La Green economy nel negoziato di Rio Homepage del Comitato scientifico
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Conclusioni su Rio+20 del Comitato scientifico: la green economy > leggi le Conclusioni per intero La Green economy: A ben vedere la green economy è quel passo in avanti che ci aspettavamo da Rio+20, pur con tutte le frustrazioni che ciascuno può avere dopo aver letto il testo del documento finale. Prima di Rio la green economy era un progetto dell’UNEP per coniugare l’esigenza di una nuova economia, a fronte dei fallimenti dell’economia corrente in tutto il mondo, con la protezione degli ecosistemi e la lotta alla povertà già peraltro incardinata nel sistema ONU con gli MDG. Sposata con entusiasmo dall’OCSE e da almeno parte dei suoi paesi membri, non è affatto scontato che la green economy dovesse essere una proposta gradita a tutti e condivisa. La stessa scelta della green economy come uno dei temi chiave della Conferenza UNCSD, un successo indubbio dei promotori, e tra essi dell’UNEP alla ricerca di visibilità, non poteva essere una garanzia di successo. E così infatti è stato: la formula dell’economia green nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà ha incontrato una dura resistenza da parte dei G-77/Cina. Gli oppositori della green economy hanno largamente usato a Rio+20 l’argomentazione che la green economy sarebbe un travisamento dei principi e dagli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Quest‘ultimo ha così ricevuto il cadeaux di un inaspettato rilancio da parte di ambienti non poi così tradizionalmente favorevoli. La Bolivia, tra gli oppositori più aspri, riassume le ragioni dell'opposizione, affermando che nessun modello di sviluppo unico qualunque sia il suo colore dovrebbe essere imposto, e che i diritti degli Stati in via di sviluppo per perseguire i loro propri percorsi di sviluppo devono essere rispettati. Al di là della controversa reputazione di quel paese, ora, che lo si voglia o no, rappresentativo di una corrente di pensiero autorevole e diffusa in Sud America, l’argomentazione è difficilmente controvertibile ed è per di più ampiamente sufficiente a togliere dal tavolo la proposta di una Roadmap europea con impegni e scadenze obbligatori per tutti. Alla fine il testo del documento concordato a Rio proclama un’ovvietà: i paesi che vogliono affrontare la strada della green economy come uno sforzo comune (common undertaking) sono liberi di farlo. Sarà questa la strada o il mancato accordo finirà per costituire un’alibi per l’inazione? Gli osservatori si sono affrettati a notare, tuttavia, che i dirigenti di Stato e i ministri dei vari paesi del G-77/Cina, intervenendo alla sessione plenaria erano apertamente fuori linea e facevano continui riferimenti alla green economy. Chi è attento alle vicende cinesi ed indiane sa che i loro piani e programmi più recenti contengono molti degli spunti dell’economia verde e che quei paesi sanno bene di essere sotto attacco dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della perdita di biodiversità etc. e che i loro commerci stanno già traendo grande beneficio dalle tecnologie verdi, vento, sole, riciclo, etc. Ne concludiamo che, nel rispetto delle priorità nazionali, la green economy come noi la intendiamo è ormai una via obbligata e condivisa. Senza impegni per gli aiuti allo sviluppo, per il riconoscimento anche in economia del Principio di Rio sulle responsabilità comuni ma differenziate, senza una politica chiara e leale in materia di trasferimento di tecnologie e di protezione dei diritti di proprietà intellettuale e dei brevetti, la posizione dei G-77/Cina non daranno strada al progetto della green economy che, pur praticandola, accuseranno di green washing e di copertura della politica di rapina da essi imputata all’occidente. Negli incontri di Rio circolava con insistenza l’esempio dell’aiuto all’Africa per i farmaci anti-AIDS. Ora la salute è entrata nei documenti dello sviluppo sostenibile, ma se c’è chi muore e chi si cura si può parlare di rispetto dei Principi di Rio? Il risultato di questi conflitti insanabili ha portato il governo brasiliano alla scrittura di un testo molto difensivo e totalmente qualitativo nella sezione del documento dedicato alla green economy. La UE, l’OECD e l’UNEP possono godere di un successo solo parziale consistente nel porre la green economy al primo posto nell’ordine del giorno delle trattative planetarie. In questo mood l’UNEP ha commentato dopo la Conferenza che l'Agenda della green economy è ancora in gran parte sul tavolo.
