IL
RAPPORTO BES 2016
IL RAPPORTO BES
2015
IL RAPPORTO
URBES 2015
IL RAPPORTO BES
2014
IL RAPPORTO BES
2013
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2016: 12 INDICATORI BES NEL
DOCUMENTO ECONOMICO E FINANZIARIO
Con il
Decreto
del Ministero delle finanze 16 ottobre 2017
recante “Individuazione degli indicatori di benessere equo e sostenibile
(BES)” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 267 del 15 novembre 2017 sono
stati definiti i dodici indicatori di benessere equo e sostenibile nel ciclo di
finanza pubblica per andare oltre il Pil.La normativa prevede poi la redazione
da parte del Ministero dell’economia e delle finanze di due documenti, redatti
sulla base dei dati forniti dall’Istat: il primo, allegato al Documento di
Economia e Finanza, in cui si descrive l’andamento nell’ultimo triennio degli
indicatori di benessere nonché le previsioni sulla loro evoluzione; il secondo,
da presentare al Parlamento entro il 15 febbraio di ogni anno, in cui viene
esaminata l’evoluzione dell’andamento degli indicatori di benessere sulla base
degli effetti determinati dalla legge di bilancio per il triennio in corso.
L’Italia è il primo Paese nell’Unione europea e nel G7 ad
aver introdotto gli obiettivi di benessere nella politica economica. Ne dobbiamo
essere orgogliosi. In Italia bisogna migliorare la demografia, l'inclusione
sociale, le strutture a sostegno della famiglia e il tasso di partecipazione dei
giovani al lavoro (Padoan).
In via sperimentale, nel DEF 2016 sono stati già introdotti
4 indicatori: del reddito medio disponibile, della diseguaglianza dei redditi,
della mancata partecipazione al mercato del lavoro, delle emissioni di CO2
e gli altri gas climalteranti.
.
Ecco i 12
indicatori:
1)
reddito medio disponibile aggiustato pro capite;
2) indice di diseguaglianza del reddito disponibile;
3) indice di povertà assoluta;
4) speranza di vita in buona salute alla nascita;
5) eccesso di peso;
6) uscita precoce dal sistema di istruzione e
formazione;
7) tasso di mancata partecipazione al lavoro, con
relativa scomposizione per genere;
8) rapporto tra tasso di occupazione delle donne di
25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne
senza figli;
9) indice di criminalità predatoria;
10) indice di efficienza della giustizia civile;
11) emissioni di CO2 e altri gas
clima alteranti;
12) indice di abusivismo edilizio.
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2016: IL QUARTO RAPPORTO
SUGLI INDICATORI BES DEL BENESSERE EQUO E SOSTENIBILE
Il Rapporto individua complessivamente 12 domini e 130
indicatori, che tengono conto sia di aspetti che hanno un diretto impatto sul
benessere umano ed ambientale sia di quelli che misurano
gli elementi funzionali al miglioramento del
benessere della collettività e dell’ambiente. I diversi domini sono stati
definiti come segue:
-
La salute.
-
L’istruzione e la formazione.
-
Il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita.
La piena e buona occupazione guarda alla stabilità del lavoro, al reddito,
alle competenze, alla conciliazione degli orari tra tempi di lavoro,
personali e familiari, alla sicurezza del lavoro, alla partecipazione dei
dipendenti alla vita dell’impresa, alla soddisfazione soggettiva verso il
lavoro.
-
Il benessere economico. Reddito, ricchezza,
capacità di consumo, condizioni abitative, possesso di beni durevoli, ecc.
-
Le relazioni sociali.
-
La politica e le istituzioni. Apertura e
trasparenza. Eliminazione di frode, corruzione e cattiva gestione dei fondi
pubblici.
-
La sicurezza.
-
Il benessere soggettivo. Il benessere percepito
dalle persone.
-
Il paesaggio e il patrimonio culturale.
-
L’ambiente. Capitale naturale, servizi
ecosistemici.
-
La ricerca e l’innovazione.
-
La qualità dei servizi.
A partire
dall’edizione 2015, il rapporto BES propone anche alcune misure sintetiche
dell’andamento complessivo dei diversi domini. Queste consentono l’aggregazione
dei singoli indicatori che compongono un dominio in un unico valore. La sintesi
è utile per rendere più agevoli il confronto e l’analisi dei fenomeni osservati,
rimandando ai singoli indicatori per ulteriori approfondimenti. Gli indicatori
compositi sono stati elaborati solo per i domini di outcome, quelli nei
quali si determina il benessere degli individui. Per questi motivi sono stati
esclusi dal calcolo interi domini (Politica e istituzioni, Ricerca e innovazione
e Qualità dei servizi) oppure singoli indicatori. In due casi, gli indicatori
compositi di occupazione e soddisfazione per la vita, sono rappresentati da un
unico indicatore al quale è stata applicata una trasformazione di scala per
renderlo comparabile con gli altri indicatori compositi (valore Italia 2010 =
100). Un ulteriore criterio per la selezione degli indicatori da includere negli
indici compositi è stato determinato da fattori di ordine pratico come la
mancanza di una serie storica per l’indicatore o una insufficiente
disaggregazione territoriale rispetto agli altri indicatori considerati.
In particolare in
questa edizione non viene riportato né l’indice composito sulla sicurezza, i cui
dati elementari sono fermi al 2014, né quello per il dominio Paesaggio e
patrimonio culturale, al momento aggiornabile solo con i dati censuari. Tali
criteri hanno condotto in questa edizione del Rapporto all’elaborazione di 9
indicatori compositi:
-
Salute
-
Istruzione e
formazione
-
Occupazione
-
Qualità del
lavoro
-
Reddito
-
Condizioni
economiche minime
-
Relazioni
sociali
-
Soddisfazione
per la vita
-
Ambiente
Il metodo di
aggregazione Mazziotta - Pareto modificato, AMPI, è presentato in dettaglio al
punto successivo di questa pagina.
L’analisi
dell’andamento degli indicatori compositi nel corso degli anni consente una
prima lettura congiunta dell’evoluzione degli aspetti fondamentali del benessere
dei cittadini. Stati considerati tre diversi periodi temporali: il 2010, posto
uguale a 100 come anno base (nel caso dell’ambiente l’anno base è il
2008), il 2013 e l’ultimo anno disponibile che comprende valori degli indicatori
riferiti al 2015 o 2016. In questo intervallo di tempo, l’economia
italiana ha attraversato una fase di prolungata recessione fino al 2013, seguita
da un anno di sostanziale stagnazione e dal successivo avvio della ripresa
economica. Complessivamente il Pil si è ridotto di più di 3 punti dal 2010 al
2015.
L'andamento degli
indicatori compositi (in figura) evidenzia nel 2015-16, rispetto al 2013,
miglioramenti per i domini relativi a salute, ambiente, istruzione, occupazione,
soddisfazione dei cittadini per la vita. Una sostanziale stabilità si rileva
invece per qualità del lavoro, reddito, condizioni economiche minime e relazioni
sociali. Complessivamente, i maggiori progressi si rilevano per la soddisfazione
per la vita e per l’occupazione. Il confronto con la situazione relativa al 2010
mostra un miglioramento per salute, ambiente, istruzione; un recupero completo
dell’occupazione e livelli lievemente inferiori rispetto al 2010 per reddito,
relazioni sociali e soddisfazione per la vita; divari ancora rilevanti
sonopresenti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro.
