Aggiornamento 29-feb-2024 |
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Lo Sviluppo sostenibile: Storia e tendenze La Green economy Agenda 2030 Bibliografia |
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I cambiamenti globali: Clima Energia Trasporti Territorio | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Il PNIEC Italiano del 2023
La strategia elettrica nazionale del 2017
Le tecnologie "Carbon Negative" per togliere la CO2 dall'atmosfera |
L'ENERGIA, IL MOTORE DELLO SVILUPPO
Febbraio 2024. La transizione energetica Il mito di Rio: la transizione fa solklevare le barche grandi e quelle piccole La transizione energetica è l’arma principale per combattere il cambiamento climatico togliendo la CO2 dall’atmosfera. Le sue scadenze sono imposte dal cambiamento climatico per il quale la scienza concorda che bisogna decarbonizzare tutte le attività umane entro metà secolo. L’Accordo di Parigi e il negoziato seguente, in particolare l’ultima COP 28, stabiliscono, con l’accordo di tutti i paesi, che la temperatura media superficiale terrestre, la Tmst, non deve superare, a meno di brevi e non auspicabili overshoot, gli 1,5 °C o, in extrema ratio, i 2 °C. Ciò comporta la decarbonizzazione compensata in tutto il mondo e in tutti i settori dell’economia entro il 2050 o poco oltre e quindi, possiamo dire, che da quella data i combustibili fossili dovranno rimanere sottoterra, fatta la dovuta eccezione per le materie plastiche, la farmaceutica etc. gestite in economia circolare. Gli impegni attuali, gli NDC, le strategie di sviluppo (LT-LEDS) e gli obiettivi net-zero, segnano un deficit di 16 Gt nel 2050. Per rimanere sul percorso di 1,5 °C è necessario lo sviluppo annuale di circa 1000 GW di energia rinnovabile. Nel 2022, a livello globale, sono stati aggiunti circa 300 GW, pari all’83% della nuova capacità rispetto al 17% di fossili e nucleare. Paradossalmente, nel 2022, si è registrato anche il più alto livello di sussidi ai combustibili fossili, poiché molti governi hanno cercato di attutire il colpo dei prezzi elevati dell’energia per consumatori e imprese. Nel 2022 gli investimenti globali in tutte le tecnologie di transizione energetica hanno raggiunto il livello record di 1,3 trilioni di dollari, ma gli investimenti in conto capitale nei combustibili fossili sono stati quasi il doppio di quelli investiti nelle energie rinnovabili. Una transizione giusta. Le tecnologie e i mercati hanno fatto i grandi cambiamenti economici e sociali, negli anni dello sviluppo industriale, in uno scenario di conflitti anche durissimi tra Paesi e tra classi sociali. Il mondo intero ha patito le sofferenze che conosciamo, ma ricchezza, welfare e diritti umani sono avanzati dappertutto. La popolazione terrestre è cresciuta a dismisura e il pianeta è diventato piccolo e si è degradato. L’energia facile dei combustibili fossili, a portata di mano a costi modesti, ha contribuito grandemente a questa fase espansiva, portando il mondo in una dimensione nuova, dominata dall’uomo, che alcuni hanno voluto chiamare Antropocene. La transizione ecologica è una scelta consapevole, opera del pensiero umano per un futuro più equo e sostenibile e per sottrarre la specie umana alle conseguenze dei suoi eccessi demografici e consumistici. Così è nato il principio della Transizione Giusta, proprio nel mondo dei lavoratori e delle loro rappresentanze a tutti i livelli. ASviS ha fatto propria la transizione giusta alla luce degli SDG, fortemente connotati dalla dimensione sociale e dalla lotta alle diseguaglianze. La Commissione Europea ha varato il suo Green Deal con la medesima ispirazione. La Convenzione climatica dell’ONU, da parte sua, aveva sottoscritto la Silesia Declaration, nel 2017 alla COP 23 di Katowice, in un paese carbonifero dove cambiare le fonti di energia può significare dolorose dislocazioni per i lavoratori. Le prime evidenze dimostrano che la transizione crea nuova occupazione, ma anche che il lavoro abbandonato, quantitativamente minore, dà origine ad un diritto per quei lavoratori di protezione, riqualificazione professionale e difesa del reddito.
Novembre 2023. Vecchie nuove suggestioni: L'energia nucleare Di seguito introduciamo gli eventi recenti che accompagnano il rilancio in Italia del nucleare civile per la produzione elettrica. Presentiamo in allegato a questo documento due ppt che illustrano i principi dell’energia nucleare civile e le prospettive dell’energia nucleare oggi, quando sta subendo un inopinato rilancio per effetto della assenza di emissioni serra degli impianti nucleari in fase di esercizio. Chi vorrà consultare questa documentazione potrà scaricarla rispettivamente da 1 e 2. Questi allegati tecnici sono stati sviluppati recentemente e in profondità prima della decisione del governo italiano di introdurre l’energia nucleare nel PNIEC e quindi, alquanto avventurosamente, nel percorso italiano della transizione energetica. È il caso di ricordare che a seguito del referendum del 2017, che ha fatto seguito al disastro di Chernobyl, il Paese ha di fatto liquidato tutta la struttura industriale e di ricerca nucleare e con essa una generazione intera di ricercatori, tecnici ed ingegneri che per qualche anno avevano portato l’Italia all’avanguardia nel mondo e alla costruzione per primi delle centrali civili più potenti. Ricordiamo anche che oggi non esistono più le specializzazioni nucleari nelle Università e negli istituti tecnici e quindi non ci sono figure tecniche disponibili sul mercato per riprendere un qualche tipo di ripresa di un settore industriale nazionale nucleare. Nei tempi della transizione i reattori nucleari, piccoli o grandi, dovremo necessariamente comprarli da altri paesi europei e li dovremo far gestire ad ingegneri di importazione. Una centrale nucleare civile non è infatti una lavatrice e gestirla comporta responsabilità di livello altissimo. La mia esperienza e la mia età mi consentono di testimoniarvi che, pur in un momento in cui la tecnologia nucleare in Italia era al massimo storico, l’Enel preferì affidare la direzione della nuova centrale nucleare bollente di Caorso ad un giovane e, vi assicuro, simpatico e disponibile giovane ingegnere di colore della General Electric californiana. La presa di posizione italiana sul nucleare e la transizione energetica. Il Sole 24 ore riferisce che a Cernobbio, in chiusura del Forum Ambrosetti, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato la convocazione di istituzioni e imprese per la prima riunione della “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”. Si tratterebbe della scelta di rendere palese quello che deve essere un impegno dello Stato sulla ricerca, la sperimentazione e l’implementazione della conoscenza che abbiamo già nel settore del nucleare - spiega - e coinvolge molti attori pubblici che hanno mantenuto questa conoscenza a partire da Enea e dalle nostre grandi imprese. Siamo impegnati, dice il Ministro, sulla fusione nella sperimentazione con diversi accordi a livello internazionale e poniamo il massimo della attenzione alla fissione di quarta generazione, che significa anche la valutazione degli small reactor che nell’arco di dieci anni potranno essere una opportunità per il Paese. Ma sarà - dice Pichetto - il prossimo governo ad occuparsi di questo. Un passaggio di consegne che non trova concorde Matteo Salvini. Il ministro delle Infrastrutture incalza sul tema correggendo il collega. L’impegno è che questo esecutivo, dice, sia un esecutivo di legislatura che arrivi alla fine di questi 5 anni e se ben abbiamo lavorato, conto che ci saranno altri cinque anni successivi. La prima produzione di nucleare, quindi, potrà essere inaugurata da questo governo, L’Italia deve, entro quest’anno, riavviare la propria partecipazione» alla ricerca. La piattaforma per un nucleare sostenibile costituisce il soggetto di raccordo e coordinamento tra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili. In particolare, si punta allo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e a elevati standard di sicurezza e sostenibilità. Inoltre l’attività della piattaforma, coordinata dal ministero con il supporto di Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), la società controllata dal Mef che si occupa della ricerca sull’intera filiera elettroenergetica, e di Enea, sarà finalizzata anche a rafforzare il contributo dell’Italia nella ricerca e nell’alta formazione universitaria con corsi di laurea, laurea magistrale e dottorati di ricerca. Prevista anche la cooperazione e la partecipazione a livello europeo e il coordinamento dei progetti e delle attività a livello nazionale tra Università ed enti di ricerca. I reattori SMR, piccoli e modulari. Questo documento vuole valutare il rilancio che, controcorrente, propone per il nuovo governo italiano una caratterizzazione fortemente identitaria, a costo però di una serie preoccupante di improvvisazioni. Si comincia dal problema di rimontare la volontà degli italiani espressa in due referendum, l’ultimo in pieno governo di centrodestra. Supponendo che oggi gli italiani siano in maggioranza favorevoli, si andrebbe ad un rilancio del nucleare civile mobilitando una inesistente classe di tecnici, ricercatori ed esperti che il paese avrebbe ancora, laddove ciò vale solo per la fisica e l’ingegneria dei progetti internazionali per la fusione e i plasmi, non per la fissione. Si confida, non si capisce con quale grado di ingenuità e di disinformazione, sugli SMR, piccoli reattori di quarta generazione. Al mondo non ne esiste alcuno e sul mercato potrebbero essere portati in occidente, nei tempi del Ministro, da Francia; UK e USA solo i reattori di III generazione ed anche meno con cui camminano da tempo i sottomarini militari nucleari. Ci sono reiterate offerte da parte della Rolls Royce in UK che non sarebbero di IV generazione. Lo stesso potrebbe fare la Francia con una edizione in miniatura dei suoi PWR 3 e mezzo (un mezzo alquanto misterioso), che oggi sarebbero prodotti da EDF, nazionalizzata dal governo perché in totale dissesto finanziario. Dal dopoguerra in avanti i reattori piccoli sono stati sviluppati e provati in gran numero per le applicazioni più diverse, militari, spaziali, marine e per l’irrisolta questione del trattamento delle scorie nucleari, quantomeno al fine di degradare i radionuclidi di più lunga durata. Si faccia attenzione a non confondere gli SMR con la quarta generazione. Quest’ultima è una specifica di innovazione e di sicurezza, non una particolare macchina, pur se ancora imprecisa nella definizione. Ha tre obiettivi principali: sicurezza nucleare, riduzione dei rifiuti radioattivi e miglioramento della gestione dei rifiuti in loco e fuori sito. Si prevede inoltre che la quarta generazione disponga di un design industriale avanzato per aumentare l’efficienza del ciclo del combustibile. Tutte le previsioni concordano sul fatto uno degli SMR, una volta ingegnerizzato, costerebbe non meno di 2 miliardi di euro per circa 300 MWe, che darebbero energia elettrica con un LCOE intorno ai 140 € per MWh, oggi più del doppio del costo livellato delle fonti rinnovabili. 300 MW si fanno oggi con pochi pannelli e poche pale eoliche. Queste fonti sono ancora su un percorso in forte apprendimento. Quale apprendimento si potrebbe determinare sul mercato invece per il nucleare, la cui tecnologia è addirittura vecchia e il cui combustibile aumenta costantemente di prezzo? Il governo italiano ha comunicato in questi giorni di aver promosso e sottoscritto un memorandum of understanding per lo sviluppo di un progetto belga di SMR di IV generazione con tecnologia fast e raffreddamento a piombo/bismuto, un eutettico metallico che fonde oltre i 300 °C e bolle poco oltre i 1600°C. Hanno firmato il memorandum Ansaldo Nucleare, Enea, Raten, Sck Cen e Westinghouse. Agli Stati generali della Green economy di novembre autorevoli imprenditori dell’energia hanno rimarcato che un SMR, per fare quei prezzi dell’elettricità, dovrebbe lavorare per 8000 ore all’anno, anche perché il nucleare non si accende o spegne a piacimento né in tempi brevi. Che succederebbe, dicono, alle aste delle ore di punta del solare, quando l’energia rinnovabile costa niente? Bisognerebbe dispacciare per legge il nucleare che costa sempre uguale? Se così dovesse essere, dicono quegli industriali, nessuno più investirebbe sulle fonti rinnovabili, Che fine farebbe la transizione? Il nucleare nella tassonomia europea green. La tassonomia originaria 2020/852, cioè la classificazione delle attività su cui è possibile investire per non creare danno significativo all’ambiente, si aggiunge nel marzo 2022 l’energia nucleare come fonte sostenibile sotto la pressione del governo francese. Di conseguenza, molti investitori che scelgono di investire in un pacchetto green potrebbero avere i loro risparmi investiti in queste tecnologie anche a loro insaputa. Rimandiamo ad una analisi approfondita sull’argomento datata 2022. Il Parlamento europeo non ha posto veto all’atto delegato sulla tassonomia europea che include il nucleare tra le tecnologie sostenibili. Il voto è avvenuto, nella sessione plenaria del Parlamento europeo riunitosi il 6 luglio 2022 a Strasburgo, con 278 favorevoli e 328 contrari. Sarebbero serviti 353 voti per raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per rigettare il provvedimento della Commissione europea. Poco dopo l’adozione della tassonomia UE, nel luglio 2022, Electricité de France ha annunciato l’intenzione di sostenere il finanziamento dei suoi reattori nucleari, vecchi e in cattivo stato, emettendo obbligazioni verdi coerenti con la tassonomia. Nella primavera del 2023 una serie di associazioni ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia europea contro la decisione della Commissione europea di includere l’energia nucleare nel regolamento sulla tassonomia, dopo che lo scorso 8 febbraio, la Commissione aveva respinto la richiesta di annullamento. I ricorrenti ufficiali della causa sono gli uffici europei di Greenpeace in Germania, Francia, Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo, Europa centrale e orientale e l’Unità europea di Greenpeace. Separatamente, ClientEarth, l’Ufficio per le politiche europee del WWF, BUND (Amici della Terra Germania) e Transport and Environment stanno sfidando la Commissione europea per l’inclusione del nucleare e del gas nella tassonomia. Anche il governo austriaco ha chiesto alla Corte di annullare questa operazione di greenwashing della Commissione. Per il nucleare sono previste tre attività:
Con le seguenti ulteriori limitazioni. Le emissioni devono essere verificate da una terza parte indipendente. Si devono rispettare i criteri di adeguatezza, sicurezza, efficacia. Gli scarichi radioattivi nell'aria, nei corpi idrici e nel suolo devono essere conformi alle direttive Euratom. Il combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi devono essere gestiti in modo responsabile e sicuro conformemente alle direttive Euratom. La Direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio del 19 luglio 2011 stabilisce che ciascuno Stato membro ha la responsabilità ultima riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi generati nel suo territorio, e che a tale scopo dovrà quindi provvedere ad individuare una soluzione per la loro sistemazione definitiva. L'energia nucleare da fissione è ovviamente conforme alla soglia dei 100 g di CO2eq/kWh, imposta per le fonti accreditabili dalla tassonomia, ma evidentemente non soddisfa il criterio del do no significant harm (Dnsh), che stabilisce che nessun investimento green può essere fatto su attività che soddisfano uno o più obiettivi ma ne danneggiano altri. A marzo 2020 un documento ufficiale del Teg stabilisce che l’inclusione del nucleare nella tassonomia non è consigliabile in primis perché il trattamento delle scorie dell’energia nucleare non soddisfa il principio Dnsh. In risposta, la Commissione europea ha chiesto al suo Centro comune di ricerca, il Jrc di Ispra, che ricordiamo essere stato in origine il principale centro europeo comune di sviluppo dell’energia da fissione nucleare da cui sono nati i centri di ricerca italiani, Cnrn, Cnen (oggi Enea), di valutare l'assenza di danni ambientali significativi causati dall'energia nucleare. Nel marzo 2021 il Jrc pubblica una relazione in cui sostiene incredibilmente che l’energia nucleare non fa danni alla salute umana o dell’ambiente più di qualsiasi altra tecnologia energetica inclusa nella tassonomia. Concede però che gli incidenti gravi, pur se eventi con probabilità estremamente bassa, hanno conseguenze potenzialmente gravi e non possono essere esclusi con certezza al 100%. Jrc riceve finanziamenti dall’Euratom, fondata nel 1958 per sviluppare un mercato comune europeo per l’energia atomica. Si tratta di 532 M€ tra 2021 e 2025. Sappiamo che non è un modo giusto di mettere in dubbio la correttezza dei ricercatori del Jrc, ma non è opportuno affidare incarichi a soggetti in conflitto di interessi. Lo Sheer (Comitato scientifico sulla salute, ambiente e rischi emergenti) ha valutato il lavoro svolto dal Jrc, evidenziando diverse carenze: ci sono alcuni risultati in cui il rapporto è incompleto e richiede di essere rafforzato con ulteriori prove o con considerazioni approfondite su molti punti. Tra essi la insufficiente valutazione dei rischi a lungo termine delle scorie radioattive, la violazione dell’economia circolare e il rischio di incidenti gravi. Il Gruppo di esperti sulle protezioni dalle radiazioni e gestione rifiuti ex art. 31 del trattato Euratom valuta positivamente, ça va sans dire, il documento del Jrc, ma con l’opposizione della loro esperta Claudia Engelhardt che denuncia la violazione dei principi chi inquina paga, di non imporre un carico iniquo sulle future generazioni, sui costi, sulla proliferazione e sicurezza nucleare, sul rischio incidenti gravi potenzialmente causati da fattori umani, eventi naturali, ma anche da attentati terroristici. L’Engelhardt dichiara che l'energia nucleare chiaramente non soddisfa il criterio Dnsh e non è sostenibile. Evidenzia, infine, come i tempi lunghi di stoccaggio geologico dei rifiuti radioattivi vadano collegati ai futuri cambiamenti del clima, ai futuri sviluppi della società, ai comportamenti sociali nonché alla possibile perdita a lungo termine delle informazioni e delle conoscenze tecnologiche e sitologiche indispensabili. Il deposito italiano delle scorie nucleari. In Italia dopo quasi quarant’anni dal referendum del 1987 che ha posto fine all’energia nucleare in Italia non siamo riusciti né a decommissionare i reattori spenti né a realizzare alcun tipo di deposito per le scorie radioattive. Le scorie ad alta attività che non sono in giro per l’Europa per il ritrattamento giacciono nelle piscine dei reattori che le hanno generate. Le scorie a bassa attività di origine prevalentemente sanitaria giacciono dove capita, per esempio all’Enea sulla via Braccianese a pochi metri dalla borgata di Osteria Nuova. A che punto è la realizzazione del deposito nazionale in cui mettere e gestire in sicurezza i rifiuti radioattivi? L'Italia da decenni deve trovare un sito idoneo per la discarica nazionale dei rifiuti radioattivi, e deve realizzarla. Ma finora non è stato fatto nulla. Ogni volta che si pensa a un sito possibile, la popolazione e le amministrazioni locali insorgono. Nel 2003, quando il governo Berlusconi individuò il sito a Scanzano Jonico, in Basilicata, l'intera regione si sollevò, e il progetto fu abbandonato. All’inizio del 2021 la Sogin ha pubblicato la carta dei siti idonei, la Cnapi, che indica ben 67 collocazioni possibili. Ma il sito definitivo non è stato ancora scelto. A tre lustri dalla improvvida esperienza di Scanzano il Governo ha avviato un nuovo percorso per giungere all’individuazione dell’area idonea per il deposito. In seguito ad una prima fase di consultazione e partecipazione dei territori interessati, tenuta dalla Sogin, il 15 marzo del 2022 il ministero competente ha ricevuto la Cnai (Carta delle aree idonee), sulla quale è stata avanzata dall’Ispettorato della sicurezza nucleare (Isin) la richiesta di integrazioni e approfondimenti sui criteri di esclusione adottati dalla Sogin rispetto alle aree potenzialmente idonee. Viene inoltre comunicato dal Governo, in risposta ad un’interrogazione parlamentare, che la procedura autorizzativa del deposito contempla altresì il compimento di una Valutazione ambientale strategica (Vas); una valutazione la cui mancanza è alla base della vigente procedura d’infrazione comminata dalla Ue. Dai dati ANSA il progetto ufficiale occupa complessivamente 150 ettari: 110 per il deposito vero e proprio e 40 per un Parco tecnologico dedicato alla ricerca e alla formazione sul nucleare (e l’Enea?). Il deposito sarà costituito da 90 costruzioni in calcestruzzo armato, le "celle", con una base di 27 metri per 15,5 e un'altezza di 10 metri. All'interno saranno conservati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i "moduli", parallelepipedi con una base di 3 metri per 2 e 1,7 metri di altezza. Questi conterranno a loro volta i bidoni metallici dei rifiuti radioattivi stabilizzati. Nelle celle verranno sistemati circa 78.000 metri cubi di rifiuti a molto bassa o bassa attività. Una volta riempite, le celle saranno ricoperte da una collina artificiale di materiali inerti e impermeabili. L'impianto riceverà rifiuti per 40 anni. Dopo, li custodirà fino al decadimento. Secondo la Sogin, le barriere ingegneristiche del Deposito Nazionale e le caratteristiche del sito dove sarà realizzato garantiranno l'isolamento dei rifiuti radioattivi dall'ambiente per oltre 300 anni, fino al loro decadimento a livelli tali da risultare trascurabili per la salute dell'uomo e l'ambiente. Nei 300 anni necessari a far decadere la radioattività, la struttura sarà monitorata per assicurare la massima efficienza delle barriere. Resterà inoltre operativa una rete di monitoraggio ambientale e radiologico nei dintorni del sito. In un'apposita area del deposito, sarà realizzato un complesso di edifici per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività. Sono le scorie più pericolose, quelle che rimangono radioattive per migliaia di anni. Queste resteranno temporaneamente al Deposito, per poi essere sistemate definitivamente in un deposito geologico sotterraneo, ahimè ancora da individuare. L'impianto costerà 900 M€, finanziati con le bollette elettriche che finanzieranno altresì la gestione dei rifiuti dalle centrali atomiche. Per gli altri rifiuti (ad esempio quelli medicali) ci sarà una tariffa di conferimento, a carico di chi li produce. Sogin calcola che la mancata costruzione della struttura nazionale costi al paese da 1 a 4 milioni all'anno per ciascun sito dove si trova un deposito. Si genererebbero 4.000 posti di lavoro l'anno per 4 anni di cantiere, diretti (2.000 fra interni ed esterni), indiretti (1.200) e indotti (1.000). Durante la fase di esercizio, invece, l'occupazione diretta è stimata in circa 700 addetti, fra interni ed esterni, con un indotto che può incrementare l'occupazione fino a circa 1.000 job. Il territorio che ospiterà il Deposito Nazionale riceverà un contributo economico. Agli Stati Generali della Green Economy di Rimini, all’inizio di novembre, su richiesta esplicita della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, il Ministro del MASE Pichetto Fratin ha dichiarato che allocherà il deposito entro questo Natale e lo realizzerà entro la legislatura.