Un
risultato di vasta portata strategica è il riconoscimento della Il testo adotta anche il quadro decennale (10YFP) dei programmi sul consumo e la produzione sostenibili, già a suo tempo richiesto nel JPOI, e introduce anche i reporting di sostenibilità aziendale. Settembre 2012: Sviluppo sostenibile e Green economy: una messa a punto di Toni Federico È durata poco l’illusione che dopo la grande recessione del 2008-2009 l’economia occidentale avrebbe ripreso a crescere come prima e come sempre. Oggi per un osservatore europeo, sotto la minaccia del disastro dell’euro, una delle più grandi costruzioni economico-monetarie della storia, non è facile fare previsioni o ipotizzare scenari. A cavallo del cambio di secolo poteva sembrare che con una forte regolamentazione ambientale, rafforzata dal successo degli accordi multilaterali sull’ambiente (noti come i MEA), e con il lancio degli obiettivi del Millennio (MDG) da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2000, il cammino dello sviluppo sostenibile fosse assicurato. Non è stato così e non solo a causa della crisi nordamericana delle torri gemelle seguita da due quadrienni di presidenza ostile alla causa ambientale. È accaduto invece, forse in maniera inaspettata, che l’economia, il più solido dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile di Rio, è entrato in una fase di crisi buia e prolungata con una forte modifica degli equilibri mondiali a favore delle economie emergenti e con un tipo di instabilità nei paesi sviluppati che mette soprattutto in luce che le variabili di controllo stanno sfuggendo dalle mani dei governi. Occorrerà scegliere una strada condivisa che governi, imprese e cittadini dovranno ciascuno percorrere lungo il sentiero stretto della sostenibilità. Retorica? No, un passaggio obbligato per la sopravvivenza. Di qui nasce l’ipotesi di un'economia nuova, una Green economy che non può che essere socialmente equa, inclusiva ed ecologicamente sostenibile. Partita dall’UNEP e dall’OECD, rimbalzata in un’Inghilterra attanagliata dalla crisi, ma ancora ricca di un pensiero ecologico originale, la proposta della Green Economy è divenuta popolare con le dichiarazioni del Presidente Obama alla soglia della sua prima elezione. Si tratterebbe di una transizione, di dimensioni che non hanno precedenti. Cambierebbero anche gli attori e le istituzioni. IL 24 Dicembre del 2009, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (con la risoluzione A/RES/64/236), stabilì che nel 2012 si sarebbe tenuta a Rio de Janeiro la Conferenza ONU del ventennale sullo Sviluppo sostenibile anche detta “Rio+20” o “Rio 20” o UNCSD. Gli Stati membri decisero che la Conferenza si sarebbe incentrata su due tematiche fondamentali: la Green economy nell’ambito dello sviluppo sostenibile e della lotta alla povertà e il quadro istituzionale della governance dello sviluppo sostenibile. La Conferenza ha avuto tre obiettivi: assicurare che venga rinnovato l’impegno politico in favore dello sviluppo sostenibile, effettuare una valutazione di ciò che è stato fatto e dare attuazione agli impegni già presi ai quali ancora non si è totalmente adempiuto ed affrontare le nuove sfide emergenti. La posta in gioco a Rio+20 è stata molto alta, la probabilità di insuccesso non poteva che essere ancora maggiore. Il sistema delle Nazioni Unite eredità da Rio+20 un compito impari, definire le linee di costruzione di un nuovo modello di sviluppo dell’economia che possa essere capace di dare finalmente una base operazionale e condivisa allo sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile è un concetto di lungo corso attorno alle cui problematiche è cresciuta ormai un’intera generazione di soggetti sociali e politici. Nell’accezione più semplice la sua finalità è mettere le future generazioni nelle stesse condizioni di benessere e di qualità della vita che sono state riservate ai progenitori. I principi ispiratori originali di questo diverso modello di sviluppo sono stati il degrado ambientale e i limiti oggettivi delle risorse. Oggi però l’economia, che fu ritenuta il più solido dei tre pilastri dell’ecosistema globale e la crescita universale che ne fu la salvifica metafora, hanno inaspettatamente fermato la loro corsa. La Green economy può essere considerata la grammatica dello sviluppo sostenibile, è la proiezione nel futuro della lezione della storia. È la sua articolazione operativa ed industriale nel rispetto dei limiti planetari. È una variante inclusiva ai modelli correnti generatori di diseguaglianza. La misura della capacità di questa riforma profonda dell’economia sarà data dalle iniziative di questi giorni, che nascono dall’interno della crisi. La Green economy abbisogna di una teoria economica rinnovata, adeguata alle problematiche della nostra epoca, in grado di superare le basi obsolete della teoria economica tradizionale, di alimentare una nuova visione e sostenerla con una strumentazione teorica e tecnica. Già l'economia ecologica, a partire dai limiti delle risorse naturali disponibili, delle capacità di carico e della resilienza degli ecosistemi, ha sviluppato una critica dell'economia tradizionale, della