Il Rapporto esplicita nella seconda parte tutti gli
indicatori e i relativi dati per le Regioni italiane ed alcune città e alcuni
elementi di confronto intereuropei e internazionali.
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2015: IL Rapporto BES DEFINISCE
IL METODO DI
COSTRUZIONE DEGLI INDICI COMPOSITI
Il
terzo Rapporto BES del 2015, è importante per
le definizioni metodologiche e per la documentazione del metodo di calcolo degli
indici compositi sviluppato da Mazziotta e Pareto (MPI) e in seguito modificato
per il BES.
L’obiettivo
degli indicatori compositi è di fornire una misura sintetica del benessere.
La diffusione di un indice composito, infatti, deve il suo
successo alla combinazione tra rigore statistico ed elevato livello di
comunicabilità; non è un caso che tra gli indici compositi più noti ci sia lo
Human Development Index (Hdi) di Amartya Sen
che si basa su un numero esiguo di indicatori aggregati tra loro attraverso
medie di potenze.
I requisiti - teorici e pratici – presi in considerazione
per i compositi del Bes sono:
-
la comparabilità spaziale, ossia la possibilità di
confrontare valori compositi tra unità territoriali diverse;
-
la comparabilità temporale, ossia la possibilità di
confrontare valori di sintesi nel tempo;
-
la non-sostituibilità degli indicatori elementari,
ossia l’impossibilità di compensare il valore di un indicatore elementare con
quello di un altro;
-
la semplicità e la trasparenza del calcolo;
-
l’immediata fruizione e interpretazione dei risultati
di output;
-
la robustezza dei risultati ottenuti.
Diversi metodi di standardizzazione e di aggregazione sono
stati studiati e confrontati alla ricerca del metodo che meglio rispettasse i
requisiti presi in considerazione per i compositi del Bes.
è stato infine scelto
un metodo MPI modificato: AMPI (Adjusted Mazziotta-Pareto Index), che consiste
nell’aggregare, attraverso la media aritmetica, gli indicatori elementari
normalizzati con una variante del metodo min-max. La media ottenuta viene penalizzata
dalla variabilità “orizzontale” degli indicatori, cioè tra indicatori di una
data annualità e di una data parcella territoriale.
Il Mazziotta-Pareto Index modificato è una funzione per la sintesi di
un insieme di indicatori elementari, nell’ipotesi che ciascuna componente non
sia sostituibile con le altre (o lo sia solo in parte) e abbiano tutte la stessa
importanza. Tale approccio, detto anche non compensativo, richiede una
distribuzione bilanciata di tutte le componenti elementari. L’indice viene
costruito assegnando un valore di riferimento pari a 100 per una determinata
annualità, in modo da
rendere gli indicatori indipendenti dai valori assoluti. L'AMPI quindi consente di
effettuare confronti nel tempo soltanto in termini relativi rispetto al
valore di riferimento. La variabilità degli indicatori viene definita con una
procedura diversa di normalizzazione dei dati con un rescaling degli
indicatori elementari rispetto a due goalpost, ovvero un minimo e un
massimo che rappresentano il campo di variazione di ciascun indicatore per
l'intera serie delle annualità considerate.
I passi per il calcolo dell’AMPI sono i seguenti: Data la
matrice tridimensionale X={xijt} con n righe
(parcelle territoriali), m colonne (indicatori) e p strati (anni), si calcola la matrice
normalizzata R={rijt} con una formula
min-max centrata su 100 e con un campo di variazione pari a 60:
rijt = 70 + 60 (xijt -
minxj)/(maxxj - minxj)
(1)
dove xijt è il valore
dell’indicatore j nell’unità i per l’anno t. Se l’indicatore j migliora puntando
al minimo (tendenza positiva) si calcola il
complemento a 200 della formula. La variabile normalizzata rj
in entrambi i casi ha un min-max di 60 (70÷130).
I minimi e i massimi vengono poi sostituiti da due
goalpost calcolati in modo da porre
uguale a 100 il totale, per esempio per l'intera Italia) per l’anno base mentre
la variabilità è calcolata per ogni indicatore sui dati particellari di tutte le
annualità: sia
rifj il valore di riferimento per l’indicatore j
nell'anno base. Calcolando il minimo dei minimi MIN e il
massimo dei massimi MAX su i e t, cioè nello spazio (le particelle geografiche
componenti, i) e nel tempo (le serie storiche, t), e calcolando per l'indicatore
j la differenza tra
massimi e minimi, dj, i goalpost sono i
seguenti:
gj±
= rifj ±
dj /2
L'indicatore xj viene
a questo punto normalizzato min - max utilizzando questi goalpost e
inserendoli nella formula (1) sopra proposta. Si ottiene in questo modo la matrice
degli indicatori ampi = {ampiijt}. Per ogni annualità e per ogni
particella geografica
calcoliamo infine l'indice composito a partire dalla media μit
e dalla deviazione standard σit calcolate
per ognuno degli m indicatori (j = 1,2 ... m):
AMPIit±
= μit ±
σit cvit = μit ±
σ2it /μit
dove σit cvit
è la penalizzazione. Nei problemi di sviluppo adotteremo AMPI-,
cioè applicheremo alla media una penalità tanto maggiore quanto meno uniforme è
la stringa dei valori degli indicatori per la parcella i-esima al tempo t-esimo.
Si noti che la penalità proposta dal metodo Mazziotta - Pareto non è altro che
il rapporto tra varianza e media di ciascuna stringa di indicatori. Alle medie non vengono applicati pesi perché gli indicatori
vengono ritenuti tutti di pari importanza.
Sorprende invece che le normalizzazioni vengano eseguite senza
fare riferimento ai target degli indicatori.
Un caso esempio di tipo
internazionale
Non ci vuole molta esperienza per capire che la
formulazione statistico-matematica sopra esposta è più che sufficiente per
confondere le idee al lettore. Per chiarire almeno in parte la procedura viene proposto un caso esempio
sviluppato dallo stesso Mazziotta (>
leggi il ppt) per un indicatore composito
calcolato su
dati OECD con quattro indicatori e due
annualità, 2011 e 2014. Per avere il foglio di calcolo excel dell'AMPI basta
farne richiesta al Comitato Scientifico scrivendo a
federico@susdef.it.
Gli indicatori OECD sono:
-
Life expectancy – Aspettativa di vita alla
nascita.
-
Educational attainment – Risultati scolastici. %
della popolazione adulta (15 -64) con almeno un titolo di scuola media
superiore
-
Employment - Tasso di occupazione a standard EU
-
Household disposable income – Reddito
disponibile per le famiglie
La matrice X è la seguente:
Il dato di riferimento è Average per i quattro
indicatori 2011, in ultima riga. La matrice R normalizzata e riferita a
questi valori e ai goalpost di ogni indicatore è la seguente, con medie e
varianze nelle ultime due righe e colonne:
Sulla base delle medie nella penultima colonna e delle
deviazioni standard in ultima si calcola l'indice AMPI per le due annualità
(colonne 2 e 5). In figura ci sono i valori delle penalità in prima e quarta
colonna.
A differenza dell'originale indice di Mazziotta, l'indice
modificato AMPI consente lo studio delle dinamiche temporali degli indici.
