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Lo sviluppo sostenibile del territorio

Con territorio s’intende l’insieme delle interazioni tra popolazione ed ecosistema in un’area più o meno vasta. Parliamo quindi di paesaggi agrari, di sistemi urbani, di nodi infrastrutturali, di densità e struttura demografica, di mercati del lavoro, di forme di impresa, di culture locali, e di governi locali disposti su più livelli. Il territorio è l’insieme, e ad esso si riferisce la politica, l’amministrazione, la valorizzazione economica ed anche il senso comune.

è evidente che il territorio ha natura complessa, multidimen-sionale e multiscalare. Perciò il compito di governarlo a sua volta viene assegnato, per via normativa ma ancor più di fatto, alla cooperazione di una pluralità di processi che in buona parte riflettono la complessità stessa dell’oggetto di governo. è ciò che viene chiamata governance. Sebbene nessun territorio sa isolato, ma tutti siano intrecciati con altri territori più o meno prossimi e comunque tutti immersi nei flussi globali, ogni territorio ha un certo grado di autonomia. In particolare i territori del nostro Paese sono concepiti – già a livello costituzionale – come un sistema di autonomie. E sono anche individuati esplicitamente tipi di territori: comuni, province, regioni, città metropolitane e così via. Nell’insieme si può parlare di varietà dei territori e di una densa articolazione delle loro autonomie. Nei casi migliori si può parlare di autogoverno come capacità di governare l’insieme dei processi territoriali in direzione di mete condivise e desiderabili intermini di benessere (competitività, coesione, equità sono alcuni dei termini che vi si riferiscono). I territori ben governati si presentano, infatti, ben dotati (in termini di capitale infrastrutturale ed umano), capaci di innovazione, aperti ai flussi globali, e nello stesso tempo in grado di riprodurre nel tempo i tratti qualitativamente più significativi della loro storia spesso, in Italia, millenaria.

Sono territori competitivi, ma coesi, intensamente valorizzati, ma sempre più sostenibili. Altri territori – sempre lungo la scala che va dal piccolo comune alla grande regione – risultano invece poco autonomi, dipendenti da apporti e sostegni esterni, poco capaci di futuro data la prevalenza di abusi territoriali, disvalorizzazione del capitale umano, della diffusione di situazione di esclusione e  di marginalità sociale, di degrado urbano ed ambientale. Questi territori sono poco capaci di autogoverno ed hanno di fronte sfide difficili. In verità in questa fase tutti i territori sono di fronte a grandi decisioni, imposte dalla globalizzazione e dall’unificazione europea: come stare nella competizione globale, come rendere più sostenibili tutti i processi nel global change climatico ed ambientale che incombe, come accrescere le capacità di tutti i soggetti operanti sul territorio. I territori più autonomi lo fanno innovando, anche radicalmente, e usando al meglio il loro capitale sociale e le loro spesso già buone dotazioni in beni comuni e pubblici. I territori poco autonomi, fragili, e che sono stati a lungo malgovernati, devono inoltre provvedere alla cura dei mali ambientali e sociali che li affliggono, anzi questa può diventare la loro chance per recuperare competitività, coesione ed autonomia. (> Read more)

 

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L'innovazione nel governo del territorio

La efficacia delle decisioni da prendere, quando è in gioco un problema sul territorio, non può prescindere da una visione partecipata, responsabile, attiva delle comunità locali alle scelte politiche, economiche e sociali del proprio futuro. Ciò significa, necessariamente, prevedere una forte mobilitazione di risorse culturali, oltre che materiali, nell’informazione, nella comunicazione, nella capacitazione delle comunità locali medesime, poiché senza informazione, comunicazione e formazione va perduta la capacità, diffusa nella comunità locale, di partecipare in maniera attiva e competente alle scelte e quindi la base stessa della condivisione della responsabilità da parte della comunità medesima.

