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LE FONTI DEI DATI

I dati del clima e delle emissioni serra a livello globale

I dati globali      I dati italiani

 

NAZIONI UNITE

UN DATA

Climate change and Greenhouse gases

UNFCCC

I dati climatici della Convenzione globale sul clima

Greenhouse Gas Inventory Data - Detailed data by Party

UNEP

Environmental data Explorer:  Climate change

WORLD BANK

Environment Data

WMO

World Data Centre for Greenhouse Gases

IPCC

Data Distribution Centre

OECD

Green growth indicators

EUROPA

EUROSTAT

Database

Emissions of greenhouse gases

EU 2020 headline indicators

Agenda 2030 SDGs

EEA

Data and Maps

GHG emissions by aggregated sector

JRC ISPRA

EDGAR

PBL

Trends in global CO2 and total greenhouse gas emissions

STATI UNITI

WORLD RESOURCES INSTITUTE

CAIT Climate Data Explorer

Climate Watch

DOE ESS-DIVE

Environmental Systems Science Data Infrastructure for a Virtual Ecosystem

CDIAC

ON LINE TRENDS

Fossil-Fuel CO2 Emissions

Global Carbon Project

Global Carbon Budget

 

NOAA

Climate Data Online

NASA

Global Climate Change Data. Vital Signs of the Planet

2022: Concentrazione globale media (MAUNA LOA) della co2

(fonte: NOAA)

 

 

2022: ANOMALIA TERMICA  media superficiale globale RISPETTO ALLA MEDIA DEL 20° SECOLO

(fonte: NOAA)

 

2017: Temperatura media superficiale globale per RADIative forcing 1850 - 2017

fonte: Carbonbrief

 

2019: EMISSIONI DI GHG GLOBALI E PER PAESI

(fonte: Ourl World in Data)

 

2022: EMISSIONI DI CO2 PER FONTE. CARBONE (40%), OLIO (32%), GAS (21%), CEMENTO (5%)

(fonte Global Carbon Project)

 

2022: EMISSIONI PERCENTUALI GLOBALI DI GHG PER SETTORE

(fonte: IEA)

 

2022: 40,5 Gt di EMISSIONI GLOBALI di CO2 DA FOSSILI E LUC 

(fonte: GGP, Global Carbon Project)

 

2022: EMISSIONI COMPARATIVE di CO2 in Gt Europa (2,9), Cina (11,4), India (2,9), USA (5)

(fonte: GGP, Global Carbon Project) 

2022: CARBON BUDGET EMESSO ED ACCUMULATO AL 2022. 19,9 Gt accumulate in ATMOSFERA

(fonte: GGP, Global Carbon Project)

 

2022: EMISSIONI STORICHE CUMULATIVE DI CO2 DAL 1850

(fonte: Global Carbon Project)

 

2021: EMISSIONI DI CO2 pro capite IN t/yr USA (14,9), Cina (8),

Germania (8), Italia (5,55), ARABIA SAUDITA (18,7)

(fonte: Our World in Data) 

 

 

2020:  Carbon budget (AREE TRIANGOLARI) RIMANENTE PER  1,5  (440 Gt) e  2 °C (860 Gt)

(fonte: Carbonbrief)

 

2022: Estensione dei ghiacci artici 4,67 Mkm2, TREND -12,6% all'anno

(fonte:NASA)

 

 

2021: Livello medio del mare IN cm

(fonte: sealevels.org)

 

 

 

2021: INTENSITà ENERGETICA  DEL PIL (MEDIA 0,111: TREND -1,5 %/yr) ) in koe/15$ppp

(fonte: Enerdata)

 

2021: FAttori di Emissione standard nella generazione elettrica da fossili in kg/MWh

  (fonte: IPCC)   

 

2021: Emissioni di CO2 del settore eLETTRICO dei principali paesi IN gCO2eq/kWh

(fonte: Our World in Data) 

 

 

2013: Il segno dell'IPCC sul clima globale

(> leggi il Rapporto completo)

Nell’anno appena trascorso la concentrazione della CO2 in atmosfera ha praticamente raggiunto i 400 ppm.