13 Ottobre 2022: Il punto sull’energia in Italia al 2021 di Toni Federico Energia primaria La disponibilità di energia lorda al 2021 in Italia è di 153 Mtep con un rimbalzo del 6,5% rispetto al 2020. Il recupero post-pandemico è incompleto poiché nel 2019 disponevamo di 158 Mtep. I consumi finali sono pari a 115,6 Mtep, +5,7% rispetto al 2020. L’intensità energetica del PIL risale a 91,2 gep/€ (MITE). I quadri dell’energia primaria (MITE) sono nella seguente tabella:
Il consumo di gas naturale al 2021 è di 76,2 Gmc (SNAM Rete gas) di cui 26 Gmc vanno alla generazione elettrica. La vicenda del gas merita un approfondimento. Da Italy for Climate ricaviamo i dati delle due figure seguenti che danno il quadro al 2021 dell’approvvigionamento del gas consumato dalle varie provenienze e la composizione delle importazioni di combustibili fossili dai quatto paesi che ce ne forniscono la maggior parte. Inutile dire che il quadro 2022 è profondamente cambiato con una riduzione sostanziale del gas in arrivo dalla Federazione Russa.
Ben altra questione è quella del prezzo del gas, causa massima dell’attuale crisi, in particolare in Europa. La stortura e il fallimento autolesionistico del mercato del gas è cosa evidente. Si prevede che nel 2022 il prezzo del gas naturale in Europa raggiungerà circa 34 US$ costanti per milione di unità termiche britanniche, Btu, rispetto ai 6,9 US$ del mercato odierno negli Stati Uniti (nella figura seguente).
Il prezzo del gas al mercato TTF di Amsterdam, quotato com’è noto in €/MWh e tutt’altra storia. A inizio 2021 pagavamo ancora 20 €/MWh, ma già alla fine dell’anno, ben prima del conflitto in Ucraina, il prezzo era già a 100 €/MWh.
(*) Per raccordare i due sistemi di misura annotiamo che 1 Smc di gas naturale dà 10,69 kWh; 1MMBtu = un milione di Btu = 27,096 metri cubi di gas naturale = 289,656 kWh. Di qui discende che: 6,688 US$/MMBtu = 0,2468 US$/mc = 23,1 US$/MWh cioè che oggi, 10 ottobre 2021, noi paghiamo il gas naturale 154 €/MWh, poco meno di 7 volte di più del mercato americano e quasi due volte il prezzo di inizio anno, essendo arrivati in agosto a pagarlo quattro volte e mezzo.
Usi finali dell’energia e consumi elettrici Il quadro degli usi finali dell’energia per i settori di interesse, con il dettaglio delle rinnovabili, è raffigurato nella tabella seguente (MITE, GSE):
I consumi elettrici in Italia al 2021 sono pari a 317,6 TWh, in aumento del 5,5% rispetto al 2020 ma al di sotto dello 0,6% rispetto al 2019. Le perdite di conversione sono del 9,9% e portano il fabbisogno sale a 348 TWh (TERNA). La produzione in Italia nel 2021 è pari a 284,7 TWh e richiede una importazione di 33 TWh pari al 10,4% del consumo totale del 2021. Il PUN, prezzo unitario dell’energia elettrica è stato in perenne salita nel 2021, come riflesso diretto dell’impennata del prezzo del gas naturale cui, è ormai noto, sono stati ancorati i prezzi dell’elettricità per le imprese e per le famiglie. La tendenza è in aggravamento, tanto che il PUN è stato rilevato nella media di ottobre 2022 a 276,4 €/MWh. La figura riporta la preoccupante serie storica in €cent/kWh del prezzo dell’energia elettrica per le famiglie, anche per il 2022 (ARERA).
Il quadro degli usi finali dell’energia per i settori di interesse, con il dettaglio delle rinnovabili, è raffigurato nella tabella seguente (MITE, GSE):
Citiamo, da Italy for climate, il percorso di sviluppo mondiale delle fonti rinnovabili per la generazione elettrica (figura seguente):
Per seguire il processo di decarbonizzazione in Italia ricordiamo l’impegno del PNIEC per il phase-out totale al 2025. Al momento, su 7 GW installati a carbone, solo 1 GW risulta dismesso, pari al 14%. L’energia rinnovabile, ai sensi del REPowerEU nell’ultima versione dovrà arrivare al 45% nel 2030, cioè più che raddoppiare rispetto al 19,5% del 2021. L’energia elettrica rinnovabile dovrà dunque passare dall’attuale 36% almeno all’80% nel 2030, cioè più che raddoppiare tenendo conto dell’ipotesi che al 2030 gli usi finali dell’energia seguano le indicazioni di risparmio energetico europeo e che l’elettrificazione ne aumenterà la quota percentuale. La serie storica delle rinnovabili elettriche italiane, elaborata da Italy for climate, è nella figura seguente:
Nella figura successiva è riportata la serie storica delle installazioni nuove anno per anno degli impianti elettrici di generazione rinnovabile.
La produzione attuale elettrica da gas naturale è di 159 GWh con un consumo di 26 Gmc e quella attuale da fonti rinnovabili eolica e fotovoltaica è di 46 TWh con una potenza installata di 10,9 e, rispettivamente, di 21,6 GW, pari ad una producibilità media annuale di 1,4 TWh/GWp. Alla improbabile parità di domanda elettrica al 2030, ne consegue che per generane l’80% di energia elettrica da fonti rinnovabili, supponiamo solo eolico e solare ai rendimenti di oggi, avremo bisogno di un totale rinnovabile installato di 113 GWp, cioè di ulteriori 70 GWp circa, In progressione lineare ciò significa 7 GW all’anno. Nel primo anno, il 2021, abbiamo appena 0,9 GW di solare e 0,4 di eolico aggiuntivi, il 18,6% del dovuto. Nel quadro delineato 70 GWp di rinnovabili aggiuntive produrranno 98 TWh di energia eliminando il 62% dell’attuale consumo di gas per la generazione elettrica, 26 Gmc. Nel modello lineare si tratta di un risparmio su base annua di 1,6 Gmc di gas. Italy for climate ha prodotto un quadro sintetico degli effetti della crescita delle rinnovabili sulla diminuzione della dipendenza dall’estero (figura seguente). A titolo di confronto l'Europa a 27 dispone di un totale installato rinnovabile elettrico che sostituisce 70 Gmc di gas naturale e consente un risparmio di 99 G€. I dati sono recenti e si riferiscono al periodo Marzo - Settembre del 2022 (Bloomberg). In EU 27 più di 3/4 delle emissioni serra sono dovute alla produzione di energia. Nel semestre indicato l'Europa ha raggiunto una produzione elettrica rinnovabile del 24%, risparmiando 8 Gmc di gas naturale e 11 G€. Molti studi sono stati fatti sulla occupazione di suolo richiesta in particolare dal fotovoltaico. Consideriamo però che una parte consistente andrà sui tetti e sulle infrastrutture e che l’agrivoltaico sta dando ottimi risultati e che lo svilupperemo col PNRR. Comunque, all’aperto, l’ultimo studio US NREL dice che per 1 GWh di solare, alle latitudini medie USA, occorrono 1,6 ettari, circa 3 campi di calcio, e solo 0,8 ettari nelle zone desertiche.
Il MITE pubblica nel 2022 i dati sulla occupazione aggiuntiva determinata dalle rinnovabili (in tabella):
Costi di produzione e trend dell’energia elettrica rinnovabile Seguiamo il mercato del fotovoltaico con particolare attenzione alla Germania (Fraunhofer Inst.). Nel 2021 la potenza installata nel mondo è di 710 GW, 138 in EU27 e 54 in Germania con una produzione rispettivamente di 856 TWh (3,2%), 146 (5,3%) e 48 (10%), la metà dell’Italia. Il costo dell’energia per il solare domestico va da 1 a 1,85 €/Wp e per quello industriale da 3 a 5,7 €cent/kWh. Importante la Learning curve delle celle che intanto hanno raggiunto efficienze massime del 26,7% per il silicio mono-cristallino e del 24,4% per il multi-cristallino in wafer. In Germania i prezzi medi da 10 a 100 kWp, di circa 14.000 €/kWp nel 1990, a fine 2020, erano scesi al 7,4%. Negli ultimi 40 anni il prezzo del modulo PV è diminuito del 26% ad ogni raddoppio della produzione globale cumulata di moduli. Il trend è nelle figure seguenti:
La figura seguente dà il chiarissimo trend de costi di produzione fino al 2019 (pre-covid) per unità di energia delle varie tecnologie rinnovabili. La banda orizzontale dei costi dell’energia prodotta da fonti fossili mette in evidenza la ormai raggiunta competitività. Con quest’anno, il 2022, il mercato dei combustibili fossili è esploso a fronte di modesti aumenti dei costi delle rinnovabili. Quella banda dei fossili andrebbe spostata in alto di molte volte. Il mercato, cioè, sta lasciando libero il campo alle rinnovabili, ormai di gran lunga le tecnologie meno costose.
La figura seguente, che correda un importante studio della Oxford University, porta alle medesime conclusioni:
I conti delle convenienze vanno fatti con le analisi LCA del ciclo di vita. Il Levelized Cost of Energy (LCOE) rappresenta il ricavo medio per unità di elettricità generata necessario a recuperare i costi di costruzione e gestione di un impianto di generazione durante un presunto ciclo di vita finanziaria e di funzionamento. Il LCOE è spesso citato come una misura sintetica della competitività complessiva delle diverse tecnologie di generazione. Gli input chiave per il calcolo del LCOE includono i costi di capitale, i costi del combustibile, i costi fissi e variabili di esercizio e manutenzione (O&M), i costi di finanziamento e un tasso di utilizzo presunto per ogni tipo di impianto. L'importanza di ciascuno di questi fattori varia a seconda delle tecnologie. Per le tecnologie senza costi di combustibile e con costi di O&M relativamente piccoli e variabili, come le tecnologie di generazione elettrica solare ed eolica, LCOE cambia quasi proporzionalmente al costo di capitale stimato della tecnologia. Per le tecnologie con un costo del combustibile significativo, sia il costo del combustibile che le stime del costo del capitale influenzano in modo significativo il LCOE. La disponibilità di vari incentivi, tra cui crediti d'imposta statali, può influenzare il calcolo del LCOE. Come per qualsiasi proiezione, questi fattori sono incerti perché i loro valori possono variare a livello regionale e temporale con l'evoluzione delle tecnologie e con l'evoluzione dei prezzi dei carburanti. Gli LCOE sono pubblicati regolarmente da LAZARD per l’anno in corso (prima figura) ed in serie storica (seconda figura). I dati delle figure sono del 2021:
28 Maggio 2022: La transizione energetica La transizione è un processo multifattoriale messo in moto, in particolare in Europa, dal progetto di nuovo patto per lo sviluppo del 2019. Il Green Deal europeo del 2019, addirittura rafforzato e rilanciato dalla pandemia e dalla guerra, sottende la necessità della rottura degli indugi e della accelerazione dei processi verso gli obiettivi europei 2030-2050 e un cambiamento di passo nella politica di finanziamento mediante i green bond per il recupero, la resilienza e lo sviluppo sostenibile. La transizione energetica è un passaggio obbligato del Deal e dell’intero quadro del cambiamento. Senza di essa gli altri processi di transizione verrebbero privati dell’asse di riferimento e perderebbero valore. Per essa si può parlare di quella proprietà speciale delle transizioni sistemiche che è la irreversibilità. Infatti si tratta di fare un passo definitivo, cioè abbandonare i combustibili fossili per l’energia rinnovabile entro un quadro di economia circolare e rigenerativa. Comunque vada, a metà secolo, a capo di questo percorso di decarbonizzazione, l’economia e l’ambiente saranno completamente diversi e l’assetto sociale non potrà più essere lo stesso. Il cambiamento sociale richiama l’esigenza di una giusta transizione, con ciò stabilendo che, a differenza che nelle dimensioni economiche e ambientali, non saranno possibili cesure sul terreno dei diritti e del lavoro e una intera generazione dovrà essere accompagnata da piani e da misure necessarie per eliminare gli impatti sociali ed occupazionali della transizione. Questi piani e misure, al momento completamente assenti nel dibattito politico e nei provvedimenti del Governo, non sono più rinviabili. La giusta Transizione deve essere affrontata attivando partecipazione, pianificazione, risorse e investimenti per la creazione di nuovi posti di lavoro, ammortizzatori sociali, formazione permanente e riqualificazione per le nuove competenze, riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, interventi legislativi contro le delocalizzazioni, contrasto alla povertà energetica e sostegno per l'accesso alla mobilità sostenibile. I piani territoriali delle aree del Sulcis e di Taranto, le uniche previste dal meccanismo europeo della Just transition, devono estendersi a scala nazionale e tutti i settori economici impattati. Dobbiamo necessariamente prendere atto che l’attuale sistema è insostenibile e affermare che senza un radicale cambiamento di sistema è impossibile raggiungere la sostenibilità o anche solo la decarbonizzazione. Il neoliberismo, le sole regole di mercato, la crescita infinità dettata dal capitalismo, il neocolonialismo, l’estrattivismo sono incompatibili con il cambiamento. Servono un forte ruolo degli Stati in economia e una partecipazione democratica e il coinvolgimento attivo di comunità, lavoratori e società civile organizzata nella pianificazione delle scelte per coniugare giustizia sociale e giustizia ecologica. Va evidenziato anche il tema dell’incoerenza delle politiche e degli investimenti pubblici rispetto agli impegni assunti a livello internazionale, così come i passi indietro rispetto al Green Deal e alla legge per il clima europei, orchestrati dalle lobby fossili che stanno tentando di introdurre gas e nucleare nella tassonomia per gli investimenti sostenibili e quindi di fermare sostanzialmente la transizione energetica. Ci stiamo ormai inoltrando nel decennio decisivo, in mezzo a tragedie che però non possono adombrare inversioni di tendenza né opportunismi. Anzi, la crisi dello schema della globalizzazione liberista, la rottura delle supply chains energetiche e il prevalere di rigurgiti nazionalisti, sta insegnando a noi europei l’urgenza di accelerare la transizione energetica e circolare per mettere termine allo sfruttamento semicoloniale delle risorse altrui e portare l’economia europea verso una autosufficienza essenziale, un sistema di scambi commerciali paritario e la sostituzione del dominio politico ed economico con una integrazione senza conflitti e diseguaglianze. La transizione non è dunque un mero espediente tecnologico per la sopravvivenza, è l’occasione per l’abbandono del consumismo e dello spreco mediante un cambiamento di cultura e di stili di vita che chiameremo, con Alexander Langer, conversione ecologica. È l’idea di un pentimento e di uno sguardo critico a come si è vissuto fino ad ora. Il concetto, poi ripreso da Papa Francesco, esprime la dimensione del senso di colpa, indica il passaggio ad una migliore consapevolezza e all’impegno di riparare i danni arrecati. Non è solo un termine spirituale, ma è anche un termine produttivo ed economico. Significa convertire la nostra economia, la nostra organizzazione sociale verso rapporti di maggiore compatibilità ecologica e di maggiore compatibilità sociale, di minore ingiustizia, di minore divaricazione sociale, di minore distanza tra privilegi da una parte e privazioni dall’altra. Ma l’ostacolo più duro sono le retrotopie delle culture politiche che continuano a far coincidere l’idea di progresso e di sviluppo con la crescita indistinta di un’economia lineare, che continuano a utilizzare come misura di valutazione un’unica dimensione: quella della crescita del PIL, del giro d’affari. Sono talmente radicati i pregiudizi sulle energie rinnovabili che non pochi politici, gli stessi che venti anni fa le proclamavano marginali o, al massimo, complementari, non si capacitano che possano sostituire completamente in pochi decenni le fonti fossili. Un altro pregiudizio politico diffuso è l’idea che il progresso, come in passato anche in futuro, debba coincidere con l’aumento dei consumi di energia. Cosa vi è di avanzato in motori che funzionano utilizzando meno di un terzo dell’energia che consumano? O costruendo case che diventano forni d’estate e frigoriferi d’inverno? O impiegando materie prime vergini che consumano sei volte più energia di quella che si consumerebbe utilizzando materiali riciclati? Il punto di partenza della transizione in Italia è presto detto: I consumi italiani di energia primaria nel 2021 sono di 6,5 EJ (156 Mtep), composti da gas naturale per il 39%, 2,5 EJ (60,8); greggio per il 35%, 2,3 EJ (54,6); carbone per il 5%, 0,33 EJ (7,8), rinnovabili per il 19%, 1,24 EJ (29,6). Ciò equivale a un consumo ad personam su base annua di 109,7 GJ (2,63 tep) che ci colloca al di sopra della media mondiale (1,7 tep), alla pari con la Cina, 101 (2,41), ma al di sotto della Francia, 131,6 (3,14), della Germania, 142,8 (3,41), e degli Stati Uniti, 261,4 (6,24). Ad oggi i consumi di energia elettrica in Italia sono pari a 283 TWh, 4,7 MWh pro capite, di cui il 59% da fonti fossili e il 41% da fonti rinnovabili. A livello mondiale il consumo pro capite è di 3,3 MWh con il 61% fossile, il 29% rinnovabile e il 10% nucleare. Possiamo produrre in Italia energia per 1,6 EJ (38,5 Mtep) comprendendo 0,178 EJ (4,27 Mtep) di greggio, il 10% del fabbisogno; 0,19 EJ (4,98 m3) di gas naturale, il 6,5%; 0,063 EJ di carbone, il 5,5%. Ad essi si aggiungono 1,18 EJ (28,2 Mtep) di energia rinnovabile (18,2%) di cui 114,6 TWh di generazione elettrica (il 39,4% della produzione totale) con 55,5 GW di potenza installata. Il totale della produzione italiana di energia è quindi appena il 24,6% del consumo, il resto deve essere importato. I principali fornitori di fonti fossili sono Russia (25%), Algeria (15%), Azerbaijan (13%), Libia (9%), in rapida evoluzione per effetto della guerra. Importiamo poi il 2% di elettricità dalla Francia. Altrettanto netto è il punto di arrivo, con i milestone al 2030 e i target al 2050, recentemente ristabilito dall’Europa con il REPower EU, che aggiorna il pacchetto Fit for 55 a fronte della doppia urgenza di porre fine alla dipendenza dell'UE dal fossile russo che, utilizzato come arma economica e politica, costa ai contribuenti europei quasi 100 G€ all'anno e di affrontare la crisi climatica. Il Piano punta sul risparmio energetico, e sull’introduzione accelerata di energia rinnovabile per sostituire i combustibili fossili nelle case, nell'industria e nella produzione di energia, anche modificando i piani di resilienza (PNR) dei singoli paesi. Il risparmio energetico è il modo più rapido ed economico per affrontare l'attuale crisi energetica e contenere costi e bollette. A tal fine le misure di efficienza energetica vengono aumentate dal 9% al 13% dell'obiettivo vincolante di efficienza energetica del Fit for 55. Per l’energia primaria l’obiettivo EU 27 è di 999 Mtep e per gli usi finali è di 770 Mtep. Per semplice proporzione ai dati 2019 l’Italia avrebbe in primaria circa 108 e 80 Mtep in finale. Solo i cambiamenti comportamentali a breve termine potrebbero tagliare la domanda di gas e petrolio del 5% dalle famiglie e dall'industria, favorite da misure fiscali come ad esempio aliquote IVA ridotte sui sistemi di riscaldamento efficienti dal punto di vista energetico, isolamento degli edifici ed elettrodomestici e prodotti. Si tratta di 13 Gm3 di gas e 16 Mtep di petrolio. Per l’Italia 3,8 Gm3 e 2,7 Mtep. La chiave di volta della transizione energetica è il massiccio aumento delle energie rinnovabili nella produzione di energia, nell'industria, edifici e trasporti. Per il 2030 si passerà dal 40% al 45% di rinnovabili, la capacità solare fotovoltaica sarà raddoppiata entro il 2025 e entro il 2030 installeremo 600 GW di FER elettriche, 10 volte l’attuale programma italiano. Viene introdotto un obbligo legale di installare pannelli solari sui nuovi edifici pubblici e commerciali e sui nuovi edifici residenziali. Raddoppieremo il tasso di impiego delle pompe di calore e vareremo misure di integrazione del geotermico e dell'energia solare termica negli impianti di riscaldamento pubblici e privati. Andranno abbandonate le procedure autorizzative lente e complesse per i progetti rinnovabili che ora vanno considerati un interesse pubblico prioritario. Le amministrazioni dovranno assegnare aree dedicate a minor rischio ambientale con modalità abbreviate e semplificate per cui la CE fornirà dati e mappe. Entro il 2030 viene fissato un obiettivo di 10 Mt di produzione di idrogeno rinnovabile, 10 Mt di importazioni e 200 M€ di risorse aggiuntive per la ricerca sull’idrogeno, per sostituire gas naturale, carbone e petrolio in settori hard to abate di industrie e trasporti. Una nuova partnership industriale sul biometano e incentivi finanziari potranno aumentare la produzione a 35 Gm3 entro il 2030, anche attraverso la Politica agricola comune. Se i tempi e le cifre della transizione sono chiari e netti e ci porteranno alla neutralizzazione delle emissioni entro il 2050, molto più confuso e incerto appare il percorso italiano. Abbiamo poca cultura, poco coraggio e un sistema mediatico deplorevolmente disinformato. I temi della transizione non vengono affrontati nel dibattito pubblico, mediatico e parlamentare per paura del dissenso. Molti partiti politici e lo stesso Ministero per la transizione ecologica si vanno trastullando con ipotesi impraticabili di ritorno al nucleare, ora perfino al carbone, comunque lasciando ai padroni del gas di affermare il loro dominio sull’energia di oggi e di domani. Gli straordinari vantaggi della transizione energetica, su tutti i piani, dell’economia, dell’ambiente e del welfare, vengono ignorati e mistificati. Paure e timori vengono avanzati ad ogni piè sospinto per difendere uno status quo e degli interessi ormai insostenibili che, per di più, minano la competitività e l’innovazione del paese. La voce più avanzata del sistema imprenditoriale che spinge per la transizione energetica in tempi brevi, parla nel vuoto. Perfino l’occasione del PNRR viene travisata in favore di progetti ed infrastrutture spesso obsoleti ed inutili. Saranno i dati dei prossimi anni a smascherare le mistificazioni. In favore del cambiamento raccogliamo una serie di proposte:
14 Marzo 2022: La situazione energetica in Italia dopo la invasione dell'Ucraina (da:Italy for climate) Da dove viene la nostra energia? Petrolio, gas e carbone: oggi l'Italia è dipendente dall'estero per il 77% dell'energia che consumiamo.
Da alcuni anni il gas ha superato il petrolio diventando la prima fonte energetica in Italia. Le rinnovabili sono cresciute arrivando a soddisfare il 19% del fabbisogno energetico nazionale, il carbone e l'import elettricità contribuiscono in modo minore.