sua visione troppo a breve termine, della sua incapacità di dare un valore a molte delle cose che contano per il benessere delle persone, della sua incapacità di internalizzare i costi effettivi e di operare invece come se le risorse naturali fossero infinite, alimentando l'illusione di una crescita quantitativa sempre più veloce e illimitata. La Green economy deve avere letture molto contestuali ai territori, richiede capacità ed intuizioni, non solo applicazioni di procedure stereotipate. Ci sono in campo i nuovi attori imprenditoriali il cui contributo va valorizzato ed armonizzato, occorre la riapertura selettiva del credito, la composizione dei conflitti, tutti elementi che rinviano alla responsabilità delle politiche pubbliche e a nuove capacità ed abilità professionali e manageriali. Il fattore di elezione della Green Economy è l’eco-innovazione basata sulla conoscenza e sulla ricerca scientifica. Metodi scientifici e tecno-ecologici ce ne sono, ma ne occorrono di nuovi in tutti i settori industriali e nei servizi, nessuno escluso, non solo per fare prodotti green ma per rimodellare i processi produttivi, per rendere circolare il flusso della materia e rinnovabile l’energia necessaria. Occorre produrre di più e meglio, con risorse naturali e inquinamento ridotti al minimo, se possibili azzerati con il riciclo della materia e con l’aiuto dei sistemi naturali, grandiosi anche come metabolizzatori degli scarti, purché non sollecitati oltre le loro intrinseche capacità di carico. Sono già in atto grandi progressi: la produzione di elettricità da fonti rinnovabili con costi di produzione in costante diminuzione, la raggiunta capacità di riciclo praticamente di tutti i tipi di rifiuti, nuovi tipi di eco progettazione basati sulle analisi del ciclo di vita (LCA) dei prodotti e dei macchinari. Altri ne verranno. (> scarica il testo completo dello studio) Giugno 2012: Considerazioni prima di Rio+20: la Green economy di Toni Federico Che lo si voglia o no, quale che sia la visione del mondo e gli interessi dell’uno o dell’altro paese, la Green economy è destinata a diventare protagonista della scena mondiale negli anni avvenire. La sintesi tra Green economy e sviluppo sostenibile, dopo qualche incertezza filologica nella fase iniziale, si può considerare ormai raggiunta: green è l’economia dello sviluppo sostenibile del nuovo secolo. L’urgenza di una riforma ecologica degli equilibri mondiali compare sulla scena dapprima con la scoperta della scarsità delle risorse (The limits to growth, Club di Roma), poi con la crisi climatica (i Rapporti IPCC, il Rapporto Stern), infine con la crisi del consumismo e dei rapporti sociali da esso indotti (Commissione OECD Giovannini, Rapporto Stiglitz). Nel mezzo il Vertice della Terra di Rio 1992 (Rapporto Brundtland, Agenda 21) era riuscito ad introdurre, forse definitivamente, la narrazione dello sviluppo sostenibile in tutti i livelli della governance planetaria (il sistema delle Nazioni Unite, i governi nazionali, le amministrazioni locali) con il presidio e la sorveglianza attiva di una infinità di forme associative della società civile e del mondo scientifico. In questo percorso, niente affatto lineare, le contraddizioni non mancano. Nei venti anni che separano i due vertici di Rio la geopolitica mondiale è completamente cambiata. Assolto il compito di trovare la sintesi tra ambiente e sviluppo, le molte altre dicotomie implicite nell’impianto concettuale di Rio 1992, Nord-Sud, paesi poveri-paesi ricchi, crescita-sottosviluppo si sono, per così dire, esaurite, lasciando il campo alle chiavi politomiche di una realtà mondiale dominata dalla complessità e dall’incertezza. Rio 1992 ha avuto il torto di non prefigurare una soluzione diversa da quella della ripartizione più equa e sostenibile di una ricchezza globale in grande e costante crescita. Diviso lo spazio dello sviluppo sostenibile nei tre domini dell’economia, della società e dell’ambiente, cun un’intuizione che a tutt’oggi si può considerare irreversibile, il lavoro politico si è concentrato sulla crisi ambientale, in particolare clima-energia (Kyoto, Bali ed oltre) e sulla crisi sociale intragenerazionale (eradicazione della povertà, obiettivi del Millennio), ma di crisi economica sopravveniente (globalizzazione dei mercati, finanziarizzazione dell’economia) è sembrato che nessuno se ne dovesse occupare. Anzi sono state lasciate le briglie sciolte all’economia con la copertura ideologica delle teorie neoliberiste a lungo egemoni (Scuola di Chicago, Washington Consensus), fino a che le carte in tavola sono cambiate ed è stato perso il controllo delle variabili di sistema. Questa breve lettura semplificata di eventi ben altrimenti meritevoli di interesse, introduce alla Green economy, il nuovo protagonista d’elezione di un percorso diverso per lo sviluppo sostenibile del quale l’economia torna al centro. Non possiamo dire oggi quale sarà l’esito di Rio+20 che ha due temi da sviluppare, ma uno solo decisivo, la Green economy, essendo l’altro, la governance, poco più che una risistemazione di equilibri interni al sistema delle Nazioni Unite. Sulla Green economy si riversa tutto