La conclusione con la quale si apre il V Rapporto dell'IPCC, AR5, è ultimativa e preoccupante: “È estremamente probabile che l'influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato dalla metà del 20° secolo”. I cambiamenti osservati mostrano che il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, e che dal 1950 molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti nei millenni trascorsi. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio sono diminuite, il livello del mare è aumentato e le concentrazioni di gas serra sono aumentate. Ciascuno degli ultimi tre decenni è stato nell’ordine il più caldo sulla superficie della Terra rispetto a qualsiasi decennio precedente a partire dal  1850. Nell’emisfero settentrionale il periodo 1983-2012 è stato probabilmente il trentennio più caldo degli ultimi 1400 anni. Basata su una lunga serie storica disponibile, la variazione della temperatura superficiale osservata tra la media del periodo 1850-1900 e del periodo di riferimento AR5 1986-2005 è di 0,61°C. Tuttavia, il riscaldamento sta continuando oltre la media di tale periodo.

Nel 2013 il flusso annuo delle emissioni globali carboniche ha raggiunto quasi le 10 GtC. 

 

Emissioni globali di carbonio da CO2 (x3,6) e stima 2013 (fonte: Global Carbon  Budget)

L'aumento delle emissioni globali di CO2 prodotte dalla combustione di combustibili fossili e di altre fonti minori industriali, la causa principale del riscaldamento globale indotto dall'uomo, ha rallentato nel 2012, mentre il tasso di crescita globale medio annuo di 2,4 ppm della concentrazione atmosferica di CO2  nel 2012 rimane piuttosto alto. Le emissioni globali effettive sono aumentate del 2,2% rispetto al 2011, raggiungendo un totale di 34,5 miliardi di tonnellate nel 2012, anche se ad un tasso che è stato inferiore all'aumento medio annuo del 2,7 % negli ultimi dieci anni.Le emissioni in India sono cresciute del 6,8 % nel 2012, il 53 % dal 2005 al 2012 e del 200 % dal 1990 , anche se le emissioni pro capite sono ancora molto inferiori a quelli dell'UE a meno di 2 tC/py.

Le emissioni del Giappone restano invariate nel periodo 2005-2012, ma sono aumentate dal 1990 e sono in tendenza al rialzo. Il Giappone ha recentemente ridimensionato in modo significativo i suoi piani per ridurre i gas a effetto serra entro il 2020, nel contesto di una revisione della politica energetica dopo l'incidente nucleare di Fukushima. Così anche Australia e Canada.

 

Il contributo alle emissioni totali degli "altri" GHG (fonte: UNEP 2013)

 

Le emissioni pro capite cinesi sono ora circa alla pari con quelle dell'UE a circa 7 tC/py. Nel 2012 , le emissioni di CO2 degli Stati Uniti sono diminuite del 4 % e sono scese di oltre il 12 % dal 2005 . Le emissioni pro capite sono tuttavia  molto superiori, pari a 16.4 tC/py. Il significativo calo delle emissioni è dovuta in gran parte allo sfruttamento del gas di scisto interno (shale gas) che ha spiazzato il carbone nel settore della produzione di energia.

Nel 2012  si comincia ad osservare a livello globale un certo decoupling relativo ai ritmi della crescita economica globale, per effetto, se non ancora di un netto greening del settore dell’energia, di uno spostamento verso attività meno carbon intensive, un maggiore ricorso alle energie rinnovabili e del diffondersi del risparmio energetico.

Osservando le tendenze dei primi tre grandi emettitori, che rappresentano il 55% del totale delle emissioni globali di CO2, la Cina ha aumentato le proprie emissioni del 3%, molto meno degli gli aumenti annuali di circa il 10% nell'ultimo decennio e meno della crescita economica. In Cina le emissioni di pro capite sono pari a quelle europee,  e quasi la metà degli Stati Uniti, le sue efficienza energetica è invece circa  la metà degli Stati Uniti e dell’Europa, ed è pari a quella della Federazione russa. Il grande pacchetto di stimolo economico della Cina, finalizzato ad evitare un rallentamento della crescita economica durante la crisi globale, è all’esaurimento. I consumi di energia e di elettricità  aumentano a metà del ritmo di crescita del PIL, di conseguenza l'intensità energetica, che è l’indicatore guida della politica energetica cinese, migliora nel 2012 del 3,6%, il doppio del 2011. si tratta di risultati rilevanti se il Paese vuole effettivamente raggiungere il suo obiettivo del 2015, secondo il 12° piano quinquennale, che prevede una riduzione cumulata del 17 % dell'intensità energetica rispetto al 2010. La produzione idroelettrica cinese conta per il 23 % nel 2012, con un vantaggio di 1,5 punti percentuali sulle emissioni dell’anno. Fortunatamente anche le emissioni pro-capite, pur sempre in crescita, salgono del 3% nel 2012, dopo un decennio al +10%. È evidente che il progresso tecnologico sconta ancora l’aumento (e la diffusione) dei consumi.