Nel 2021 più di tre quarti della domanda di energia in Italia è stata soddisfatto da import dall'estero di combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) e meno di un quarto da produzione nazionale (principalmente rinnovabili). La dipendenza energetica dell'Italia è fra le più alte in Europa.
La Russia è il primo Paese da cui l'Italia dipende per soddisfare il proprio consumo di fonti fossili (petrolio, gas e carbone). A seguire ci sono Algeria, Azerbaijan e Libia. La produzione nazionale nel complesso copre circa il 5% del consumo di tutti i combustibili fossili dell'Italia.
La Russia è anche l'unico Paese da cui dipendiamo per tutte le fonti fossili: è il primo fornitore nazionale di carbone e gas e il terzo di petrolio. Dall'Algeria dipendiamo soprattutto per il gas, mentre le importazioni da Azerbaijan e Libia riguardano principalmente il petrolio.
La produzione nazionale di gas nel 2021 ha soddisfatto il 4% dei consumi del 2021. Il 90% di quello che importiamo deriva solamente da 4 paesi: Russia (40%), Algeria, Azerbaijan e Qatar.
Il greggio estratto in Italia nel 2021 è stato pari al 7% del consumo nazionale di prodotti petroliferi. Rispetto al gas la dipendenza è più diversificata, ma bastano cinque Paesi per soddisfare i due terzi del nostro import: Azerbaijan, Libia, Russia, Iraq, Arabia Saudita.
L'Italia è totalmente dipendente dall'estero per soddisfare il proprio fabbisogno di carbone. Quasi tre quarti del carbone consumato nel 2021 è arrivato da due soli Paesi: Russia e Usa.
Il ministero dello Sviluppo economico ha aggiornato l'ultima stima delle riserve italiane di combustibili fossili il 31 dicembre 2019. Secondo queste stime in Italia le riserve accertate di gas sono pari a 46 miliardi di metri cubi e quelle di petrolio a 73 milioni di tonnellate. Se includiamo anche le riserve classificate come probabili e possibili saliamo rispettivamente a 112 miliardi di metri cubi e 207 milioni di tonnellate. Se immaginassimo di soddisfare la nostra fame di combustibili fossili per gli usi energetici azzerando le importazioni e dando fondo a tutte le risorse nazionali, per quanto tempo potremo andare avanti? Negli ultimi trent'anni si è ridotta di meno di 10 punti percentuali. Praticamente tutta la riduzione della dipendenza energetica italiana si è verificata fra il 2008 e il 2014, proprio il periodo di massima crescita delle fonti rinnovabili con il raddoppio della produzione nazionale di elettricità verde.
Oggi l'Italia è dipendente dall'estero per il 77% dell'energia che consumiamo. Centrando il target europeo del -55% di emissioni al 2030, in meno di 10 anni grazie all'efficienza energetica e alle fonti rinnovabili l'Italia potrebbe diventare un Paese in grado di soddisfare la maggior parte del proprio fabbisogno energetico tramite le risorse del proprio territorio.
18 Ottobre 2021: Il Rapporto IEA WEO del 2021. IEA sposa gli obiettivi di Parigi Le 386 pagine del Rapporto di quest'anno, accompagnate da un utile Flagship report e da un Executive summary, si autodefinisce una guida per il prossimo vertice sul clima COP 26, evidenziano i divari tra le politiche già in atto, l'ambizione stabilita negli impegni climatici dei paesi e i significativi sforzi aggiuntivi necessari per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C. Queste lacune possono essere colmate nel decennio cruciale fino al 2030, afferma l'IEA, con una spinta massiccia per l'energia eolica, solare e altra elettricità a basse emissioni di carbonio; un'attenzione incessante all'efficienza energetica; un ampio impulso per tagliare il metano dalle operazioni di combustibili fossili e un grande impulso all'innovazione nell'energia green. Una transizione di successo verso gli 1,5 °C creerebbe un mercato da 1,2 trilioni di dollari per l'energia green che rivaleggia con le dimensioni attuali dell'industria petrolifera. Per la prima volta, l'IEA ha posto un percorso conforme a Parigi al centro della sua influente visione. Il suo scenario di emissioni nette zero entro il 2050 (NZE) di 1,5 °C, delineato per la prima volta a maggio, è il percorso più menzionato nel rapporto. Un punto esplicito del Rapporto contraddice gran parte della copertura mediatica mondiale nella sua analisi dell'attuale crisi energetica globale. Le ragioni chiave per i prezzi record includono il rimbalzo economico della pandemia, afferma l'AIE, e non sono legate agli sforzi per passare all'energia pulita. Sebbene lo NZE sia ora uno scenario fondamentale, non è completamente inclusa nelle tabelle dei dati dell'Outlook. È riportato solo a livello globale, contrariamente alle disaggregazioni regionali per STEPS, APS e SDS. Le prospettive di quest'anno vedono un cambiamento significativo nel menu degli scenari dell'IEA. Per la prima volta il nuovo scenario NZE compatibile con gli 1,5 °C è al centro del rapporto. Gli altri due percorsi principali nel rapporto di quest'anno sono scenari esplorativi, nel senso che guardano a ciò che potrebbe accadere, dato l'attuale insieme di politiche e impegni del governo, nonché i cambiamenti previsti nella popolazione, nella crescita economica e nello sviluppo tecnologico. Il primo è lo scenario delle politiche dichiarate (STEPS), basato sulla valutazione dell'IEA delle politiche governative già in atto o in fase di sviluppo. Il secondo è lo scenario degli impegni annunciati (APS), in cui gli impegni del governo sul clima sono pienamente rispettati. Le prospettive includono anche lo scenario di sviluppo sostenibile (SDS) dell'IEA, un percorso ben al di sotto dei 2°C che allineato con l'accordo di Parigi dallo scorso anno. Il vecchio scenario delle politiche attuali, spesso utilizzato in passato per giustificare i continui investimenti nei combustibili fossili, non è più presente. Nel 2019, quando l'IEA ha fatto i primi passi verso gli 1,5 °C, ha affermato che l'obiettivo avrebbe posto sfide che sarebbero state molto difficili e molto costose da superare. Oggi sottolinea i rischi immensi delle emissioni non diminuite, sia in termini di salute umana che di rischi fisici da eventi meteorologici estremi. Non vi è alcuna garanzia che l'emergere di una nuova economia energetica sarà agevole e non si farà abbastanza rapidamente da evitare gravi impatti da un clima che cambia. Ma è già chiaro che l'economia energetica di domani promette di essere molto diversa da quella di oggi. L'IEA afferma che il premio potenziale è enorme per coloro che fanno il salto verso la nuova economia energetica, aggiungendo che il mercato delle tecnologie energetiche green supererebbe il trilione di dollari all'anno entro il 2050 secondo il percorso NZE. Il Rapporto afferma che i posti di lavoro nel settore dell'energia pulita più che compenserà il declino nei settori tradizionali della fornitura di combustibili fossili. La crescita dei posti di lavoro nelle rinnovabili, nelle automobili, nell'efficienza, nella produzione di elettricità e in altri settori supererebbe facilmente le perdite di carbone, petrolio e gas, creando un guadagno netto globale di circa 13 milioni di posti di lavoro entro il 2030 nell'APS e il doppio nello NZE. Secondo l'IEA eolico e solare sono già la fonte più economica disponibile di nuova generazione di elettricità nella maggior parte delle regioni. Questi sviluppi, insieme alle politiche climatiche già in atto nello scenario delle politiche dichiarate (STEPS), significano che le fonti a basse emissioni di carbonio sono destinate a soddisfare quasi tutta la crescita netta della domanda di energia nei prossimi tre decenni. Di conseguenza, mentre l'uso di combustibili fossili riprenderà nei prossimi cinque anni, presto raggiungerà un picco e poi un plateau fino al 2050, anche sotto lo scenario più conservativo dello STEPS, in cui i paesi non riescono a implementare pienamente i loro impegni climatici. Entro settembre 2021 circa 53 paesi e l'UE si erano impegnati a raggiungere emissioni nette pari a zero al 2050, pari a circa i due terzi delle emissioni globali di CO2. Da allora, Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti hanno aggiunto i loro nomi a questa lista. L'IEA afferma che l'impegno della Cina allo zero netto per il 2060 ha un significato globale e che non esiste un percorso plausibile a 1,5 °C senza la Cina. Se i paesi raggiungeranno il loro zero netto e altri nuovi obiettivi climatici, come nell'APS, le prospettive dell'AIE suggeriscono che le emissioni di combustibili fossili raggiungeranno il picco entro il 2025 e poi inizieranno a diminuire rapidamente. Nonostante un picco e un calo dell'uso di combustibili fossili, l'ambizione degli impegni climatici mondiali è ancora ben al di sotto di quanto sarebbe necessario per rimanere al di sotto di 1,5°C. Nel complesso, l'IEA afferma che le emissioni sono destinate a diminuire solo marginalmente entro il 2050 nell'ambito delle politiche attualmente implementate incluse negli STEPS, come mostrato nella figura sottostante. Ciò significherebbe che le temperature nel 2100 raggiungeranno circa 2,6 °C sopra i livelli preindustriali. Sebbene 2,6 °C sia molto lontano dagli obiettivi dell'accordo di Parigi, rappresenta un enorme progresso rispetto alla linea di base pre-Parigi. Se i paesi manterranno i loro ultimi impegni climatici di Glasgow", come nell'APS, il riscaldamento sarebbe limitato a 2,1°C in questo secolo, più vicino, ma ancora molto lontano dall'obiettivo di Parigi. Il divario di attuazione tra l'ambizione dei paesi e le politiche che hanno finora messo in atto, pari a circa 2,6 GtCO2 nel 2030, si colloca tra l'attuale traiettoria verso i 2,6 °C e i 2,1 °C che potrebbero essere raggiunti alla luce degli impegni dei paesi. Inoltre, c'è un divario ambizioso di 12 GtCO2 tra questi impegni e l'obiettivo di 1,5 °C dell'accordo di Parigi, che potrebbe essere raggiunto nello scenario NZE. Ciò significa che gli impegni odierni coprono meno del 20% delle riduzioni delle emissioni necessarie per mantenere a portata di mano il percorso degli 1,5 °C. Tutti i paesi devono fare di più: quelli con impegni di azzeramento netto esistenti rappresentano circa la metà delle riduzioni aggiuntive, in particolare la Cina. Il Rapporto identifica quattro aree chiave in cui i paesi devono compiere progressi fino al 2030 e afferma che oltre il 40% delle azioni coinvolte sono efficaci in termini di costi, puramente in termini di risparmi che creerebbero per i consumatori, rispetto al APS. La prima è una spinta massiccia per un'elettrificazione pulita, basata su un raddoppio della distribuzione eolica e solare rispetto all'APS, insieme a una grande espansione di altre fonti low-carbon, compresa, ahimè, l'energia nucleare ove accettabile. Ciò ridurrebbe le emissioni nel 2030 di circa 5 GtCO2 nel 2030. Viene poi la rapida eliminazione del carbone, entro il 2030 nelle economie avanzate e il 2040 a livello globale, e la fine di nuove decisioni di investimento nel carbone, con il potenziale per evitare 0,8 GtCO2 di emissioni al 2030. Forniture maggiori di elettricità pulita dovrebbero essere integrate da un enorme sviluppo delle infrastrutture elettriche e da tutte le forme di flessibilità della rete per raggiungere complessivamente zero emissioni nette entro il 2035 nelle economie avanzate ed entro il 2040 a livello globale. Le batterie rappresentano circa la metà del totale sotto lo NZE, con l'idroelettrico e le altre rinnovabili che aggiungono un altro quarto. La quota rimanente è principalmente soddisfatta da idrogeno, con ruoli minori per il nucleare e il gas fossile.
La seconda misura chiave è un focus implacabile
sull'efficienza energetica, insieme a misure per temperare la domanda
attraverso l'efficienza dei materiali e il cambiamento dei comportamenti.
Questi potrebbero colmare circa 2,6 GtCO2 del divario di
ambizione. Tuttavia, ciò richiederebbe che l'intensità energetica
dell'economia globale migliori del 4% all'anno fino al 2030, più del doppio
del tasso osservato nel decennio fino al 2020. Le prospettive aggiungono che
oltre l'80% di questi guadagni genererebbe risparmi sui costi per i
consumatori. Sull'attuale balzo dei prezzi dell'energia si raccontano favole Il Rapporto taglia corto sulle bubbole mediatiche sui prezzi energetici. I prezzi di gas, carbone ed elettricità sono saliti ai loro livelli più alti da decenni a causa di una rapida ripresa economica dalla pandemia di Covid-19, un inverno freddo prolungato nell'emisfero settentrionale e interruzioni che interessano l'approvvigionamento di combustibili fossili. è impreciso e fuorviante attribuire la responsabilità alla transizione verso l'energia pulita: le ragioni chiave di questi forti aumenti dei prezzi dell'energia non sono legate agli sforzi per passaggio all'energia pulita. Gli scenari in questa prospettiva descrivono processi di cambiamento fluidi e ordinati. In pratica, tuttavia, le transizioni energetiche possono essere affari volatili e disgiunti, contestati da un cast diversificato di parti interessate con interessi in competizione, e c'è un rischio sempre presente di disallineamenti tra domanda e offerta di energia. I rischi includono le tensioni sul commercio globale poiché le regioni passano all'energia pulita a ritmi diversi e i forti cali nell'uso di combustibili fossili destabilizzano i paesi che dipendono dal reddito dalla loro vendita. Si verificano cambiamenti fondamentali nel modo in cui funzionano i mercati dell'energia poiché l'eolico e il solare costituiscono una quota crescente del mix elettrico. Il contributo di queste rinnovabili variabili raggiunge il 68% del totale globale entro il 2050 nelle NZE – con quote ancora più elevate in alcuni mercati. Affrontare questi cambiamenti richiede ai responsabili politici di mobilitare investimenti in tutte le fonti di flessibilità al fine di mantenere la sicurezza dell'elettricità. 30 Aprile 2021. Gli impegni del nuovo PNRR del Governo Draghi per la transizione energetica Il limite alla crescita della produzione e del consumo di energia, prima che nella scarsità delle risorse, sta nella grave compromissione del clima che è associata al largo uso di combustibili fossili. Con l’Accordo di Parigi, tutti i Paesi del mondo hanno posto fine all’era dell’energia fossile, non più compatibile con gli obiettivi di mantenere l’anomalia della temperatura media superficiale terrestre quanto più possibile vicina ai +1,5 °C a fine secolo. La transizione energetica è questo. È un cambiamento epocale di sistema basato sulle fonti di energia rinnovabile e sul risparmio energetico, i cui conti si fanno sulle emissioni serra consentite, il carbon budget, e non più solo sulle convenienze economiche e di mercato. Le tecnologie rinnovabili ci sono tutte, sono ormai meno costose delle fossili e delle nucleari. La visione globale e gli strumenti politico-amministrativi ci sono. Manca l’adesione di tutte le forze industriali e si sconta la lentezza con cui i governi, pur a parole allineati, stanno reagendo all’Accordo di Parigi che hanno sottoscritto. L’Europa ha fissato il suo percorso con una climate law di prossima pubblicazione e con le strategie 2030 e 2050 per le rinnovabili e l’efficienza energetica. L’Italia deve fare riferimento al Green Deal Europeo con il suo Piano per l’energia e il clima, il PNIEC, per ora obsoleto, contando sugli investimenti messi a disposizione dal Next Generation EU e dagli altri dispositivi di finanziamento europei e nazionali. A tal fine, come concordato con la Commissione, il Governo Draghi ha messo a punto il Piano italiano di Ripresa e Resilienza, il PNRR, che ha presentato in Parlamento il 26 Aprile e mandato in Europa a fine mese. Gli investimenti del Piano si esauriranno in un ciclo quinquennale andando a bersaglio entro il 2026 sotto lo stretto controllo della Commissione europea, in applicazione di una serie di regole di condizionalità tra cui il “do not harm”, cioè l’obbligo che i progetti del Piano non causino danni diretti o indiretti all’ambiente. Al sostegno delle energie rinnovabili, di cui al target SDG 7/2 dell’Agenda 2030, il PNRR assegna 5,9 Mld€ che costituiscono il 3% delle risorse per la transizione ecologica del Piano, dei quali 2,20 per la promozione delle rinnovabili e per le comunità energetiche, 0,68 Mld€ per la promozione di impianti innovativi, 1,1 Mld€ per lo sviluppo dello agrifotovoltaico e 1,98 Mld€ per il biometano. A questi vanno poi aggiunti 3,19 Mld€ per promuovere produzione, distribuzione e usi finali dell’idrogeno che non è disponibile in natura come fonte energetica, ma è un vettore che, se si vuole decarbonizzare, deve essere prodotto con le fonti rinnovabili mediante elettrolisi dell’acqua (idrogeno green) e non con le numerose tecnologie grigie, fossili o nucleari, attualmente dominanti nella pratica industriale. L’idrogeno, se è green, è rinnovabile e può sostituire con vantaggio il gas naturale e trovare impego in numerosi settori, nei trasporti pesanti, dove si usa nelle celle a combustibile, nell’aviazione, nelle applicazioni industriali nella produzione dell’acciaio etc. L’esame del testo del PNRR, in assenza delle schede attuative dei singoli progetti, lascia non pochi dubbi e problemi aperti. In materia di fonti rinnovabili sappiamo cosa c’è da fare. L'energia rinnovabile gioca un ruolo fondamentale per la realizzazione del Green Deal europeo e per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Abbiamo raggiunto in Italia l’obiettivo obbligatorio del 17% di rinnovabili in energia primaria al 2020 e in Europa del 20%, ma abbiamo solo un decennio per obiettivi molto più ambiziosi. Una prima bozza della prossima direttiva dell'UE sulle energie rinnovabili, che sarà presentata il 14 luglio come parte di un più ampio pacchetto di leggi intese a soddisfare i nuovi obiettivi climatici, conferma l'obiettivo del 38 - 40% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, raddoppiando all'incirca la quota di solare, eolico e altre rinnovabili nel mix energetico europeo entro la fine del decennio. Ci sono numerose proposte per aumentare tale target. L'attuale direttiva è stata aggiornata l'ultima volta nel 2018, quando mirava a una quota del 32% di energie rinnovabili nel mix energetico dell'UE entro il 2030. Portare questo obiettivo al 38-40% significa raddoppiare all'incirca la quota di energie rinnovabili, che attualmente soddisfano circa il 20% del fabbisogno energetico. La nuova direttiva dovrebbe comprendere:
Il PNRR non è adeguato a queste prospettive, anche alla luce di una situazione di prolungato stallo delle rinnovabili in Italia. Per mantenere la traiettoria di decarbonizzazione, l’Italia deve incrementare lo sviluppo delle rinnovabili elettriche per più di 6 GW/anno, mentre non stiamo andando oltre gli 0,8 GW/anno. Oggi disponiamo di 20 GW. Il piano ignora quasi completamente la necessità di indicare i target per le energie rinnovabili. Lo stesso MITE, per dichiarazione del Ministro Cingolani, mira ad una penetrazione delle FER elettriche al 72% al 2030 rispetto al 35% attuale. Tuttavia il PNRR prevede risorse per soli 4 GW, per le comunità energetiche e l’agrifotovoltaico, per tutta la durata del Piano. In tutti i casi non sono previste riforme sulla regolazione e la fiscalità energetica che permetterebbero di trasformare l’incentivo in una politica di sviluppo. Solo 200 MW con 0,68 Mld€ sono destinati allo sviluppo di rinnovabili incluso l’eolico off-shore. Tra le novità positive possiamo comunque rilevare lo sviluppo dell’agrifotovoltaico, la realizzazione di comunità energetiche nei piccoli comuni, una spinta alla produzione di biometano, i progetti di riforestazione urbana e periurbana e il finanziamento alle bonifiche. L’importante stanziamento sul biometano, fonte che può contribuire alla decarbonizzazione, rischia però, in assenza di una politica agricola orientata alla riduzione delle emissioni e dei capi allevati non solo di mantenere i loro impatti su ambiente e salute, ma addirittura di stimolare richieste per nuove autorizzazioni, in aree già fortemente colpite dagli impatti del settore zootecnico intensivo. Il biometano, ricavato purificando il biogas che si produce mediante digestione anaerobica di scarti e liquami, è perfettamente sostituibile al gas naturale. Inutile sottolineare che si tratta comunque di una risorsa scarsa, che proviene circolarmente da scarti organici poco abbondati. Né si può pensare di mettere la produzione di biogas in competizione con gli usi agricoli del territorio. La disponibilità massima prevedibile di biometano è di 3,44 Gm3/anno, poco più del doppio del consumo di gas naturale di 1,6 Gm3/anno nel settore trasporti, pari al 2% del consumo totale di gas, 73,77 Gm3/anno nel 2019. Più convincente è l’impegno per la riforma del sistema delle autorizzazioni, il potenziamento degli investimenti pubblico - privati, la incentivazione di meccanismi di accumulo, sulla cui voce, però non viene identificato un budget. Manca la mobilitazione degli investimenti privati ed in particolare del comparto industriale. Il Piano fa riferimento unicamente ai tetti delle aziende agricole per 4,3 km2 ignorando che le industrie, e le imprese, i capannoni industriali, le aree dismesse, le aree degradate dispongono di 9000 km2 utilizzabili. Mancano risorse e strumenti per attivare questi potenziali mediante gli strumenti fiscali e gli incentivi. Le fonti rinnovabili associate a sistemi di stoccaggio non sono più intermittenti e non prevedibili. Non c’è quindi alcun bisogno delle fonti fossili, nemmeno del gas. Il PNRR è incerto nello sviluppo degli accumuli elettrochimici, per cui c’è solo una voce di 1Mld€ da spartire con lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili. È assente lo sviluppo del pompaggio idroelettrico, non incluso né nel budget, né nelle riforme né nelle proposte di regolazione e di strumenti di finanza per incrementarne la capacità. Eppure il PNIEC, nella sua versione non aggiornata, identifica un obiettivo di 10 GW di nuovi accumuli al 2030. Non è visibile un contributo sostanziale dal PNRR a tale obiettivo. Il Piano Draghi, rispetto alla versione precedente, introduce un miglioramento sul numero di facility e di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici, ma al di sotto di quello che servirebbe nell’immediato anche per rimuovere quello che sembra un ostacolo alla loro diffusione. Più significativo l’impegno per lo sviluppo dell’idrogeno, 3,64 Mld€. Molta parte del testo è dedicato alle prospettive industriali e civili di questo gas. Tuttavia scompare l’obbligatorietà dell’etichettatura green dell’idrogeno e questo introduce ambiguità rispetto alla possibilità di produrre idrogeno blu, soprattutto nel settore della chimica. L’idrogeno va usato solo se ricavato dall’elettrolisi dell’acqua. In materia di efficienza energetica, cui il target SDG7/3 impone un preciso obiettivo di miglioramento al 2030, vengono stanziati 22,26 Mld€ di cui 15,54 dal NGEU e 6,72 da Fondo complementare. Circa 20 Mld€ sono destinati agli edifici attraverso l’ecobonus del 110%. Nulla è dedicato all’efficienza nell’industria nonostante l’immenso potenziale di risparmio ed i benefici economici associati. Al sistema produttivo vengono allocati 31 Mld€ senza citare l’energia e l’efficienza. Affidarsi unicamente al 110% significa rinunciare a fare leva sugli investimenti privati. Il meccanismo ha noti limiti come la richiesta di miglioramento di sole 2 classi energetiche invece di più stringenti obiettivi di reale efficienza. Il 110% include l’edilizia popolare ma il meccanismo non assicura l’efficientamento di questo settore che richiede da solo investimenti per 15-20 Mld€. Risulta drasticamente tagliato il budget per le scuole, da 6,42 a 0,8 Mld€. 