il carico delle attese e delle suggestioni dello sviluppo sostenibile. Essa diventa il passaggio obbligato, le Termopili della battaglia per il progresso e per il futuro ma finalmente con i piedi per terra. È l’economia mondiale che deve essere risistemata, riequilibrata ed orientata ad una prospettiva equa e durevole. Questa volta tra i protagonisti assieme ai governi ed alla società civile, c’è il sistema industriale, assente a Rio 1992. Il modello della rappresentanza politica ha lasciato il posto al gioco plurale dei portatori di interesse (stakeholder), non più dunque una questione di egemonia ma di contemperamento di istanze legittimamente diversificate, alla ricerca di un equilibrio che le possa soddisfare tutte al meglio. Il quadro negoziale intorno alle prospettive dello sviluppo globale non può dunque che essere complesso, variegato ed incerto. Anche i documenti finali di Rio+20 avranno questo stesso carattere. Non mancheranno (Deo gratias) le affermazioni di principio e dei Principi, con la dovuta dose di retorica, ma il successo del Summit si dovrà leggere nei particolari, come sempre nei passaggi decisivi. Ci aspettiamo anche questa volta il coro dei puri di cuore che grideranno al fallimento, ormai è retorica anche questa, ma quello che dobbiamo cercare sono i passi in avanti e la Green economy è già un passo in avanti. Le questioni in campo sono molte in tutti e tre i domini dello sviluppo sostenibile. In materia ambientale si riaffermerà a Rio la competenza dei MEA, i Multilateral Environmental Agreement, e delle loro Convenzioni di riferimento. Il grosso sta nel piano d’azione di Durban per il clima che ha posto le basi di un nuovo assetto dei rapporti internazionali a prezzo di un rinvio delle scadenze degli obiettivi, che abbiamo subito definito preoccupante. Il nodo da sciogliere resta, come la Conferenza di Bonn ha appena confermato, la responsabilità comune ma differenziata. Un accordo equo su questo punto è la condizione per vedere la Cina e gli altri emergenti entrare da protagonisti nella scena della lotta ai cambiamenti climatici. Il rafforzamento dell’UNEP darà ai MEA il coordinamento che fino ad oggi è mancato. In materia sociale si fronteggiano due mostri, di qui la miseria (da eradicare), di là l’occupazione (da salvaguardare). Non ci sono alternative ai due obiettivi. Ad oggi la povertà decresce, nella un po’ fittizia definizione dell’ONU, ma la fame nel mondo non accenna a diminuire (vedi l’ultimo rapporto della World Bank sugli MDG) e le disparità di reddito si sono accresciute nei paesi ricchi paralizzandone la crescita. L’occupazione, il tradizionale pilastro del welfare occidentale postfordista, non tiene più, sotto l’effetto della globalizzazione, delle delocalizzazioni, della migrazione della manodopera e di quella benedizione-maledizione che è la crescita tecnologica della produttività del lavoro (fare di più con meno ore di lavoro, produrre tante merci che non possono più essere consumate né da quelli che erano ricchi e lo sono sempre meno né dagli altri che sono poveri, o lo stanno diventando, e non hanno denaro). Nei testi di Rio+20 troverà posto una nuova concezione del benessere, non più apparentata solo ai flussi di reddito, ma combinata in una visione equilibrata della qualità della vita costruita sui patrimoni che, oltre alla tradizionale ricchezza, sono costituiti dalla qualità ambientale, dalla salute, dal capitale umano e dai rapporti interpersonali e sociali. Non risolve il problema della povertà né quello delle disparità, ma almeno ferma l’illusione che si debbano pompare i consumi all’infinito. In materia economica il messaggio di Rio+20 sarà la Green economy, un tipo di economia che non ha alternative se l’umanità vuole ancora avere un futuro. Comporta cambiamenti sostanziali ed una vera e propria fase di transizione. Questa volta non si tratta di espugnare Palazzi d’Inverno ma di ripartire responsabilità tra tutti gli attori sulla scena, mercato, imprese, governi e società civile. A chi pretende una definizione filologicamente esauriente di questo nuovo paradigma ricordiamo, ripetendoci, che esso contiene tutti quelli che costituiscono il patrimonio tradizionale dello sviluppo sostenibile, dai Principi alle buone pratiche, cui si aggiunge una qualità nuova di tipo empirico, costituita dalla capacità di darsi degli obiettivi e di raggiungerli, lungo il filone che da Kyoto porta agli MDG ed oggi alle Roadmap come Europa 2020. La novità di Rio+20 è che non vi sarà più una ricetta buona per tutti i paesi, ma l’invito ad interpretare la transizione partendo dalle priorità, dalle visioni e dalle disponibilità proprie di ogni paese, mettendo a fattor comune obiettivi, target e tempi. Per usare il wording del negoziato di Rio+20 dovremmo dire che la Green economy dovrà essere un common undertaking senza la pretesa che one size could fit all. Rio +20 stabilirà un ruolo prevalente della regolazione del processo che verrà affidata ai governi nazionali e alle intese sovranazionali. Si badi che questa posizione non va letta nel senso di dare prevalenza all’azione pubblica rispetto all’impresa privata, come molti stanno