La Green economy in Italia

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STATI GENERALI DELLA GREEN ECONOMY

Rimini Ecomondo

Gli Stati Generali della Green economy sono ad oggi la manifestazione di riferimento per la Green economy in Italia. La documentazione degli eventi dal 2012 al 2014 è stata curata in questa pagina anche con la riproposizione in audio degli interventi principali. Ora gli Stati generali si sono dotati di un proprio sito che rendiconta minuziosamente ogni evento e offre tutta la documentazione prodotta. Qui di seguito diamo i link per ciascuna annualità. Questa pagina documenta le altre attività, saggi ed interventi rilevanti che si producono in Italia sulla Green economy.

 

Stati generali 2012        www.statigenerali.org/evento-nazionale/evento-2012/    -    Resoconto del Comitato Scientifico 2012

Stati generali 2013        www.statigenerali.org/evento-nazionale/evento-2013/    -    Resoconto del Comitato Scientifico 2013

Stati generali 2014        www.statigenerali.org/evento-nazionale/evento-2014/    -    Resoconto del Comitato Scientifico 2014

Stati generali 2015        www.statigenerali.org/evento-nazionale/evento-2015/

Stati generali 2016        www.statigenerali.org/evento-nazionale/evento-2016/

Stati generali 2017        www.statigenerali.org/

 

GLI EVENTI DELLA GREEN ECONOMY IN ITALIA

Il Manifesto della Green economy della FondaziONE per lo Sviluppo sostenibile

 

Per assicurare un futuro sostenibile all’Italia siamo convinti che sia necessario, e possibile, affrontare la crisi economica e sociale insieme a quella ecologica, riqualificando il nostro sviluppo nella direzione di una Green economy. Riteniamo che anche in Italia vi siano le condizioni sia per affrontare le grandi sfide poste da una grave crisi economica e finanziaria, sia per realizzare le misure impegnative necessarie per affrontare la crisi climatica, cogliendo il vento che spira, in diverse parti del mondo, a favore dell’innovazione, della differenziazione, della conversione ecologica dell’economia, per aprire la strada ad uno sviluppo durevole e sostenibile. Tenendo ben presente che, così come avviene nelle istituzioni europee per le scelte importanti che non possono cambiare ad ogni legislatura, sugli obiettivi di fondo che hanno una valenza integrata, economica ed ecologica, è necessario costruire un’ampia convergenza, capace di andare oltre gli schieramenti politici e di attivare il contributo di cittadini, istituzioni e imprese. (> Scarica il Manifesto di Milano)

To gain a sustainable future for Italy, we are convinced that it is both necessary and possible, to deal together with the economic, social and ecological crisis, retraining our development towards a green economy. We believe that even in Italy there are the conditions to face both the great challenge coming from a severe economic and financial crisis, and to implement the demanding measures needed to tackle the climate change. This is the moment to catch the wind that blows in different parts of the world in favor of innovation, differentiation and ecological conversion of the economy, to pave the way for a development durable and sustainable. Bearing in mind that, like in the European institutions, the important choices cannot change with the political leadership.  It is necessary to build a broad convergence on the basic objectives that have a common economic and ecological value, going beyond the political alignments and enabling the contributions of citizens, institutions and enterprises. (> Download the Milan Manifesto)

 

SETTEMBRE 2014: IL DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL’INDAGINE PArlamentare CONOSCITIVA SULLA GREEN ECONOMY

Predisposta dalle Commissioni congiunte VIII Ambiente e X Attività produttive DELLA camera dei deputati

(> scarica il documento Finale)

 

Le Commissioni congiunte VIII Ambiente e X Attività produttive hanno deliberato lo svolgimento dell’indagine conoscitiva in titolo il 30 ottobre 2013... “L’esigenza delle due Commissioni di procedere allo svolgimento di un’indagine conoscitiva sulla green economy nasce dalla considerazione che, dinanzi a una crisi economica che prosegue senza soluzione di continuità da cinque anni, e ha riportato l’Italia ai livelli di ricchezza dei primi anni duemila, creando emergenze sociali drammatiche quale l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, occorre rivedere i modelli di crescita del Paese. In questo quadro la green economy può rappresentare un’importante occasione per contrastare la crisi e per dare slancio all’economia.

Le problematiche ambientali costituiscono, insieme alla necessità di un utilizzo sostenibile delle risorse naturali, un criterio guida essenziale per il rinnovamento dei modelli produttivi. Occorre quindi puntare su una nuova visione del sistema economico fondata su maggiore condivisione, che passa necessariamente attraverso la sostenibilità dello sviluppo. In questa prospettiva occorrerà puntare su nuove tecnologie, sulle fonti rinnovabili, sull’efficienza energetica, sulla ricerca e sull’innovazione, sulla tutela e sulla promozione del patrimonio naturale e culturale, per riprendere un cammino di sviluppo durevole e sostenibile.

Numerosi e autorevoli studi anche internazionali hanno affrontato e analizzato le opportunità di un’economia verde per uscire dalla crisi. ... Tali documenti nel panorama internazionale hanno fatto riferimento a diverse definizioni di “economia verde”: a partire dalla definizione di green economy dell’UNEP, volta al miglioramento del benessere sociale, alla riduzione dei rischi ambientali e ad un uso efficiente delle risorse, fino a quella di “crescita verde” coniata dall’OCSE, che promuove un modello di sviluppo in grado di garantire alle nuove generazioni le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il benessere, e a quelle concernenti lo sviluppo sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse a livello delle istituzioni europee. Alle diverse definizioni internazionali, comunque, corrisponde ormai una visione centrata sulla green economy come strategia di sviluppo basata sulla valorizzazione del capitale economico, naturale e sociale. ...

La green economy non è solo il modello di sviluppo ormai convintamene indicato a livello internazionale ed europeo, ma anche il modello più aderente alle caratteristiche dell’Italia, più in grado di tenere insieme e di rinvigorire gli elementi fondamentali dell’identità italiana: la bellezza del patrimonio storico-naturalistico e la qualità delle produzioni, la creatività e l’operosità degli imprenditori e dei lavoratori, la coesione sociale e il rapporto stretto fra economia, territorio e comunità. Su queste basi programmatiche, le Commissioni riunite ... ritengono opportuno procedere allo svolgimento di un’indagine conoscitiva sullo stato e sulle prospettive della green economy nel nostro Paese. L’indagine è finalizzata a:

1) individuare il perimetro della green economy, e quindi il contributo che a livello economico-produttivo e a livello ambientale può derivare da tale modello di sviluppo, analizzando anche le potenzialità in termini occupazionali (creazione di nuovi posti di lavoro e di nuove competenze professionali) e di costruzione di nuovi e più elevati percorsi di istruzione e di formazione professionale;

2) delinearne la mappa geografica (presenza nelle diverse aree del Paese) e produttiva (dimensione nel settore manifatturiero, ma anche nell’agricoltura e nel terziario);