Secondo il Rapporto 2015 l’AMPI soddisfa tutti requisiti
presi in considerazione per le sintesi del BES:
- la comparabilità spaziale, ossia la possibilità di
confrontare valori di sintesi tra unità territoriali;
- la comparabilità temporale, ossia la possibilità di
confrontare valori di sintesi nel tempo;
- la non-sostituibilità degli indicatori elementari,
ossia l’impossibilità di compensare il valore di un indicatore elementare
con quello di un altro;
- la semplicità e trasparenza di calcolo;
- l’immediata fruizione e interpretazione dei risultati
di output;
- la robustezza dei risultati ottenuti.
La formulazione dell'AMPI poggia su alcune motivazioni di
carattere tecnico e interpretativo di seguito riportate.
Normalizzazione: La maggior parte degli indicatori
elementari non ha un campo di variazione predefinito e, quindi, fissare un
campo chiuso (per esempio, 0-1, come si fa di norma) è giudicato fuorviante. Per tale motivo, si
preferisce normalizzare gli indicatori in una scala "aperta" in cui il
livello di riferimento è il valore centrale (100). Inoltre, la
normalizzazione min-max con i signpost consente di effettuare confronti
temporali, minimizzando l’effetto dovuto alla diversa variabilità degli
indicatori.
Aggregazione: Generalmente, per misurare lo sviluppo,
si utilizzano degli indici basati sulle medie geometriche per le loro
caratteristiche tecniche (maggiore è lo squilibrio tra le componenti e
minore è il risultato), ma non per quelle teoriche (si presuppone che la
grandezza da sintetizzare sia di natura moltiplicativa, anziché additiva).
La formula AMPI può essere scomposta in due parti: l’effetto medio
(componente additiva) e l’effetto penalità (variabilità orizzontale o
sbilanciamento) e, secondo gli autori, rende l’AMPI più facilmente interpretabile.
Confronto con i metodi distance-to target: Il metodo
distance to target viene adottato negli studi e nelle applicazioni della
Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Viene illustrato e documentato nei
paragrafi successivi di questa pagina. Si consideri che è ormai opinione comune
che un indicatore di sviluppo sostenibile debba necessariamente avere un
target. Ne è prova proprio l'Agenda 2030 dove tutti i goal sono
associati a target puntuali che non possono essere ignorati dal metodo di
rappresentazione né dei singoli indicatori né dei compositi. Confermiamo
viceversa l'approccio di normalizzazione min-max, consacrato dall'HDI dell'UNDP
per rendere possibile la comparazione tra indicatori diverse e tra gli stessi
indicatori in regioni geografiche diverse.
A ciascun indicatore si può associare come max il
target, come ad esempio il 27% di energia rinnovabile per l'Europa nella
nuova Strategia 2030. Spesso si pone il problema della definizione dell'estremo
opposto, il min. Talvolta viene adottato il valore dell'indicatore
nell'anno di riferimento, come è il caso del 1990 per le emissioni di gas serra.
Con questa scelta l'indicatore min-max può assumere valori negativi. Talaltra si
adotta il valore peggiore della serie storica per una data regione o il peggiore
di tutte nel caso di serie storiche di più regioni geografiche.
Un indicatore composito distance-to-target punterà a
distanza zero. Se la distanza è quadratica ccorre avere l'avvertenza, prima di
calcolare la distanza dal target, di porre =1 i punti delle serie
storiche normalizzate che superano il proprio target.
Un caso esempio degli indicatori distance to target.
Utilizziamo un indicatore doppio comprendente le emissioni
serra dell'Europa a 28 e della percentuale di fonti energetiche rinnovabili. Le
serie storiche fornite da Eurostat sono in tabella nelle prime due righe.
Nella terza e quarta ci sono le serie storiche normalizzate min-max tra 1990 e
il target al 2030. Nella quinta riga c'è l'indicatore AMPI di Mazziotta con i
signpost min(1990) = 2 e max(2030) = 0 (Medie Mazziotta in DtT).
In ultima riga è la distanza quadratica di Mahalanobis, capace di tener conto
della correlazione lineare tra i due indicatori, che ha come target max(2030)
= D(2030) = 0.
Indicatori |
min(1990) |
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
max(2030) |
Emissioni GHG in tCO2eq |
5636933 |
5336019 |
5291536 |
5177334 |
4801602 |
4907505 |
4756751 |
4691401 |
4597127 |
4422091 |
4450151 |
3382160 |
% di energia rinnovabile |
0,0 |
9,5 |
10,4 |
11,0 |
12,4 |
12,9 |
13,2 |
14,4 |
15,2 |
16,1 |
16,7 |
27,0 |
Emissioni GHG min-max |
0,00 |
0,13 |
0,15 |
0,20 |
0,37 |
0,32 |
0,39 |
0,42 |
0,46 |
0,54 |
0,53 |
1,00 |
Rinnovabili in min-max |
0,00 |
0,35 |
0,39 |
0,41 |
0,46 |
0,48 |
0,49 |
0,53 |
0,56 |
0,60 |
0,62 |
1,00 |
Medie Mazziotta in DtT |
2,40 |
1,86 |
1,83 |
1,76 |
1,59 |
1,63 |
1,57 |
1,54 |
1,50 |
1,44 |
1,43 |
0,00 |
DtT Mahalanobis |
1,93 |
1,21 |
1,16 |
1,11 |
0,97 |
0,97 |
0,92 |
0,85 |
0,80 |
0,72 |
0,70 |
0,00 |
Nella
figura a sx è rappresentato l'andamento della serie storica in unità
normalizzate tra min = 0 e max = 1.
Nella figura qui sotto sono invece rappresentate le due
versioni dell'indicatore composito in serie storica tra 2006 e 2015 con i dati
Eurostat della tabella. I valori numerici sono quelli calcolati nelle due ultime
righe della tabella: in quinta (serie rossa in figura) è la media dei due
indicatori con la correzione di Mazziotta prima descritta.
In sesta riga (serie blu in figura) è la distanza dal
target utilizzata dalla fondazione. Si tratta di una distanza fisica
calcolata con la formula di Mahalanobis che tiene conto della correlazione tra i
due indicatori.
Come si vede i valori assoluti sono diversi pur se
l'andamento delle due serie è sostanzialmente simile. Il calcolo del trend, che
è palesemente lineare, dà luogo alle equazioni rappresentate nella figura. Le
due rette risultano divergenti, essendo la serie rossa più rapidamente
convergente verso lo zero, che è per entrambe le serie il target
vettoriale al 2030. Infatti la estrapolazione lineare al 2030 della serie rossa
non raggiunge il target al 2030, mentre la previsione lineare della serie blu
delle distanze raggiunge il target alcuni anni prima del 2030, nel 2026.
La serie rossa, costruita con le medie, proseguendo nel trend attuale,
sarebbe al target solo nel 2043.