Le emissioni pro-capite dei grandi emettitori (fonte: Global Carbon  Budget)

Gli Stati Uniti riducono le emissioni del 4 % e l'Unione europea dell’1,6 %. In India e Giappone, viceversa, le emissioni sono aumentate del 7 % e del 6 %. Sorprende il Giappone, ma la crisi nucleare ha il suo peso.  La Federazione russa, stabile, scende dell'1%. Gli Stati Uniti,  con 16,4 tCO2/py nel 2012 , sono ancora gli ultimi della classe della  crisi climatica, anche se migliorano rispetto al 2005. Nel 2012, con una crescita del Pil del 2%, le emissioni sono diminuite del 4 %, soprattutto a causa del basso prezzo del gas. Con la fratturazione e l’estrazione del gas di scisto, gli Stati Uniti sono ora il più grande produttore di gas naturale del mondo e sono energeticamente autosufficienti. Negli ultimi 5 anni, la quota di shale gas è aumentato a un terzo della produzione di gas totale lorda e la quota di petrolio di scisto era nel 2012 quasi un quarto della produzione totale di greggio.

L' Unione europea, nel suo insieme, ha subito una recessione economica nel 2012 con il Pil dell'UE-27 in calo dello 0,3%  rispetto al 2011. Le emissioni di CO2 sono in calo del 1,3%, meno del 3,1% dell’anno precedente. Cala il consumo di energia primaria fossile, del 4% e del 2% rispettivamente.  Diminuisce il trasporto stradale di merci del 4%; diminuiscono del 2% le emissioni totali degli impianti di produzione di energia, inquadrati nel sistema di scambio di emissioni  EU ETS. Anche se le emissioni totali di CO2 dalla produzione di energia nell'UE27 sono diminuite del 2,3 % nel 2012, si riscontrano disomogeneità marcate a causa dell’uso del carbone, tornato attraente per effetto del buon prezzo del carbone americano. Nel 2012 , l'aumento del consumo di carbone è stato osservato in UK (+24%, il più alto dal 2006), in Spagna (+24%, il secondo anno con un aumento dopo due anni di calo dei consumi), in Germania (+4%) e Francia (+20%). Minor consumo del 4 e 8% in Polonia e nella Repubblica ceca.

Il quadro delle emissioni storiche, ben diverso da quello dei flussi annuali e gli esiti 2100

(fonte: Global Carbon  Budget)

Su scala globale  i vettori per la fornitura di energia primaria hanno mostrato tutti continui aumenti negli ultimi dieci anni, fatta eccezione per l'energia nucleare, che è diminuita dal 2012 a seguito dell'incidente di Fukushima. Gli aumenti dei consumi di combustibili fossili nel 2012 erano del 2,2% per il gas naturale, dello 0,9% per i prodotti petroliferi e dello 0,6% per il carbone. Nel complesso la quota di combustione del carbone incide sul totale delle emissioni globali di CO2 per il 40 %  e le centrali elettriche a carbone per il 28 %. Sono state tentate diverse misure per limitare l'uso del carbone per la generazione elettrica mediante conversioni impiantistiche a gas o energia rinnovabile, e trasformazioni tecnologiche per bruciare una parte di biomassa, ovvero per fare nuove centrali elettriche a carbone capaci di cattura e stoccaggio (CCS ) del carbonio. Si tratta però di cambiamenti lenti e, in qualche caso, avveniristici.

La vera novità che sta cambiando i mercati è però l’energia rinnovabile. Lo studio dei trend globali evidenzia  un aumento della produzione di energia idroelettrica del 4,3% tra il 2011 e il 2012. La quota dell’energia rinnovabile solare, eolica e dei biocarburanti aumenta in volume ed in velocità di crescita: ci sono voluti 15 anni a partire dal 1992 per raddoppiare la quota dallo 0,5% all’1,1%, ma solo 6 anni per un nuovo raddoppio. Nel 2012 la crescita è del 2,4 %.

Per concludere l’analisi dinamica delle emissioni si può fare un calcolo approssimativo e tendenziale dei risultati del Protocollo di Kyoto, primo periodo senza considerare le dinamiche intervenute nel corso della sua durata. Come risulta dai dati nella figura, i paesi dell’Annesso B avrebbero conseguito globalmente una riduzione, per la sola anidride carbonica,  approssimativamente pari al 5,2% su base 1990. L’impegno di Kyoto fissava una riduzione su scala globale proprio del 5%.