3) conoscere i dati sulla green economy nei maggiori Paesi europei ed extraeuropei;

4) valutare l’efficacia delle politiche fiscali e industriali attualmente vigenti ai fini della loro effettiva capacità di influenzare lo sviluppo in termini di maggiore eco-sostenibilità, e individuare nuove più efficaci misure di fiscalità ambientale capaci di orientare maggiormente l’economia verso l’innovazione ecologica;

5) analizzare possibili politiche di sostegno alla riconversione green di aziende altamente impattanti;

6) eseguire una ricognizione completa delle misure e degli strumenti di governance dello sviluppo delle tecnologie e delle produzioni verdi, sia relativamente agli specifici settori dell’ecoinnovazione, dell’industria del riciclo, del risparmio e dell’efficienza energetica (in primo luogo nell’edilizia e nei trasporti, ma anche nelle apparecchiature, nell’illuminazione, nei processi produttivi, ecc.), delle fonti energetiche rinnovabili, delle filiere agricole ad alta valenza qualitativa e ambientale, dei servizi ecosistemici (dalla tutela e valorizzazione delle aree protette e dei suoli agricoli, alla conservazione e all’uso efficiente delle risorse idriche e del patrimonio forestale), sia relativamente a profili fiscali e di servizi di credito a sostegno dei processi di eco-convergenza dell’economia italiana.

7) verificare la sussistenza di eventuali profili problematici del modello di sviluppo green economy, individuando proposte normative tese a superare gli aspetti distorsivi eventualmente individuati in un’ottica di maggiore efficienza e produttività.

L’indagine vuole porsi come contributo concreto alla formazione di una nuova agenda politica nella quale l’ambiente da vincolo possa diventare opportunità economica immediata e la green economy sia posta come orizzonte strategico delle scelte di fondo dell’azione del Governo, nelle politiche di bilancio e in quelle fiscali, nelle politiche per la ricerca e per l’innovazione e in quelle per l’occupazione e la formazione, nelle politiche per la difesa del territorio e in quelle per la promozione di produzioni agroalimentari, nelle politiche per la competitività del sistema industriale e in quelle per gli investimenti infrastrutturali.

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LA TRANSIZIONE ALLA GREEN ECONOMY
L'ESPERIENZA DELL'ILVA DI TARANTO

 

I paradigmi della green economy richiedono certamente una definizione accurata dei metodi e dei fini, definizione che in queste pagine abbiamo ripetutamente dato. La green economy, è chiaro, non è però una segregazione virtuosa dei settori verdi, sia perché così facendo se ne denuncerebbe la marginalità, sia perché in tal modo la green economy non potrebbe in alcun modo essere la locomotiva dello sviluppo sostenibile.

Il campo d'azione non può che essere pertanto l'intera economia, nella quale sappiamo bene che esistono settori brown, alcuni dei quali incapaci di evoluzione e destinati quindi alla chiusura, settori brown dei quali non si può fare a meno e che devono gradualmente innovare fino a render minimo l'impatto sulle risorse e le emissioni inquinanti, e anche settori che producono green con processi brown. La green economy è dunque un processo largo, inclusivo e dinamico, è cioè un'economia in transizione per tempi che si preannunciano lunghi, con percorsi che potrebbero rivelarsi nient'affatto lineari e contemplare giravolte e ripensamenti accompagnati da quel tipo di furberie e dissimulazioni che chiamiamo green washing.

Un lusso che non ci possiamo permettere è l'indulgenza verso atteggiamenti che mascherano la difesa di interessi consolidati, ormai non più sostenibili, con argomentazioni ripetitive che vanno dalla difesa dell'occupazione al rilancio della competitività del paese. I risultati della variante italiana della brown economy sono oggi, nel 2014, alla fioca luce di una timida ripresa, sotto gli occhi di tutti. Disoccupazione in crescita, quella giovanile sopra il 40%, quella femminile da paese arabo, competitività sotto terra, investimenti per la ricerca e l'innovazione a zero, diritti civili e del lavoro in svendita. Difficile fare peggio.

La vicenda dell'ILVA che qui vogliamo documentare è come il film della brown economy, una sorta di rush to the bottom in un territorio, come quello di Taranto, martoriato dal degrado ambientale e dalla diffusione evitabile di malattie di matrice ambientale. C'è una differenza con le altre brutte storie della Brown Italy, Porto Marghera, Priolo, Casale Monferrato, Cengio, ALCOA, il Sulcis, la terra dei fuochi. Fatta salva la violazione della legalità, in tutte quelle vicende il fatturato tende a zero, le realtà industriali non sono solo obsolete, ma anche fuori mercato. All'ILVA di Taranto, viceversa, privatizzata per un pezzo di pane, si fanno affari d'oro. Tutto l'acciaio prodotto si vende eccome. I profitti corrono gagliardi, ma verso i paradisi fiscali piuttosto che verso gli investimenti, la città o  l'innovazione.

C'è in giro una proposta di chiudere l'ILVA, bonificare e ripartire. Ci vogliono anni, nei quali la domanda si rivolgerà altrove e poi non tornerà a Taranto. Lo shock sull'occupazione può mettere in ginocchio la città. Non è mai successo e non succederebbe nemmeno questa volta. Non è un buon modello di transizione chiudere-risanare-ripartire, anche se è difficile valutare quando un processo sia andato così oltre i limiti di accettabilità da doverlo sopprimere e ricostruire, magari altrove. Inoltre il greening deve essere fatto con le plusvalenze aziendali e non con la solita fiscalizzazione delle perdite.

L'acciaio, che viene da un angolo buio di un'industria brown, è esso stesso brown? Non ci sono imputazioni ecologiche a carico dell'acciaio, come del carbone, dell'uranio o dell'amianto ed inoltre l'acciaio ben si presta ad un riciclo indefinito e il minerale di ferro non è particolarmente scarso. Il riciclo consente inoltre un risparmio in fase di produzione che arriva al 70%. è il processo produttivo che non va, ma c'è spazio per una larga innovazione. Del resto i dati dicono che la domanda di acciaio continua a crescere nel mondo mentre il consumo di minerale vergine diminuisce (> vedi il Rapporto della World Steel Association 2012, con la dovuta cautela, dato che l'affermazione di apertura è un po' sopra le righe "Steel is at the core of a green economy, in which economic growth and environmental responsibility work hand in hand"). I dati sul riciclo dell'acciaio sono stati resi disponibili dalla Fondazione nel recente Rapporto "L'Italia del Riciclo 2013. Parte III": la produzione mondiale nel 2012 è di 1548 Mt (+4%; -5% nell'EU, che ne produce l'11%). In Italia la produzione è inferiore ai 30Mt, in contrazione, ma il riciclo degli imballaggi di acciaio cresce fino al 75%.