3,9 Mld€ sono rintracciabili nel budget di ristrutturazione dell’edilizia scolastica senza però porre l’efficienza energetica come obiettivo prioritario. Si continuano a incentivare anche tecnologie fossili come le caldaie a gas. La questione della povertà energetica di cui allo SDG 7/1 è appena nominata a pag. 141, senza obiettivi né target, ma solo come ricaduta dei provvedimenti di incentivazione dell’efficienza energetica in edilizia. Che si possa trattare di una ricaduta indiretta è tutto da dimostrare. Nessun cenno alla cooperazione internazionale che, in materia di fonti rinnovabili e di risparmio energetico e di trasferimento di tecnologie, potrebbe apportare grandi benefici all’Italia in termini commerciali, ma anche di abbattimento delle emissioni, tranne quanto viene detto per la compartecipazione in Europa in materia di eolico offshore, che non è aiuto allo sviluppo. Marzo 2020. Intervista sull'energia in Italia (di Toni Federico)) 1. L’andamento dello SDG 7 appare in costante miglioramento a livello mondiale, trainato dalla possibilità di accesso all’energia nelle aree urbane. La popolazione che non ha accesso alle fonti energetiche si concentra per l’87% nelle aree rurali. Si nota un miglioramento della quota di produzione delle energie rinnovabili, passata 16,6% del 2010 al 17,5% del 2015. Come si costruisce tale indicatore aggregato? Quali sono le variabili più importanti, secondo lei? R) Il Goal 7 è tra quelli espressi con maggior chiarezza nell’Agenda 2030 con i suoi target e gli indicatori molto precisi e significativi. La questione dell’energia è cruciale per lo sviluppo, qualunque ne sia la visione. Per chi si accontenta, diciamo così, del business as usual, il mercato dell’energia è fiorente ed equilibrato, domanda e offerta si incontrano perfettamente e gli utili del settore sono spettacolari. Se però si smette di considerare l’energia soltanto una commodity, e si considera che è qualcosa di molto vicino ad un bene comune, le cose cambiano. L’enorme balzo in avanti della ricchezza globale, lo sviluppo tecnologico, l’innovazione e lo stesso benessere sono stati permessi proprio dalla crescente disponibilità di energia a basso costo, unita alla straordinaria flessibilità dell’energia elettrica sia in termini di produzione che di distribuzione. Lo stesso si potrebbe dire per la stessa crescita della popolazione mondiale, effetto di molti fattori ma in particolare dall’aumentata produttività e produzione agricola sostenuta dalla disponibilità di energia. Inutile dire che gran parte dell’energia, una volta assicurata dalle biomasse legnose e dal lavoro animale, è ora fornita dai combustibili fossili, carbone, petrolio e gas, in una misura pari nel 2018 all’80% del totale. Pericoli di shortage della disponibilità di materie prime combustibili, un fenomeno a lungo temuto, nell’immediato non ce ne sarebbero, dopo l’ingresso sul mercato delle tecnologie di fracking, ma tutto il modello di produzione e consumo dell’energia è pesantemente insostenibile. Innanzitutto è responsabile della compromissione del clima, inoltre è causa del grave degrado della qualità dell’aria, dallo smog londinese a quello pechinese di oggi. È causa inoltre di quello che Sir Nicholas Stern ha definito il più grave fallimento del mercato[1], dal momento che le esternalità generate dal sistema energetico sulla salute, sull’ambiente e sulla qualità della vita sono sistematicamente ignorate dal mercato e scaricate sulla collettività. Per non parlare dei disastri, dei pericoli e delle scorie perenni dell’energia nucleare, uno degli esercizi di sviluppo tecnologico più inutili e pericolosi della storia dell’umanità. In questo quadro, per rispondere alla sua domanda, l’Agenda 2030 stabilisce le regole per un modello energetico sostenibile attraverso le categorie dell’accessibilità, della rinnovabilità e dell’efficienza, che sono effettivamente i fattori chiave del sistema energetico. I trend sono favorevoli, ma i valori assoluti sono insufficienti e l’obbiettivo dello sviluppo sostenibile è lontanissimo. Il percorso di cambiamento, che chiamiamo transizione energetica, comporta la decarbonizzazione dell’energia, come prescrive l’Accordo di Parigi sul clima del 2015[2]. Secondo il recente Rapporto speciale SR15 dell’IPCC, che era stato commissionato proprio a Parigi per capire cosa si sarebbe dovuto fare per non superare a fine secolo gli 1,5 °C di riscaldamento medio globale, la transizione va conclusa entro il 2050[3]. Gli indicatori dello SDG 7 sono chiari, gli obiettivi al 2030, pur incompleti per le fonti rinnovabili, sono espliciti. La combinazione in un indicatore unico, sia globale che per i singoli paesi, si fa sempre per combinazione lineare delle variabili guida normalizzate senza attribuzione di pesi. L’andamento a scala globale è confortevolmente crescente. Lo stato delle cose è il seguente: l'accesso all'elettricità nei paesi più poveri ha iniziato ad accelerare, l'efficienza energetica continua a migliorare e l'energia rinnovabile sta facendo progressi anche nel settore elettrico. Nonostante questi progressi, circa 800 milioni di persone rimangono senza elettricità mentre l'accesso all’energia pulita per cucinare migliora ma è insufficiente. Oltre 2,6 miliardi di persone non hanno accesso a modalità di cottura pulite, e si devono servire di biomassa solida, cherosene, paraffine o carbone come combustibile principale per la cottura. Questa cifra è gradualmente migliorata in riferimento ai 2,9 miliardi del 2010, ma quasi un terzo della popolazione deve fare ancora affidamento su sistemi di cottura inefficienti e inquinanti[4]. La disponibilità di energia elettrica ha raggiunto in media l'89% nel 2018, 96% nelle città e 79% nelle campagne, con un trend su base annua che a cavallo del secolo è passato da 0,5 a 0,89%[5]. Tuttavia, circa 840 milioni di persone in tutto il mondo non hanno ancora accesso all'elettricità. Entrando nel tema dell’energia rinnovabile bisogna ricordare che sono ancora in campo energie rinnovabili primitive, come quelle secolari derivate dalla combustione del legno. Per valutare il progresso delle rinnovabili le statistiche escludono dalle bioenergie l'uso tradizionale della biomassa, legna da ardere, carbone e rifiuti organici per la cottura, che è concentrato in Asia e nell'Africa sub-sahariana e resta uno dei principali fattori dell'inquinamento dell'aria indoor e delle relative morti premature. L'uso tradizionale della biomassa rappresenta ora il 6% del consumo finale totale, in calo rispetto al 9% nel 2000. Tra le rinnovabili nuove domina l’energia idroelettrica, rinnovabile ma non sempre sostenibile nel caso delle dighe sui grandi fiumi. Le nuove fonti emergenti sono eolico, solare fotovoltaico e biocombustibili. Sommando tutto si arriva però appena all’11% dell’energia primaria globale e la strada per la decarbonizzazione appare interminabile. La generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili vale oggi oltre un quarto della generazione totale e ha rappresentato il 56% dell'aumento dell'uso di energia rinnovabile dal 2000. Il contributo del solare fotovoltaico è stato particolarmente forte negli ultimi tre anni, rappresentando quasi un terzo della crescita in questo periodo, una quota solo leggermente inferiore rispetto all’eolico. Dal 2012 la crescita delle energie rinnovabili ha superato la crescita del consumo totale di energia. Le moderne bioenergie rappresentano il 50% del consumo totale finale di energia rinnovabile per il loro uso come combustibili per il calore e i trasporti e, in misura minore, per la produzione di energia. Il terzo target dello SDG 7 richiede un raddoppio del tasso globale di miglioramento dell'efficienza energetica rispetto al tasso medio di miglioramento dell'1,3% nel periodo 1990 - 2010. L'intensità energetica primaria globale per unità di PIL, è migliorata da 134 nel 2010 a 117 toe/MUS$2015ppp nel 2016, un tasso di miglioramento del 2,3% per cento, che è ancora inferiore al tasso annuo del 2,7% necessario per raggiungere l'obiettivo. I trend dell'intensità energetica globale sono aumentati nella prima parte di questo decennio, ma il miglioramento dell'1,7% nel 2017 ha segnato il secondo anno consecutivo di rallentamento e l'analisi per il 2018 mostra un miglioramento ancora più lento, dell'1,3%[6]. Sono dati che si collocano ben al di sotto dell'obiettivo. Il recente rallentamento è il risultato di una più debole attuazione della politica di efficienza energetica in molte grandi economie, nonché di una forte crescita della domanda in economie a più alta intensità energetica. Le politiche pianificate, a partire dagli scenari dichiarati dai vari paesi, sono progettate per ottenere un miglioramento dell'intensità energetica al tasso medio annuo del 2,4% al 2030, quasi il doppio del tasso di progresso osservato nel 2018. Il progresso necessario per l’obiettivo del 2030 impone da ora in avanti un tasso annuo di miglioramento del 2,9%. A margine delle considerazioni relative alla costruzione dell’indicatore composito dell’energia sostenibile, meritano una citazione i flussi finanziari internazionali verso i paesi in via di sviluppo a sostegno dell'energia pulita e rinnovabile. Hanno raggiunto i 18,6 miliardi di US$ nel 2016, quasi raddoppiando rispetto ai 9,9 miliardi di US$ nel 2010. Positivo quindi anche l’andamento relativo ai target 7a e 7b.
2. Il rapporto ASviS 2020[7] indica che la situazione europea è migliorata velocemente tra il 2010 e il 2014, ma si è stabilizzata successivamente. Con la ripresa economica è aumentato il consumo di energia totale, dopo che per anni era cresciuto solamente il consumo di energie rinnovabili. Attraverso l’utilizzo delle rinnovabili, il Green Deal proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen si pone l’ambizioso obiettivo di rendere l’Unione Europea climaticamente neutra entro il 2050. Quali potrebbero essere le azioni più importanti da intraprendere? R) Il Rapporto ASVIS sull’Europa, per costruire l’indicatore composito dello SDG 7 utilizza gli indicatori proposti da Eurostat per gli SDG, non quelli canonici UN-STAT.
Gli indicatori componenti per l’energia sono i seguenti:
Il metodo di composizione è lo stesso AMPI adottato nei Rapporti sull’Agenda 2030 per l’Italia e negli indicatori del benessere equo e sostenibile, il BES dell’Istat[8]. L’indicatore composito per il Goal 7 in Europa è migliorato stabilmente fino al 2014 e poi si è appiattito. La tendenza positiva è dovuta all'aumento della quota di energia rinnovabile nei consumi finali, in linea con l’obiettivo europeo del 20% entro il 2020, e alla riduzione dal 2005 del consumo di energia delle famiglie. Tuttavia, con la ripresa economica del 2014 il consumo finale di energia è di nuovo in crescita, ed è altamente probabile che l'obiettivo per il 2020 dell'Unione Europea per l’efficienza energetica non sarà raggiunto. Nonostante le differenze significative nei livelli di consumo dei vari Paesi, quasi tutti mostrano risultati e tendenze abbastanza simili. Il continuo peggioramento del clima e i pesanti prezzi che l’Europa sta già pagando, basti pensare a Genova e a Venezia, sono tra le ragioni per cui il nuovo gruppo dirigente dell’Unione ha posto il cambiamento climatico tra le prime emergenze per lo sviluppo ed ha lanciato, ricordando Roosevelt, un nuovo Patto per lo sviluppo green. Ma le ragioni di questo Green Deal sono anche altre. La decarbonizzazione dell’economia è necessaria ed urgente per il mondo intero e richiede sostanziali innovazioni tanto nel modo di produrre che di consumare, non solo l’energia ma anche tutto quanto ha implicazioni indirette con energia e clima, cibo, materie plastiche, mezzi di trasporto, infrastrutture ed altro ancora. Quello che sta succedendo nel mondo è che la mediazione delle Nazioni Unite nel negoziato multilaterale sul clima, dopo il grande successo dell’Accordo di Parigi del 2015, stenta a procedere con la velocità necessaria. Da un lato gli stati Uniti di Donald Trump hanno abbandonato l’Accordo ma non la Convenzione[9], circostanza che consente loro di porre ostacoli ad ogni cosa fino a portare le Conferenze delle Parti vicino al fallimento, come è avvenuto a Madrid nel dicembre scorso. Altri negazionisti di comodo si sono accodati agli Stati Uniti. Arabia Saudita, Brasile, il killer dell’Amazzonia e Australia, nonostante gli incendi boschivi dell’estate in corso, danno una mano mettendosi di traverso al negoziato. I grandi, Cina ed India, pur dichiaratamente schierati in favore della lotta ai cambiamenti climatici, sono rallentati dalla difficoltà di fare a meno del loro carbone e dal ruolo di rappresentanti dell’intero schieramento dei Paesi in via di sviluppo. Questi non intendono assumersi il carico di abbattimento delle emissioni fino a che i paesi occidentali continueranno a sottrarsi agli impegni solennemente assunti dieci anni fa di finanziare la lotta ai cambiamenti climatici con il Fondo green[10]. Questo Fondo avrebbe dovuto essere finanziato per 100 Mld US$/anno entro il 2020 e non ha raggiunto nemmeno il 10% del dovuto. Per provare a mettere un argine a tutto questo si è così formata una coalizione di volenterosi, con l’Europa innanzitutto, con i Paesi del Nord e quelli già gravemente compromessi dall’innalzamento delle acque dell’oceani. Da soli non ce la possono fare, ma l’Europa ha capito che mettersi alla testa dell’innovazione tecnologica che la decarbonizzazione comporta le farà guadagnare il vantaggio importantissimo di prime mover sul mercato e poi, probabilmente, finirà per trascinare anche gli altri. È una strategia di tipo win-win, di doppia convenienza. Per riuscire richiede un grande sforzo, investimenti abbondanti e una straordinaria determinazione nel perseguire gli obiettivi. Visto dall’Italia sembra un altro mondo ma, con l’aiuto di Greta, questo altro mondo è possibile. Nel discorso di insediamento[11] la nuova Presidente, Ursula Von der Leyen, una popolare neanche troppo green, dice: La nostra sfida più pressante è la salute del pianeta. È la responsabilità più grande e l’opportunità maggiore dei nostri tempi. Voglio che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero del mondo entro il 2050. Per riuscirci, dobbiamo prendere, insieme, misure coraggiose. Il nostro attuale obiettivo — ridurre le nostre emissioni del 40 % entro il 2030 — non è sufficiente… Dobbiamo fare di più. Dobbiamo perseguire obiettivi più ambiziosi. È necessario un approccio in due fasi per ridurre le emissioni di CO2 del 50 %, se non del 55 %, entro il 2030. L’UE guiderà i negoziati internazionali volti ad aumentare il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021. Infatti, per produrre un impatto reale, occorre non solo essere più ambiziosi a livello europeo - obiettivo necessario, certo -, ma che il mondo intero avanzi nella stessa direzione. Per giungere a questo traguardo, presenterò un Green Deal per l’Europa nei primi 100 giorni del mio mandato. Proporrò la prima vera e propria Legge europea sul clima, che tradurrà l’obiettivo del 2050 in disposizioni giuridicamente vincolanti. Se mi chiede quali sono le azioni più importanti da intraprendere. A mio parere:
3. Come si intrecciano il goal 7 e il goal 13 (lotta al cambiamento climatico)? Quanto un miglioramento del goal 7 influisce sui target del goal 13? R) C’è un problema di salvaguardia del pianeta che non può sopportare un global warming al di sopra dei 2°C di anomalia a fine secolo, come recita l’Accordo di Parigi. Ma c’è un grave problema di iniquità distributiva, tra le nazioni e anche tra i poveri e i ricchi dei paesi avanzati. L’Agenda 2030 e l’SDG 7 mettono bene in evidenza entrambi gli aspetti ed anche l’obbligo di chi ha di più di assistere chi ha di meno o, nel caso dell’energia, chi non ha niente. Ad oggi il consumo pro capite all’anno di energia[13] degli Stati Uniti è di 295 Gjoule, circa 7 Mtep, tonnellate di petrolio equivalente, l’Europa è a 127, la EU 28 è a 139, l’Italia è a109, la Cina è a 97, l’India è a 25 e i paesi africani in media a 15, ma scendono anche sotto i 5 Gjoule, che equivalgono a poco più di 100 chili di petrolio per persona e per anno. Lo SDG 7 spinge giocoforza in due direzioni opposte, dare energia a tutti e ridurre i consumi globali di energia. Lo SDG 13 chiede di ridurre le emissioni climalteranti di tutti gli usi energetici. Le fonti rinnovabili risolveranno il problema delle emissioni di CO2 assieme alle altre strategie di decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti, del settore civile, dell’agricoltura etc. Saranno rinnovabili anche le fonti che daranno energia ed elettricità alle popolazioni ed ai paesi che ne sono privi, ma il risparmio energetico è tutto sulle spalle dei paesi avanzati. Un calcolo approssimativo ci dice che un equilibrio sostenibile si dovrebbe poter trovare con tutti i Paesi e tutte le persone portate al consumo annuo pari a quello odierno dell’India. Non siamo però su quella strada e non si vede per ora, ad esempio, come convincere un cittadino americano a ridurre i suoi inutili consumi energetici di oltre 10 volte. Da tutto ciò deriva che la lotta ai cambiamenti climatici passa essenzialmente per le vie dell’energia e che per vincerla ci vorrà una completa decarbonizzazione delle economie entro la metà del secolo. Decarbonizzare vuol dire riportare le emissioni serra entro le generose capacità di assorbimento dell’ecosistema terrestre, oceani e terraferma. Ma se ciò non sarà possibile si parlerà di neutralizzazione, cioè di capacità di sottrarre all’atmosfera la CO2 in eccedenza che verrebbe ancora emessa. Le tecnologie di cattura e sequestro della CO2 sono però ancora ai primi passi ed incerte dal punto di vista tecnologico e della sostenibilità. Ma questa questione richiede un discorso a parte. Per quanto riguarda l’aiuto ai paesi in via di sviluppo, sia in denaro che in progetti per lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle reti elettriche di distribuzione, gli ultimi due target del Goal 7 e quelli dello SDG 13 sono praticamente coincidenti, così come identica è l’inadempienza dei paesi occidentali. 4. Secondo il Rapporto ASviS 2020 sull’Europa, l’indicatore del Goal 7 è superiore alla media europea. L’indicatore italiano al 2018, pubblicato di recente, mostra dal 2014 a oggi un peggioramento. In particolare, la quota di utilizzo delle energie rinnovabili sul totale è diminuita di sei punti percentuale negli ultimi 4 anni. Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza del belpaese? Quali sono le energie rinnovabili sulle quali il governo italiano dovrebbe investire maggiormente? Storicamente, il limite delle energie rinnovabili è rappresentato dalla scarsa possibilità di stoccare le risorse. Qual è la situazione odierna? Quali sono i migliori meccanismi d’incentivazione dell’autoconsumo, ovvero il personale utilizzo di energia prodotta dai soggetti privati attraverso gli impianti installati nelle proprie case?
R) L’indicatore composito del Goal 7, elaborato da ASVIS per l’Italia, è costruito su tre indicatori[14],[15]:
Nel grafico presentiamo l’andamento dell’indicatore composito arricchito con gli ultimi dati ora disponibili per il 2018. Si osserva quanto già sapevamo, cioè una decisa salita a partire dal 2010, seguita da un peggioramento a valle del 2014. Dopo una sostanziale stasi per tre anni, il 2018 segna una ripresa importante, non tale però da recuperare il picco del 2014. Per comprendere i fenomeni in corso conviene andare ad analizzare i singoli indicatori componenti[16]. Lo share di energia rinnovabile nei consumi finali lordi di energia raggiunge il 18,1% nel 2018, due decimi in meno del 2017, che è l’anno migliore della serie storica (in tabella)[17]. ASVIS utilizza un consumo percentuale che comprende il settore trasporti. L’indicatore che non lo contiene ha una serie storica parallela a quella complessiva essendo 16,2% nel 2014, poi 16,6 nel 2015 e 2016 e 17,4% nel 2017. Non è dunque questo il driver del peggioramento segnalato dall’indicatore composito.
L’andamento peggiore, che alla fine determina il cattivo andamento dell’indicatore composito, è quello della quota di energia rinnovabile nella generazione di energia elettrica. In Italia, il contributo delle fonti rinnovabili al consumo di energia elettrica (CIL) è cresciuto rapidamente nel corso del tempo, dal 13,8% del 2005, fino al 37,5% del 2014. Gli ultimi anni segnano però un’inversione di tendenza e la percentuale di consumi di energia elettrica coperta da fonti rinnovabili diminuisce nel 2015-2016, per calare ulteriormente di 2 punti nel 2017 e raggiungere il 31,3%. La ripresa dei consumi percentuali rinnovabili del 2018 ci riporta al 34,5%. Merita ricordare che su scala mondiale un fenomeno analogo si sta determinando per effetto dell’arresto della crescita della capacità addizionale installata di impianti per produrre energia elettrica con fonti rinnovabili[18]. Da 18 GW nel 2001 si era arrivati a 177 GW aggiuntivi all’anno nel 2017. Nel 2018, per la prima volta dopo tanti anni, la crescita annua si è fermata allo stesso livello dell’anno precedente. Analizzando nei dettagli, la capacità aggiuntiva degli impianti idroelettrici è diminuita da 25 a 20 GW tra 2017 e 2018, probabilmente a causa dei regimi idrici alterati dal cambiamento climatico. Le bioenergie e l’eolico sono cresciute anche nel 2018, da 7 a 9 GW le prime e da 48 a 50 GW il secondo. Si è fermato a 97 GW il solare fotovoltaico a causa soprattutto dalla Cina, paese nel quale la capacità aggiuntiva delle rinnovabili elettriche è diminuita nel 2018 da 82 a 77 GW. Per quanto riguarda l’Italia il paradosso è che già la vecchia Strategia Energetica Nazionale del 2018, la SEN, prevedeva di aumentare l'elettricità da fonti rinnovabili dal 33,2% del consumo finale lordo del 2015 al 55% nel 2030, con un aumento programmato della produzione di elettricità rinnovabile di circa 80 TWh, pari ad oltre 5 TWh all'anno per quindici anni. Per di più il Decreto per l'incentivazione dell'elettricità da fonti rinnovabili, con il concerto dei due Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente[19], aveva programmato per il periodo 2018-2020 nuovi impianti per circa 6,3 GW ogni anno.