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|
INDICE
1. INTRODUZIONE
PARTE I – IL QUADRO DI RIFERIMENTO
ISTITUZIONALE
2. LO SVILUPPO SOSTENIBILE NEL
NEGOZIATO INTERNAZIONALE MULTILATERALE
2.1. I limiti allo sviluppo e il
nostro futuro comune
2.2. Rio de Janeiro (UNCED) e Agenda 21
2.3. Le Convenzioni Globali e gli Accordi Ambientali Multilaterali
2.4. Rio + 5 (UNGASS)
2.5. L’Assemblea del Millennio
2.6. Il finanziamento dello sviluppo sostenibile: la Conferenza di
Monterrey
2.7. Il Summit per lo Sviluppo Sostenibile (WSSD); Johannesburg 2002
2.8. La crisi del multilateralismo
3. LA SCALA REGIONALE: L’UNIONE EUROPEA
3.1. ll V Piano di azione per lo
sviluppo sostenibile
3.2. Il Processo di Cardiff
3.3. Il Processo di Lisbona
3.4. I Consigli di Primavera
3.5. Il VI Piano di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile
3.6. La Strategia di Goteborg
3.7. Gli indicatori strutturali
4. LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA
4.1. Il Piano CIPE 1993 per
l’attuazione di Agenda 21
4.2. L’azione del Ministero dell’Ambiente
4.3. La Strategia di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile
4.4. Il Rapporto OECD 2002 sulla performance ambientale italiana
4.5. Le Agende 21 locali
4.6. I fondi strutturali e il finanziamento dello sviluppo
sostenibile
PARTE II – IL QUADRO DI RIFERIMENTO
METODOLOGICO
5. GLI INDICATORI DI SVILUPPO
SOSTENIBILE
5.1. Natura ed importanza degli indicatori di sviluppo sostenibile
5.2. Gerarchie ed integrazione degli indici
5.3. La dinamica temporale degli indicatori di sviluppo sostenibile
5.4. Modelli di riferimento per i sistemi di indicatori di sviluppo
sostenibile
5.5. Tipologia degli indicatori
5.6. L’approccio delle Nazioni Unite
5.7. L’Unione Europea
5.8. La dimensione nazionale
5.9. I grandi progetti internazionali
5.10. La selezione degli obiettivi
5.11. I metodi di aggregazione e di combinazione degli indicatori
Appendice 5.1: I Principi di Bellagio
PARTE III - IL PROGETTO CNEL
6. IL MODELLO ISSI
6.1. La distanza dall’obiettivo
6.2. La presentazione dei risultati
7. LA DEFINIZIONE DEL SISTEMA DEGLI
INDICATORI DI SVILUPPO SOSTENIBILE IN
ITALIA
7.1. I domini i temi e gli indici
chiave che definiscono la sostenibilità nel
Progetto CNEL
7.2. Il "core-set" degli indicatori
7.3. Il sistema dei target
7.4. Il format degli indicatori
8. LE FASI DELLA CONSULTAZIONE
8.1. Strutturazione della
consultazione
8.2. Risultati della prima fase della consultazione
8.3. La seconda consultazione e la scelta dei target
9. STATO E TENDENZA DELLO SVILUPPO
SOSTENIBILE IN ITALIA
9.1. Economia
9.2. Società
9.3. Ambiente
10. IL SISTEMA INFORMATIVO DEL
PROGETTO CNEL
11. DISPONIBILITA’ E QUALITA’ DEI DATI
STATISTICI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
IN ITALIA
11.1. Le criticità del sistema
statistico nazionale
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO
LISTA DEGLI ACRONIMI
IL LIBRO CHE NEL 2002 PROPONE LA
METODOLOGIA
Editori Riuniti, 2002
LA METODOLOGIA DELL'INDICATORE CNEL-ISSI NELL'ULTIMO SVILUPPO
PRE CRISI
Edizioni Ambiente,2007
Ambiente 2007
serie
storica ISSIambiente
Società ed Economia 2007
serie
storica ISSIsocietà &economia
Risorse 2007
serie
storica ISSIrisorse
Indice integrato dello sviluppo sostenibile in Italia al 2007
serie storica
valutazione
qualitativa
|
IL RAPPORTO
“Il verbo
ambire in latino corrisponde all’italiano circondare. Ambiens,
ambiente era ciò che stava intorno, il circostante. Non è più così,
ora ambiens, l’ambiente è circondato da noi. Aria, acqua, suolo,
sono sotto assedio e si restringono. Circondati, si arrenderanno.”
Erri De Luca;
“Alzaia”; 2004
“If we could first know where we are, and whiter we are tending, we
could better judge what to do, and how to do it”
Abramo Lincoln;
Illinois Republican State
Convention;
1858
La finalità del
Progetto “Indicatori per lo sviluppo sostenibile” del Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro è quella di predisporre un
rapporto sullo sviluppo sostenibile in Italia basato su un sistema
di indici (aggregati tematici di indicatori) e di indicatori
(descrittori diretti di fenomeni economico-sociali ed ambientali),
capace di descrivere lo stato attuale della sostenibilità in Italia
e di consentirne il monitoraggio nel futuro.
Gli indicatori e gli
indici sono necessari per rendere l’informazione disponibile in
forma concisa e fruibile a livello di decisione politica e di
opinione pubblica. L’utilizzo degli indicatori si sta diffondendo
rapidamente anche nel linguaggio politico e nella pratica della vita
di tutti i giorni. Lo sviluppo di indicatori economico-sociali ed
ambientali risponde ad una domanda emergente di chiarezza sullo
stato del paese ed al bisogno di orientare le scelte in maniera
informata. Questa sensibilità crescente dell’opinione pubblica a
valutare i fatti sulla base dei dati comporta alcuni rischi. Molti
possono essere tentati di orientare gli uni e le altre alle proprie
necessità. L’uso degli indicatori richiede pertanto la comprensione
e la condivisione di concetti e definizioni, una rete di agenzie e
di istituti capaci di produrre buoni dati, un largo accesso alle
tecnologie informatiche, una buona conoscenza delle finalità
strategiche delle politiche messe in campo, in particolare nel
settore ambientale, nelle problematiche dello sviluppo e nella
dimensione della sostenibilità.
L’efficacia di un
indicatore è determinata dalla sua capacità di rappresentare un
fenomeno, dalla qualità fisica delle misure, dalla disponibilità dei
dati per comporre quella che chiamiamo la “serie storica”,
dalla credibilità di un progetto che ne disegna l’evoluzione
futura, oggetto delle scelte politiche, e ne fissa gli obiettivi e i
tempi. Gli indicatori possono essere usati a livello
internazionale e nazionale come strumenti per il reporting,
sullo stato dell’economia o sullo stato dell’ambiente, per
chiarificare obiettivi e stabilire priorità, per valutare le
performance delle politiche, e quindi, infine, per il
monitoraggio dei progressi verso lo sviluppo sostenibile.
Gli indicatori
ambientali correntemente in uso sono stati sufficientemente
sperimentati e consolidati e concordati nelle sedi internazionali.
Più complessa è la questione degli indicatori di sostenibilità che,
pur non costituendo una categoria completamente separata, hanno il
compito aggiuntivo di rappresentare contestualmente processi
originati nell’economia e nella società oltre che nell’ambiente, in
un una forma che sia capace di evidenziarne le interdipendenze e
valorizzarne gli equilibri. A questi indicatori è richiesto anche un
“buon successo di pubblico”, perché dalla conoscenza e coscienza dei
cittadini possa essere derivato un forte supporto alle scelte
politiche necessarie.