Per l'acciaio non si  può scavare un solco tra economie brown e green perché, al contrario, è la transizione dall'una all'altra  in termini di processi, prodotti e governance la nostra principale cura. Ricaviamo da un recente Rapporto della World Bank (> Growing Green: The Economic Benefits of Climate Action; 2013) il quadro delle opportunità transizionali per l'acciaio in Europa (pp. 240-243). Molti Paesi europei hanno fatto passi significativi nella riduzione dell'intensità energetica industriale, ma restano ulteriori sostanziali opportunità per migliorare l'efficienza e le emissioni di CO2. Il potenziale di risparmio energetico dei tre settori ad alta intensità energetica ferro e acciaio, cemento, cellulosa e carta, è stimato al 50 per cento del consumo energetico attuale, con le BAT che hanno già dimostrato di essere efficaci. Altre tecnologie che potrebbero migliorare impianti a vapore e motori potrebbero fornire un ulteriore risparmio energetico del 10-20%.

ILVA e Taranto. La costruzione del Centro siderurgico di Taranto risale ai primi anni sessanta mentre il raddoppio delle linee avviene nel periodo 1971-75. Nel 1980 gli occupati Italsider sono quasi 22 mila ma nel 1992 si riducono a meno di 12.600. Nel 1991 Taranto viene dichiarata area ad elevato rischio ambientale. Crisi ambientale e occupazionale si sommano e producono una pesante crisi sociale. Nel 1995 l'Italsider viene privatizzata e venduta per pochi soldi al gruppo Riva.  Oggi è ancora il più grande Centro siderurgico europeo che mediamente produce  9-10 milioni di tonnellate l’anno pari al 40% dell’acciaio che si consuma in Italia. Negli impianti dell’area a caldo, quelli più inquinanti, viene prodotto acciaio primario per le altre acciaierie italiane a condizioni vantaggiose.  Gli occupati diretti sono circa 11.600 e con gli indiretti si arriva a circa 15 mila lavoratori. L'attuale ILVA ccupa una superficie doppia di quella della città.

Come si legge nel Rapporto della Legambiente, la città di Taranto è progressivamente sottoposta ad uno stress ambientale crescente cui non corrisponde negli anni un volume di investimenti minimamente adeguato per l'innovazione tecnologica, la protezione dell'ambiente e la minimizzazione dei rischi per la salute dei lavoratori e dei cittadini. Dopo una serie iniziata nel 2008 di ordinanze traumatiche e rilevanti, ma parziali, la magistratura interviene a danno in corso per problemi lasciati insoluti per anni dalle altre istituzioni, dalla politica nazionale e locale e dall'assenza di una politica industriale. Con il provvedimento del 26 luglio 2012  sono stati posti sotto sequestro senza facoltà d’uso gli impianti dell’area a caldo (parchi minerali, cokerie, area agglomerazione, area altiforni, acciaierie e gestione materiali ferrosi in cui lavorano circa 5mila operai), sono stati arrestati  i  massimi responsabili aziendali e sono stati nominati quattro custodi giudiziari con l’incarico di rimuovere i pericoli. Gli impianti rimangono funzionanti prioritariamente per la rimozione del pericolo. Il Governo ha disposto  un decreto, convertito in legge il 3 ottobre 2012, con cui si stanziano 336 milioni e si prevede la figura  di un commissario straordinario per utilizzare procedure d’urgenza.

Nella città i provvedimenti dei magistrati hanno accelerato e reso evidenti alcune dinamiche sociali e sindacali frutto di insofferenza covata per molto tempo e sono riusciti a galvanizzare  l’opinione pubblica cittadina. Si sono creati due schieramenti estremi, uno per “il lavoro a tutti i costi”, che comprende gran parte dei sindacati dai quali si differenzia parzialmente la FIOM, e l'altro che sostiene che la  “fabbrica va chiusa per salvaguardare la salute”.  La maggioranza dei tarantini esprime  comunque una insofferenza definitiva verso l’inquinamento causato della fabbrica  ma lascia trasparire la grave preoccupazione   per la possibile perdita di tanti posti di lavoro. Molte le famiglie che hanno in casa dipendenti ILVA e familiari (compresi i bambini) gravemente malati  addebitabili all’inquinamento e che vivono la contraddizione in modo concreto sulla propria pelle.   Il sostegno ai provvedimenti di sequestro ed alle azioni di correzione straordinarie è vasto, perché vengono percepiti come qualcosa di concreto che potrebbe finalmente apportare qualche cambiamento.  

Lo stato e le prospettive dell'impianto. Risale al 4 agosto 2011 la prima l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per ILVA di Taranto, rilasciata a firma Prestigiacomo dopo un’istruttoria di 5 anni, con 462 prescrizioni. Cinque anni è un tempo superiore 10 volte a quanto prevede la legge e le 462 prescrizioni erano in gran parte in contraddizione tra loro e non applicabili. Nel marzo 2012 viene disposta la revisione dell’AIA contestualmente alla ricognizione sullo stato dell’ambiente nel territorio di Taranto che mette in evidenza che molte iniziative strategiche per il risanamento ambientale di Taranto, programmate e finanziate a partire dalla fine degli anni Novanta, non erano state avviate o completate (Clini, dicembre 2013). Il 26 ottobre 2012, dopo una procedura di sei mesi, il Ministero dell’Ambiente rilascia la nuova AIA, con la prescrizione dell’adeguamento degli impianti agli standard europei più severi e avanzati e che impone investimenti per 3 miliardi di euro. Il 15 novembre 2012 ILVA accetta le prescrizioni e presenta il piano degli interventi per dare attuazione alla nuova AIA. Il 26 novembre 2012 il GIP di Taranto, su proposta della Procura, dispone il sequestro dell’area “a freddo” dello stabilimento e dei prodotti finiti.

Si apre una fase di incertezza di ruoli che spinge il Governo, per superare la situazione critica determinata dal sequestro e continuare la produzione, a varare il 3 dicembre 2012 un decreto, convertito nella legge 231 il 24 dicembre 2012. In primavera 2013 il Governo procede al commissariamento.

Fa il punto su questa delicata  vicenda la relazione che il Subcommissario per il risanamento ambientale Edo Ronchi, nominato dal Governo nel luglio del 2013, tiene ad un gruppo d'ascolto della Fondazione a Roma il 10 gennaio 2013 (> ascolta l'intervento introduttivo di Ronchi). Nella presentazione del relatore  la struttura dell'impianto di Taranto viene descritta puntigliosamente e vengono presentate le iniziative intraprese con lo scopo di assicurare il rispetto della normativa ambientale (> esamina la presentazione di Ronchi).