Nel 2018 abbiamo appena 1 GW di potenza aggiuntiva rispetto al 2017, in gran parte merito dell’eolico. La capacità installata totale raggiunge così i 54,4 GW per una produzione annua di 114,7 TWh di energia elettrica. La netta ripresa nel 2018 fino al 34,4% dei consumi elettrici è frutto dell’idroelettrico, ripresosi dalla siccità dl 2017, cui si deve buona parte degli 11 TWh generati in più. Il terzo indicatore componente è l’intensità energetica, che è definita dal rapporto tra energia primaria e PIL e che quindi, in Italia, dove il PIL è praticamente fermo negli ultimi anni, finisce per essere un corrispettivo dei consumi di energia primaria. Nel 2014 avevamo effettivamente avuto un minimo per i consumi di energia pari a 151,8 Mtep. Rilevato l’andamento del PIL negli anni sotto osservazione, e i dati Eurostat sui consumi di energia primaria, l’andamento dell’intensità energetica è quello riportato nella tabella seguente. Come si vede, negli anni successivi al 2014 l’intensità energetica italiana peggiora fino ad avere nel 2017 un aumento del 2,7%. Tuttavia nel 2018 c’è un recupero che porta il deficit rispetto al 2014 a poco più di mezzo punto percentuale. Si tratta di variazioni esse pure riflesse nell’indicatore composito. L’aumento dei consumi a ritmi superiori al PIL si spiega con una ripresa dei consumi energetici primari poco efficiente, più netta che nei consumi finali, anche qui per il declino della quota delle fonti rinnovabili. L’intensità energetica finale è addirittura in miglioramento nel periodo 2014 – 2017, ma nell’indice composito va l’intensità primaria. È chiaro che siamo lontanissimi dal target SDG 7.3 che prescrive una riduzione dell’intensità a ritmi crescenti nel tempo.
A conti fatti la debolezza italiana sta nella incapacità di sostenere un trend crescente per l’energia elettrica rinnovabile. Sostanzialmente si tratta di un problema di policy e di accettabilità pubblica, che va affrontato con mezzi ben diversi da quelli degli attuali decreti FER. C’è anche chiaramente un problema di gestione corretta e sostenuta degli incentivi, che sarebbe facilitata dal fatto che le fonti elettriche rinnovabili sono ormai vicine alla grid parity[22], in misura maggiore o minore. Quando si parla di incentivi, non bisogna mai dimenticare che sono in atto forti incentivi ai combustibili fossili che, anche se l’Agenda 2030 non lo prescrive, dovranno essere gradualmente eliminati, fattore che sul mercato favorirà le fonti elettriche rinnovabili. Dall’ultimo rapporto del GSE si evince che i costi sostenuti per l’incentivazione e il ritiro dell’energia elettrica sono stati di 13,4 G€ nel 2018, in calo rispetto ai 14,2 G€ del 2017, anche per la minor produzione fotovoltaica. Ritirando e collocando sul mercato elettrico 30,6 TWh, nel 2018 il GSE ha realizzato un ricavo di 1,8 G€, circa 100 M€ in più del 2017. Il netto degli incentivi è stato nel 2018 di 11,6 G€ che abbattono di quasi un miliardo di euro il peso sostenuto in bolletta dagli utenti rispetto ai 12,5 G€ del 2017. La Fondazione per lo sviluppo sostenibile[23] evidenzia alcuni elementi positivi nei decreti per le rinnovabili, tra cui il contingente di potenza incentivabile incrementato del 10-20%, la stabilizzazione dello schema incentivante per gli impianti esistenti e la ridefinizione della tempistica dei pagamenti degli incentivi. Rileva però nel provvedimento alcuni elementi di criticità come la mancata semplificazione dei procedimenti amministrativi che oggi sono uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo delle rinnovabili. Inoltre il sistema delle tariffe non tiene sempre in debito conto le peculiarità delle singole tecnologie e propone incentivi più bassi degli attuali con tassi di riduzione negli anni in molti casi insostenibili. Riserve vengono anche espresse sul meccanismo delle aste la cui efficienza non è comprovata. Per venire ad un altro punto della domanda, non è poi chiaramente vero che l’energia rinnovabile sia priva di capacità di stoccaggio, anzi l’energia idroelettrica è l’esempio storico dello stoccaggio energetico nei bacini di montagna. Il limite dell’energia idroelettrica è invece la impossibilità di espandere il suo potenziale di produzione, poiché non ci sono altri bacini da sfruttare. Per quanto riguarda solare fotovoltaico ed eolico, fonti intermittenti per natura, la soluzione si troverà con la sostituzione dell’attuale rete elettrica analogica con una smart grid[24] intelligente, digitale e dotata di capacità di stoccaggio con batterie ed altro. Conta anche il potenziamento dell’interconnessione europea. Una smart grid continentale è un requisito chiave dei progetti di decarbonizzazione del Green Deal che apporterà investimenti ed occupazione. Per quanto riguarda l’autoconsumo va innanzitutto rilevato che le leggi di bilancio 2019 e 2020 hanno finalmente cominciato ad occuparsene, garantendo il diritto a formare consorzi e cooperative per l’autoconsumo cui si dà finalmente la facoltà di commerciare la propria energia. C’è un problema per l’autoconsumo off-grid che sfuggirebbe al pagamento degli oneri di sistema. La questione è controversa e andrà ulteriormente chiarita. Altri limiti riguardano gli aspetti architettonici ed estetici, ma anche funzionali, che limitano le installazioni domestiche urbane del fotovoltaico. L’Italia è un paese ricco di valori storici e paesaggistici che non si possono violare. Ci sono però periferie immense senza pannelli sui tetti. Va quanto meno rivendicato che le nuove costruzioni in edilizia dovranno essere al più presto ad emissioni zero e dovranno produrre al loro interno l’energia necessaria. Il migliore incentivo all’adozione di forme, anche parziali, di autoconsumo rinnovabile è il risparmio dei costi dell’energia sulla bolletta, in un quadro generale di rapida riduzione dei costi dei pannelli solari e dell’hardware impiantistico. Si consideri che l’altrettanto conveniente ed attrattivo sviluppo delle auto elettriche, che consente la sostituzione delle auto diesel e benzina favorita da importanti incentivi, rende ancora più conveniente produrre in casa l’energia elettrica per la ricarica delle batterie. Il GSE conferma che cittadini, condomini, amministrazioni pubbliche e imprese, che scelgano di autoconsumare l'energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico, accedono ad una serie di vantaggi economici[25]:
5. Come potrebbe essere superata la diffidenza delle comunità locali nei riguardi di alcune forme di energia rinnovabile, come i grandi impianti eolici? Quale potrebbe essere la giusta via di mezzo tra la visione complessiva che dovrebbe essere sostenuta dal governo centrale e l’ascolto della popolazione locale? R) Il rumore delle pale eoliche causa il cancro, secondo una dichiarazione di Donald Trump. Il presidente americano, durante il discorso tenuto durante il Comitato Nazionale del Congresso Repubblicano, ha dichiarato che se si vive vicino a una turbina eolica, non solo l’abitazione scende di valore ma si rischia di contrarre un tumore. Se ami gli uccelli, ha detto, non vorrai mai camminare sotto una turbina eolica, perché è una vista molto triste, è come un cimitero. Poiché vive negli USA gli manca l’argomento della violazione dei valori paesaggistici, che è molto forte in Italia, sostenuta da personaggi illustri e perfino da alcune associazioni ambientaliste. In Italia la polemica va molto oltre una semplice sindrome Nimby, perché gli oppositori non vogliono l’eolico da nessuna parte nel Paese. L’eolico è stato anche accusato di favorire la mafia, dal momento che talune installazioni e talune gestioni sono risultate essere nelle mani di mafiosi comprovati. Sfugge che la mafia non è un’associazione ambientalista e che fa soldi con qualsiasi cosa. Le argomentazioni degli oppositori non sono senza fondamento (non quelle di Trump, ovviamente), tanto che i produttori hanno spinto l’innovazione verso pale a rotazione lenta e dotate di nuovi cambi meccanici meno rumorosi. In ogni caso siamo nel libero spazio delle convinzioni, quasi mai confutabili con argomentazioni di segno opposto. L’eolico peraltro si sta dimostrando una fonte decisiva nell’avanzamento delle fonti elettriche rinnovabili a livello mondiale. Si può alla fine contare solo sulla prevalenza democratica delle opinioni favorevoli e, magari, fare attenzione a non promuovere installazioni insopportabili dal punto di vista paesaggistico. La sopportazione è un punto di vista comunque molto soggettivo ma comunque, rispettabile. Errori ed orrori ne sono stati fatti eccome. L’Italia è un paese dove offendere i valori estetici è veramente molto facile. Questo vale anche per le installazioni dell’eolico offshore, più accettato nei paesi del Nord Europa che nel mare Mediterraneo, per ragioni fin troppo ovvie. Molte sono le inchieste svolte sul gradimento degli impianti eolici e i risultati sono abbastanza uniformi e stabili. Già diversi anni fa i sondaggi di Eurobarometro sul gradimento dell’energia eolica in Europa davano, su una scala da 1 (fortemente contrari) a 7 (fortemente favorevoli), una media UE di 6.3. Tassi di sostegno ancora più elevati erano stati rilevati in alcuni paesi, ad esempio Danimarca (6.7), Grecia (6.5) e Polonia, Ungheria e Malta (6.4). Il Regno Unito mostrava la cifra di sostegno più bassa dell'UE (5,7), seguita da vicino da Finlandia e Germania (5,8). Gli intervistati in tutti i paesi, ad eccezione della Repubblica ceca, dell'Italia, della Slovenia, della Slovacchia e della Finlandia, hanno menzionato l'energia eolica tra le tre fonti energetiche che molto probabilmente verrebbero utilizzate nei loro paesi tra 30 anni. Ma non ha fondamento l’idea che l’opposizione alle energie eoliche superi quella alle altre. Abbiamo ad esempio un rilevamento per l’India (in figura) che dà scarsa confidenza in molte forme di energia rinnovabile con l’eolico al secondo posto dopo il solare. Un analogo studio del 2017 per la Gran Bretagna, non molto favorevole all’eolico pur in un quadro di accettazione delle energie rinnovabili che supera l’80%, fornisce il risultato in figura, non del tutto sconfortante. Un dato australiano del 2015 suggerisce che, per l’energia eolica, l’accettabilità varia con la distanza dell’installazione da casa propria, dall’81% se nello stato, al 73% se nella regione, al 59% se a distanza di 1-2 km da casa propria. Pur sempre un discreto supporto[26]. L’ultimo dato 2019 per la Gran Bretagna fornisce gli interessanti risultati in figura[27].
Nonostante ogni sforzo non riusciamo a trovare alcun dato sulla pubblica accettazione delle energie eoliche e delle altre rinnovabili nel nostro paese. Le opposizioni potrebbero essere definite minoritarie, senza nulla togliere al diritto e al valore delle convinzioni dei gruppi che le esprimono, anche se con linguaggi esasperati e spesso senza adeguati riscontri nella cittadinanza.
6. Qual è lo stato dell’infrastruttura energetica italiana? Quali potrebbero essere le azioni necessarie al suo miglioramento? R) Devo restringere la complessità della domanda rispetto alla sua possibile accezione generale, che rimanda al sistema energetico italiano, che impegnerebbe nelle valutazioni e nelle analisi la fornitura e l’importazione delle materie prime, la generazione di energia elettrica e termica, la sua distribuzione attraverso le reti elettriche e gas e infine le modalità d’uso dell’energia, industriali e commerciali. Senza dimenticare l’analisi del mercato, la tassazione, gli incentivi etc. Andiamo piuttosto a ragionare della infrastruttura che ha maggior bisogno di innovazione nella fase di avvio di una severa transizione energetica. Si tratta della rete di distribuzione elettrica che deve essere resa smart, intelligente. La smart grid è un concetto rivoluzionario sostenuto da tecnologie ampiamente disponibili. Il modello analogico della rete ha sostenuto la distribuzione elettrica per un secolo: poche grandi centrali elettriche distribuiscono energia ad un numero crescente di utenti. Avere accesso all’elettricità è ormai tanto comune da poter pensare a questa forma di energia come un bene comune, come l’acqua. La transizione energetica dettata dai cambiamenti climatici e dallo sviluppo delle fonti rinnovabili richiede tutt’altro tipo di infrastruttura. Seguendo quello che è ormai un punto di vista condiviso, ad una rete elettrica sostenibile si richiede[28]:
Un recente studio del World Economic Forum si spinge più oltre[29]. Il sistema elettrico è nel mezzo del cammino di quella che si chiama una disruptive innovation, che cambia il sistema e il mercato fino all’ultimo metro di linea su tre direttrici:
L'elettrificazione è fondamentale per la riduzione a lungo termine delle emissioni di carbonio; il decentramento rende i clienti elementi attivi del sistema e la digitalizzazione supporta entrambe le tendenze consentendo un maggiore controllo, compresa l'ottimizzazione automatica in tempo reale di consumo e produzione e l’interazione con gli utenti. Secondo il WEF il potenziale di innovazione di queste tecnologie ha tre fattori: 1. Costi esponenzialmente decrescenti e miglioramenti tecnici continui; 2. Un ruolo abilitante per modelli di business innovativi, indirizzati ad utenti capaci; 3. Il notevole miglioramento del tasso di utilizzo delle attività del sistema, che è in genere inferiore al 60%. I soli veicoli elettrici potrebbero aggiungere diversi punti percentuali a utilizzo delle risorse del sistema elettrico.
fonte: WEF 2017, cit.
La smart grid seguirà un percorso del tutto simile a quello di Internet andando oltre l'offerta di elettricità per diventare una piattaforma che massimizza il valore delle risorse energetiche distribuite e della partecipazione degli utenti. Questi ultimi potranno selezionare le tecnologie di loro scelta, collegarle alla rete ed eventualmente effettuare transazioni con altre risorse distribuite o centralizzate.
Una precedente analisi
del World Economic Forum calcolava in oltre 2.400 GUS$ il valore
dalla trasformazione dell'elettricità nei prossimi 10 anni con una creazione
netta di nuovi posti di lavoro legati allo sviluppo di queste tecnologie e
ad un rapporto interattivo con gli utenti. È probabile che il grafico di
apprendimento delle tecnologie delle smart grid segua la tipica curva
logistica vista con tecnologie precedenti come TV, computer,
elettrodomestici bianchi e Internet. WEF prevede l’asintoto dell’innovazione
a metà secolo. 7. Il Marocco è uno dei paesi che ha investito in maniera massiccia nelle energie rinnovabili, in particolare costruendo grandi impianti fotovoltaici nel deserto del Sahara. Enel Green Power è parte integrante di tali progetti. Come valuta questa cooperazione? In generale, quanto l’Italia investe nella cooperazione internazionale in materia energetica? Marocco a parte, fu Angela Merkel nel 2009 a lanciare l’industria tedesca nel primo progetto di generazione elettrica per l’Europa nel Sahara, progetto rapidamente abbandonato. È il famoso progetto Desertec sostenuto da partner come EON, Deutsche Bank e Siemens. L’investimento previsto era di 400 G€, che, si calcolava, sarebbero stati recuperati dopo pochi anni di attività. Ma il progetto si è bloccato nel 2014 quando i diciassette partner iniziali del settore si erano ridotti a soli tre, spaventati dai rischi strategici e tecnologici piuttosto che da quelli finanziari. Dal punto di vista ingegneristico si calcola che in sole sei ore, i deserti del mondo ricevono più energia solare di quella che l'intera razza umana consuma in un anno. Le esigenze energetiche del mondo potrebbero essere soddisfatte coprendo di pannelli solari appena l'1,2% per cento del deserto del Sahara[30]. L'energia solare totale disponibile nel deserto del Sahara supera ogni anno 22 109 GWh. Se tutto il Sahara fosse una gigantesca fattoria solare, genererebbe 2.000 volte più energia della più grande centrale elettrica del mondo, che genera 100.000 GWh all'anno[31]. Ma i problemi strategici restano tutti e non saranno superati senza una adeguata capacitazione e compartecipazione dei Paesi africani, non solo quelli dell’area sahariana. Enel Green Power è una multinazionale creata dalla casa madre per il settore delle energie rinnovabili e delle smart grid. Nata nel 2008 grazie all’intuizione dell’AD di Enel, Starace, oggi EGP può dichiarare una capacità gestita in 29 Paesi di circa 43 GW, di cui oltre 39 GW di capacità installata, con più di 1.200 impianti e un mix di generazione che include eolico, solare, idroelettrico e geotermico. Entro il 2020, inoltre, conta di costruire altri 7,8 GW di capacità elettrica rinnovabile. È anche uno dei membri fondatori di RES4 Africa Foundation[32], che dal 2012 promuove le energie rinnovabili e il relativo trasferimento di know-how nel continente Africano. EGP, con il suo straordinario successo commerciale e di immagine, ha cambiato il volto dell’ENEL e sta dando un contributo di tutto rilievo al progresso nel mondo delle energie rinnovabili e, per il loro tramite, al difficile percorso della decarbonizzazione. Più difficile valutare il senso e la portata della cooperazione italiana, finanziaria e tecnologica, per lo sviluppo dell’energia rinnovabile e l’avanzamento dell’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo. La cooperazione è l’oggetto dei target 7a e 7b dello SDG 7. Tanto difficile che ASVIS ha finora dovuto dichiarare di non avere dati per rendicontare su questi target. Sappiamo della grave inadempienza dell’Italia, ultima in Europa in fatto di Official Development Aid, ODA[33], per il quale rimandiamo allo SDG 17. Non riusciamo a dedurre il dato relativo alla cooperazione energetica sostenibile né nella componente pubblica[34], cui si aggiunge quella delle Regioni, né in quella privata, che pure abbiamo visto essere attiva. Di certo l’impegno è flebile e gravemente deficitario, specialmente in fatto di trasferimento di tecnologia. Un’occasione persa per le opportunità di spin-off industriale e per l’occupazione giovanile. Ci rivolgiamo più che altro all’Africa, continente nel quale ci accomodiamo con le nostre migliori capacità industriali di estrarre petrolio e gas. Storicamente, l’impegno cooperativo italiano in campo internazionale inizia negli anni ’50 e ’60, con interventi nelle ex-colonie africane e in particolare, su mandato dell’ONU, in Somalia. Dopo una prima regolamentazione della materia del 1979, è negli anni ’80 che viene formulata la normativa di riferimento, ancora in vigore, con la Legge n° 49 del 1987: Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo[35. Negli anni ’90 l’apporto dell’Italia alla cooperazione si è ridimensionato in seguito ai tagli alla spesa pubblica, ma si è allargato il perimetro dei beneficiari ai Paesi balcanici, l’Afghanistan e l’Iraq. Dedurre la quota dei contributi riservata all’energia è un’impresa impossibile. [1] Nicholas Stern, 2006, The Economics of Climate Change: The Stern Review, in: http://www.lse.ac.uk/GranthamInstitute/publication/the-economics-of-climate-change-the-stern-review/ [2] UNFCCC, 2015, Il documento di decisione e l’Accordo di Parigi, traduzione a cura del Comitato scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in: http://www.comitatoscientifico.org/temi%20CG/documents/Il%20Patto%20di%20Parigi%20finale.pdf [3] IPCC, 2018, SR15. Special Report on Global Warming of 1.5 ºC, in: https://www.ipcc.ch/sr15/[4] ECOSOC, 2019, Special edition: progress towards the Sustainable Development Goal, in: https://unstats.un.org/sdgs/files/report/2019/secretary-general-sdg-report-2019--EN.pdf [5] IEA, 2018, SDG7: Data and Projections, in: https://www.iea.org/reports/sdg7-data-and-projections [6] Cfr. https://yearbook.enerdata.net/total-energy/world-energy-intensity-gdp-data.html [7] ASVIS, 2020, The European Union and the Sustainable Development Goals, in: http://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/Compositi_Europei_ENG_HR.pdf [8] ISTAT, 2019, Indicatori di Benessere equo e sostenibile, in: https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilità/la-misurazione-del-benessere-(bes)/gli-indicatori-del-bes [9] È la UN FCCC firmata a Rio, vedi: https://unfccc.int/ [10] È il Green Climate Fund, deliberato alla COP 16 di Cancún nel 2010, vedi: https://www.greenclimate.fund/ [11] In: https://ec.europa.eu/italy/news/ursula-von-der-leyen-discorso-di-apertura-della-seduta-plenaria-del-parlamento-europeo_it [13] Dati BP 2018 da: https://www.bp.com/en/global/corporate/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html [14] ASVIS, 2020, La Legge di Bilancio 2020 e lo sviluppo sostenibile Esame dei provvedimenti e situazione dell’Italia rispetto ai 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, in: https://asvis.it/public/asvis2/files/Eventi_ASviS/RapportoAnalisiLeggeBilancio2020_FINAL.pdf [16] ISTAT, 2019, Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’agenda 2030 in Italia, in: https://www.istat.it/it/files//2019/04/SDGs_2019.pdf [17] GSE, 2019, Rapporto di attività 2018, in: https://www.gse.it/documenti_site/Documenti%20GSE/Rapporti%20delle%20attività/GSE_RA2018.pdf [18] Edo Ronchi, 2019, Perché lo stallo mondiale delle rinnovabili elettriche è preoccupante, in Huffingtonpost: https://www.huffingtonpost.it/entry/perche-lo-stallo-mondiale-delle-rinnovabili-elettriche-e-preoccupante_it_5ce79685e4b0a2f9f28ca424 [20] Dati Eurostat [21] Dati GSE (cit.) [22] Cfr.: https://ec.europa.eu/energy/intelligent/projects/en/projects/pv-parity [24] Cfr.: https://ec.europa.eu/energy/en/topics/markets-and-consumers/smart-grids-and-meters/smart-grids-task-force [26] In: https://www.environment.nsw.gov.au/-/media/OEH/Corporate-Site/Documents/Energy-savings-and-resource-efficiency/community-attitudes-to-renewable-energy-nsw-150419.pdf [27] Statista, 2020, Generally speaking, do you support or oppose the following renewable energy developments?, in: https://www.statista.com/statistics/425051/united-kingdom-uk-attitudes-towards-renewable-energy-developments/ [29] World Economic Forum, 2017, The Future of Electricity New Technologies transforming the Grid Edge, in: http://www3.weforum.org/docs/WEF_Future_of_Electricity_2017.pdf [30] The Guardian, 2011, Could the desert sun power the world?, in: https://www.theguardian.com/environment/2011/dec/11/sahara-solar-panels-green-electricity [31] The Conversation, 2019, Should we turn the Sahara Desert into a huge solar farm, in: https://theconversation.com/should-we-turn-the-sahara-desert-into-a-huge-solar-farm-114450 [33] Cfr. OECD DAC Data in: https://www.oecd.org/dac/financing-sustainable-development/development-finance-data/ [34] Gestita sostanzialmente dal ministero degli Esteri: cfr. https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/economia/cooperaz_finanziaria
Novembre 2019. I nuovi scenari del World Energy Outlook 2019 dell'IEA (> vedi lo Executive Summary) Il Rapporto IEA WEO di quest'anno non può che rimarcare che il mondo dell'energia è caratterizzato da una serie di profonde contraddizioni, tra la calma totale dei ben forniti e meglio presidiati mercati petroliferi e le profonde tensioni e incertezze geopolitiche. Non possiamo fare a meno di ribadire che queste ultime sono davvero gravi e sono conseguenza diretta delle politiche militari di controllo proprio del mercato petrolifero. Dal punto di vista dello sviluppo sostenibile, la transizione energetica richiede rapidi tagli delle emissioni, proprio mentre queste emissioni raggiungono i massimi storici. La promessa di accesso per tutti all'energia, punto chiave dell'Agenda 2030, deve fare i conti con 850 milioni di persone senza accesso all'elettricità. La riduzione dei costi e la la digitalizzazione dispongono ormai di nuove tecnologie smart, ma hanno ancora bisogno di supporto politico. Il World Energy Outlook 2019 non ha la pretesa di prevedere cosa accadrà; esplora diversi possibili futuri: cosa succede se il mondo continua sul suo percorso attuale, senza ulteriori cambiamenti? E se riflettessimo le intenzioni e gli obiettivi delle politiche di oggi? Questo è lo scenario delle politiche dichiarate (STEPS). Cosa succede se si raggiungono pienamente gli obiettivi energetici sostenibili? Questo è lo scenario di sviluppo sostenibile (SDS). Intanto prendiamo atto dello stato della domanda globale di energia per fonti e della sua evoluzione al 2040 a politiche date (in figura)
Gli scenari dell'IEA WEO 2019 Uno Scenario programmatico (STEPS) sostituisce nella edizione 2019 dell'IEA WEO il precedente scenario "delle nuove politiche", per valutare gli effetti delle politiche su cui sembrerebbe esserci l'impegno di vari governi. Lo scenario registra una un'impennata dell'energia eolica e solare, con le fonti di energia rinnovabile che soddisfano la maggior parte degli aumenti della domanda di energia. L'uso stabile del carbone, insieme alla crescente domanda di petrolio e gas, significano che, con le politiche progrsmmate, le emissioni globali continueranno ad aumentare fino al 2040. Al contrario, lo Scenario di sviluppo sostenibile (SDS), già presentato nel 2018 per dare una probabilità del 50% di limitare il riscaldamento a 1,65 °C (?), che sarebbe pienamente in linea con l'accordo di Parigi, richiederebbe una riallocazione significativa degli investimenti dai combustibili fossili verso efficienza e energie rinnovabili, così come la chiusura di circa metà delle centrali elettriche a carbone e profondi cambiamenti nell'economia globale. Anche quest'anno il WEO non approfondisce le implicazioni dell'obiettivo di limitare il riscaldamento a non più di 1,5 °C al di sopra del livello pre-industriale, l'obiettivo ultimo dell'accordo di Parigi. Il rapporto abbraccia tre scenari alternativi, indicati nell'introduzione e descritti in un blog pubblicato prima del rilascio del Rapporto. Lo scenario guida è STEPS, che non rispetta gli impegni climatici di Parigi. Le politiche dichiarate includono alcuni obiettivi di emissioni nette pari a zero, come quelli del Regno Unito e altri in Europa, ma l'UE, cui compete il 12% delle emissioni globali, non può essere decisiva in termini di emissioni globali. L'IEA afferma che potrebbe esserci un effetto di knockon dovuto alle tecnologie e agli approcci sviluppati nei paesi avanzati per soddisfare gli obiettivi di decarbonizzazione, che potrebbero aiutare gli altri Paesi a ridurre le loro emissioni. Lo Scenario di sviluppo sostenibile, SDS, parte dagli obiettivi di sviluppo sostenibile sull'energia, accesso, inquinamento atmosferico ed emissioni di CO2 prima di fare ingegneria inversa per mostrare cosa sarebbe necessario per raggiungerli. Infine, lo scenario delle politiche attuali, CPS, vedrebbe i governi rinnegare gli obiettivi e le intenzioni dichiarate, con il sistema energetico guidato solo da politiche e leggi che sono già in atto. L'IEA, più che nelle passate edizioni, ritiene poco probabile che ci si abbandoni a questa prospettiva. Sulla base dei piani e delle politiche dichiarate in tutto il mondo, il WEO 2019 afferma che il fabbisogno energetico globale continuerà ad aumentare dell'1% all'anno fino al 2040, aggiungendo una domanda equivalente al totale attuale della Cina. Questa crescita è guidata da una popolazione in aumento, basata sulle previsioni delle Nazioni Unite che prevedono 9 miliardi di persone entro il 2040 e da un'economia in espansione, a livello globale con il PIL in aumento medio del 3,4% all'anno, secondo il Fondo monetario internazionale. Il tasso di crescita della domanda di energia è stato portato dall'IEA a circa la metà del tasso medio del 2% previsto nel 2000 dalla stessa IEA a causa di spostamenti verso un minor consumo di energia delle industrie, dei guadagni di efficienza energetica e degli effetti di saturazione di una parte dei mercati. Circa il 49% della crescita della domanda sarebbe soddisfatto dalle fonti rinnovabili nello STEPS, come mostrato con la linea rossa nel grafico, in basso. Anche l'uso del gas dovrebbe aumentare rapidamente (linea blu) e sorpassare il carbone per diventare la seconda maggior fonte di energia dopo il petrolio e soddisfare un terzo dell'aumento della domanda complessiva.
