprendere anche le componenti economiche e sociali, così da poter misurare la sostenibilità del benessere nel complesso. Nei prossimi mesi si avvierà un lavoro di approfondimento su come valutare la sostenibilità del benessere in Italia, o seguendo l'approccio Stiglitz (orientato a quantificare il capitale economico, naturale, umano e sociale per valutare se, con le tendenze in atto, questo sia destinato ad aumentare o diminuire), ovvero attraverso un approccio di valutazione del rischio, identificando alcuni fenomeni che rischiano di compromettere le condizioni future. Un’analisi di questo tipo è già presente nel dominio “Salute”, per il quale sono stati selezionati alcuni indicatori sui comportamenti a rischio (fumo, alcol, obesità, sedentarietà, qualità dell’alimentazione).

L’elaborazione della base informativa necessaria alla misura del Bes potrebbe essere estesa anche a livelli territoriali minori. A livello locale, il decreto legge “Crescita 2.0” (convertito in legge n. 221/2012) prevede, per le smart city (comunità intelligenti e sostenibili), la costruzione di set di indicatori economici, sociali e ambientali per la valutazione dell’impatto delle politiche per l’agenda digitale sul benessere dei cittadini. In questo modo, l’Italia è entrata nel ristretto gruppo di paesi con una legislazione che contiene un riferimento esplicito al concetto di benessere.

TORNA SU

 

IL QUADRO GENERALE DEGLI INDICATORI DEL PROGETTO BES NEL 2013

 

 

TORNA SU