All’ILVA si può produrre acciaio in modo sostenibile come alla Thyssen Krupp di Duisburg, una grande acciaieria simile alla nostra che però, come documentato da una  delegazione del Subcommissario che l’ha visitata in ottobre 2013, ha già introdotto con successo buona parte delle misure previste per lo stabilimento di Taranto. Con l’innovazione tecnologica del preridotto che comporta l’uso del gas naturale anziché del carbone a Taranto si potrebbe fare anche meglio di Duisburg.

Il successo del rilancio ambientale e produttivo dello stabilimento ILVA di Taranto va visto come una dimostrazione importante della praticabilità del passaggio ad una green economy, da produzioni ad elevato impatto a produzioni sostenibili, assicurando occupazione, innovazione e nuovo sviluppo. Porterebbe l’Italia ad essere fra i leader della produzione di acciaio, parte decisiva della industria manifatturiera, che altrimenti sarebbe ulteriormente ridimensionata e resa ancora più dipendente dalle importazioni. Assocerebbe l’impegno ambientale ad un miglioramento anche economico e industriale, non ad un dramma sociale, come sarebbe quello causato dalla chiusura di questa  fabbrica strategica con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro in un Paese già colpito da una disoccupazione pesantissima.

Le attività di ristabilimento delle condizioni ambientali di esercizio prefigurano, oltre alle prescrizioni AIA, la definizione di un nuovo Piano per la gestione dei rifiuti di stabilimento, finalizzato alla riduzione, al riciclo e al corretto smaltimento dei medesimi; l’adeguamento e l’esercizio delle nuove discariche per rifiuti pericolosi e non pericolosi nella località Mater Gratiae in cui verranno allocati anche i rifiuti derivanti dagli interventi AIA, la gestione dei depositi sequestrati (traversine, pneumatici fuori uso); la gestione delle acque meteoriche con 9 nuovi impianti di depurazione; il miglioramento delle presentazioni degli impianti di trattamento reflui dello stabilimento e l’utilizzo razionale della risorsa idrica.

Ma una considerazione va fatta. Per decidere, assegnare progettazioni ed esecuzioni, avere le autorizzazione di numerosi interventi, avviare i numerosi cantieri servono tempi sufficienti, troppi invece non se ne rendono conto e chiedono ai commissari tempi impossibili. Oltre a finanziare i numerosi e onerosi interventi ambientali, occorre assicurare il pagamento dei fornitori, le retribuzioni del personale e il finanziamento delle manutenzioni: tutto ciò richiede nel transitorio un enorme sforzo finanziario, con risorse limitate. Troppi trascurano il tema delle risorse finanziarie e fanno proposte a prescindere dalle coperture. Nel periodo transitorio gestito dal commissariamento, le emissioni e gli altri impatti sono stati ridotti, contribuendo in particolare a portare la qualità dell’aria esterna allo stabilimento nei limiti di legge. Ordinariamente l’AIA non ferma le produzioni. Nei periodi di adeguamento alle prescrizioni AIA, in tutti gli stabilimenti europei con impianti funzionanti, non si ha una condizione ambientale ottimale, ma permangono problemi ambientali fino alla piena attuazione delle prescrizioni dettate per risolverli.

La chiusura dell’ILVA o della sua area a caldo, equivalenti come effetti,  continua ad essere  sostenuta da una parte degli ambientalisti (un’altra parte invece non punta sulla chiusura, rimane in attesa dei risultati, ma dichiara aspettative positive), da una parte della magistratura e  una parte,  minoritaria, ma comunque presente dell’opinione tarantina. Il fronte della chiusura dell’ILVA è articolato in almeno due posizioni: c’è chi sostiene che l’ILVA va chiusa e basta perché nuoce alla salute e non potrebbe essere risanata, c’è chi dice che va chiusa temporaneamente per risanare e poi riaprire. Questo fronte non dimostra di voler riconoscere alcun cambiamento prodotto dal commissariamento al quale rimprovera  di tener aperta la fabbrica e di anteporre la produzione alla tutela della salute.

Definito il Piano ambientale entro febbraio, ci sarà il Piano industriale, entro marzo, con la indicazione più precisa delle risorse finanziarie necessarie. Si stima che serviranno circa 3 miliardi: 1,8 per gli interventi ambientali e 1,2 per manutenzioni e innovazione tecnologica. Il decreto del Commissariamento del 4 giugno 2013 n°61 ha previsto come unica forma di finanziamento le risorse derivanti dalle attività ILVA e ottenibili a credito dalle banche sulla base di tali attività. Il 2013 è stato un anno negativo per il calo della produzione e delle vendite dell’ILVA del 24%, con  corrispondente riduzione dei ricavi sul 2012, con ritardi aumentati nei pagamenti dei fornitori nell’ultimo trimestre. I cali di produzione derivano dalle misure ambientali (dismissione di un altoforno, fermata di un altro, fermata di 6 cokerie), da problemi agli impianti per mancate manutenzioni, dai problemi prodotti dai sequestri delle società collegate, da difficoltà di mercato a causa della recessione.

Le risorse finanziarie prodotte dalle sole attività industriali e dal credito non sono sufficienti. Servono nuove iniziative per aumentare le risorse effettivamente impiegabili già nel 2014:  dal patrimonio degli azionisti ILVA (che restano sequestrate dalla magistratura di Milano, per 1,9 miliardi) e con un aumento di capitale. Occorre che le procedure siano rese compatibili con i tempi delle prescrizioni AIA e che i tempi siano tecnicamente sufficienti per attuare  tali  prescrizioni.  Il fronte che sostiene la chiusura dell’ILVA chiede che siano rispettati i tempi delle prescrizioni  ormai decorsi per responsabilità della proprietà: non potendoli più rispettare si dovrebbe quindi chiudere per mancato rispetto delle prescrizioni AIA. Per le procedure, il decreto 136 ha introdotto alcuni importanti cambiamenti: sui volumi tecnici, sui tempi abbreviati per la VIA e per le bonifiche. Per la rimodulazione dei tempi si attende il nuovo Piano ambientale. Occorre inoltre una più chiara definizione delle responsabilità della gestione commissariale, specie nella fase transitoria, fino all’approvazione del Piano ambientale che rimodulerà i tempi.

(> Ascolta le conclusioni di Ronchi con le risposte ai quesiti del gruppo d'ascolto).

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Dieci proposte per uscire dalla crisi

Benché sia stata sviluppata da una associazione ecologista di uno dei principali partiti politici italiani, riteniamo opportuno citare questa proposta che mette al centro di una possibile uscita dalla crisi italiana seguendo i paradigmi della Green economy.