La domanda di petrolio inizierà a stabilizzarsi solo al 2030 (linea arancione) a causa dell'aumento dell'efficienza dei veicoli e dell'aumento dei veicoli elettrici (EV), con il picco della domanda di carburante per il trasporto atteso alla fine degli anni '20. La domanda di petrolio per merci, spedizioni, aviazione e prodotti chimici continua a crescere con la crescente diffusione dei SUV, un altro fattore potenziale che sostiene la domanda. Nel quadro STEPS circa i due terzi dell'aumento della domanda globale di energia al 2040 arriva dalla regione dell'Asia - Pacifico. L'India diventa il Paese più popoloso del mondo e la sua domanda di energia raddoppia, con il maggiore contributo alla crescita globale e alla contabilità energetica, oltre un quarto dell'aumento totale. All'interno di questo totale, STEPS vede crescere la domanda di carbone dei paesi asiatici che compensa i grandi cali negli Stati Uniti e in Europa. nonostante che i nuovi investimenti e le decisioni sulle infrastrutture che utilizzano il carbone abbiano subito un brusco rallentamento. L'aumento delle energie rinnovabili previsto da STEPS fino al 2040 non dissimula la natura lenta della transizione del sistema energetico globale. Anche se STEPS traccia un futuro in cui le energie rinnovabili coprono metà dell'aumento della domanda al 2040 e il ritmo della crescita della domanda rallenta a causa del mutamento economico e della efficienza energetica, si rimane ben al di sotto di quanto sarebbe necessario per mettere un limite alle emissioni globali di CO2. Se gli aumenti delle temperature globali devono essere fermati, saranno necessarie modifiche drastiche, come mostrato nello scenario sostenibile SDS in figura.
La crescita della domanda soddisfatta dalle energie rinnovabili vede la quota dell'uso globale di energia fossile calare dall'81% nel 2018 al 74% nel 2040 in STEPS e del 58% in SDS. Passare da STEPS allo SDS richiederà una vasta gamma di riforme. Il valore globale dei sussidi al consumo di combustibili fossili nel 2018 era quasi doppio del valore combinato dei sussidi alle energie rinnovabili e ai veicoli elettrici e delle entrate derivanti da schemi di tariffazione del carbonio in tutto il mondo. Entro il 2030, gli investimenti in combustibili fossili senza cattura del carbonio si dimezzerebbero nella SDS, rispetto alla media nel periodo 2014-2018. Allo stesso tempo gli investimenti nelle energie rinnovabili, nelle reti elettriche e nel nucleare (vecchio pallino dell'IEA) dovrebbero all'incirca raddoppiare e la spesa per l'efficienza energetica dovrebbe quasi quadruplicare. Ciò riflette il fatto che l'efficienza energetica è il più importante tra i fattori nella lotta alle emissioni e che la domanda complessiva al 2040 nell'ambito dello SDS è leggermente inferiore ai livelli di oggi. Il potenziale di miglioramento dell'efficienza per aiutare il mondo a realizzare i suoi obiettivi di energia sostenibile è enorme. I dati però purtroppo dimostrano che i miglioramenti dell'efficienza sono in peggioramento e il 2018 ha visto il tasso di crescita più lento dal 2010 e denunciano una relativa mancanza di nuove politiche di efficienza energetica e di sforzi per irrobustire le misure esistenti. Una minore domanda di energia ha conseguenze a catena, in particolare se combinata con una crescita più rapida delle energie rinnovabili. In particolare, la domanda di carbone, petrolio e gas diminuisce progressivamente nell'ambito dello SDS, con il carbone particolarmente ridotto. Più della metà dell'attuale potenza a carbone sarebbe esclusa entro il 2040 nello SDS, più della capacità attuale della Cina. Con la metà dei pensionamenti prima della fine della loro vita utile, parte del capitale investito nel carbone esistente al mondo sarebbe messo a rischio, se il riscaldamento si vuole mantenere al di sotto di 2 °C. Circa il 98% dei 222 GW della produzione elettrica attuale a carbone in Europa e l'88% dei 276 GW negli Stati Uniti verrebbe dismessa. Secondo lo SDS, le rimanenti centrali a carbone dovrebbero essere per lo più adattate a operare in orari limitati, durante picchi di domanda o affronterebbe ingenti investimenti per adattarsi alla CCS per prevenire la loro emissioni di CO2. Le previsioni di quest'anno contengono nuove analisi sul metano rilasciato durante l'estrazione del carbone che ha un maggiore impatto sul riscaldamento globale rispetto all'aviazione e al trasporto navale combinati. Le emissioni globali di CO2 dall'energia continuerebbero ad aumentare dal livello record raggiunto nel 2018, mettendo il mondo sulla strada per i 2,7 °C di riscaldamento in questo secolo. Al contrario, la CO2 diminuisce rapidamente nello SDS del 17% in meno rispetto ai livelli 2010 entro il 2030, del 48% entro il 2040 e del 68% entro il 2050. Secondo l'IEA lo SDS è sulla rotta per emissioni nette zero entro il 2070 e corrisponde a un 50% di probabilità di limitare il riscaldamento a 1,65 °C, o una probabilità del 66% a 1,8 °C. Questa traiettoria è meno ambiziosa della maggior parte dei percorsi verso 1,5 °C senza overshoot o con overshoot limitato (linee sotili in figura, ricavate dal database IIASA). Nel suo rapporto speciale SR15 sugli 1.5 °C, il IPCC ha affermato che l'obiettivo limite di Parigi, +1,5 °C, richiede la riduzione della CO2 del 45% al di sotto dei livelli del 2010 entro il 2030 e a zero entro il 2050. Lo SDS traccia un percorso completamente allineato con Parigi mantenendo l'aumento delle temperature globali inferiore ai 2 °C e proseguendo gli sforzi per limitarlo a 1,5 °C. L'IEA produce anche due opzioni per andare oltre lo SDS e per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5 °C.
Insieme all'attenzione eccessiva del WEO sul percorso STEPS, la dichiarazione sulla congruenza con Parigi ha raccolto critiche da un gruppo di ONG, di scienziati, gruppi aziendali ed altri. In una lettera di aprile 2019 l'IEA è stata invitata a sviluppare uno scenario con una probabilità del 66% di limitare il riscaldamento a 1,5 °C. Uno degli autori della lettera, il dott. Joeri Rogelj, docente di cambiamenti climatici e ambiente presso il Grantham Institute dell'Imperial College di Londra, afferma che lo SDS è incompatibile con gli 1.5 °C e altri aspetti dell'accordo di Parigi. Rogelj è stato autore principale e coordinatore del capitolo due dello SR15 IPCC ed è un autore rilevante nel GdL 1 del prossimo sesto rapporto di valutazione dell'IPCC. L'articolo 4 dell'Accordo, che si impegna a raggiungere un equilibrio tra fonti antropogeniche e pozzi di tutti i gas serra, è probabile che richieda una CO2 netta negativa, mal'IEA SDS non fornisce alcun percorso dettagliato in questo senso. Le emissioni negative di CO2 potrebbero essere assicurate tramite soluzioni tecnologiche come la bioenergia con CCS (BECCS) o utilizzando soluzioni climatiche naturali, come il rimboschimento. L'IEA dichiara che le emissioni negative offrono effettivamente un modo in cui lo SDS potrebbe allinearsi a un limite di 1,5 ° C. Dovrebbe essere rimosso un totale cumulativo di circa 300 GtCO2 per colmare questa lacuna. Ci sono preoccupazioni sulla sostenibilità e praticabilità di tali tecniche come riconosciuto dalla stessa IEA. Il WEO 2019 dice che sarebbe possibile, alla luce delle preoccupazioni per le tecnologie per le emissioni negative, costruire uno scenario che va oltre lo SDS e offre una probabilità del 50% di limitare il riscaldamento a 1,5 °C senza fare affidamento su emissioni nette negative, purché le emissioni di carbonio siano azzerate entro il 2050. Per andare oltre il suo SDS, l'IEA afferma che il mondo dovrebbe affrontare settori come quello dell'aviazione, dell'industria pesante e del riscaldamento degli edifici. Questo comporterebbe il retrofit universale degli edifici e lo sviluppo di nuove tecnologie per i processi industriali. L'IEA afferma che non si tratterebbe di una semplice estensione delle modifiche previste dallo SDS, quanto piuttosto di affrontare sfide molto difficili e molto costose. Aggiunge che affrontare alcune di queste sfide richiederebbe accettazione sociale e cambiamento comportamentale delle persone, una circostanza che trascende le competenze del settore energetico in quanto tale. Sarebbe un compito per la società nel suo insieme. La domanda di carbone Il rapporto 2019 reca vari cambiamenti dall'edizione dello scorso anno, alcuni importanti, in particolare per la forte diminuzione della domanda di carbone nello scenario STEPS. A breve termine la domanda è però in aumento, in parte a causa della rinnovata dipendenza della Cina durante-la prima metà del 2019 per sostenere la crescita. Nonostante l'aumento a breve termine della domanda, le proiezioni di quest'anno lasciano il carbone al di sotto del picco globale raggiunto nel 2014, se i piani e le politiche dichiarati verranno mantenuti. Si tratta, è ovvio, di consumi molto al di sopra del livello dello scenario SDS, dove il riscaldamento è limitato a ben al di sotto di 2 °C. Secondo STEPS, l'aumento della domanda in India è uno dei fattori chiave che tengono il consumo globale stabile, nonostante i rapidi cali nelle economie sviluppate, come gli Stati Uniti e l'Europa. STEPS accredita all'India un grande accumulo di nuove centrali elettriche a carbone, con 232 GW di nuova capacità costruita entro il 2040, raddoppiando all'incirca la sua capacità installata e rappresentando un terzo delle nuove installazioni a livello globale. L'IEA afferma che la crescita del carbone in India potrebbe essere ridotta bruscamente, se il costo delle batterie per le smart grid scenderà in fretta, posto che il costo del PV è già sceso. Vale anche la pena di confrontare i 232 GW di nuova capacità di carbone prevista dall'IEA, con l'attuale gasdotto indiano di soli 85 GW, la cui costruzione è stata bloccata per un quarto per anni. Altri 510 GW di nuovo carbone sono stati cancellati a partire dal 2010 per l'affermarsi delle più economiche fonti rinnovabili, delle difficoltà finanziarie delle società di servizi e dell'opposizione pubblica. Inoltre, il governo indiano ha ripetutamente sovrastimato la domanda di energia elettrica, con la conseguenza di costringere le centrali esistenti a lavorare per meno dei due terzi del tempo. I dati per il 2019 fino ad oggi suggeriscono che la produzione di elettricità dell'India da carbone potrebbe declinare. Il governo indiano ha recentemente annunciato un obiettivo altamente ambizioso per il solare, l'eolico e la biomassa pari a 450 GW nel 2030, laddove STEPS gliene accrediterebbe solo 344GW. In questo quadro altro carbone sarebbe inutile. Le rinnovabili elettriche Nel settore elettrico STEPS vede un'impennata delle fonti rinnovabili con il sorpasso del carbone entro la metà degli anni 2020. Entro il 2040 le fonti a basse emissioni di carbonio fornirebbero più della metà del fabbisogno di elettricità del mondo, passando all'85% nello SDS. Vale la pena di ribadire, però, che l'elettricità rappresenta oggi solo un quinto del consumo finale di energia, una cifra che sale al 24% entro il 2040 in STEPS e al 31% nello SDS. Questo, secondo l'IEA, è uno degli impedimenti per cui le energie rinnovabili da sole non risolverebbero la sfida climatica. In particolare, lo STEPS di quest'anno ha notevolmente aumentato le previsioni per le energie rinnovabili, aumentando il totale solare per il 2040 del 23% e quello per il vento dell'11%. Questa revisione, aggiungendo l'8% al totale per le energie rinnovabili non idroelettriche, li vede sorpassare il carbone alla fine degli anni '30. L'aumento della produzione rinnovabile prevista è però assorbito dall'aumento della domanda, il che significa che la generazione da altre fonti resta relativamente inalterata. Le linee tratteggiate in figura sono le previsioni dell'anno scorso.
Il WEO 2019 prevede che, come risultato delle continue riduzioni dei costi, il solare fotovoltaico diviene la fonte più competitiva di energia elettrica nel 2020 in Cina e India, e colma ampiamente il divario con altre fonti entro il 2030 nell'Unione Europea e negli Stati Uniti. Nello scenario a politiche approvate, il costo levelized medio globale dell'energia solare fotovoltaica diminuisce di circa il 50% dal 2018 al 2030. Aggiunge il WEO 2019 che il calo dei costi per eolico e solare sta rafforzando la convenienza di passare direttamente dal carbone alle energie rinnovabili, piuttosto che usare il gas come ponte verso la decarbonizzazione. Le aste degli Stati Uniti recentemente annunciate per l'eolico offshore, registrano prezzi più bassi del previsto, così come nelle aste in tutta l'UE. Il WEO registra anche un ammorbidimento della politica della Cina verso fonti rinnovabili esenti da sussidi. L'IEA ha recentemente pubblicato una revisione approfondita delle prospettive per l'eolico offshore cui attribuisce un potenziale tecnico quasi illimitato. Può soddisfare largamente la domanda di elettricità di oggi, a costi competitivi con i combustibili fossili entro un decennio, dato che il costo cadrà del 60% entro il 2040. Le turbine saranno presto grandi quanto la Torre Eiffel. L'adattamento tecnologico e dei modelli di business dovrà tenere il passo. Chi, come noi, ha seguito via via tutte le edizioni del WEO, non può fare a meno di criticare la sistematica sottovalutazione delle fonti rinnovabili da parte dell'IEA. Questo pregiudizio l'ha costretta a continue revisioni in crescita degli scenari. Taluni attribuiscono questo sistematico errore alla sua attenzione al valore del sistema piuttosto che ai costi iniziali. L'IEA ha sostenuto che le riduzioni dei costi non garantiscono una competitività continua perché il valore di sistema del solare fotovoltaico tende a diminuire rispetto alla media del sistema all'aumentare della sua quota di generazione. Questo perché la produzione di energia solare è concentrata a metà giornata, con la capacità aggiuntiva che si aggiunge all'offerta, quindi parzialmente erodendo il prezzo dell'energia dei pannelli solari già costruiti. Occorre notare che, rispetto a STEPS che aggiunge quote solari inferiori a 140 GW ogni anno entro il 2040, le nuove prospettive energetiche di BloombergNEF, a titolo di esempio, vedono le aggiunte solari a 300 GW per anno, piuttosto in linea con lo scenario IEA SDS. BloombergNEF è anche più fiducioso nella crescita della capacità eolica, con il il risultato è che la produzione di energia elettrica da carbone dei suoi scenari diminuisce della metà al 2050, piuttosto che restare ferma come nello STEPS dell'IEA. 24 Novembre 2019. Il punto sullo stato di attuazione dello SDG 7 fatto dalla Marrakech Partnership for Global Climate Action L'obiettivo 7 dell'Agenda 2030 (SDG7) chiede di garantire l'accesso a un'energia accessibile, affidabile, sostenibile e moderna per tutti entro il 2030 attraverso il raggiungimento di tre obiettivi, vale a dire:
Toccando quasi tutti gli aspetti della società, l'accesso all'energia è un prerequisito per il raggiungimento di altri SDG. Raggiungere l'SDG7 nel contesto dell'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici significa ripensare il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo energia. Secondo il Rapporto dell'ONU, dell'IEA e di IRENA del 2019, The Energy Progress Report 2019, il mondo sta facendo progressi verso il raggiungimento dell'SDG7, ma non sta raggiungendo l'obiettivo di garantire l'accesso a un'energia accessibile, affidabile, sostenibile e moderna per tutti entro il 2030. Manca un senso di urgenza .Coloro che non hanno accesso all'elettricità sono diminuiti a circa 840 milioni nel 2017 da 1,2 miliardi nel 2010, con progressi significativi tra il 2015 e il 2017. Tuttavia, mantenere l'attuale slancio sarà sempre più impegnativo poiché i progressi sono irregolari e c'è un divario crescente tra paesi ad alta elettrizzazione e quelli in ritardo. Collegare l'ultima delle popolazioni non servite può essere più impegnativo, quindi il ritmo deve essere aumentato in pratica. Il 17,5% del consumo totale di energia finale nelle energie rinnovabili ha raggiunto nel 2016, rispetto al 16,6% nel 2010. L'uso delle energie rinnovabili per generare elettricità è aumentato rapidamente, ma il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) ha riscontrato che la quota di energia rinnovabile deve aumentare all'80% entro il 2050 per limitare il riscaldamento globale di 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali. La quota di energia rinnovabile dovrebbe accelerare in modo sostanziale per garantire l'accesso a un'energia accessibile, affidabile, sostenibile e moderna per tutti. L'intensità di energia primaria ha raggiunto 5,1 MJ/US$ nel 2016, rispetto a 5,9 MJ/US$ nel 2010. Tuttavia, il tasso globale di miglioramento dell'intensità di energia primaria è ancora in ritardo rispetto a quanto sarebbe necessario per raggiungere l'obiettivo di raddoppiare il tasso globale di miglioramento in termini di efficienza energetica. Le stime suggeriscono che i miglioramenti hanno effettivamente rallentato nel 2017 e nel 2018. Dicembre 2018. Il GSE pubblica i dati delle fonti rinnovabili in Italia del 2017 A dicembre del 2017 il GSE pubblica i dati definitivi per le fonti rinnovabili italiane nel 2017. Nelle tabelle del Rapporto si riportano i dati di dettaglio per il settore elettrico, il settore termico ed i trasporti. A fronte di una potenza installata di poco meno di 53,3 GW, +1,9% rispetto all’anno precedente, nel 2017 la produzione lorda effettiva di energia elettrica si è attestata intorno ai 104 TWh, 8.934 ktep, in flessione di circa 4,1 TWh rispetto al 2016, -3,8%. Tale dinamica è legata principalmente alla forte contrazione della produzione degli impianti idroelettrici, -14,7%, compensata solo in parte dalla crescita registrata dalla fonte solare, +10,3%; tutte le altre fonti registrano variazioni più contenute. I 787.000 impianti in esercizio sul territorio nazionale, per una potenza installata di oltre 53 GW, hanno coperto il 35% della produzione lorda complessiva. L’idroelettrico si conferma come la fonte principale della generazione elettrica da Fer, mentre la fonte solare è quella che nell’anno ha registrato la crescita più rilevante. I consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili rilevati nel 2017 nel settore termico ammontano a 11,2 Mtep, corrispondenti a circa 470.000 TJ, 130 TWh, in aumento rispetto all’anno precedente (+6,4%). Qui proviene da Fer circa il 20% dei consumi energetici del 2017, con la biomassa solida, essenzialmente legna da ardere e pellet, che da sola ha coperto il 67% dei consumi termici rinnovabili, cui segue il contributo fornito dalle pompe di calore (24%). Nei trasporti, nel 2017 sono stati immessi in consumo circa 1,2 Mt biocarburanti, in larghissima parte costituiti da biodiesel. La quota dei consumi totali coperta dalle rinnovabili nei trasporti, a standard EU, è pari al 6,5%, mentre deve essere pari al 10% entro il 2020.