Grande successo? No, certamente. Il trattato fu concepito in funzione della sua possibile incidenza globale sulle emissioni. Il totale globale mostra amaramente un aumento del 50% su base 1990 per la sola anidride carbonica.

Andamento delle emissioni dei paesi impegnati (Annesso B) e non impegnati alla riduzione delle emissioni dalla prima fase del protocollo di Kyoto che si conclude con la verifica 2008-2012  (fonte: Global Carbon  Budget)

Che dire quindi di Kyoto2? Riguarda impegni ancora da precisare per un gruppo di paesi, Europa compresa, che vale il 15% delle emissioni globali. Possono solo essere passati in rassegna gli impegni volontari (pledge) finora espressi da tutti i paesi ai sensi dell’accordo della COP 15 di Copenhagen per il periodo che va fino al 2020. In realtà risultano ad oggi espressioni di impegno più o meno credibili solo per 32 paesi come mostra la mappa mondiale in figura. È l’UNEP a monitorare l’andamento di questi impegni con un rapporto annuale ad esso dedicato, l’“Emissions Gap Report”. L’ultma edizione, già citata,  è stata licenziata nel novembre 2013.

Le conclusioni del Rapporto 2013 dell’UNEP non sono incoraggianti. Anche  se tutti i paesi manterranno le loro promesse attuali (la lista è a pag. 28 del Rapporto), le emissioni di gas a effetto serra nel 2020 sono suscettibili di essere da 8 a 12 GtCO2eq sopra il livello che porterebbe ad un possibilità di rimanere sul sentiero del danno minimo, entro i con 2°C di aumento medio della temperatura globale (the gigatonne gap).

La mappa mondiale dei paesi e degli impegni di mitigazione assunti da qui al 2020

(fonte: UNEP, 2013)

Se gli impegni dei vari paesi saranno implementati nei volumi, nei modi e nei tempi attualmente dichiarati, le emissioni previste per il 2020 spazieranno tra i livelli di 52 e 56 GtCO2eq, a seconda di come quelle promesse verranno realizzate nella realtà dei fatti.  Il volume di emissioni  Business as usual (BAU), senza cioè politiche e misure di mitigazione ulteriori, è di 59 GtCO2eq. I fattori che influenzano l’attuazione degli impegni dipendono da come essi saranno condizionati,  e se le norme contabili applicate saranno indulgenti o rigorose. Secondo le migliori stime presentate nel Rapporto,
è previsto che le emissioni globali di gas a effetto serra continuino a crescere. Le emissioni BAU stimate nel 2013 sono già un Gt più alte rispetto all'aggiornamento dello scorso anno.

Se il gap non viene annullato o ridotto in modo significativo entro il 2020, la chance di molte delle opzioni per limitare l'aumento della temperatura ad un target inferiore a +1,5°C sarà nulla, ed aumenterà ulteriormente la necessità di ricorrere ad eccezionali e rapidi aumenti dell’efficienza energetica o all’uso “carbon negative” delle biomasse con la cattura e stoccaggio del carbonio.

Per rimanere entro l'obiettivo dei 2°C e scongiurare gli effetti climatici negativi di cui al Rapporto IPCC AR5, il Rapporto UNEP afferma che le emissioni dovrebbero essere al più 44 GtCO2eq entro il 2020 per preparare il terreno per ulteriori tagli necessari a 40 Gt nel 2025, 35 Gt entro il 2030 e 22 GtCO2eq entro il 2050. Dato che questo obiettivo è stato basato su scenari di azione a partire dal 2010, il Rapporto constata che sta diventando sempre più difficile raggiungere questo obiettivo. La figura evidenzia, meglio di ogni analisi, gli effetti termici attesi per i quadri relativi ai vari percorsi di emissione.

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UNEP, valutazioni e scenari dell'Emissions gap

in rete il Rapporto "The Emissions Gap Report 2013"

sul sito lo "Executive  Summary Report" del 2012 in lingua italiana a cura della Fondazione

 

Per “Emissions Gap 2020” intendiamo la differenza tra i livelli di emissione nel 2020 coerenti con il raggiungimento degli obiettivi climatici e i livelli attesi in quell’anno, se gli impegni dei paesi e i loro pledge sono rispettati. Poiché è sempre meno probabile che il gap sarà chiuso entro il 2020, il mondo dovrà fare affidamento su un approccio più difficile, costoso e rischioso dopo il 2020 per mantenere la media globale dell’aumento di temperatura al di sotto dei 2° C. Se la distanza dall’obiettivo non si annulla o non si riduce significativamente entro il 2020, la chance delle opzioni per limitare l’aumento della temperatura ad 1,5° C alla fine di questo secolo sarà compromessa.  Il Rapporto UNEP 2013 propone questi interrogativi e queste risposte:

1. Quali sono le attuali emissioni globali? Le emissioni globali di gas a effetto serra attuali sono notevolmente superiore rispetto ai livelli che al 2020 sono in linea con il raggiungimento dei target di 1,5° o 2° C, e sono ancora crescenti. Paesi Nel 2010, in livelli assoluti, ai paesi in via di sviluppo va attribuito circa il 60 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra.