La rotta giusta per uscire dalla crisi, in Europa e nel mondo, è nella crescita di una nuova economia ecologica per uno sviluppo sostenibile. Un new deal ecologico che cammina su due gambe: la rivoluzione industriale e tecnologica legata alla Green economy, e un cambiamento culturale verso una nuova idea di benessere e diversi stili di vita. In questa sfida, un paese come l’Italia ha la possibilità di innestare la modernizzazione ecologica del sistema industriale e manifatturiero su un patrimonio straordinario di civiltà, bellezza, creatività, e sulle vocazioni di territori ad alta qualità ambientale. L’economia verde è uno dei pilastri fondamentali per la ricostruzione dell’Italia. Le dieci proposte concrete che seguono danno un’idea di un futuro possibile e sostenibile. (> ascolta la presentazione tenuta da Edo Ronchi, Presidente della fondazione per lo Sviluppo sostenibile il 13 gennaio a Roma e > leggi il testo completo del documento).

Le dieci proposte

  1. Modernizzazione ecologica dell’industria italiana. Un programma “Industria 2020” per la Green economy: industria dell’auto, nuovi materiali e chimica verde, industria del riciclo, tecnologie per l’efficienza energetica e le rinnovabili, ecodesign.

  2. Riforma fiscale ecologica. Alleggerire il carico su lavoro e impresa, spostarlo sui consumi di materia e di energia; incentivare produzioni e consumi sostenibili.

  3. Politiche per la qualità italiana. Puntare sulla tutela dell’ambiente e del paesaggio, sull’agricoltura di qualità, sul turismo, sui parchi, sulla promozione del Made in Italy nel mondo.

  4. Nuovo piano energetico. Un programma per l’efficienza energetica nell’industria, nei servizi, nell’edilizia; 50 per cento di elettricità da rinnovabili entro il 2030; Smart grid; riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2020; rendere permanente l’ecobonus del 55 per cento.

  5. Difesa del suolo. E’ la più grande opera pubblica per l’Italia: utilizzare almeno un terzo dei fondi Cipe e parte dei risparmi da rinuncia alla spesa militare; deroga al patto di stabilità per i Comuni; frenare il consumo di suolo.

  6. Servizi pubblici locali. Sono parte importante della crescita della Green economy, con gli investimenti per acquedotti e depuratori, impianti per i rifiuti, reti di trasporto, energia e gas; rispettare le indicazioni emerse dal referendum sull’acqua.

  7. Mobilità sostenibile e città ecologiche. Investire sul trasporto pubblico locale, ferrovie locali, tramvie e metropolitane.

  8. Sud. Economia verde, ambiente, energie rinnovabili,  priorità per lo sviluppo del Mezzogiorno.

  9. Più legalità, meno burocrazia. Lotta alle ecomafie, introduzione dei reati ambientali nel codice penale, lotta all’abusivismo; riforma dell’Ispra e del sistema dei controlli ambientali; semplificare norme e procedure.

  10. Lavoro verde. Un milione di posti di lavoro dall’economia verde; investire su formazione e ricerca.

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2009: UN PIANO B PER L'ITALIA

Questa pagina raccoglie i materiali sviluppati dalla Fondazione Sviluppo sostenibile nella primavera del 2009 in preparazione del primo Convegno annuale di Bomarzo e per l'apertura di un progetto per la preparazione di un Piano B per l'Italia.

MATERIALI DEL CONVEGNO DELLA FONDAZIONE DI BOMARZO 2009 (scarica)

Lester Brown:  "Piano B 3.0"  e  "-80% al 2020"

Gianfranco Bologna:   "Il Piano B di Lester Brown"

Toni Federico:    "Il quadro internazionale"  e "Introduzione al Piano B"

Francesco La Camera:    "Una nuova governance"

 

La crisi economica

La crisi in atto può portare al tramonto dell’Europa, riducendo le possibilità di benessere per i cittadini europei a vantaggio delle nuove economie emergenti, oppure può essere l’occasione per un suo rilancio fondato su due pilastri: l’economia della conoscenza e la sostenibilità. Le risorse naturali, a fronte  di una crescente pressione e un insostenibile consumo, sono diventate scarse. La domanda di ecoefficienza e di elevata qualità ecologica  sono crescenti. Sono cause comuni delle due crisi:

  • la corsa drogata ad una crescita economica fondata sul  consumismo e sullo spreco, alimentata con l’indebitamento, a prescindere dalle risorse reali disponibili;

  • l’ideologia e la pratica della sregolatezza della globalizzazione dei mercati,con la rinuncia a obiettivi di interesse generale e a argini efficaci contro le speculazioni;

  • la forte crescita dei consumi energetici e delle materie prime che, nella prima parte del 2008, ha fatto salire fortemente i prezzi, depresso il potere d’acquisto e le aspettative economiche.

Per affrontare la crisi occorrono risposte convergenti. E’ necessario  cambiare la visione: la crescita drogata e il consumismo sono parte del problema, non soluzioni. Occorrono un’economia sobria e consumi consapevoli: la sregolazione è incompatibile con lo sviluppo. Servono efficaci e impegnative politiche pubbliche: per orientare  e indirizzare l’economia di mercato verso  uno sviluppo sostenibile, sano e duraturo. L’indispensabile forte impiego di risorse pubbliche, chiesto da tutti, va  però indirizzato verso:

 

  • formazione, ricerca, innovazione;

  • dematerializzazione;

  • economia della conoscenza;

  • efficienza energetica e nell’uso delle risorse, elevata qualità ecologica di beni e servizi;

  • infrastrutture per un forte sviluppo delle energie rinnovabili, per l’adeguamento delle reti e per una mobilità sostenibile.

L’aumento della spesa pubblica riapre il dibattito anche sul prelievo fiscale  e sulla riforma fiscale ecologica. Il pacchetto per il clima è parte rilevante della politica economica e ambientale europea. Gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, di  aumento dell’efficienza energetica e  delle rinnovabili sono impegnativi. L’Italia, fuori dalla politica europea, perderebbe un’occasione  per  contrastare i rischi di declino. L’Italia, per la rilevanza di settori economici e politici arretrati, può correre un forte rischio di pigrizia, di seminare illusioni su riprese economiche fondate sulla riduzione  dell’impegno ambientale e per il clima. Gli obiettivi di riduzione dei gas serra al 2020 sono praticabili per l’Italia con un forte impegno, con politiche e misure per il risparmio e l’efficienza energetica, con un forte incremento delle fonti energetiche rinnovabili e con un ricorso complementare ai meccanismi flessibili previsti.

La crisi energetica

In fatto di intensità energetica l’Italia ha perso il vantaggio che aveva. L’Italia per ridurre del 20% i consumi di energia al 2020 ha bisogno di un programma di risparmio e efficienza da 30 Mtep e di un  piano di investimenti di almeno 5  miliardi l’anno, metà pubblici, per i prossimi  11 anni. 11 Mtep di risparmio vengono dalla attuazione del Piano d’azione dell’efficienza energetica (Governo 2007, in recepimento della Direttiva 2006/32/CE).Occorre attivare un nuovo programma di misure  per l’efficienza energetica per altri 19 Mtep al 2020. In dettaglio:

Nei trasporti  per 5 Mtep

  • rafforzando il trasporto collettivo, la mobilità ciclabile e pedonale;

  • incrementando il trasporto su ferro, l’intermodalità  e il cabotaggio;

  • convertendo l’industria dell’auto per nuovi mezzi a bassissimi consumi.