Applicando le definizioni e i criteri di calcolo previsti dalla Direttiva 2009/28/CE ai fini del monitoraggio degli obiettivi UE sulle FER, normalizzazione delle produzioni idroelettrica ed eolica, contabilizzazione dei soli bioliquidi e biocarburanti sostenibili, nel 2017 i Consumi Finali Lordi (CFL) di energia da FER in Italia risultano pari a 22 Mtep, in aumento di circa 920 ktep rispetto al 2016, +4,4%. La quota dei CFL coperta da FER nel 2017 risulta pertanto pari a 18,3%, in crescita rispetto al dato rilevato l’anno precedente, 17,4%, superiore al target assegnato all’Italia dalla Direttiva 2009/28/CE per il 2020. Il trend positivo si è verificato per il quarto anno consecutivo. Nel 2017 c'è il record storico nella produzione fotovoltaica per 24,4 TWh, +10,3% rispetto al 2016, mentre il consumo diretto di biomassa nel settore residenziale, di 6,8 Mtep, registra un + 9,5% rispetto al 2016.
Giugno 2018. BP pubblica la 67° edizione del suo Rapporto "Statistical review of world energy" che racconta la storia del carbone negli ultimi anni (> scarica il Rapporto) è ora disponibile il bilancio annuale della BP sull'energia mondiale, un compendio di fatti, cifre, grafici sull'uso globale dell'energia. L'edizione di quest'anno contiene uno dei più allarmanti grafici che si siano visti da molto tempo. è il grafico che mostra una netta inversione di tendenza dell'uso del carbone dopo diversi anni di declino.
Il quadro pessimistico del 2017 è completato dai dati macroeconomici che vedono diminuire la produttività energetica e i dati del consumo di energia primaria in crescita nei paesi OECD che aiutano a spiegare perché le emissioni globali di biossido di carbonio, dopo aver mantenuto una stabilità approssimativa per tre anni, hanno iniziato a risalire nel 2017. Secondo la BP si vanno perdendo alcune delle tendenze cicliche a breve termine che stavano aiutando a determinare i risultati positivi degli ultimi anni: il rallentamento della domanda di energia, l'aumento della produttività energetica e la stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica. L'industria pesante riprende di nuovo in Cina appoggiandosi sul carbone, dopo anni di declino, e sta crescendo rapidamente in India. Soprattutto, la crescita economica è accelerata. Le fonti rinnovabili hanno continuato a crescere, ma finché la maggior parte dell'economia mondiale è alimentata dai combustibili fossili, una tendenza macro come la crescita economica sta per sopraffare l'aumento di energia rinnovabile.
La crescita, che ha rallentato per alcuni anni in controtendenza all'aumento dell'energia rinnovabile, è in ripresa. La connessione tra crescita economica e crescita delle emissioni di carbonio non è quindi disaccoppiata. Senza negare la dovuta importanza a queste che potrebbero essere oscillazioni a breve termine di natura meramente statistica, la stessa BP riconosce che molte delle forze strutturali che hanno alimentato la transizione energetica sono continuate, con una crescita particolarmente robusta delle energie rinnovabili accompagnata anche dal gas naturale. Il carbone ha la stessa quota di generazione di energia globale che aveva 20 anni fa. Nel 1998, il carbone rappresentava il 38% della produzione mondiale di energia. Nel 2017, rappresenta ... il 38 percento della produzione di energia globale. Nell'energia elettrica, un settore che assorbe il 40% dell'energia primaria mondiale e produce più di un terzo delle sue emissioni, gli ultimi 20 anni sono serviti per rimanere fermi. Nessun progresso netto di decarbonizzazione è stato fatto. In figura BP mette tra i non fossili idroelettrico e nucleare come si vede meglio nella seconda figura.
La storia delle centrali a carbone nelle regioni che contano a livello mondiale è ben raccontata dalle quattro immagini animate che seguono.La capacità del carbone cinese è cresciuta cinque volte tra il 2000 e il 2017, per raggiungere 935 GW - metà del totale mondiale. La Cina sembrava aver raggiunto il picco, ma il dato 2017, come abbiamo visto dai dati BP, è in controtendenza. Sappiamo che il governo cinese sta lavorando duramente sulla qualità dell'aria e sta lottando per ripulire le sue centrali a carbone, ma i timori restano. L'India ha avuto il secondo più veloce tasso di crescita in fatto di carbone. La sua capacità è triplicata dal 2000 fino a 215 GW (meno di un quarto della Cina). Ma il carbone si sta imbattendo in grandi difficoltà in India, dove le fonti rinnovabili sono in attiva competizione anche sui costi, e dove molte centrali sono minacciati da un pensionamento prematuro per effetto dei bassi rendimenti e della pessima qualità ambientale. Tutti ci domandiamo se l'ambizioso programma solare indiano, possa scalare abbastanza velocemente per contrastare la pesante programmazione di centrali a carbone, i cerchi viola nella figura. Insieme, Cina e India hanno contribuito a portare la capacità di carbone globale fino ai 2.000 GW nel 2017.
Tornando in occidente,
gli Stati Uniti e l'UE iniziano a ritirarsi dal carbone. La figura lo mette
in buona evidenza.
Secondo
CoalSwarm,
61 GW di centrali
americane a
carbone sono state chiuse negli ultimi sei anni e altri 58 GW sono in
fase di chiusura.
Questo ridurrebbe la flotta statunitense di due quinti da 327 GW nel 2000 a
220 GW, portando gli USA al livello dell'India, Trump permettendo.
L'Unione Europea ha una storia simile: lento declino fino al 2014, poi una
raffica di chiusure, con poco carbone previsto per il futuro.
La generazione rinnovabile ha superato la generazione di carbone nell'UE nel
2017. Se tutti i paesi dell'UE adempiranno ai loro impegni attuali, la
capacità di carbone dell'UE scenderà sotto i 100 GW, meno della metà della
sua capacità del 2000.
In termini di previsioni per il futuro prevale ancora l'ottimismo. La Cina e l'India stanno correndo il basso seguendo la stessa strada degli Stati Uniti e dell'UE con qualche anno di ritardo, ma con un programma politico che sembra più rapido. L'Agenzia internazionale dell'energia stima che gli investimenti globali nel carbone abbiano raggiunto il picco e si orientino rapidamente verso il basso. L'ultimo rapporto sullo stato globale del carbone di CoalSwarm mostra una rapida decrescita del carbone e stima che la capacità globale del carbone potrebbe raggiungere il picco già nel 2022. La figura che segue mostra che il carbone ha raggiunto il picco in Cina intorno al 2014 e ha iniziato a diminuire negli Stati Uniti e nell'UE; questo è anche il momento in cui la produzione globale di carbone e le emissioni globali di carbonio hanno raggiunto il picco e hanno iniziato a diminuire. Il load factor, che mostra con la frequenza con cui si fa ricorso agli impianti a carbone è crollato intorno al 2008 e poi ha ripreso a scendere nel 2014, fino a quasi al 50%. Ciò aiuta a spiegare perché la produzione di energia a carbone e le emissioni di carbonio globali hanno raggiunto il picco nello stesso anno. Singolarmente il minor ricorso al carbone avveniva mentre la capacità globale del carbone stava aumentando. Nuovi impianti erano in costruzione anche se gli impianti esistenti stavano funzionando meno. Pertanto, anche se la capacità ha continuato a crescere negli anni 2010, le centrali a carbone pianificate hanno iniziato a ridursi rapidamente nel 2015 e i pensionamenti hanno iniziato a crescere per le vecchie centrali a carbone, verso la fine della loro durata di vita. La chiusura delle centrali più recenti, costruite negli anni 2000, sarà una questione politica assai più complicata. I dati di questa figura finale sono al 2016: è evidente che il dato 2017 che abbiamo discusso in apertura non va in questa direzione a fronte dell'impegno di Parigi che ci deve portare molto al di sotto dei 2° C di anomalia termica a fine secolo. Gli Stati Uniti e l'UE devono essere privi di carbone entro il 2030 e la Cina e l'India non più un decennio dopo. Per evitare che l'obiettivo parigino sbiadisca non c'è alternativa a disattivare gran parte degli impianti a carbone, trasformandoli in stranded asset, accettando gli inevitabili contraccolpi sul quadro degli investimenti. Non possiamo però ignorare che oggi sono in costruzione altri 200 GW di capacità a carbone e altri 450 GW sono in previsione, un vero disastro per l'obiettivo di Parigi, a meno che le centrali a carbone, nuove e meno nuove, non rimangano spente come è accaduto in Italia per le nuove centrali a gas naturale, una anomalia assurda in termini di economia. è del tutto velleitario architettare, difendere o fare lobbying per il carbone. Il futuro dell'energia, e dello stesso pianeta, è nelle energie rinnovabili.
Giugno 2018. Il Consiglio ambiente dell'UE raggiunge un accordo sulle rinnovabili. Le rinnovabili sorpassano il carbone in Europa
I negoziatori dell'Unione europea hanno concordato di aumentare la quota di energie rinnovabili nel mix energetico europeo al 32% entro il 2030, dopo che la Germania ha bloccato il tentativo di fissare un obiettivo ancora più alto. Le energie rinnovabili rappresentano attualmente il 17% del mix energetico comunitario. "Questo accordo è una vittoria duramente conquistata nei nostri sforzi per sbloccare il vero potenziale della transizione energetica europea", ha scritto il commissario europeo per il clima Miguel Arias Canete. I negoziatori degli Stati membri dell'UE e il Parlamento europeo hanno inoltre convenuto di eliminare gradualmente l'uso dell'olio di palma entro il 2030 e di attenuare le normative sui produttori di energia rinnovabile di minori dimensioni. Gli stati membri non hanno accettato le richieste del parlamento di fissare un obiettivo di efficienza energetica. Il Parlamento e alcuni stati membri, tra cui l'Italia, avevano chiesto un obiettivo per le rinnovabili del 35% in risposta a una bozza iniziale della Commissione che includeva un obiettivo del 27% per la quota di energia eolica, solare, idrica e a biomassa nel mix energetico dell'UE. Ma il ministro dell'Economia tedesco Peter Altmaier ha respinto l'obiettivo maggiore in quanto non realistico e ha chiesto un compromesso del 30 per cento. La Germania dipende ancora pesantemente dal carbone per la produzione di elettricità. Mercoledì la Germania ha annunciato che non avrebbe raggiunto l'obiettivo di protezione del clima del 2020. L'accordo europeo, tuttavia, lascia aperta la possibilità di rivedere l'obiettivo al rialzo nel 2023. Fino al 2020, l'Unione europea punta a una quota del 20% di energie rinnovabili e gli esperti hanno sottolineato che il forte calo del costo delle energie rinnovabili consentirebbe obiettivi più elevati senza aumentare i costi. Pur impegnati nella ricerca di ridurre le emissioni di carbonio, alcuni paesi dell'UE oltre la Germania sono stati riluttanti a sostenere un obiettivo troppo elevato, poiché la loro produzione di elettricità dipende ancora in gran parte da tecnologie come il carbone e il gas. In materia di autoconsumo di energia rinnovabile, un termine che copre principalmente pannelli solari montati sui tetti delle case e delle piccole fabbriche, l'accordo prospetta alcune novità. Le installazioni di 25 kW saranno esonerate dagli obblighi di rete, una mossa che potrebbe favorire i difensori delle energie rinnovabili su piccola scala e l'industria del solare fotovoltaico. L'accordo tra il Parlamento europeo e i governi dell'UE sancisce il diritto dei cittadini europei, delle autorità locali, delle piccole imprese e delle cooperative di produrre, consumare, immagazzinare e vendere le proprie energie rinnovabili, senza essere soggetto a tasse punitive o burocrazia eccessiva. "Questo accordo, per la prima volta, riconosce i diritti delle persone comuni a partecipare alla rivoluzione energetica europea e rovescia alcuni ostacoli molto grandi alla lotta contro il cambiamento climatico", ha dichiarato Greenpeace. "Offre alle persone e alle comunità un maggiore controllo sul loro consumo energetico, consentendo loro di accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili e di sfidare i colossi dell'energia in tutto il continente", ha affermato con soddisfazione REScoop.eu, un'associazione che rappresenta le cooperative di energia rinnovabile. "Questo è un giorno straordinario per le comunità energetiche e per i cittadini di tutta Europa", ha dichiarato il Presidente. "Fino a ieri non avevano alcun riconoscimento nella politica energetica europea. Ora, i cittadini hanno una serie di strumenti sui diritti per aumentare il loro peso in modo che possano prosperare nella transizione energetica ". La nuova direttiva UE "contiene ora una forte definizione di" comunità di energia rinnovabile "e una definizione di" autoconsumo" ha spiegato, elogiando il Parlamento europeo per aver inviato "un chiaro segnale" che i cittadini e le comunità sono una chiave per il successo della transizione energetica.
Novembre 2017: I nuovi scenari del Rapporto OECD IEA WEO 2017 L'IEA, l'autorevole organizzazione intergovernativa dell'OECD, fondata nel 1974 sulla scia della crisi petrolifera, rilascia un Rapporto annuale, il World Energy Outlook, WEO, che prospetta le tendenze energetiche future nei prossimi decenni. Il Rapporto IEA WEO 2017 è stato appena rilasciato e, come sempre, l'accesso è libero soltanto per l'Executive Summary di cui è concesso il download. Il nuovo World Energy Outlook dell'IEA dipinge il quadro della transizione in atto nel sistema energetico globale. Siamo ormai abituati alla variabilità delle previsioni dell'IEA, certamente dovuta alla rapida transizione in atto ma anche, ci sia permesso di dire, a talune forme di pregiudizi che la realtà dei fatti si incarica di smentire ogni volta. Nel quadro evolutivo l'innovazione tecnologica, gli investimenti e i cambiamenti politici stanno spingendo in basso i costi delle energie rinnovabili, mentre le preoccupazioni per il cambiamento climatico e l'inquinamento atmosferico allontanano dovunque le scelte dal carbone (> vai alla pagina dedicata). L'economia in transizione della Cina che si sta allontanando dall'industria pesante e le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto contribuiranno a diminuire l'uso del carbone. Centinaia di milioni di persone rivendicano l'accesso all'elettricità ed è facile prevedere che la domanda di energia aumenterà in tutto il mondo per garantire il progresso degli standard di vita aumentare. Il WEO 2017 conferma che, anche se ci sono stati progressi nella pianificazione di un futuro più sostenibile, le nuove politiche per la transizione stanno attualmente entrando in campo troppo lentamente a fronte dell'urgenza di intraprendere un percorso che incontri l'obiettivo internazionale di limitare il riscaldamento del pianeta a meno di 2 °C al di sopra del livello preindustriale e sono "tutt'altro che sufficienti per evitare gravi impatti dei cambiamenti climatici". Nel sistema energetico globale le energie rinnovabili stanno vivendo un rapido sviluppo e una sostanziosa caduta dei prezzi. Una parte crescente dell'energia globale è energia elettrica. C'è un lento ma documentato abbandono del carbone in Cina e c'è un'impennata della produzione di gas naturale e petrolio negli Stati Uniti. Il rapporto IEA ne indica i punti chiave:
Gli scenari IEA di utilizzo futuro di energia Il Rapporto elabora tre diversi scenari tutti traguardati al 2040, rappresentati in figura con i mix energetici e le emissioni globali:
Politiche
correnti. Lo
scenario riguarda solo le politiche già in atto nei vari paesi, senza
interventi aggiuntivi per ridurre le emissioni, migliorare la qualità
dell'aria, o intervenire altrimenti sul mercato dell'energia così com'è
oggi. Si prevedono ulteriori cambiamenti su alcuni aspetti tecnologici che
influenzano il prezzo di diverse fonti energetiche, ma la percentuale di
energia proveniente da ciascuna fonte è per lo più invariata fino al 2040.
Le nuove politiche. Lo scenario delle politiche nuove parte dalle "politiche correnti" e aggiunge gli impegni dell'Accordo di Parigi, così come altre politiche nazionali e regionali che sono state annunciate, ma non ancora implementate. In questo scenario, il consumo globale di carbone raggiunge i picchi intorno al 2020 e rimane pressoché invariato fino al 2040. Le centrali elettriche attualmente in costruzione vengono completate e pochi sono gli impianti che vengono chiusi, ma quasi tutta la nuova domanda di energia a livello mondiale è soddisfatta dagli altri combustibili. Il consumo globale di energia è circa l'8% in meno rispetto alle "politiche correnti" e le energie rinnovabili svolgono un ruolo molto più importante nella produzione di elettricità. Lo scenario delle nuove politiche è l'interesse principale del WEO 2017 ed anche quello cui è dedicato il maggior numero di elaborazioni. Le proiezioni sulle emissioni per il 2040 sono coerenti con lo scenario IPCC con un riscaldamento di circa 2,5 °C (2-3 °C) nel 2100, denominato IPCC RCP4.5. Sviluppo sostenibile. Il nuovo scenario di sviluppo sostenibile nella relazione WEO 2017 è un'evoluzione del loro precedente "scenario 450 ppm" che mirava a limitare le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera a non più di 450 parti per milione. In più, in coerenza con lo SDG7 dell'agenda 2030, offre la garanzia universale di accesso all'energia e la riduzione dell'inquinamento atmosferico. Nello "sviluppo sostenibile", il consumo mondiale di carbone diminuisce di oltre il 50% entro il 2040. L'uso di gas naturale rimane costante, il petrolio si riduce in modo modesto e la domanda complessiva di energia è inferiore del 20% rispetto alle "politiche correnti". Le differenze della domanda di energia spiegano circa la metà della differenza tra "nuove politiche "e" sviluppo sostenibile ", con le energie rinnovabili, eolica e solare in particolare, che riempiono gran parte del vuoto rimanente lasciato dal calo dell'uso del carbone. La differenza tra gli scenari "nuove politiche" e "sviluppo sostenibile" è illustrata nella figura sotto che ne evidenzia le componenti.
Lo scenario di "sviluppo sostenibile" è coerente con una traiettoria che conseguirebbe il 66% di probabilità di evitare un riscaldamento di oltre 2 °C. Entro il 2040, le emissioni sono abbastanza simili allo scenario RCP2.6 dell'IPCC. La figura seguente mostra le traiettorie di riduzione delle emissioni necessaria dopo il 2040 per soddisfare i limiti di temperatura di 2 °C (linea arancione) e 1,5C (linea gialla). I puntini indicano le didtribuzioni modellistiche delle previsioni dello RCP2.6 che danno luogo ad anomalie a fine secolo tra 1,7 e 1,8 °C.
La traiettoria verso gli 1,5 °C potrebbe assicurare una probabilità del 50% di non superare tale anomalia termica ma comporta l’utilizzo di emissioni negative (assorbimenti di CO2 dall'atmosfera) in misura non di molto inferiore alle emissioni globali nel 2000. Molto probabilmente non sarebbe in grado di raggiungere l’obiettivo più severo che assicuri una probabilità del 66% di evitare gli 1.5 °C di riscaldamento. Questa analisi richiama il recente Rapporto sulle emissioni dell’UNEP, lo "Emissions gap 2017" di cui si riferisce in altra pagina di questo sito, che ha egualmente evitato di modellare scenari con il 66% di possibilità di non superare gli gli 1.5 °C, in ragione del fatto che per ora non disponiamo di un numero sufficiente di modelli di sistemi energetici elaborati per trovare una traiettoria plausibile per raggiungere questo obiettivo. Il rapporto esamina in più brevemente uno scenario di transizione più veloce che limita il riscaldamento a meno di 2 °C senza utilizzo di emissioni negative ma, escludendo esplicitamente le emissioni negative questo scenario probabilmente non sarebbe in grado di evitare il superamento di 1.5 °C di riscaldamento.
Scende rapidamente il costo delle energie rinnovabili L'IEA ha costantemente sottostimato la crescita dell’eolico e del solare nelle relazioni passate, così come il rapido declino dei loro costi. Nell'ultimo rapporto, mette un'enfasi considerevolmente maggiore sulle rinnovabili che si considerano sempre più competitive in termini di costi nel il futuro prossimo. Anche nel suo scenario intermedio delle "nuove politiche", prevede che il solare fotovoltaico diventerà più economico del carbone negli Stati Uniti, in India e in Cina tra il 2025 e il 2030. Il WEO fa anche riferimento a quanto conservative sono state le sue proiezioni passate, ammettendo che le proiezioni del solare fotovoltaico per la Cina sono state costantemente inferiori alla crescita effettiva. Questo è mostrato nella figura sottostante, dove le successive stime WEO del solare ne sottostimano costantemente la crescita effettiva in Cina. L'errore è dovuto in gran parte all'utilizzo acritico degli obiettivi ufficiali del governo, rappresentate con i pallini, che si sono dimostrati eccessivamente conservativi. A destra le curve che dimostrano che il costo dell'energia solare sarà praticamente pari al costo dell'energia da carbone già nel 2025. Il costo è calcolato in LCOE, tenendo conto di tutti i costi dell'energia prodotta nel life cycle degli impianti.