In materia di
indicatori va registrata l’opera di pionierismo dell’OECD, basata su
una struttura concettuale ovvero su un modello ormai largamente
diffuso e denominato Pressione-Stato-Risposta, PSR, che ha
influenzato le attività di ricerca di un gran numero di Paesi, come
Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Ungheria, Giappone, Olanda,
Regno Unito e Stati Uniti, e di varie organizzazioni e di istituti
internazionali. Alcuni parametri sono stati sviluppati soltanto
recentemente come indicatori; altri sono stati usati sul campo per
molto tempo ma solamente ora vengono proposti con finalità più
ampie per la verifica della sostenibilità. Le attività
tecnico-scientifiche di sostegno alle convenzioni globali e
regionali, basate su modelli, che richiedono output
quantitativi formalmente definiti, hanno prodotto indicatori utili,
come, ad esempio, le misure per determinare quando sono stati
superati i carichi critici sull’ambiente. E’ opportuno che gli
indicatori siano riferiti all’uomo ed all’ambiente in quanto tali:
in economia è quindi opportuno esprimere gli aggregati in termini
pro capite, mentre l’uso del territorio va riferito alla capacità di
carico (carrying capacity) degli ecosistemi. Da questa
impostazione derivano concetti come lo spazio ambientale e
l’impronta ecologica, indici che esprimono i limiti di
utilizzo e di sfruttamento delle risorse di origine naturale e di
territorio. La quantità di territorio necessaria per la produzione
delle risorse naturali utilizzate da ogni persona ne definisce
l’impronta ecologica (Rees e Wackernagel, 1994).
Una categorizzazione
di origine World Bank suddivide gli indicatori in puntuali,
tematici e sistemici.
Gli indicatori puntuali
vengono generalmente raccolti in liste di grandi dimensioni. Essi
rappresentano gli insiemi minimi di aggregazione dei dati, molto
vicini al dato fisico, di cui sono descrittori efficienti. Le liste
consistono in grandi elenchi o menu di indicatori, il numero dei
quali può facilmente eccedere il centinaio. I progetti di
maggiori dimensioni offrono una cornice logica e una moltitudine
di indicatori potenziali che gli utenti possono selezionare secondo
le loro necessità. In altri casi, come nel nostro Progetto, un
grande set di indicatori viene disegnato per essere usato
nella sua interezza e per dare un quadro completo dello sviluppo
sostenibile per un paese.
Programmi basati su
grandi elenchi di indicatori puntuali privilegiano la completezza
rispetto alla condivisione e non propongono normalmente sessioni di
validazione. Tutti i grandi programmi compiono un sforzo di
comparazione dei valori degli indicatori con gli andamenti di
altri paesi e con gli obiettivi preesistenti, come gli orientamenti
di qualità, le linee guida o gli impegni internazionali
sottoscritti nelle convenzioni del negoziato multilaterale. Resta il
fatto comunque che per la maggioranza degli indicatori puntuali
delle grandi liste non esistono standard univoci.
Alcuni progetti
privilegiano un approccio di media complessità, riducendo la
quantità delle informazioni nella costruzione di indicatori per lo
sviluppo sostenibile. Questo approccio è a carattere tematico e
comporta lo sviluppo di un set ridotto di indicatori per
ognuno dei problemi maggiori in materia di politica ambientale e
socio-economica. In molti casi anche gli approcci delle grandi liste
a menu strutturano gli indicatori in temi in funzione delle classi
di problemi riconosciuti aprendo il capitolo delle metodologie di
combinazione, con le quali si possa rappresentare un tema combinando
una pluralità di descrittori.
I progetti nazionali
sviluppati da alcuni paesi, Canada, Olanda, e dai paesi del Nord
Europa (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, e Svezia), seguono
tipicamente l’approccio tematico. Tutti e tre i sistemi adottano il
modello OECD PSR, in combinazione con un elenco di temi stabiliti
in funzione delle politiche ambientali. Il set canadese,
collegato al Green Plan nazionale. usa un approccio sistemico
ad un livello molto globale. Quello olandese e il set dei
Paesi Nordici sono strutturati in funzione dei temi delle
policy e sono stati progettati esplicitamente per il
reporting ufficiale.
Per
problemi simili sono stati scelti indicatori diversi nelle tre
liste. Per esempio, la qualità ambientale urbana è volta a volta
rappresentata da indicatori trasportistici, dai tempi di superamento
dei limiti di qualità dell’aria, ovvero, a un livello molto più
generale, da indici non ristretti al solo traffico urbano. Un
progetto non include sorprendentemente la qualità dell’aria urbana
ma solo indicatori di pressione. Per il tema delle foreste, tematica
comune dei paesi nordici, viene posta nelle liste la pressione
generata dallo sfruttamento della risorsa forestale ma non sempre la
riforestazione, che non è necessariamente un buon indicatore di
risposta. La superficie forestale è assunta come un indicatore di
stato, quindi le pressioni non sono i raccolti del legname ma
l’acidificazione, la siccità antropogenica e l’eccesso di nutrienti.
E’ pertanto importante
considerare che un punto di vista comune, può condurre a scelte
diverse, secondo le specificità territoriali e le implicazioni
politico-amministrative. Questo accade spesso anche tra paesi che
potrebbero essere classificati come simili per molti aspetti, o tra
regioni dello stesso paese. Gli utenti e i fornitori di
informazioni possono arrivare a soluzioni diverse in contesti
diversi Le differenze tra le liste di indicatori prodotte per le
medesime finalità possono essere esse stesse una buona chiave di
lettura dei diversi contesti. L'ambiente è diverso nei vari paesi
almeno quanto la struttura sociale e l’assetto dell’economia e gli
indicatori variano per riscontrare queste differenze. Inoltre, dal
momento che le necessità politiche cambiano nel tempo, possono
essere richiesti indicatori diversi per rispondere alle necessità
nuove.
Gli indicatori
sistemici si situano ad un livello di generalità e di complessità
ancora superiore. Sono stati progettati affinché un solo numero sia
in grado di indicare se un sistema complesso è in difficoltà dal
punto di vista ambientale o, più in generale, se la via per uno
sviluppo sostenibile o più sostenibile viene adeguatamente seguita.
Tali indicatori sono i più ambiziosi in termini di concentrazione
delle informazioni.
Per gli indicatori
sistemici vengono usate altre denominazioni come il “portafoglio
indicatori" e gli "indicatori sinottici" o "indicatori
aggregati" sebbene l’aggregazione spesso non sia esattamente il
metodo adottato. Gli indicatori sistemici non hanno in genere
qualità analitiche apprezzabili per i dettagli dei processi
economici ecologici e sociali. Se un indicatore sistemico ha
identificato un problema in atto, possono essere necessari ulteriori
approfondimenti per scoprire la natura precisa del problema.
Gli indicatori di
benessere come l’ISEW, l’HDI, il GPI, lo Spazio Ambientale,
l’Impronta Ecologica (il RIBES sviluppato dal WWF per l’Italia) e il
“Genuine Savings” della World Bank, appartengono a
questa categoria di indicatori. Sono tutti validi esempi di
indicatori sistemici con utili implicazioni di policy.
Valori stabilmente declinanti di indici come questi mostrano
chiaramente che lo sviluppo di un Paese intero non è
complessivamente sostenibile. Per converso, valori opposti,
positivi e continui non garantiscono necessariamente la
sostenibilità.
Altri importanti esempi
di indicatori sistemici sono il TMR, i flussi materiali e il
bilancio dei nutrienti. Matrici e bilanci input-output
dei flussi di materia sono stati sviluppati in molti paesi
industriali per il controllo dell’inquinamento per dispersione di
composti chimici che possono condurre ad accumulazioni pericolose
nell’ambiente. Questo approccio è stato sviluppato per composti
persistenti, come i composti del piombo ed i metalli pesanti, allo
scopo di identificare le priorità per le politiche di controllo
dell’inquinamento industriale.