Nella gestione dei rifiuti per 3 Mtep

  • con politiche di prevenzione che risparmino materiali e energia;

  • incentivando lo sviluppo e il potenziamento del riciclo e del recupero;

Nell’edilizia e nei consumi civili per  6 Mtep

  • rafforzando le misure per le ristrutturazioni energetiche degli edifici;

  • incentivando le misure per l’efficienza nei consumi finali;

Nell’industria e nei servizi per  5 Mtep

  • con nuovi standard di efficienza energetica.

In Italia non decolla un più incisivo programma di risparmio e di efficienza energetica per effetto di gravi carenze di visione (non capire che questa è una priorità che richiede misure impegnative, politiche pubbliche e consistenti risorse finanziarie e tecniche da investire); per una sottovalutazione dei vantaggi economici dell’incremento dell’efficienza energetica, oggi accentuata dal crollo temporaneo del prezzo del petrolio e per la debolezza delle politiche energetiche pubbliche .

Le priorità per rendere incisivo un programma di efficienza energetica richiedono di varare un piano pluriennale dotato di risorse pubbliche (2,5 MLD anno) che comprenda un fondo di garanzia per attivare i finanziamenti delle  ESCO; di rafforzare e rendere pienamente operative le misure già esistenti (certificazioni energetiche, certificati bianchi, Fondo Industria 2015, detrazioni fiscali); di rafforzare la strumentazione tecnica, nazionale e regionale, di supporto agli Enti locali ,alle imprese e ai cittadini.

Occorre raddoppiare l’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, per un importo di     50 nuovi TWh entro il 2020. Per ottenere questo risultato occorre:

  • adottare un piano energetico  che  preveda  il loro raddoppio, ripartendo gli obiettivi fra le Regioni;

  • assicurare un quadro certo di incentivi che metta in moto 3,5 MLD di investimenti l’anno fino al 2020;

  • definire per ciascuna fonte (idrica, geotermica, solare, eolica e biomassa) misure specifiche  per  valorizzare le risorse locali esistenti;

  • semplificare le procedure autorizzative e potenziare il supporto tecnico per Enti locali,imprese e cittadini;

  • adeguare la rete elettrica. 

Le fonti rinnovabili non sono cresciute in Italia al ritmo di altri paesi europei perché ha prevalso fra i decisori politici la convinzione che le rinnovabili abbiano un ruolo marginale, insieme a una sopravvalutazione dei  loro costi e una sottovalutazione dei vantaggi economici  e ambientali; perché sono  mancate politiche e misure mirate  a valorizzare territorialmente i potenziali di ciascuna fonte rinnovabile e per l’inadeguatezza e  l’incertezza del sistema di incentivazione, per i tempi lunghi e  le difficoltà autorizzative. I dati del 2008 del Gestore della rete elettrica (GSE) indicano  per l’Italia una maggiore produzione di energia idroelettrica e eolica: il miglioramento non recupera però i ritardi  rispetto ai tassi della crescita europea.

Premessa

L’idea di  un “Piano B” è di Lester R. Brown che al 2009 ha pubblicato tre edizioni di tale piano globale per il Pianeta (B, B.2, B.3: il Piano B è l’alternativa alla insostenibilità del Piano A, quello dei percorsi e degli schemi seguiti fino a oggi: un Piano B che aiuta anche a pensare fuori dagli schemi. Dell’impostazione del Piano B di Lester R. Brown si assumono le seguenti linee fondamentali:

a) i rischi di una  precipitazione della insostenibilità dell’attuale sviluppo per la crisi climatica-ecologica e economico-finanziaria, e quindi la necessità di procedere in tempi rapidi per realizzare  cambiamenti sostanziali;

b) tali cambiamenti che coinvolgono  settori economici fondamentali (dell’enF. Lacameraergia e delle materie prime, delle produzioni agroalimentari, della mobilità e dell’edilizia ecc.) ma anche modelli di consumo ancora prevalenti, possono consentire di affrontare, contemporaneamente, sia la crisi climatica-ecologica, sia la crisi economica con nuove possibilità di sviluppo;

c) la possibilità di realizzare tali rapidi ed estesi cambiamenti  utilizzando conoscenze accessibili, le migliori tecnologie esistenti e già disponibili, la diffusione di buone pratiche già almeno parzialmente utilizzate o sperimentate, promuovendo modelli di consumo e stili di vita non solo possibili, ma di buona qualità.

Il Piano

Il Piano B per l’Italia, partendo dal presupposto che non si possano risolvere i problemi utilizzando il modo di pensare che li ha prodotti, mette in discussione l’idea diffusa che l’attuale crisi globale debba (possa?) essere affrontata  solo con qualche limitato correttivo (una migliore regolazione dei mercati finanziari, una qualche forma di maggiore intervento pubblico), senza modificare sostanzialmente produzioni, modelli di consumo e stili di vita, anzi legando la ripresa economica al rilancio ed all’estensione del  consumismo degli ultimi decenni del secolo scorso.

Il Piano B punta a stimolare una riflessione critica su un’idea considerata  un assioma:  l’unico sviluppo possibile in un’economia di mercato sarebbe quello che punta su una crescita economica senza limitazioni (illimitata) e senza regolazione consapevole dei fini (sregolata). È auspicabile e possibile uno sviluppo sostenibile fondato su un’economia di mercato regolata  entro i limiti delle risorse naturali disponibili e dalla capacità di carico dell’ambiente? È auspicabile e possibile che tale economia possa assicurare un benessere di migliore qualità e più equamente esteso?

Le misure da adottare per affrontare la crisi climatica sono  considerate da taluni un costo eccessivo che l’Italia non potrebbe sostenere, in particolare in una fase di recessione economica. Il Piano B per l’Italia si propone  di verificare  la fondatezza e la praticabilità di un’ipotesi  alternativa: se proprio nella crisi in atto, invece, le misure necessarie per mitigare la crisi climatica non possano costituire un motore di rilancio  economico  per l’Italia.

Il Piano B per l’Italia assume quindi come centrali gli obiettivi del pacchetto UE per l’energia e il clima al 2020: prioritario impegno nell’efficienza e nella riduzione dei consumi energetici  al fine di una riduzione dei consumi tendenziali al 2020 del 20%, forte incremento delle energie rinnovabili  al fine di coprire il 17% dei consumi primari al 2020 e il 10% dei consumi di benzina e gasolio, riduzione delle emissioni di gas di serra del 13% (settore non ETS) rispetto alle emissioni del 2005 e del 21% degli impianti (settore ETS) che emettono grandi quantità di CO2. Le prospettive del Piano B  al 2050 sono quelle di un taglio ulteriore delle emissioni di gas di serra del 60%-80%: anche se questo Piano B assume gli obiettivi al 2020, occorre tenere presente che si tratta di una tappa verso ulteriori e ancora più consistenti impegni.