Il rapporto assegna un ampio ruolo futuro alle energie rinnovabili, che raggiungerebbero il 40% dell'aumento di domanda entro il 2040 nello scenario "nuove politiche" superando ampiamente la crescita del carbone. Si prevede inoltre che le energie rinnovabili assorbiranno due terzi degli investimenti globali totali in nuove centrali elettriche, in quanto saranno i mezzi meno costosi per la produzione di nuova energia elettrica in molti paesi. L'IEA, nelle "nuove politiche", sostiene inoltre che il solare sarà la più grande fonte a basse emissioni di carbonio entro il 2040, sospinto in gran parte da progetti in India e Cina. Nell'UE, le fonti rinnovabili rappresenteranno l'80% della nuova capacità, con l'energia eolica come principale fonte di energia elettrica dopo il 2030. La figura seguente mostra la dinamica globale della domanda di energia dalle varie fonti nello scenario "nuove politiche", sia per i periodi 1990-2016 che per il 2016-2040. I cambiamenti sono indicati separatamente per la Cina (ombreggiatura in grassetto) e nel resto del mondo (sfumature chiare), dal momento che la Cina sarà uno dei principali driver dei cambiamenti nell'uso globale dell'energia.
Nelle "nuove politiche" si prevede che il carbone crescerà leggermente a livello mondiale, ma non in Cina. La crescita del petrolio sarà molto inferiore rispetto agli ultimi due decenni, mentre il tasso di crescita del gas si prevede che rimanga relativamente costante. La crescita delle energie rinnovabili e di altre fonti a basse emissioni di carbonio raddoppierà all'incirca – e aumenterà di cinque volte in Cina nel periodo 2016-2040. Le energie rinnovabili rappresenteranno la più grande fonte di energia aggiuntiva per i prossimi 24 anni, anche se in qualche modo lo scenario di "nuova politica" si mantiene prudente.
In contrasto con le osservazioni recenti di Rick Perry, segretario per l'energia degli Stati Uniti, l'IEA vede il solare svolgere un ruolo molto maggiore dei combustibili fossili nell'espansione dell'accesso all'energia nell'Africa sub-sahariana. La quota di combustibili fossili utilizzati per garantire l'accesso all'elettricità rimane invece pressoché invariata tra lo scenario "nuove politiche" ed l'energia per tutti al 2030 dello SDG7.
La Relazione WEO prevede rapidi cambiamenti nell'economia cinese, che passa dall'industria pesante ai servizi e alle tecnologie digitali secondo la visione governativa della "nuova normalità". Essendo il maggior consumatore di energia del mondo, i cambiamenti in Cina svolgono un ruolo importante nella direzione futura del sistema energetico globale. Questi cambiamenti economici, insieme alla lotta per la difesa della salute contro l'inquinamento atmosferico, emergenza che si traduce in circa 2 milioni di decessi prematuri all'anno, ci si aspetta che portino ad un lento declino dell'uso del carbone cinese a partire dal 2020. L'utilizzo complessivo di carbone diminuisce del 15% entro il 2040 nello scenario delle "nuove politiche" e ancora più rapidamente nello scenario di "sviluppo sostenibile". Anche se la crescita della domanda di energia rallenterà dall'8% all'anno negli anni 2000 all'1% all'anno nel 2040, nelle "nuove politiche" lo scenario ha ancora un consumo energetico pro-capite in Cina superiore a quello dell'UE nel 2040. Gran parte del calo del carbone sarà compensato dall'aumento della produzione da fonti rinnovabili di energia, con il solare che svolge il ruolo più importante. Un terzo del nuovo eolico e solare del mondo sarà installato in Cina, secondo le "nuove politiche" del WEO. Il gas naturale importato svolgerà un ruolo non secondario, con gli Stati Uniti potenzialmente tra i maggiori esportatori di gas naturale liquefatto in Cina. I veicoli elettrici rappresenteranno, secondo il WEO 2017, il 25% della flotta totale di veicoli in Cina entro il 2040 e la Cina rappresenterà il 40% dell'investimento globale complessivo nei veicoli elettrici.
Con D.M. dei Ministri Calenda (Sviluppo Economico) e Galletti (Ambiente) è stata adottata la Strategia Energetica Nazionale 2017, il piano decennale per la riforma del sistema energetico. La SEN 2017 è il risultato di un processo durato un anno con due audizioni parlamentari e una consultazione pubblica di tre mesi, con la partecipazione di 250 tra associazioni, imprese, organismi pubblici, cittadini e esponenti del mondo universitario. Fra i target quantitativi previsti dalla SEN 2017 segnaliamo: - Efficienza energetica: riduzione dei consumi finali da 118 a 108 Mtep con un risparmio di circa 10 Mtep al 2030. - Fonti rinnovabili: 28% di rinnovabili sui consumi complessivi al 2030 rispetto al 17,5% del 2015; in termini settoriali, l’obiettivo si articola in una quota di rinnovabili sul consumo elettrico del 55% al 2030 rispetto al 33,5% del 2015; in una quota di rinnovabili sugli usi termici del 30% al 2030 rispetto al 19,2% del 2015; in una quota di rinnovabili nei trasporti del 21% al 2030 rispetto al 6,4% del 2015. - Cessazione della produzione di energia elettrica da carbone con un "obiettivo di accelerazione" al 2025. - Decarbonizzazione al 2050: rispetto al 1990, una diminuzione delle emissioni del 39% al 2030 e del 63% al 2050. - Evoluzione verso le bioraffinerie e un uso crescente di biocarburanti sostenibili e del GNL nei trasporti pesanti e marittimi. - Raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico da 222 Milioni nel 2013 a 444 Milioni nel 2021.
Permangono perplessità sulla prospettiva SEN rispetto agli obiettivi dell'Accordo di Parigi e sull'eccessivo accento ancora posto sull'uso del gas naturale. Dice Edo Ronchi nel blog di Huffington Post: la SEN, migliorando la proposta iniziale pubblicata per la consultazione, programma di chiudere le centrali a carbone ancora funzionanti entro il 2025 e di aumentare notevolmente l'elettricità prodotta con il solare (da 23 TWh nel 2015 a 72 TWh) e con l'eolico (da 15 a 40 TWh) entro il 2030...
La nuova SEN indica le misure che al 2030 dovrebbero portare a una riduzione della CO2 per gli usi energetici del 39% rispetto al 1990 (il Consiglio nazionale della green economy nella sua proposta di Programma di transizione alla green economy aveva chiesto un taglio del 50% dei gas serra) e del solo 63% al 2050: una traiettoria, in linea con il pacchetto europeo al 2030, ma insufficiente per il target di Parigi. La scelta del rinvio di misure più impegnative è per ora largamente prevalente a livello europeo e internazionale: la somma degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni presentati dai vari Paesi non è, infatti, in linea con la traiettoria "ben al di sotto dei 2 °C" di Parigi . La posizione "attendista" prevalente è oggetto di un acceso dibattito internazionale che punta a farla correggere alla prima verifica dell'attuazione dell'Accordo di Parigi, prevista per il 2023. Stabilito che la strada della decarbonizzazione è obbligata, i Paesi che diventano leader di una green economy a basse emissioni possono acquisire vantaggi anche economici (Nicholas Stern: Why are we waiting?). Vorrà pur dire qualcosa se l'obiettivo del 35% di rinnovabili sul consumo di energia al 2030 - indicato dal citato Programma del Consiglio nazionale della green economy, necessario anche per sostituire il carbone senza dover ricorrere ad un aumento del gas - e non del 28 % della nuova SEN italiana o del 27% europeo, sia una richiesta avanzata alla Commissione Ue anche da 6 fra le principali imprese energetiche europee (l'italiana Enel, la tedesca EnBw, la spagnola Iberdrola, la portoghese Edp, la danese Orsted e la scozzese Sse).
Luglio 2017: Il governo dell'energia in Italia, di Toni Federico
Il governo dell’energia in Italia sta per avere una svolta decisiva con l’adozione della Strategia Energetica Nazionale, la SEN, sottoposta il 12 Giugno al vaglio della consultazione pubblica che sarà conclusa il 31 Agosto. La SEN prenderà corpo in una fase di ripresa economica del Paese in cui i consumi energetici danno segni contrastanti tra il rebound per effetto della crescita e la riduzione di carattere strutturale a lungo termine. Il dato 2016 cancella l’aumento del 2015 ma la domanda resta superiore di 3 Mtep al 2014. La SEN non ha rilievo solo per la pianificazione della politica energetica nazionale ma soprattutto per l’allineamento agli obiettivi EU 2030 e 2050 e all’Accordo di Parigi, come dichiara lo stesso documento che si propone: “in continuità con gli obiettivi fissati a livello globale nel settembre del 2015 dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e declinati nel nostro Paese dalla Strategia Nazionale per lo sviluppo sostenibile (Agenda 2030 per l’Italia). Negli ultimi decenni in Italia si è verificata una progressiva sostituzione dei prodotti petroliferi con il gas naturale, principalmente nei settori della produzione elettrica e del riscaldamento. Si è passati, così, da un mix produttivo dominato dal petrolio, che nei primi anni ‘70 soddisfaceva circa il 75% del consumo interno lordo primario contro meno del 10% del gas naturale, ad un mix 2016 in cui i due combustibili si equivalgono al 35%. La crescita delle fonti rinnovabili in energia primaria è andata dal 6-8% nei primi anni 2000 a poco meno del 20%, 33 Mtep, nel 2016. Il contributo delle rinnovabili al consumo finale, CFL, è passato dal 7,9% al 17,6% nel 2016, con una crescita lenta negli ultimi anni intorno allo 0,2% ogni anno, tuttavia superando con cinque anni di anticipo il 17%, obiettivo assegnato all’Italia dalla Strategia EU 2020. La quota di rinnovabili nella produzione elettrica è cresciuta molto velocemente, passando da meno del 20% nel 2007 al 34,2% nel 2016 ed al 42% nel primo trimestre 2017, avendo già superato il 40% nel 2014. Nel settore elettrico, la potenza aggiuntiva, di nuova installazione, è passata dai 1000 ktep del 2011 e 2012 a 365 nel 2014 e a solo 122 ktep nel 2015. La nuova potenza elettrica installata da fonti rinnovabili nel 2014 e nel 2015 è così tornata ai livelli pre-2008. Senza una espansione delle fonti rinnovabili ad un ritmo almeno triplo rispetto a quello degli ultimi anni, l’obiettivo della SEN al 2030 non verrebbe acquisito, in aperto contrasto con il target 7.2. Le politiche di efficienza energetica hanno ad oggi permesso di sviluppare in Italia strumenti di eccellenza a livello europeo come gli standard sulle autovetture, sui nuovi edifici e sugli elettrodomestici, le detrazioni fiscali per la riqualificazione degli edifici e i certificati bianchi (il più utilizzato che, da solo, contribuisce al 45% del risparmio energetico annuale). I target europei prevedono una riduzione dei consumi energetici del 20% al 2020 e, dopo l’Accordo di Parigi, del 30% al 2030 rispetto allo scenario di riferimento elaborato nel 2007, pre-recessione. Il target 7.3 dell’AGENDA 2030 definisce con chiarezza che l’obiettivo da raggiungere è il raddoppio del tasso globale dell’efficienza energetica al 2030. Il pacchetto Clean Energy EU 2016 pone il risparmio al primo posto nelle politiche energetiche. Applicando le percentuali di riduzione, già moderate, a scenari ottimistici di crescita dei consumi, i target che ne derivano risultano decisamente poco sfidanti. La SEN stabilisce al 2020 in 158 Mtep per l’energia primaria e in 124 Mtep per i consumi finali, valori già oggi conseguiti dal Paese che al 2015 è già a 156 e 116 Mtep. Il nuovo target EU 2030 del 30%, calcolato rispetto a uno scenario di riferimento che prevede una ulteriore crescita dei consumi, si tradurrebbe, di fatto, in riduzioni minime dei consumi energetici rispetto ai valori attuali, precisamente a 141 e 109 Mtep: saremmo quindi ben lontani dal raddoppio richiesto dal target 7.3 che, pure applicato a una ipotesi ottimistica di crescita annua del PIL del 1,5-2%, porterebbe i consumi energetici nel 2030 a livelli inferiori di circa il 20% rispetto a quelli attuali. Proposte di policy. La bozza della SEN non tratta il phase out dei sussidi alle fonti fossili se non brevemente per la parte delle accise sui carburanti. La recente pubblicazione da parte del MATTM del catalogo dei sussidi dannosi e favorevoli per l’ambiente 2016 quantifica in prima istanza in oltre 11 miliardi di €/anno gli incentivi diretti e indiretti per il settore energetico dannosi per l’ambiente. La SEN deve essere lo strumento per strutturare concretamente un percorso di fuoriscita dei sussidi alle fonti fossili. Peraltro già la Roadmap to a Resource Efficient Europe comunitaria ha indicato nel 2020 il termine temporale per l’abbandono delle sovvenzioni dannose per l’ambiente, ribadendo poi l’impegno con il G7 2016 entro il 2025, in coerenza con il target 12.c dell’Agenda 2030. L’attuale distinzione tra emissioni ETS ed emissioni non ETS, o ESD, con target, strumenti e addirittura responsabilità differenziate (le prime in capo all’Unione europea, le seconde ai singoli Stati membri) non sembra abbia prodotto i vantaggi attesi e presenti, anzi, una serie di aspetti negativi che tendono ad indebolire, anziché rafforzare, le politiche energetico-climatiche europee. Per questo sarebbe opportuno, con una revisione degli impegni europei al 2030, allineare le ambizioni agli obiettivi di Parigi e rivedere questo sistema, ad esempio introducendo un meccanismo unico di carbon pricing europeo su tutti i settori, come alcuni Paesi hanno già fatto, e riportando in capo ai singoli Stati membri la responsabilità di conseguire i propri target di riduzione per l’intero ammontare dei propri impegni nazionali. Partendo dall’Accordo di Parigi e calcolando uno scenario intermedio tra gli 1,5 e i 2°C, per l’Italia i nuovi target per gli indicatori guida della SEN al 2030, devono invece essere i seguenti: · -40% di consumi energetici rispetto allo scenario tendenziale, pari a oltre 20 Mtep finali in meno rispetto ai valori attuali, il doppio dell’impegno registrato negli ultimi anni; · 35% di consumo finale lordo da fonti rinnovabili, pari a circa un raddoppio del contributo attuale (17,6% al 2016), tornando ai tassi di crescita del 2010-12. A più lungo termine, nel 2050, i consumi di energia dovranno essere meno della metà rispetto a quelli previsti nello scenario di riferimento e il contributo delle fonti rinnovabili dovrà superare il 70% del CFL, con una quota di oltre il 95% nel solo comparto elettrico. Per quanto riguarda la cooperazione internazionale allo sviluppo (target 7a,b), non appare del tutto adeguata la conferma italiana del massimo impegno al trasferimento di sostegno e di tecnologie, in gran parte effettuato in una serie di accordi bilaterali.
2015: Il punto sulle prospettive delle tecnologie DACCS, di assorbimento della CO2 dall'atmosfera
Se ne discute sommessamente. Tutti coloro che sono interessati a lasciare le cose come stanno fanno trapelare il messaggio che prima o poi entreranno in gioco nuove tecnologie per risolvere il problema del cambiamento climatico senza toccare gli equilibri del mercato dei combustibili fossili. Un gruppo di spericolati si sta cimentando in studi e piccoli esperimenti di geoingegneria, nome sotto il quale vanno una serie di tecniche che mirano a modificare la fisica dello scambio termico sole terra mediante ombrelli solari, iniezioni di aerosol ed altro. In alternativa ci sono proposte di potenziamento del ciclo del carbonio con l fertilizzazione degli oceani, l'aumento della capacità di mineralizzazione superficiale della CO2. Lo scetticismo è sacrosantamente l'atteggiamento più comune rispetto ad ipotesi il cui effetto ecosistemico sarebbe quantomeno imprevedibile. Si vedrà, restiamo in vigile ascolto. Dopo il V Assessment Report dell'IPCC e dopo l'Accordo di Parigi, in attesa che la stessa IPCC pubblichi i nuovi scenari di contenimento dell'anomalia termica entro gli 1,5 °C a fine secolo, sembra che una parte importante dei profili conseguenti all'Accordo richiedano che nella seconda metà del secolo si debbano sottrarre all'atmosfera flussi ingenti di CO2. Ma le tecnologie ci sono? Occorre fare qualche passo indietro per prendere in esame la cosiddetta "Cattura e Stoccaggio del Carbonio", la CCS, una tecnica originariamente pensata per costruire nuove centrali elettriche a carbone "pulito". La CO2 viene sottratta chimicamente ai flussi al camino o generata con combustione in ossigeno puro, quindi stoccata negli strati geologici profondi. Non ha avuto il seguito necessario a superare la fase di ricerca, salvo in alcuni casi di piccola taglia, prevalentemente per la separazione della CO2 dal gas naturale. In Italia era il progetto Enel-Porto Tolle, presto abbandonato. Oggi la nuova SEN 2017 dice che abbandoneremo del tutto il carbone entro il 2025. Nel mondo un vasto movimento industriale e d'opinione va verso l'abbandono del carbone nel settore energetico, fatta eccezione dei ritorni indietro alla Trump, per fortuna rari. Il problema resta. Non sarà più CCS ma assorbimento diretto del carbonio. Vediamo come.
Il Rapporto della Fondazione del 2015 Questo Rapporto è stato elaborato dalla Fondazione a chiusura dell'attività dell'Osservatorio CCS, decisa dopo la chiusura del progetto Enel-Porto Tolle ed in vista della COP21 di Parigi. Nella seconda parte tratta delle tecnologie di assorbimento del carbonio. L’acronimo CDR (Carbon Direct Removal) definisce una categoria di tecnologie che, oltre quelle derivate dalla CCS, comprende le DAC (Direct Air Capture): include quindi approcci come la afforestazione e riforestazione a grande scala (AR), la cattura e stoccaggio del carbonio basata sulla biomassa usata per generare energia (BECCS) e le DAC, la cattura diretta dall'aria, la fertilizzazione degli oceani, e la rimozione chimica della CO2 . Ognuno di questi metodi presenta oggi una potenzialità più o meno remota di rimuovere CO2 dall'atmosfera, rallentando o anche invertendo il flusso carbonico antropogenico verso l’atmosfera e gli oceani (vedi figura).
La CO2 viene catturata e immagazzinata con meccanismi vari, che coinvolgono diversi processi naturali e molti interventi tecnologici. Gli approcci presentano vari profili di costi e benefici, effetti collaterali, rischi e fattori limitanti. Gli sforzi di razionalizzazione sottolineano problemi di costo, calcolano il potenziale di riduzione massima della CO2 (in ppm) in questo secolo, i vincoli finali, la significatività degli effetti ambientali attesi, e il rischio di effetti ambientali imprevisti. Una differenza importante riguarda la destinazione del carbonio immagazzinato, la biosfera terrestre, lo stoccaggio geologico, le rocce superficiali o il fondo dell’oceano con vantaggi e controindicazioni. Il carbonio sequestrato nelle foreste resta vulnerabile agli interventi industriali. Il riversamento negli ecosistemi oceanici è particolarmente problematico: si tratta di ecosistemi aperti, senza protezione, e ricchi di risorse viventi a rischio che già assorbono grandi quantità di CO2. Per di più, la conoscenza scientifica in materia è in sensibile ritardo. A differenza di altri CDR, gli approcci della afforestazione e riforestazione sono opzioni concrete, scalabili a costi ragionevoli e riconosciute nel quadro degli accordi internazionali sul clima in vigore e nelle relative linee guida di contabilità. Le misure per incoraggiare i paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni da deforestazione e da degrado forestale (REDD+) sono al centro del negoziato internazionale, con stime attuali di emissioni di carbonio lorde dalla distruzione delle foreste tropicali che vanno da circa 0,8 a 2,8 GtC all'anno. In secondo luogo, la scala ovviamente conta. In prima istanza la scala si riferisce alla quantità di carbonio che potrebbe in ultima analisi essere estratta, la velocità con cui questo risultato potrebbe essere realizzato e la durata di tempo che dovrebbe rimanere isolata dall'atmosfera. Le stime di queste grandezze sono sensibili alle ipotesi iniziali - alla praticabilità del percorso, ai fattori limitanti, ai costi e così via. Uno studio abbastanza recente ha calcolato per il 2050 un contributo potenziale dal rimboschimento di 1,5 GtC/anno (fino ad un massimo di 300 GtC); un potenziale contributo da biochar fino a 0,87 GtC/anno (fino a un massimo di 500 GtC) e un potenziale della BECCS fino a 4 GtC/anno (limitato in ultima analisi dalla disponibilità di stoccaggio geologico a 500-3000 GtC). Per non perdere di vista gli ordini di grandezza si consideri che il flusso di CO2 emessi annualmente per combustione di combustibili fossili su scala globale vale poco più di 8 GtC. Per il DAC e la cattura aerea diretta si parla di una possibile velocità di assorbimento, dopo 50 anni di sforzi di ricerca, di 1 GtC all'anno. Ma in tutti i casi le riduzioni richiederanno uno sforzo sociale immenso: la semina e la gestione di milioni di chilometri quadrati di foresta; la coltivazione di materiali biologici per la BECCS o per incorporare il carbonio nel suolo; la diffusione della DAC e dell'iniezione di CO2 nel sottosuolo, o l’estrazione e la lavorazione dei minerali in quantità paragonabili per ordine di grandezza a quelli del sistema energetico che produce la stessa CO2. Ne segue sfortunatamente che le stime ambiziose della potenzialità della CDR, soprattutto dalla metà del secolo in poi, devono essere considerata con cautela. Infine, tutti questi approcci affrontano incertezze su più piani. Nonostante la lunga esperienza umana con la silvicoltura e la gestione forestale la conoscenza dei cicli dei biomi forestali è limitata. La ricerca sul biochar è minima. Non vi è alcuna ricerca su come seppellire la biomassa. La conoscenza degli ecosistemi oceanici, lo abbiamo detto, è limitata e le interazioni tra oceano e atmosfera sono poco compresi. Anche la conoscenza del sottosuolo è parziale: conosciamo abbastanza la geologia dei giacimenti di combustibili fossili, ma molto meno tutto il resto, comprese le interconnessioni tra i processi biologici in profondità e la biosfera... (> leggi tutto e scarica il Rapporto)
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