Molte organizzazioni,
istituzioni e agenzie governative e private nel mondo stanno
sviluppando indicatori per ottenere misure quantitative del
progresso verso lo sviluppo sostenibile, oppure partecipano a
campagne sperimentali e benchmark per la validazione delle
liste concordate a livello internazionale.
Anche per l’Italia tali
attività sono un obiettivo ineludibile per il quale va potenziato il
contributo di ricerca scientifica, pubblica e privata, e migliorato
costantemente il livello quantitativo e qualitativo dei dati
prodotti. Cruciale, in questi settori, il contributo operazionale di
APAT e ISTAT. Il nostro Paese ha ospitato a fine 1999 la conferenza
OECD sugli indicatori per lo sviluppo sostenibile e, di seguito, il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha messo in
cantiere la nuova Environmental Performance Review OECD per
l’Italia che è stata terminata nel 2002.
L’Istituto Sviluppo
Sostenibile Italia (ISSI), ha presentato con il suo primo Rapporto
2002, “Un futuro sostenibile per l’Italia” (Roma, Editori
Riuniti il primo approccio metodologicamente organico alla
definizione ed alla misura dei parametri dello sviluppo sostenibile
in Italia. Quella stessa metodologia, sviluppata ed approfondita,
costituisce la base del Progetto del Consiglio Nazionale
dell’Economia e del Lavoro che viene presentato in queste pagine.
La distribuzione
geografica mondiale dei centri d’iniziativa e delle pubblicazioni
mostra che l'origine prevalente del lavoro sugli indicatori si
determina laddove sussistono stili di governo basati sul consenso.
Alcuni di questi paesi hanno assunto il ruolo di pionieri e
continuano a migliorare i loro schemi e ad adattarli alle esigenze
emergenti della gestione delle politiche ambientali e dello sviluppo
sostenibile. Programmi come quelli della CSD e dell’OECD, dotati di
consenso ed adesioni crescenti, contribuiscono alla diffusione di
metodi e di pratiche per sostenere tali politiche. Le liste degli
indicatori prodotte hanno una struttura comune che si manifesta nel
numero degli indicatori, nell’adozione di modelli formali, nella
finalità strategica di orientare le scelte delle priorità e degli
obiettivi delle politiche, nella flessibilità delle proposte.
Resta sostanzialmente
aperta la questione della scelta, in favore di “liste” di
indicatori, puntuali o tematici, oppure di indicatori sistemici
unitari, per referenziare in maniera efficiente il percorso
nazionale verso uno sviluppo sostenibile o più sostenibile. La prima
opzione corrisponde alla scelta di “core-set” di indicatori,
selezionati da ampi gruppi di lavoro interdisciplinari, che
producono liste ormai superiori a 100 elementi in tutti i progetti
affermati a livello mondiale. Dai “core-set”, in affinità
esplicita con le linee delle politiche di governo, quale che sia il
livello istituzionale dal globale al locale, vengono estratti gruppi
ristretti di indicatori di riferimento (indicatori chiave),
non diversamente da quanto fa il progetto ISSI, scelti per guidare
le politiche e monitorare i progressi in ognuna delle tematiche
prioritarie. In molti contesti sembra essere questa la scelta
prevalente, perché esime i gruppi di esperti dal difficile compito
della scelta dei “pesi” da attribuire ai singoli processi e
dall’arduo calcolo dei coefficienti combinatori per la generazione
di indici integrati.
Va però osservato che
le liste, piccole e grandi, restano un approccio per “addetti ai
lavori”, sono dotate di un appeal e di una capacità di
comunicazione inferiore rispetto agli indicatori sistemici unici,
che invece mirano ad una definizione di un indice integrato di
sviluppo alternativo al PIL, capace di mettere in luce, al di là
della crescita economica, la qualità del modello di sviluppo e la
sua sostenibilità.
Gli indicatori
sistemici unici hanno ormai una storia ed una tradizione consolidate
con una variante a prevalenza economica nelle culture anglosassoni (ISEW,
GPI, HDI, …), e una prevalenza degli approcci ecologici in area
europea (Spazio Ambientale, Impronta Ecologica, RIBES, Flussi
materiali, MIPS, …). In Italia si nota una prevalenza di questo tipo
di approcci, sviluppati sempre per merito delle associazioni
ambientaliste, con una limitata esposizione del settore della
ricerca scientifica e delle amministrazioni. In questo senso è
rilevante l’iniziativa promossa dal CNEL, a cui compete
particolarmente mettere in evidenza due aspetti fondamentali: lo
sviluppo dei processi partecipativi e di concertazione a tutti i
livelli e il problema delle specificità nazionali e regionali dei
processi verso lo sviluppo sostenibile. Entrambi gli aspetti hanno
trovato un’adeguata rappresentazione nella scelta degli indicatori,
nella selezione degli obiettivi e dei target.
Le peculiarità
nazionali sono ben note e sono legate all’assetto geopolitico del
Paese, alla sua rilevanza in area Mediterranea, al suo straordinario
patrimonio naturale, artistico e di cultura, alla ricchezza delle
sue città storiche, alla scarsità e fragilità del territorio,
all’esposizione al rischio di eventi naturali, in aggravamento per
effetto dei cambiamenti climatici, alla lunghezza del profilo
costiero, ai problemi dell’immigrazione, ai livelli perduranti di
disoccupazione e di cattiva occupazione, al ritardo nel recupero dei
differenziali sociali, in particolare di genere, ai problemi di
coesione interna, alla biodiversità, alla tipicità delle culture e
delle colture regionali, allo squilibrio dei flussi turistici ….
Nessuno di questi elementi è stato trascurato nella messa a punto di
questo approccio italiano alla scelta degli indicatori per lo
sviluppo sostenibile.
Alcuni altri aspetti
vanno messi in luce. Politiche di governo sostenibili devono puntare
sulla manutenzione e rinaturalizzazione del territorio italiano,
piuttosto che sul rilancio dell’infrastrutturazione, e sulla lotta
all’abusivismo ed alla criminalità ambientale, entrambi segni di un
malessere crescente nel rapporto tra sviluppo economico, società ed
ambiente. Queste linee programmatiche orientano l’economia italiana
verso la dematerializzazione, laddove essa già appare caratterizzata
da valori minori di intensità energetica e di flussi materiali
rispetto ad altri paesi sviluppati. La scelta di un “core-set”
di indicatori per l’Italia non può dunque prescindere dal
quantificare questi processi, dall’evidenziare gli andamenti dei
flussi materiali a livello globale e d’impresa e dal privilegiare le
quote di ricchezza tecnologica, umana e sociale generate
dall’economia della conoscenza e dell’informazione. Né vanno persi
di vista gli elementi strutturali ormai patologici, in Italia come
in tutto il mondo sviluppato, legati all’intensità crescente di
mobilità e di trasporto del modello economico prevalente, ma anche a
modelli di consumo difficili da modificare, processi entrambi lesivi
della qualità dell’ambiente, della vita e della salute, in
particolare in un paese come l’Italia caratterizzato da una
morfologia urbana, del territorio e delle coste assolutamente unica.
Su queste premesse è
stato sviluppato questo progetto. Il rapporto che di seguito lo
illustra è articolato in tre parti, dieci capitoli, tabelle, schede
statistiche ed una bibliografia referenziata sul web.
La prima parte
referenzia il quadro istituzionale internazionale, europeo e
nazionale.