I principali contenuti del Piano B

Il Piano B focalizzerà l’attenzione su settori economici fondamentali  per l’Italia che saranno individuati dalla ricerca stessa sulla base di tre criteri: il loro peso nell’economia italiana, la loro esposizione e vulnerabilità rispetto alla crisi in atto, la rilevanza del loro impatto sulla crisi climatica. In ciascuno dei settori economici fondamentali individuati si analizzeranno le misure attivabili, in grado di produrre rilevanti effetti entro il 2020, che :

  1. comportino un bilancio positivo di sostenibilità, contemporaneamente ecologica ed economica (si tratta quindi di definire indicatori utilizzabili per pesare le misure attuabili nei vari settori, in modo da poterne valutare l’efficacia in termini di rapporto costi/benefici, sia ecologici, sia economici);

  2. si basino sulle migliori tecnologie disponibili e/o su buone pratiche già sperimentate e che abbiano già prodotto risultati positivi ecologici ed economici (accompagnando quindi le misure proposte con esempi esistenti e casi d’interesse, in Italia o in altri Paesi), che  abbiano quindi un reale potenziale di diffusione;

  3. promuovano innovazioni sia dal lato dell’offerta (processi produttivi, tecnologie, produzioni e gestioni di beni e servizi) sia dal lato della domanda, con particolare riferimento ai modelli di consumo ed agli stili di vita: le misure andranno quindi valutate anche per gli effetti di filiera, sia dal lato dell’offerta (attività industriali, indotto, diffusione tecnologica ecc), sia dal lato della domanda (effetti diretti e indiretti su modelli di consumo e stili di vita consapevoli e di buona qualità);

  4. abbiano un’articolazione regionale, per tutte le regioni Italiane, promuovendo  il protagonismo degli enti locali, delle popolazioni e dei soggetti economici, l’integrazione territoriale e lo sviluppo sostenibile locale, valorizzando risorse, potenzialità e vocazioni dei diversi territori, distretti e insediamenti urbani;

  5. siano accompagnate dalla individuazione  degli strumenti  attuativi: l’applicazione di normative vigenti, modifiche e integrazioni normative e/o amministrative, incentivi e disincentivi economici, formazione e informazione, individuazione delle barriere alla diffusione e degli interventi necessari per la loro rimozione;

  6. nell’insieme consentano di raggiungere tutti gli obiettivi del pacchetto Ue per il clima e l’energia al 2020, sia a livello nazionale, sia articolati a livello regionale, e siano suscettibili di ulteriori incrementi necessari per gli ulteriori impegni al 2050.

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2008: AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA E LA CRISI ECONOMICA CON UN NEW DEAL ECOLOGICO

“Le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica”

(Al Gore; New York Times , 9 novembre 2008)

Il Global Green New Deal, è introdotto il 22 ottobre 2008 nel Programma UNEP,  per rivitalizzare l’economia globale,  affrontare la crisi climatica e ecologica, creare  posti di lavoro Con investimenti per lo sviluppo di tecnologie pulite e di infrastrutture ecologiche, energie rinnovabili, efficienza energetica  e risparmio di risorse naturali.

Il  Presidente americano Obama ha  dato slancio alla proposta di Green New Deal:

  • 150 miliardi $ in dieci anni per rinnovabili ed efficienza energetica con la creazione di 5 milioni di posti di lavoro;

  • entro il 2015 produrre un milione di auto ibride in grado di fare 50 Km con un litro;

  • entro il 2025 portare la quota di energia elettrica rinnovabile al 25% e con una rete elettrica intelligente per la produzione distribuita;

  • istituire un fondo per l’efficienza energetica degli edifici pubblici e sconti fiscali per quella degli edifici privati;

  • 30 miliardi $ in mezzi collettivi a energia rinnovabile; l’adozione di 25 nuovi standard di efficienza energetica.

Il quadro internazionale

Barroso, Presidente della  Commissione Europea, ha proposto una nuova collaborazione UE-Usa, per far ripartire l’economia, lanciando una terza rivoluzione industriale: quella dell’economia a basse emissioni di carbonio.

Tanaka, direttore IEA, ha proposto di fronteggiare la crisi rilanciando gli investimenti per l’edilizia e la mobilità sostenibili e per le infrastrutture per l’energia pulita.

Newsweek International ha dedicato una copertina, nel novembre scorso, al Green New Deal. Il supplemento “IL” di gennaio 2009 del Sole 24 Ore dedica copertina e inserto al Green New Deal.

Il Governo inglese ha istituito il Ministero per l’energia e i cambiamenti climatici, adottando l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas di serra dell’80% entro il 2050. Investirà l’1% del PIL entro il 2020 per  l’efficienza energetica  in edilizia e la decarbonizzazione  dei trasporti,dell’industria e delle centrali elettriche. Ha avviato un Piano strategico di sviluppo delle energie rinnovabili.

Il Governo francese ha presentato nel gennaio del 2009 una legge quadro per l’ambiente (nota come Grenelle per l'ambiente) che prevede fra l’altro misure per la certificazione e l’efficienza energetica degli edifici e semplificazioni per le rinnovabili. Ogni Regione dovrà, con propria legge,varare un piano per contribuire alla riduzione nazionale del 75% delle emissioni di CO2 entro il 2050, in particolare con misure per l’energia, lo stesso  dovranno fare Province e Comuni, misure per lo sviluppo delle rinnovabili e per  l’adeguamento della rete elettrica.

Il Governo tedesco nel gennaio del 2009 ha annunciato  che  gli occupati  in Germania  nei settori dell’energie rinnovabili,dell’efficienza energetica e dei prodotti  per la protezione ambientale sono  1,8 milioni di lavoratori. Ha varato un secondo pacchetto integrato, formato da 7 leggi, per il clima e l’energia. Ha investito 3,3 miliardi di euro nel 2008, per  politiche e misure tese a ridurre le emissioni di gas di serra, in vari settori.   

La crisi climatica

La crisi climatica si sta aggravando. Occorre tagliare le emissioni di CO2 del 60-80% entro il 2050. Senza le emissioni di CO2 dell’ultimo secolo, le temperature sarebbero state più basse di 0,7 °C. Si osservi la Fig.1:

Grafico  a:  in rosso  il modello  che include le simulazioni sia dell’effetto delle emissioni di CO2, sia delle variabilità naturali, inclusi gli eventi vulcanici, in nero le osservazioni sperimentali sulle variazioni della temperatura media globale.