2. Quali  livelli di emissioni sono previsti per il 2020? Le emissioni di gas serra globali nel 2020 sono stimate pari a 59 GtCO2eq all’anno in uno scenario business-as-usual.  Se attuati pienamente, promesse e  impegni potrebbero ridurre questo livello di 3-7 GtCO2eq all’anno. Per ora è possibile confermare che solo alcuni paesi sono sulla buona strada per mantenere i loro impegni per il 2020.

3. Qual è la stima del gap delle emissioni nel 2020? Anche se gli impegni saranno pienamente attuate, il gap delle emissioni nel 2020 sarà 8-12 GtCO2eq all’anno, ipotizzando percorsi di mitigazione a costi minimi. Le limitate informazioni disponibili indicano che il divario delle emissioni nel 2020 per soddisfare un target 1,5° C in  2020 è superiore di oltre  2-5 GtCO2eq all’anno.

4. Quali sono i livelli di emissione nel 2025, 2030 e 2050, coerenti con l’obiettivo dei 2° C? I percorsi di emissione di costo minimo, coerenti con una probabilità di centrare l’obiettivo dei 2° C hanno emissioni globali nel 2050, che sono 41 e il 55 per cento, rispettivamente, al di sotto livelli di emissione del 1990 e 2010.

5. Quali sono le implicazioni dei percorsi di costo minimo di mitigazione che soddisfano i target di 1,5 e 2° C nel 2020? Più gli sforzi di mitigazione decisivi sono rinviati, maggiore è la necessità di ricorrere alle tecnologie ad emissioni negative nella seconda metà del 21° secolo per mantenere la media globale dell’aumento della temperatura al di sotto di 2° C. Le tecnologie necessarie per il raggiungimento di emissioni negative possono avere significative impatti ambientali negativi.

6. Quali sono le implicazioni delle azioni ritardate che comunque soddisfano i target di 1,5 e 2° C. Sulla base di un numero molto maggiore di ricerche rispetto allo studio del 2012, questo aggiornamento del 2013 giunge alla conclusione che i cosiddetti scenari delle azioni tardive comportano diverse implicazioni rispetto agli scenari di costo minimo, tra cui: (i) tassi molto più alti di riduzione delle emissioni a medio termine a livello mondiale, (ii) molto maggiori blocchi di impianti ad alta intensità di carbonio, (iii) una maggiore dipendenza da talune tecnologie nel medio termine; (iv) un  maggiore costo della mitigazione nel medio e lungo termine, e maggiori rischi di default economici, e (v) maggiori rischi di non riuscire a raggiungere l’obiettivo dei 2 ° C. Per queste ragioni gli scenari delle azioni tardive possono non essere attuabili in pratica e, di conseguenza, comportare la perdita degli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale.

7. Il gap può essere colmato entro il 2020? Il potenziale tecnico di riduzione delle emissioni al 2020 è ancora stimato in circa 17 ± 3 GtCO2eq. Questo abbattimento è sufficiente per colmare il divario tra il livello di emissione business-as-usual e i livelli che soddisfano l’obiettivo dei 2° C, ma il tempo si sta esaurendo.

8. Quali sono le opzioni per colmare il gap delle emissioni? Applicare norme contabili rigorose per le azioni nazionali di mitigazione potrebbe assicurare un vantaggio di 1-2 GtCO2eq. Inoltre, passando dagli  impegni incondizionato a impegni regolati (conditional) potrebbe ridurre il divario di altre 2-3 GtCO2eq, e l’aumento della portata degli impegni attuali potrebbe ridurre ulteriormente il gap di 1.8 GtCO2eq. Questi tre passaggi ci possono portare a metà strada per colmare il gap. Il resto può essere colmato attraverso ulteriori azioni nazionali e internazionali, tra cui iniziative di cooperazione internazionale. Gran parte di queste azioni si riveleranno benefiche per gli interessi nazionali, al di fuori del contesto climatico.