dicendo da noi, ma nel senso di aumentare la responsabilità nella fase delle scelte ed i margini operativi dei governi nazionali e delle comunità regionali con i relativi sistemi industriali[1]. Rio+20 non potrà compensare le differenze di visione e di interessi nel panorama globale né sopire i timori. Posto che le contrapposizioni non sono più tra Nord e Sud, oggi potremmo adottare un modello di classificazione di un continuum di interessi che va dai più ricchi fino ai miseri e che vede oggi non meno di tre grosse categorie. Quelli che vedono nella Green economy la via d’uscita da una crisi economica ed occupazionale in aggravamento (i paesi OECD), quelli che esportano, materie prime, manufatti o prodotti agricoli, che non vogliono rinunciare ai mercati occidentali e temono che la Green economy non sia altro che una lista di standard per bloccare le attività commerciali, e infine quelli che, poveri o molto poveri, chiedono tecnologia per fare green in casa propria contro la povertà e la scarsità delle risorse. Se ci sono torti e ragioni ci sono da tutte le parti. Green economy a Rio+20. Ricaviamo questa parte della nota dalla lettura essenziale del documento in preparazione per Rio+20, allo stato si evoluzione in cui si trova. Ci sono diversi approcci, visioni, modelli e strumenti, in conformità con le specificità e le priorità di ciascun paese, per praticare in modo integrato le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile e sradicare la povertà. La Green economy, senza essere una rigida serie di regole, è un valido strumento per fornire orientamenti per le decisioni politiche, contribuire ad eliminare la povertà, favorire una crescita economica sostenuta, accrescere l'inclusione sociale, migliorare il benessere umano e creare nuove opportunità di occupazione e di lavoro dignitoso per tutti, senza mettere a rischio lo stato degli ecosistemi. La Green economy rispetta la sovranità nazionale e il diritto allo sviluppo di ciascun paese. Deve essere supportata da un contesto abilitante e dal buon funzionamento delle istituzioni a tutti i livelli, con un ruolo di primo piano per i governi e con la partecipazione di tutti gli stakeholder. Promuove una crescita economica sostenibile e inclusiva, promuove l'innovazione e fornisce opportunità, benefici e ruolo a tutti i soggetti. Rafforza la cooperazione senza condizionare le politiche di aiuto allo sviluppo e senza causare restrizioni dissimulate ed ingiustificate al commercio internazionale. Contribuisce a colmare il gap tecnologico tra paesi sviluppati e in via di sviluppo e a ridurre la dipendenza tecnologica di questi ultimi. Dal punto di vista sociale protegge le identità, le culture e le tradizioni, migliora il benessere ed il ruolo delle donne, dei bambini, dei giovani, dei disabili, dei piccoli agricoltori, dei pescatori e di coloro che lavorano in piccole e medie imprese. Affronta il problema delle disparità tra e all'interno dei paesi e la concentrazione di reddito e ricchezza che ne è causa. L'attuazione delle politiche della Green economy è un impegno comune per il quale ogni paese può scegliere un percorso appropriato verso un futuro equo e solidale in conformità con le strategie e le priorità nazionali di sviluppo sostenibile, senza esportare inquinamento, ridurre le risorse o degradare l’ambiente di altri paesi. Al contrario dovrebbe contribuire a migliorare la capacità di gestire le risorse naturali in modo sostenibile e con minori impatti ambientali, aumentare l'efficienza nell'uso delle risorse e ridurre gli sprechi, promuovere l'utilizzo e la conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici. Le politiche di Green economy devono avere il potenziale di guidare una crescita sostenibile, sviluppare l'innovazione, creare green jobs di qualità, in particolare per le donne e i giovani. È importante garantire che i lavoratori siano dotati delle competenze necessarie, anche attraverso la formazione continua, e abbiano le necessarie protezioni sociali e sanitarie. I costi sociali e ambientali devono essere integrati in tutte le decisioni utilizzando i migliori dati e le migliori analisi scientifiche disponibili. Ai governi nazionali compete la leadership nello sviluppo delle politiche e delle strategie per il tramite di processi inclusivi e trasparenti che comportano la consultazione permanente della società civile. Le imprese e l'industria dovranno adottare un approccio alla Green economy finalizzato ai risultati, e tra questi il greening delle catene dell’offerta. Anche alle imprese si chiede di tenere consultazioni sistematiche e trasparenti con gli stakeholder. Tra i soggetti pubblico e privato debbono stabilirsi nuovi partenariati per mobilitare risorse e finanziamenti significativi da parte del settore privato ad integrazione dei finanziamenti pubblici. La scelta migliore è unire la regolamentazione, gli approcci volontari ed i meccanismi di mercato per promuovere una Green economy inclusiva ed efficiente. I partenariati, il networking a tutti i livelli e la condivisione delle esperienze possono aiutare le comunità ad imparare gli uni dagli altri anche sfruttando le potenzialità delle