Grafico  b:  in nero le osservazioni  sperimentali sulle variazioni della temperatura media globale, in azzurro  le simulazioni escludendo le emissioni antropiche di CO2.

La crisi economica

La crisi in atto può portare al tramonto dell’Europa, riducendo le possibilità di benessere per i cittadini europei a vantaggio delle nuove economie emergenti, oppure può essere l’occasione per un suo rilancio fondato su due pilastri: l’economia della conoscenza e la sostenibilità. Le risorse naturali, a fronte  di una crescente pressione e un insostenibile consumo, sono diventate scarse. La domanda di ecoefficienza e di elevata qualità ecologica  sono crescenti. Sono cause comuni delle due crisi:

  • la corsa drogata ad una crescita economica fondata sul  consumismo e sullo spreco, alimentata con l’indebitamento, a prescindere dalle risorse reali disponibili;

  • l’ideologia e la pratica della sregolatezza della globalizzazione dei mercati,con la rinuncia a obiettivi di interesse generale e a argini efficaci contro le speculazioni;

  • la forte crescita dei consumi energetici e delle materie prime che, nella prima parte del 2008, ha fatto salire fortemente i prezzi, depresso il potere d’acquisto e le aspettative economiche.

Per affrontare la crisi occorrono risposte convergenti. E’ necessario  cambiare la visione: la crescita drogata e il consumismo sono parte del problema, non soluzioni. Occorrono un’economia sobria e consumi consapevoli: la sregolazione è incompatibile con lo sviluppo. Servono efficaci e impegnative politiche pubbliche: per orientare  e indirizzare l’economia di mercato verso  uno sviluppo sostenibile, sano e duraturo. L’indispensabile forte impiego di risorse pubbliche, chiesto da tutti, va  però indirizzato verso:

  • formazione, ricerca, innovazione;

  • dematerializzazione;

  • economia della conoscenza;

  • efficienza energetica e nell’uso delle risorse, elevata qualità ecologica di beni e servizi;

  • infrastrutture per un forte sviluppo delle energie rinnovabili, per l’adeguamento delle reti e per una mobilità sostenibile.

L’aumento della spesa pubblica riapre il dibattito anche sul prelievo fiscale  e sulla riforma fiscale ecologica. Il pacchetto per il clima è parte rilevante della politica economica e ambientale europea. Gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni, di  aumento dell’efficienza energetica e  delle rinnovabili sono impegnativi. L’Italia, fuori dalla politica europea, perderebbe un’occasione  per  contrastare i rischi di declino. L’Italia, per la rilevanza di settori economici e politici arretrati, può correre un forte rischio di pigrizia, di seminare illusioni su riprese economiche fondate sulla riduzione  dell’impegno ambientale e per il clima. Gli obiettivi di riduzione dei gas serra al 2020 sono praticabili per l’Italia con un forte impegno, con politiche e misure per il risparmio e l’efficienza energetica, con un forte incremento delle fonti energetiche rinnovabili e con un ricorso complementare ai meccanismi flessibili previsti.

La crisi energetica

In fatto di intensità energetica l’Italia ha perso il vantaggio che aveva. L’Italia per ridurre del 20% i consumi di energia al 2020 ha bisogno di un programma di risparmio e efficienza da 30 Mtep e di un  piano di investimenti di almeno 5  miliardi l’anno, metà pubblici, per i prossimi  11 anni. 11 Mtep di risparmio vengono dalla attuazione del Piano d’azione dell’efficienza energetica (Governo 2007, in recepimento della Direttiva 2006/32/CE).Occorre attivare un nuovo programma di misure  per l’efficienza energetica per altri 19 Mtep al 2020. In dettaglio:

Nei trasporti  per 5 Mtep

  • rafforzando il trasporto collettivo, la mobilità ciclabile e pedonale;

  • incrementando il trasporto su ferro, l’intermodalità  e il cabotaggio;

  • convertendo l’industria dell’auto per nuovi mezzi a bassissimi consumi.

Nella gestione dei rifiuti per 3 Mtep

  • con politiche di prevenzione che risparmino materiali e energia;

  • incentivando lo sviluppo e il potenziamento del riciclo e del recupero;

Nell’edilizia e nei consumi civili per  6 Mtep

  • rafforzando le misure per le ristrutturazioni energetiche degli edifici;

  • incentivando le misure per l’efficienza nei consumi finali;

Nell’industria e nei servizi per  5 Mtep

  • con nuovi standard di efficienza energetica.

In Italia non decolla un più incisivo programma di risparmio e di efficienza energetica per effetto di gravi carenze di visione (non capire che questa è una priorità che richiede misure impegnative, politiche pubbliche e consistenti risorse finanziarie e tecniche da investire); per una sottovalutazione dei vantaggi economici dell’incremento dell’efficienza energetica, oggi accentuata dal crollo temporaneo del prezzo del petrolio e per la debolezza delle politiche energetiche pubbliche .

Le priorità per rendere incisivo un programma di efficienza energetica richiedono di varare un piano pluriennale dotato di risorse pubbliche (2,5 MLD anno) che comprenda un fondo di garanzia per attivare i finanziamenti delle  ESCO; di rafforzare e rendere pienamente operative le misure già esistenti (certificazioni energetiche, certificati bianchi, Fondo Industria 2015, detrazioni fiscali); di rafforzare la strumentazione tecnica, nazionale e regionale, di supporto agli Enti locali ,alle imprese e ai cittadini.

Occorre raddoppiare l’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, per un importo di     50 nuovi TWh entro il 2020. Per ottenere questo risultato occorre:

  • adottare un piano energetico  che  preveda  il loro raddoppio, ripartendo gli obiettivi fra le Regioni;

  • assicurare un quadro certo di incentivi che metta in moto 3,5 MLD di investimenti l’anno fino al 2020;

  • definire per ciascuna fonte (idrica, geotermica, solare, eolica e biomassa) misure specifiche  per  valorizzare le risorse locali esistenti;

  • semplificare le procedure autorizzative e potenziare il supporto tecnico per Enti locali,imprese e cittadini;

  • adeguare la rete elettrica. 

Le fonti rinnovabili non sono cresciute in Italia al ritmo di altri paesi europei perché ha prevalso fra i decisori politici la convinzione che le rinnovabili abbiano un ruolo marginale, insieme a una sopravvalutazione dei  loro costi e una sottovalutazione dei vantaggi economici  e ambientali; perché sono  mancate politiche e misure mirate  a valorizzare territorialmente i potenziali di ciascuna fonte rinnovabile e per l’inadeguatezza e  l’incertezza del sistema di incentivazione, per i tempi lunghi e  le difficoltà autorizzative. I dati del 2008 del Gestore della rete elettrica (GSE) indicano  per l’Italia una maggiore produzione di energia idroelettrica e eolica: il miglioramento non recupera però i ritardi  rispetto ai tassi della crescita europea.

 

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