La Carta di Aalborg, punto di riferimento dei principi dello sviluppo locale,  parla esplicitamente di responsabilità verso le generazioni future, quindi di sostenibilità. Si tratta di un fatto rilevante poiché introduce un nuovo concetto, che ci porta molto oltre la questione pur importante della protezione e della difesa dell’ambiente.

Sussidiarietà e innovazione

Chi deve prendere le decisioni sul territorio? La questione democratica e’ ancora in discussione. Secondo Dahl un sistema e’ democratico se “garantisce la partecipazione politica più ampia … alla popolazione adulta … e la possibilità di dissenso e di opposizione”. Si tratta all’apparenza di una definizione  scontata, tuttavia le definizioni più correnti si riferiscono alla democrazia delegata che introduce una asimmetria netta tra la partecipazione attiva della popolazione alle decisioni ed alle scelte e la legittimazione della rappresentanza politica per via elettorale. Tutte le amministrazioni moderne tentano di mitigare il dominio della democrazia delegata, che riconduce la partecipazione dei cittadini al solo atto di votare i propri rappresentanti, mediante varie forme di negoziazione con soggetti sociali portatori di interesse (stakeholder), mai direttamente con i cittadini.

I movimenti per la cittadinanza attiva si sviluppano viceversa dal basso verso l’alto con l’obiettivo di restituire capacità di controllo delle decisioni e di orientamento delle scelte ai cittadini, quanto meno nelle decisioni che non possono essere delegate. Tra esse accanto ai diritti della persona trovano posto crescente le questioni connesse con l’ambiente e con lo sviluppo sostenibile.

Il principio di sussidiarietà, già incluso nei Trattati costitutivi dell’Unione Europea, afferma che ogni politica deve essere affrontata dal o dai livelli istituzionali e dall’organizzazione più vicina ai soggetti interessati dalle politiche stesse, cooperanti, se esiste una visione condivisa degli obiettivi o in competizione tra loro, ove sussistano evidenti inefficienze operative di uno o più soggetti. La sussidiarietà verticale regola la cooperazione tra livelli diversi di governo, Stato, Regioni, Province e Comuni, amministrazioni con finalità simili e competenze differenziate. La sussidiarietà orizzontale articola natura e funzioni delle organizzazioni pubbliche e private che operano con finalità diverse o concorrenti sul medesimo territorio. Il Principio di sussidiarietà, poiché rinvia idealmente agli interessi necessariamente unitari del cittadino, contraddice molte delle pratiche correnti della governance per competenze.

Il Principio di sussidiarietà è un motore potente per la democrazia partecipata. Nei sistemi democratici evoluti tende a generare una transizione verso forme partecipative più efficienti, anche mettendo in discussione alcune prassi consolidate. Tende a spostare le comunità locali da sedi di mera formazione del consenso a luoghi e momenti più vicini alle istanze che hanno a che fare con le decisioni da prendere, specialmente nella delicata materia dei beni comuni e pubblici. Il processo partecipativo è socialmente costoso: “consuma capitale sociale ma più ancora ne produce se le iniziative hanno successo”.

Informazione e comunicazione

Nella produzione/riproduzione della conoscenza in campo ambientale, si parla di dati, di informazione, di comunicazione, di capacitazione. I dati ambientali sono nozioni di natura generalmente quantitativa, ma anche relazionali, qualitativi o descrittivi. Derivano dall’osservazione sperimentale di parametri caratteristici di uno o più fenomeni rilevanti per l’ambiente e lo sviluppo.  La teoria dei sistemi offre un quadro formale di riferimento per definire un dato rispetto al ruolo che esso svolge, si tratti di variabile di input o fattore di pressione, di variabile di stato o infine di variabile osservata o di output.

Una moltitudine crescente di dati ambientali viene messa quotidianamente in gioco a tutti i livelli territoriali grazie all’opera meritoria delle Agenzie ambientali e degli Enti di ricerca pubblica. Eppure rispetto ai dati ambientali molti avvertono un disagio determinato dalla perdurante scarsità dell’informazione, poiché l’accumulo quantitativo di dati, anche informaticamente strutturati, non fa informazione da solo.