***

Dal Rapporto 2012: Una delle questioni fondamentali dei negoziati sul clima globale è quale livello di “ambizione”, in termini di riduzione collettiva delle emissioni, è necessario per proteggere il clima globale. Per aiutare a rispondere a questa domanda l’UNEP e la comunità scientifica hanno pubblicato una serie di rapporti sull’ “Emissions gap, la differenza nel 2020 tra i livelli di emissione coerenti con il limite dei +2 °C e i livelli di emissione previsti, a partire dal 2010. Di particolare interesse per la questione dell’ambizione è il divario nel 2020 tra i livelli di emissione in linea con l’obiettivo climatico dei+2 °C e i livelli di emissioni previste se gli impegni di riduzione di tutti i paese sono soddisfatti. Se c’è un gap, allora c’è il dubbio che l’ambizione dei paesi non sia grande abbastanza per soddisfare il target  concordato dei +2 °C.  Nel Gap Report del 2010 gli scienziati avevano indicato che ci sarebbe probabilmente stato un divario sostanziale delle emissioni al 2020, sebbene le stime di questo deficit variassero spesso, a seconda della ipotesi circa il modo con cui gli impegni dei vari paesi sarebbero stati rispettati. Nel rapporto del 2011 “Bridging the Gap” gli scienziati hanno affermato che esiste un sufficiente potenziale tecnico per colmare il divario nel 2020, ma a condizione che l’azione da parte dei paesi sia tempestiva.

L’UNEP ha convocato un gruppo di 55 scienziati ed  esperti provenienti da 43 gruppi scientifici in 22 paesi per produrre questa terza relazione sul divario delle emissioni che copre i seguenti punti:

  • l’aggiornamento delle stime globali delle emissioni di gas serra, sulla base di una serie diversificata di autorevoli fonti scientifiche;

  • una panoramica dei livelli nazionali di emissione, sia attuali (2010) che  proiettati (2020), coerente con gli impegni già assunti ed altri vincoli;

  • una  stima del livello di emissioni globali coerente con l’obiettivo dei due gradi nel 2020, 2030 e 2050;

  • un aggiornamento della valutazione del divario emissioni per 2020;

  • una rassegna di esempi selezionati del rapido progresso compiuto in diverse parti del mondo per attuare politiche già stanno ottenendo notevoli riduzioni delle emissioni. Queste politiche potrebbero  contribuire in modo signi-ficativo a ridurre il divario se verranno ampliate e replicate in altri paesi.

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IEA, valutazioni sull'obiettivo +2° dal World Energy Outlook del 2012

in rete il Summary Report dell'IEA WEO 2012 in italiano

 

L’efficienza energetica può tenere aperta la porta dei 2°C ancora per un po’. Le passate edizioni del WEO hanno dimostrato che l’obiettivo climatico di limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C sta diventando, ogni anno che passa, sempre più difficile e più costoso. Il nostro Scenario 450 esamina le azioni necessarie per il conseguimento di questo target e conclude che circa i quattro quinti delle emissioni di CO2 fysentite all’orizzonte 2035 sono già allocate dallo stock di capitale esistente (centrali elettriche, stabilimenti industriali, edifici, ecc.). Se entro il 2017 non verrà intrapresa alcuna azione per ridurre le emissioni, le infrastrutture connesse al settore energetico esistenti in quel momento produrranno l’intero volume di emissioni di CO2 consentite nello Scenario 450. Una rapida diffusione delle tecnologie per l’efficienza energetica posticiperebbe, invece, la completa allocazione delle emissioni al 2022, consentendo di guadagnare tempo prezioso per conseguire un urgente accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Nella figura sono riportate le emissioni procapite attuali e quelle prescritte per il 2035 dallo scenario 450 che consentirebbe di stare entro i +2°C.

Se si vuole raggiungere l’obiettivo dei 2 °C, meno di un terzo delle riserve provate di combustibili fossili può essere consumato prima del 2050, a meno di un utilizzo diffuso della tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Questo risultato deriva dalla nostra stima del carbon budget mondiale, misurata come le emissioni potenziali di CO2 associate alle riserve provate di combustibili fossili. Circa i due terzi delle riserve di carbonio sono correlati al carbone, il 22% al petrolio e il 15% al gas. A livello geografico, i due terzi sono concentrati in Nord America, Medio Oriente, Cina e Russia. Questi risultati evidenziano l’importanza dei sistemi di CCS come opzione chiave per contenere le emissioni di CO2; tuttavia, con pochissimi progetti su scala commerciale attualmente operativi, la velocità di diffusione di questa tecnologia rimane molto incerta.