Nel Cap. 2 si espone
il quadro di riferimento internazionale allo stato attuale del
negoziato per l’ambiente e per lo sviluppo sostenibile. Il Cap. 3
analizza il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo
sostenibile che è entrato come categoria costituzionale già a far
parte dei Trattati di Maastricht e di Amsterdam, poi di Nizza ed ora
della Costituzione Europea. La piccola e contraddittoria storia
dello sviluppo sostenibile nel nostro paese è l’oggetto del Cap.
4.
La seconda parte
illustra il quadro della metodologia adottata per lo sviluppo dei
sistemi di indicatori per lo sviluppo sostenibile. Nel Cap. 5 sono
descritti gli approcci di riferimento per la costruzione di un
sistema di indicatori con particolare attenzione a quegli elementi
che, ormai condivisi a livello internazionale, fanno da quadro
sicuro di riferimento per il Progetto del CNEL. Viene trattata con
particolari approfondimenti la tematica degli obiettivi. Un indice
di sviluppo sostenibile si distingue sostanzialmente da un generico
indicatore statistico proprio perché viene associato ad un obiettivo
da raggiungere entro un certo tempo. La selezione degli obiettivi è
dunque il cuore delicato della costruzione di un sistema complesso
di indici per lo sviluppo sostenibile e, più degli indici stessi, dà
al progetto il senso di un percorso da effettuare.
La terza parte riporta
il lavoro svolto dal Progetto CNEL.
Il Cap. 6 descrive
sinteticamente il metodo ISSI sviluppato dall’Istituto nel primo
Rapporto annuale 2002 sulla sostenibilità in Italia, allo scopo di
fissare i riferimenti metodologici del Progetto. Nel Cap. 7 viene
presentato il Progetto del CNEL comprendente la scelta
metodologica, la selezione degli indicatori e la fissazione di
target e tempi attraverso le fasi del processo di consultazione. Nel
capitolo 8 vengono illustrate le due fasi della consultazione che
hanno validato le impostazioni generali del lavoro, le liste degli
indicatori ed i target. Lo stato e la tendenza dei processi di
sostenibilità in Italia sono presentati nel Cap. 9 attraverso lo
studio degli andamenti degli indici aggregati ai livelli fino al
terzo. Il Rapporto si conclude con l’analisi dell’andamento
dell’indice generale di sostenibilità per l’Italia e con una breve
descrizione, nel Cap. 10, del sistema informativo messo a punto
dall’Istituto ISSI per supportare il Progetto. Il Cap. 11 espone le
principali criticità e le carenze del sistema informativo nazionale
rilevate nelle fasi di raccolta primaria dei dati e nella
elaborazione delle relative serie storiche.
In
allegato si trovano le schede metodologiche sviluppate per ciascuno
dei 56 indicatori che costituiscono la base informativa del
Progetto CNEL ordinate per dominio, 19 per l’economia, 21 per la
società e 16 per l’ambiente.
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Il Rapporto BES 2013
|
2013:
Il
Progetto BES del CNEL e dell'ISTAT per andare oltre il PIL verso lo
sviluppo sostenibile
Il dibattito
sulla misurazione del benessere degli individui e delle società è
all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale a partire dalle
iniziative OCSE dello scorso decennio e massimamente dal Rapporto
Stiglitz. La crisi (alimentare, energetica e ambientale,
finanziaria, economica e sociale) può accelerare lo sviluppo di
nuovi parametri in grado di guidare i decisori politici, sia i
comportamenti delle imprese e delle persone.
Il Rapporto
BES 2013 conferma per ora la centralità del Prodotto interno lordo
come misura dei risultati economici di una collettività. La sua
ragion d’essere consiste pertanto nell’integrare tale misura con
indicatori nuovi di carattere economico, ambientale e sociale che
rendano credibile la valutazione sullo stato e sul progresso di una
società e allargare la partecipazione nella fase delle scelte.
La solidità
scientifica e la legittimazione democratica del percorso seguito,
promosso da Enrico Giovannini (in figura),
consentono di dire che, da oggi, il nostro Paese è dotato di uno
strumento tra i più avanzati per monitorare le condizioni in cui
viviamo, informare i cittadini e indirizzare le decisioni politiche.
Gli indicatori del Bes aspirano a divenire un riferimento costante e
condiviso in grado di segnare la direzione del progresso. Così come
avviene in alcuni paesi, le relazioni di accompagnamento alle nuove
leggi potrebbero cercare di valutare l’impatto di queste ultime sui
diversi domini del Bes.
Il Cnel, già
nel 2005, grazie al contributo dei ricercatori che oggi sono nella
Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha elaborato e quindi
approvato nel corso dell’assemblea del 28 aprile 2005 il progetto
dell’indicatore ISSI di cui riferiamo in altra parte della pagina.
Da parte sua,
l’Istat sta sviluppando diversi modelli econometrici, così da
offrire strumenti previsivi e di valutazione delle politiche in
grado di cogliere diversi aspetti del benessere.
L’insieme
degli indicatori sul Benessere Equo e Sostenibile utilizzato
in questo Rapporto non è definitivo e per ora non coglie il
risultato di una nuova definizione del benessere. Il risultato
conseguito è pero l’allargamento della base statistica a molti e
nuovi indicatori che finalmente consentiranno probabilmente, subito
dopo, di aggregare i nuovi indici di benessere. Ulteriori proposte
deriveranno dall’uso concreto degli indicatori del Bes 2013. Il tema
della misurazione del benessere degli individui e della società può
già contare su importanti esperienze nazionali e internazionali. Si
tratta di un tema che è uscito dalle accademie ed è oggi affrontato
anche da leader politici, dalla statistica ufficiale e da ampi
settori della società civile. In tutto il mondo, sia in paesi
sviluppati sia in paesi emergenti che in via di sviluppo,
istituzioni pubbliche e private hanno intrapreso percorsi e
iniziative per costruire sistemi di indicatori o misure integrate in
grado di dare conto della complessità della società e di monitorare
i fenomeni che contribuiscono al benessere dei cittadini.
Il Rapporto
opportunamente ricorda che l’Ocse ha promosso dal 2001 programmi per
aumentare la consapevolezza sul tema della misurazione del progresso
della società. Con la “Dichiarazione di Istanbul”, adottata
da importanti organizzazioni internazionali nel giugno 2007, si è
raggiunto un primo consenso internazionale sulla necessità di
intraprendere la misurazione del progresso della società andando
oltre le misure economiche convenzionali come il Pil pro capite.
Il Rapporto
finale della “Commissione
Stiglitz-Sen-Fitoussi sulla misurazione della performance economica
e del progresso sociale” promossa dal governo
francese propone uno spostamento dell’enfasi dalla misurazione della
produzione economica alla misurazione del benessere delle persone,
reddito e ricchezza, flussi e stock, attraverso
raccomandazioni che suggeriscono di valutare la performance
economica guardando al reddito e ai consumi piuttosto che alla
produzione, approfondendo gli elementi distributivi ossia non solo
quanto siamo ricchi ma quanto equamente è distribuita la ricchezza e
concentrando l’attenzione sulla condizione delle famiglie. La
Commissione raccomanda, inoltre, di misurare il benessere attraverso
un approccio multidimensionale che tenga conto anche degli aspetti
di valutazione soggettiva dei cittadini e di considerare indicatori
di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale.