tecnologie della comunicazione, le reti e le applicazioni innovative per promuovere sviluppo e lo scambio di conoscenze, consentire la condivisione di esperienze nei diversi settori dello sviluppo sostenibile, promuovere la trasparenza e la responsabilità da parte dei governi e incoraggiare una più ampia partecipazione di una pluralità di soggetti nella produzione e nell’utilizzo aperto, accurato e credibile dei dati necessari per sviluppare politiche efficaci e scientificamente fondate. La tecnologia e l’innovazione hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della Green economy. Vanno dunque create condizioni favorevoli che promuovano e stimolino gli investimenti in tecnologia e gli incentivi per la R&S e l’innovazione. Grande importanza ha la raccolta di tutte le informazioni e i dati rilevanti di natura economica, sociale e ambientale e che esse siano rese disponibili al pubblico e ai responsabili politici. Modelli di promozione e consumo (SCP) e il programma decennale 10YFP. Tra i risultati di conseguimento certo a Rio+20 c’è il programma quadro decennale 10YFP per un nuovo modello di produzione e consumo. Questo filone ha origine diversa, viene dal Programma d’azione concordato nel 2002 a Johannesburg (JPOI). Sviluppato con il contributo di tutte le grandi macroregioni planetarie e quindi anche dall’Europa (UNECE) avrebbe potuto essere approvato già alla 19° sessione del 2011 della CSD, la Commissione per lo SD, oggi sub-judice. Per un errore di procedura la sua approvazione è stata rinviata a Rio+20, ma con il vantaggio di essere già stata concordata. La convergenza con i concetti della Green economy è esplicita ed il Piano 10YFP, qualora la Roadmap proposta dall’Europa non passi, potrebbe diventare il conseguimento principale del Vertice. C’è anche l’accordo della Cina perché il programma comprende una severa revisione dei modelli di consumo occidentali, punto sul quale la Cina e il suo gruppo si battono da sempre. Il documento di RIO+20, nella sezione dedicata alla Green economy, chiede di promuovere nuovi modelli di consumo e di produzione in funzione del raggiungimento dello sviluppo sostenibile. Adottare un nuovo SCP è uno degli obiettivi generali dello sviluppo sostenibile, poiché è indispensabile un cambiamenti sostanziale nel modo in cui le società consumano e producono. Ci sono ampie disparità nei livelli e nei modelli di consumo tra ricchi e poveri e tra i paesi sviluppati e paesi poveri. Tutti i paesi devono però promuovere modelli di consumo e di produzione sostenibili, ma spetta ai paesi sviluppati prendere l'iniziativa ed agli altri imparare da questa esperienza in modo da avvicinare tutte le società ad un futuro sostenibile per tutti. Occorre porre fine alle pratiche dispendiose e insostenibili nell'uso e nella estrazione di risorse naturali e migliorare l'efficienza delle risorse in tutti settori economici attraverso l'implementazione accelerata e la diffusione delle migliori pratiche e tecniche. Uno strumento strategico per questi fini è l’adozione su vasta scala del Green public procurement. Per consentire scelte sostenibili più accessibili e attraenti per i consumatori, occorre promuovere, in consultazione con tutte le parti interessate, sviluppare in maniera aperta e trasparente, standard di prodotto e di processo che riflettano pienamente l'impatto della produzione e del consumo, secondo la migliore tecnologia disponibile. Lavorando con il settore privato si dovrà assicurare che l'etichettatura dei prodotti e la pubblicità siano precise e credibili, in modo da fornire ai consumatori le informazioni necessarie per fare scelte consapevoli. A conclusione del capitolo in otto punti sui SCP (para SCP8) il documento recita: “Siamo d'accordo ad adottare il programma quadro decennale (10YFP) sul consumo e produzione sostenibili (SCP), allegato alla presente dichiarazione”. A questo testo l’Europa aggiunge: Siamo pertanto d'accordo per i seguenti obiettivi e target:
[1] Mentre scriviamo, un gruppo negoziale di contatto, guidato da un chairman canadese, sta tentando a NY di scrivere il testo finale di Rio+20 sulla Green economy. Il gruppo sottolinea l'importanza della leadership da parte dei governi che assumono il ruolo guida in fatto di sviluppo delle politiche e delle strategie. Si discute se la Green economy si debba caratterizzare come un impresa comune o se debba essere definita essenzialmente nel contesto del sostegno ai paesi in via di sviluppo. Infine si chiede che il testo non parli più di “una” Green economy indeterminata, ma che assuma coerenza riferendosi ad un modello condiviso, non ad un modello qualunque. Il gruppo sottolinea ruolo della cooperazione e delle piccole imprese e l’importanza del trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo assieme al ruolo fondamentale della tecnologia e sulla promozione dei partenariati nuovi e di quelli esistenti pubblico-privato e tra privati. TESTO DEL DOCUMENTO FINALE SULLA GREEN ECONOMY Tradotto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile > Leggi l'intero Documento di Rio+20 in lingua italiana III. III. La Green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà
6.