Secondo Gregory Bateson, in sintonia con Claude Shannon, informazione vuol dire differenza. Più precisamente diremo che se un dato o una nozione, non producono variazioni cognitive nella mente, nell’atteggiamento, nel comportamento delle persone,  l’informazione ricevuta da esse è nulla. Il dato diviene informazione solo in associazione ad un modello cognitivo, una chiave di lettura, che ne consente l’apprendimento. Un forte elemento di soggettività accompagna questa definizione: a parità di dati, infatti, è il soggetto ricevente che crea il valore del dato in funzione del cambiamento che esso produce nel suo proprio quadro cognitivo. L’informazione diviene in tal modo essa stessa un dato di rilevanza sociale, come tale rilevante e comunicabile.

Il 16 marzo 2001 con la legge 108  l’Italia, secondo paese in Europa, ratifica la Convenzione, promossa dall’ONU attraverso l’UNECE e sottoscritta ad Aarhus nel 1998. Con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, l’Unione Europea approva la Convenzione assumendo per le istituzioni comunitarie le stesse obbligazioni delle autorità nazionali e locali.

La novità giuridica è il coinvolgimento dei cittadini che  ne implica  la partecipazione informata alle scelte e quindi l’accesso ai dati, gli elementi necessari per la valutazione dei piani e dei programmi nei termini del loro impatto sullo stato dell’ambiente e sulla salute ma anche sull’ economia e sugli assetti sociali. La Convenzione di Aarhus, considerata il punto di saldatura tra i diritti individuali e l’ambiente, stabilisce  in modo molto netto tre principi e tre diritti per i cittadini: all’informazione ambientale, alla partecipazione alle decisioni,  al ricorso alla giustizia.

Gli articoli 4 e 5 stabiliscono il principio dell’accesso libero all’informazione ambientale “nella forma richiesta” da parte dei cittadini senza che “il pubblico debba far valere un interesse particolare”. “In caso di minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, imputabile ad attività umane o a cause naturali, tutte le informazioni in possesso dell’autorità pubblica,  capaci di permettere al pubblico di … prevenire o limitare eventuali danni,  devono essere divulgate immediatamente e senza indugi alle persone che rischiano di essere coinvolte”.

Contro l'innovazione: il digital divide

Questo grave fenomeno mette in luce un esito negativo dell’innovazione. Il termine digital divide si riferisce al gap tra persone, famiglie, amministrazioni, imprese ed aree geografiche rispetto all’accesso alle tecnologie dell’informazione, delle comunicazioni ed alle reti telematiche. Può essere un handicap invalidante rispetto al funzionamento degli organismi di governo del territorio, più ancora in materia ambientale, e nell’utilizzo degli strumenti della pianificazione territoriale. Colpisce generalmente le fasce di età più avanzata, ma non solo. I cittadini che hanno difficoltà ad accedere alla strumentazione informatica e ad internet possono essere gravemente danneggiati in termini di informazione e di partecipazione.

E’ stato il  G8 del 2000 a lanciare la Carta di Okinawa, impegnativa per i governi  cui viene affidato il compito di colmare questo nuovo tipo di iniquità, che prescrive a chi governa il compito di adoperarsi per superare il Digital Divide e di:

  •  esplorare strade complementari, compreso l'accesso ai servizi  tramite strutture pubbliche;

  • dare priorità al miglioramento dell'accesso alla rete soprattutto nelle aree marginali;

  • porre particolare attenzione ai bisogni ed alle difficoltà delle categorie deboli, in particolare i disabili e gli anziani;

  • incoraggiare lo sviluppo di tecnologie amichevoli e l'utilizzo di contenuti gratuiti e pubblici;

  • favorire lo sviluppo di una cultura tecnologica presso i cittadini e le imprese.

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