L’importanza
del dibattito sugli indicatori di benessere dipende dal fatto che “quello
che si misura” influenza “quello che si fa”. Se gli
strumenti utilizzati non sono corretti, o non riescono a cogliere le
caratteristiche rilevanti del fenomeno di interesse, essi possono
indurre a prendere decisioni inefficaci o addirittura sbagliate. La
misurazione del benessere attraverso indicatori più articolati e
condivisi dalla società sottende, quindi, possibili cambiamenti
dell’azione politica e punta a realizzare un migliore funzionamento
della democrazia in un’epoca nella quale la crescita economica si è
fatta più problematica e nella quale gli obiettivi di buon governo
devono necessariamente andare oltre il Pil.
Il concetto di
benessere cambia secondo tempi, luoghi e culture e non può quindi
essere definito univocamente, ma solo attraverso un processo che
coinvolga i diversi soggetti sociali. La definizione del quadro di
riferimento porta con sé, dunque, un processo di legittimazione
democratica che rappresenta l’elemento essenziale nella selezione
degli aspetti qualificanti il benessere individuale e sociale.
Giungere a un accordo sulle dimensioni più importanti (i cosiddetti
domini del benessere) permette anche di individuare le priorità
dell’azione politica. Al fine di definire gli elementi costitutivi
del benessere in Italia, il Cnel e l’Istat hanno costituito un
“Comitato di indirizzo sulla misura del progresso della società
italiana” composto da rappresentanze delle parti sociali e della
società civile. Inoltre, l’Istat ha costituito un’ampia e
qualificata Commissione scientifica di esperti dei diversi domini
riconducibili al benessere.
Gli autori non
ritengono possibile, quantomeno per ora, sostituire il Pil con un
altro indicatore singolo del benessere di una società. Per ora si
procede a selezionare l’insieme degli indicatori ritenuti più
rilevanti e rappresentativi del benessere. Il progetto BES si è
prefisso l’obiettivo di analizzare livelli, tendenze temporali e
distribuzioni delle diverse componenti, così da identificare punti
di forza e di debolezza, nonché particolari squilibri territoriali o
gruppi sociali avvantaggiati/svantaggiati, anche nella prospettiva
intergenerazionale della sostenibilità.
Una prima
ampia consultazione sull’importanza delle dimensioni del benessere è
stata realizzata a febbraio 2011 con l’inserimento nell’indagine
multiscopo, la più grande indagine sociale annuale dell’Istat, di
una lista di quesiti sui diversi aspetti importanti per la vita.
Condotta su un campione di 45 mila persone dai 14 anni in poi,
rappresentativo della popolazione residente in Italia, ha reso
possibile raccogliere le opinioni di tutti gli strati della
popolazione. Il sito www.misuredelbenessere.it offre strumenti
d’informazione sul progetto e ha offerto la possibilità di
rispondere, tra ottobre 2011 e gennaio 2012, a un questionario
online e di collaborare a un blog, consentendo a cittadini,
istituzioni, centri di ricerca, associazioni, imprese di contribuire
a definire che cosa conta davvero per l’Italia, facendo sì che il
processo di individuazione delle dimensioni rilevanti sia realmente
condiviso e, quindi, legittimato.
Questo
articolato processo deliberativo ha condotto all’individuazione di
134 indicatori raggruppati in 12 domini: salute; istruzione; lavoro
e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni
sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo;
paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; ricerca e innovazione;
qualità dei servizi.
Il progetto
del Benessere Equo e Sostenibile si fonda sull’analisi di un ampio
numero di indicatori, disaggregati a livello territoriale e per
gruppi sociali in modo da osservarne la distribuzione e rilevare la
presenza di disuguaglianze significative. Gran parte degli
indicatori selezionati sono disaggregabili fino alla scala
regionale. Il Comitato ha convenuto sulla necessità di utilizzare
sia indicatori oggettivi, sia indicatori soggettivi, che raccolgono,
cioè, percezioni e opinioni dei cittadini, i quali consentono di
acquisire informazioni complementari su aspetti ed eventi della
realtà oggetto di indagine che non sarebbero acquisibili altrimenti.
Seguendo le raccomandazioni dell’Ocse e di Eurostat, l’Istat ha
iniziato a misurare negli ultimi anni un indicatore rappresentativo
della soddisfazione della vita nel complesso, tipicamente affiancato
da misure di soddisfazione per aspetti specifici della vita: la
condizione economica, il lavoro, le relazioni sociale e così via. Di
conseguenza, si è ritenuto opportuno inserire l’indicatore sintetico
soggettivo in un dominio a sé, mentre indicatori soggettivi tematici
sono stati inseriti nei domini di pertinenza (ad esempio, gli
aspetti di soddisfazione per il lavoro nel dominio “lavoro e
conciliazione dei tempi di vita”).
Alcune
iniziative internazionali e nazionali puntano ad aggregare tutte le
informazioni disponibili in un unico indice sintetico di benessere.
In merito a tale ipotesi, il Comitato ha ritenuto inadatta una
misura unica del benessere che potrebbe fornire indicazioni
fuorvianti o poco significative dovendo aggregare domini
estremamente articolati. Tuttavia comprendendo le difficoltà di
interpretazione di un set di indicatori molto ampio, il Comitato di
indirizzo, nella prossima edizione del Rapporto, si impegnerà a
verificare la possibilità di operare aggregazioni settoriali quanto
meno a livello di singolo dominio (salute, ambiente, ecc.).
Infine, il
Comitato ha concordato sulla necessità, in taluni casi, di
utilizzare indicatori relativi a specifici gruppi sociali, qualora
si ritenga che i fenomeni analizzati richiamino una valutazione
complessiva del benessere nel Paese, ad esempio le attività ludiche
dei bambini, l’occupazione delle donne con figli piccoli, il
sovraffollamento delle carceri etc.
Stando così le
cose la misurazione della sostenibilità del benessere è solo
un obiettivo futuro di cui il Progetto non ha ancora stabilito le
premesse. La sostenibilità non è solo materia ecologica, ma deve
comprendere anche le componenti economiche e sociali, così da poter
misurare la sostenibilità del benessere nel complesso. Nei prossimi
mesi si avvierà un lavoro di approfondimento su come valutare la
sostenibilità del benessere in Italia, o seguendo l'approccio
Stiglitz (orientato a quantificare il capitale economico, naturale,
umano e sociale per valutare se, con le tendenze in atto, questo sia
destinato ad aumentare o diminuire), ovvero attraverso un approccio
di valutazione del rischio, identificando alcuni fenomeni che
rischiano di compromettere le condizioni future. Un’analisi di
questo tipo è già presente nel dominio “Salute”, per il quale sono
stati selezionati alcuni indicatori sui comportamenti a rischio
(fumo, alcol, obesità, sedentarietà, qualità dell’alimentazione).
L’elaborazione
della base informativa necessaria alla misura del Bes potrebbe
essere estesa anche a livelli territoriali minori. A livello locale,
il decreto legge “Crescita 2.0” (convertito in legge n. 221/2012)
prevede, per le smart city (comunità intelligenti e
sostenibili), la costruzione di set di indicatori economici,
sociali e ambientali per la valutazione dell’impatto delle politiche
per l’agenda digitale sul benessere dei cittadini. In questo modo,
l’Italia è entrata nel ristretto gruppo di paesi con una
legislazione che contiene un riferimento esplicito al concetto di
benessere.
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IL
QUADRO GENERALE DEGLI INDICATORI DEL PROGETTO BES NEL 2013
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