Noi affermiamo
che ci sono diversi approcci, visioni, modelli e strumenti 57. Noi affermiamo che le politiche per la green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà dovrebbero essere guidate e coerenti con tutti i Principi di Rio, Agenda 21 e il piano di attuazione di Johannesburg e contribuire al conseguimento di importanti obiettivi di sviluppo internazionalmente concordati, compresi gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. 58. Noi affermiamo che le politiche della green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà dovrebbero: (a) Essere conformi al diritto internazionale; (b) Rispettare la sovranità nazionale di ciascun paese sulle proprie risorse naturali tenendo conto delle specificità, obiettivi, responsabilità, priorità e spazi politici nazionali con riferimento alle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile; (c) Essere supportate da un ambiente abilitante e da istituzioni ben funzionanti a tutti i livelli con un ruolo di primo piano per i governi e con la partecipazione di tutte le parti interessate, compresa la società civile; (d) Promuovere una crescita economica sostenuta e inclusiva, favorire l’innovazione e fornire opportunità, vantaggi ed empowerment per tutti e il rispetto di tutti i diritti umani; (e) Tenere conto delle esigenze dei paesi in via di sviluppo, in particolare quelli in situazioni particolari; (f) rafforzare la cooperazione internazionale, compresa la messa a disposizione di risorse finanziarie, la capacitazione e il trasferimento tecnologico ai paesi in via di sviluppo; (g) Evitare effettivamente ingiustificate condizionalità in materia di aiuti ufficiali allo sviluppo (ODA) e di finanziamento; (h) Non costituire un mezzo di discriminazioni arbitrarie o ingiustificate o di restrizioni dissimulate al commercio internazionale, evitare azioni unilaterali per affrontare sfide ambientali al di fuori della giurisdizione del paese importatore, e assicurare che le misure ambientali per affrontare problemi ambientali transfrontalieri o globali si basino, nella misura del possibile, sul consenso internazionale; (i) Contribuire a colmare il gap tecnologico tra paesi sviluppati e in via di sviluppo e ridurre la dipendenza tecnologica dei paesi in via di sviluppo utilizzando tutte le misure appropriate; (j) Migliorare il benessere dei popoli indigeni e delle loro comunità, delle altre comunità locali e tradizionali e delle minoranze etniche, riconoscendo e sostenendo la loro identità, cultura e interessi, ed evitare di mettere a repentaglio il loro patrimonio culturale, le pratiche e i saperi tradizionali, preservando e rispettando gli approcci non commerciali che contribuiscono allo sradicamento della povertà; (k) Migliorare il benessere delle donne, dei bambini, dei giovani, delle persone con disabilità, dei piccoli proprietari, degli agricoltori e dei pescatori di sussistenza, di coloro che lavorano nelle piccole e medie imprese; migliorare le condizioni di vita e l'empowerment del gruppi poveri e vulnerabili, in particolare nei paesi in via di sviluppo; Mobilitare tutte le potenzialità e garantire la parità di contributo sia dalle donne che dagli uomini; (m) (n) Promuovere attività produttive nei paesi in via di sviluppo che contribuiscono all’eliminazione della povertà; (o) Affrontare i problemi delle disuguaglianze e promuovere l'inclusione sociale, a cominciare dai programmi di protezione sociale; (p) Promuovere il consumo sostenibile e i modelli di produzione;
(q)
Continuare ad
impegnarsi con approcci equi ed inclusivi allo sviluppo 59. Prendiamo atto dell'attuazione delle politiche della green economy da parte dei paesi che cercano di applicarla come una impresa comune per la transizione verso lo sviluppo sostenibile, e riconosciamo che ogni paese può scegliere un adeguato approccio in conformità dei piani nazionali, le strategie e le proprie priorità di sviluppo sostenibile. 60. Noi riconosciamo che la green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà, migliorerà la nostra capacità di gestire le risorse naturali in modo sostenibile e con minori impatti ambientali negativi, aumenterà l'efficienza delle risorse e ridurrà gli sprechi. 61. Ci rendiamo conto che rimane fondamentale un intervento urgente sui modelli insostenibili di produzione e di consumo quando si verificano, affrontando la sostenibilità ambientale e promuovendo la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità e degli ecosistemi, la rigenerazione delle risorse naturali e la promozione di una crescita globale sostenuta, inclusiva ed equa. 62. Incoraggiamo ogni paese a valutare l'attuazione delle politiche della green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà, in un modo che miri a realizzare una crescita economica sostenibile, inclusiva ed equa e la creazione di posti di lavoro, in particolare per donne, giovani e poveri. A questo riguardo, notiamo l'importanza di garantire che i lavoratori siano dotati delle competenze necessarie, anche attraverso l'istruzione e la capacitazione, e vengano forniti delle necessarie protezioni sociali e sanitari. 63. A questo proposito, incoraggiamo tutti gli stakeholder, comprese le imprese e le industrie, a contribuire secondo opportunità. Invitiamo i governi a migliorare le conoscenze e la capacità statistica sulle tendenze, gli sviluppi e i vincoli del lavoro e ad integrare i dati utili nelle statistiche nazionali, con il sostegno delle principali agenzie delle Nazioni Unite, nell'ambito dei rispettivi mandati. 