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Crisi climatica, dati e cause

di Veronica Aneris, 2011

Andamento delle concentrazioni dei gas serra: l’anidride carbonica. La concentrazione globale di anidride carbonica è cresciuta dal valore precedente la rivoluzione industriale di circa 280 ppmv ad un valore di 389 ppmv misurato nel Dicembre 2010 nella stazione di Mauna Loa nelle Isole Hawaii. Il valore della concentrazione atmosferica di anidride carbonica nel 2010 supera notevolmente il range naturale degli ultimi 650.000 anni (da 180 ppmv a 300 ppmv) come determinato dall’analisi delle carote di ghiaccio. Negli 8.000 anni precedenti all’industrializzazione la concentrazione di anidride carbonica è aumentata solamente di 20 ppmv; dal 1750 ad oggi, dunque in 260 anni,  la concentrazione di anidride carbonica è aumentata di 109 ppmv.

 

Figura 1. Concentrazione atmosferica della CO2

(Fonte: NOAA Earth System Research Laboratory)

Il tasso annuo di crescita della concentrazione di anidride carbonica negli ultimi quindici anni (media 1995-2010: 1.9 ppmv all’anno) è stato il più alto da quando sono iniziate le misure dirette in continuo dell’atmosfera (media 1960-2010: 1,4 ppmv all’anno), nonostante vi sia una variabilità da un anno all’altro nei tassi di crescita.

La fonte principale dell’incremento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica rispetto al periodo pre-industriale deriva dall’uso dei combustibili fossili, e dai cambiamenti di uso del suolo, anche se questi ultimi apportano un contributo minore ma pur sempre significativo. Si stima che dal 1750 ad oggi la combustione di combustibili fossili sia responsabile di circa 2/3 delle emissioni di CO2 di natura antropogenica, mentre il cambiamento di uso del suolo ne è responsabile per 1/3. (Fonte: IV Rapporto di Valutaz. IPCC WG1. Aggiornamento dati al 2010: Susdef).

Il metano. La concentrazione atmosferica globale di metano è cresciuta da un valore pre-industriale di circa 715 ppbv a 1732 ppbv nei primi anni novanta, ed ha raggiunto un valore di 1800 ppbv nel 2010. La concentrazione atmosferica di metano del 2010 eccede abbondantemente il range naturale degli ultimi 650.000 anni (da 320 a 790 ppbv) come determinato dall’analisi delle carote di ghiaccio. I tassi di crescita sono diminuiti a partire dai primi anni novanta, consistentemente con le emissioni totali (somma delle sorgenti antropogeniche e naturali) che sono rimaste quasi costanti durante questo periodo. E’ molto probabile che l’incremento osservato della concentrazione di metano sia dovuto alle attività antropiche, principalmente l’agricoltura e l’uso dei combustibili fossili, ma i contributi relativi delle diverse tipologie di sorgenti non sono ancor ben determinati.

Figura 2. Concentrazione del metano (Fonte: NOAA Earth System Research Laboratory)

Protossido di Azoto. La concentrazione atmosferica globale di protossido di azoto è cresciuta da un valore pre-industriale di circa 270 ppbv a circa 323 ppbv nel 2010. Il tasso di crescita è rimasto approssimativamente costante dal 1980. Più di un terzo di tutte le emissioni di protossido di azoto sono antropogeniche e principalmente dovute all’agricoltura.

I gas serra regolati dal protocollo di Kyoto sono in realtà sei. Ai tre documentati, cui spetta la quota prevalente dell’effetto serra, vanno aggiunti l’esafluoruro di zolfo (SF6), gli idrofluorocarburi (HFCs) e i perfluorocarburi (PFCs). Sono gas serra anche i clorofluorocarburi (CFCs) già regolati dal protocollo di Montreal per la difesa dell’ozono stratosferico. Una quota importante dell’effetto serra deve essere attribuita al vapor d’acqua che ha un regime di concentrazione variabile, controllata dalla meteorologia.

 

Figura 3. Concentrazione del protossido di azoto

(Fonte: NOAA Earth System Research Laboratory)

I bilanci energetici dell’effetto serra: le forzanti radiative. La forzante radiativa in Wm-2 è il flusso di energia radiante, solare ed infrarossa, entrante (+) o uscente (-) per unità di superficie al limite dell’atmosfera per effetto della variazione di un determinato fattore, supponendo imperturbata la termodinamica degli strati atmosferici interessati dallo scambio. Le definizioni IPCC sono: “… è la variazione netta dell’irradianza alla tropopausa dovuta alla variazione di un agente, ad esempio della concentrazione di uno dei gas serra …”, ed in seguito: “… è una misura  dell’influenza che un fattore ha nell’alterare il bilancio dell’energia entrante o uscente  … rispetto ai valori precedenti la rivoluzione industriale (anno 1750)”.