64. Riconosciamo l'importanza di valutare l’insieme dei fattori sociali, ambientali ed economici e di incoraggiare, ove le circostanze nazionali e le condizioni lo permettano, la loro integrazione nel processo decisionale. Riconosciamo che sarà importante prendere in considerazione le opportunità e le sfide, così come i costi ei benefici delle politiche della green economy, nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà, utilizzando i migliori dati scientifici e le migliori analisi disponibili. Ci rendiamo conto che un mix di misure, tra cui quelle normative, volontarie e altre, applicate a livello nazionale e coerenti con gli obblighi degli accordi internazionali, potrebbero promuovere la green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà. Ribadiamo che le politiche sociali sono vitali per promuovere lo sviluppo sostenibile. 65. Riconosciamo che il coinvolgimento di tutti gli stakeholder e delle loro partnership, la creazione di reti e scambi di esperienze a tutti i livelli, potrebbe aiutare i paesi ad imparare gli uni dagli altri per identificare politiche appropriate di sviluppo sostenibile, tra cui politiche di green economy. Notiamo le esperienze positive in alcuni paesi, anche nei paesi in via di sviluppo, nell’adottare politiche di green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà attraverso un approccio inclusivo e nell’accogliere lo scambio volontario di esperienze, come il rafforzamento delle capacitazioni nelle diverse aree dello sviluppo sostenibile. 66. Riconosciamo la potenza delle tecnologie della comunicazione, tra cui le tecnologie di rete e le applicazioni innovative, per promuovere lo scambio di conoscenze, la cooperazione tecnica e la capacitazioneper lo sviluppo sostenibile. Queste tecnologie ed applicazioni possono sviluppare capacità e consentire la condivisione di esperienze e conoscenze nei diversi settori dello sviluppo sostenibile, in modo aperto e trasparente. 66. Riconoscendo l'importanza di collegare il finanziamento, la tecnologia, la capacitazione e le esigenze nazionali per le politiche dello sviluppo sostenibile, compresa la green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà, invitiamo il sistema delle Nazioni Unite, in collaborazione con i donatori interessati e le organizzazioni internazionali, a coordinare e fornire informazioni su richiesta riguardo a:
67. Sottolineiamo l'importanza che i governi che assumano un ruolo di leadership nello sviluppo di politiche e strategie attraverso un processo inclusivo e trasparente. Prendiamo anche atto degli sforzi di quei paesi, compresi i paesi in via di sviluppo, che hanno già avviato processi per preparare strategie nazionali e politiche di green economy a sostegno dello sviluppo sostenibile. 68. Invitiamo gli stakeholder, comprese le commissioni regionali delle Nazioni Unite, le organizzazioni e gli organi delle Nazioni Unite e altre organizzazioni competenti intergovernative internazionali e regionali, le istituzioni finanziarie e i principali gruppi coinvolti nello sviluppo sostenibile, secondo i loro rispettivi mandati, a sostenere su richiesta i paesi in via di sviluppo, per ottenere lo sviluppo sostenibile, anche attraverso politiche di green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e sradicamento della povertà, in particolare nei paesi meno sviluppati. 69. Invitiamo inoltre, le imprese e l’industria, secondo le opportunità e in conformità con la legislazione nazionale, a contribuire allo sviluppo sostenibile e a sviluppare strategie di sostenibilità che integrino, tra l'altro, le politiche della green economy. 70. Riconosciamo il ruolo delle cooperative e delle microimprese nel contribuire all'inclusione sociale e alla riduzione della povertà in particolare nei paesi in via di sviluppo. 71. Incoraggiamo le partnership nuove ed esistenti, incluse le partnership pubblico-private, a mobilitare i finanziamenti pubblici rafforzati dal settore privato, tenendo conto, quando possibile, degli interessi delle comunità locali e indigene. A questo proposito, i governi dovrebbero sostenere le iniziative per lo sviluppo sostenibile, compresa la promozione del contributo del settore privato per sostenere politiche di green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e lo sradicamento della povertà. 72. Riconosciamo il ruolo fondamentale della tecnologia, nonché l'importanza di promuovere l'innovazione, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Invitiamo i governi, secondo i casi, a creare contesti propizi che favoriscano la tecnologia ambientale, la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, anche a sostegno della green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà. 73. Sottolineiamo l'importanza del trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo e richiamiamo le disposizioni in materia di trasferimento di tecnologia, di finanziamento, di accesso all’ informazione e di diritti di proprietà intellettuale, concordate con il Piano di attuazione di Johannesburg, in particolare con il suo appello a promuovere, facilitare e finanziare, secondo i casi, l'accesso e lo sviluppo, il trasferimento e la diffusione di tecnologie ambientalmente favorevoli e il relativo know-how, in particolare ai paesi in via di sviluppo, in termini favorevoli, in condizioni privilegiate e preferenziali, come reciprocamente convenuto. Inoltre prendiamo atto dell’ulteriore evoluzione delle discussioni e degli accordi su questi temi dopo l'adozione del Piano di attuazione di Johannesburg. 74. Riconosciamo che gli sforzi dei paesi in via di sviluppo che scelgono di implementare politiche di green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà, dovrebbero essere sostenuti attraverso l'assistenza tecnica e tecnologica.
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