La forzante radiativa combinata dovuta agli aumenti di anidride carbonica, metano e protossido di azoto è di +2.4 Wm-2, ed il suo tasso di crescita durante l’era industriale molto probabilmente non ha avuto precedenti in più di 10.000 anni. Il forzante radiativo dell’anidride carbonica è cresciuto del 27% dal 1995 al 2010, il cambiamento maggiore di qualsiasi decennio almeno negli ultimi 200 anni.

 

Figura 4. Forzanti radiative

(Fonte IPCC TAR 2005)

Figura 5: Forzante radiativa della CO2 rispetto al 1750

(Fonte: NOAA Earth System Research Laboratory)

 

 

Andamento delle temperature medie superficiali misurate sul pianeta. egli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2010, la temperatura media superficiale globale del pianeta (valore combinato tra valore misurato sulla superficie della terra e sulla superficie del mare) è cresciuta mediamente di circa +0,43°C rispetto al valore medio 1961-1990; tale aumento è il più alto registrato per un periodo di 10 anni (WMO). Secondo le stime WMO la variazione della temperatura media del pianeta è pari a circa +0,55°C rispetto al valore medio 1961-1990. Il NASA Goddard Institute for Space Studies ha dichiarato che l’anno 2010, insieme al 2005 e al 1998, rappresenta uno degli anni più caldi mai registrati da quando si hanno misure globali di temperatura alla superficie, ossia dal 1850.

Andamento delle emissioni di gas serra. Le emissioni di anidride carbonica globali hanno raggiunto nel 2008 il valore di 29.381 milioni di tonnellate, registrando un incremento rispetto al valore del 1971 pari al 108%. Il contributo da parte dei paesi OECD è pari a 12.630 milioni di tonnellate e inferiore al contributo da parte dei paesi non-OCSE, pari a 15.719 milioni di tonnellate nel 2008. Come mostrato in figura 7, nel 2005 i paesi non-OECD hanno superato per valore di emissioni di anidride carbonica quelle dei paesi OECD. Tale superamento è per la maggior  parte attribuibile alla Cina, le cui emissioni hanno superato quelle degli Stati Uniti nel 2007. Come mostrato in Fig. 8 le emissioni globali di CO2 della Cina nel 2008 sono quasi raddoppiate in soli 8 anni (+96%periodo 2002-2008).

Il tasso di crescita medio del periodo 2002-2008 è pari al 12%. (Elaborazione SUSDEF su dati IEA).

Per quanto riguarda l’Europa-15, secondo l’Agenzia Europea per l’Energia (EEA), alla fine del 2009 le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, sono diminuite di 548 milioni di tonnellate in valore assoluto, e del 13% in valore percentuale. Ciò significa che l’obiettivo del Protocollo di Kyoto (da raggiungersi come media nel periodo 2008-2012) è già stato perseguito, anche a fronte di eventuali aumenti delle emissioni di breve termine, conseguenza della ripresa dalla crisi economica.

Le emissioni aggregate dell’Europa 27 nel 2009 sono diminuite di 966,6 milioni di tonnellate in valore assoluto e del 17,3% in valore percentuale. La distanza dall’obiettivo del Pacchetto Clima-Energia di riduzione del 20% del livello delle emissioni al 2020 rispetto al valore del 1990 è pertanto del solo 2,7% in valore percentuale.

Tendenze in atto al 2050, per emissioni concentrazioni e variazioni delle temperature. Secondo il Rapporto Energy and Technology Perspective 2010 dell’IEA, qualora nessuna politica aggiuntiva su clima ed energia venga adottata (Baseline Scenario) il valore delle emissioni mondiali di CO2 al 2050 sarà pari a 57.000 milioni di tonnellate, ovvero quasi il doppio del valore 2007. Il contributo dei paesi non-OCSE sarà il principale responsabile di tale aumento. Le emissioni dei paesi non-OCSE passeranno da 15.000 milioni di tonnellate nel 2007 a 42.000 milioni di tonnellate nel 2050, mentre i paesi OCSE registreranno un aumento delle emissioni da 14.000 milioni a 15.000 milioni di tonnellate. Le emissioni dei paesi non-OCSE cresceranno soprattutto tra il 2030 e il 2050.

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