La
Fondazione Heinrich Böll
non è affatto amichevole verso la
linea della Green economy. Nella Fondazione operano ecologisti di
grande rilievo, a cominciare da Wolfgang Sachs, che per gli ecologisti
italiani è un punto di riferimento. Tuttavia le analisi portate avanti dalla
Fondazione sono talmente rigorose e profonde da costituire un prezioso punto
di riferimento anche per chi come noi ha sulla Green economy opinioni
diverse. In particolare va segnalato uno studio del maggio del 2012,
precedente Rio+20, che esamina a fondo tutte le tendenze e le proposte in
campo sulla Green economy. Si tratta della "Critique
of the Green Economy. Toward Social and Environmental Equity"
firmata tra gli altri proprio da Wolfgang Sachs.
Il ragionamento del Rapporto si svolge a partire dalla
considerazione che
i limiti
del pianeta
richiedono
ormai passi coraggiosi
e radicali
verso
una trasformazione
globale.
La Green economy è
oggi proposta come strumento chiave per andare avanti
verso "il
futuro che vogliamo"
secondo lo
slogan di Rio
+20,
dove
questa idea
è stata
introdotta autorevolmente
nei negoziati
internazionali
per la prima volta.
Tuttavia
quello che è o
dovrebbe essere
la Green economy
resta ancora
oggetto di accesi dibattiti.
Il documento della
Fondazione
Böll
definisce
i principi
fondamentali della
Green economy,
che invariabilmente
mette l'economia
al centro di
ogni discussione sulla
sostenibilità.
è
vero
che noi
potremo salvare il
pianeta solo
lavorando con
l'economia, piuttosto
che contro di essa.
Ma
l'economia
è
veramente il punto
focale di
tutte le soluzioni?
L'obiettivo
di questo Studio è
di incoraggiare un
esame critico
dei concetti
esistenti e di
delineare le
alternative.
La tecnologia e
l'efficienza
svolgono un ruolo
di primo piano
in tutti gli approcci alla
Green economy.
Ma,
sfortunatamente, non
tutto ciò che
è
verde ed
efficiente è anche
ambientalmente
sostenibile e
socialmente equo.
Abbiamo bisogno di
efficienza, abbiamo bisogno
di risparmiare
risorse,
ma abbiamo
anche bisogno di
accontentarci di meno
se le risorse
della Terra
e la sua atmosfera
devono essere
sufficienti per
tutti sul pianeta
e se
deve essere
possibile
una vita dignitosa
e senza
privazioni
.
Efficienza, consistenza,
sufficienza
e
diritti umani
sono gli elementi di
una Green economy
fatta
di prosperità
combinata con la
sobrietà.
In data precedente a questo Studio la
Presidente della Fondazione Barbara Unmüßig aveva pubblicato un articolo dal
titolo "The
Green Economy – The New Magic Bullet?" con un impianto
concettuale simile al precedente ma maggiormente orientato all'analisi delle
controversie che erano allora in atto intorno alla futura conferenza di
Rio+20. Ancorché datato, questo articolo dà un contributo di chiarezza alla
comprensione delle proposte centrali della Green economy, quella
dell'UNEP, cui si rimprovera la mercificazione della natura e quella
dell'OECD cui si fa carico di insensibilità in fatto di equità e di diritti
umani. Al lettore di oggi non sfugge che anche il pensiero della presidente,
tedesca ed eurocentrica, si appuntava sull'ipotesi che a Rio si sarebbe
discussa essenzialmente la proposta europea di una roadmap per la
Green economy. Sappiamo che non è andata così e che ha prevalso
l'opposizione della Cina e dei sudamericani ad un'Agenda comune per lo
sviluppo, eguale per tutti. La palla è così tornata in campo e la partita si
giocherà sugli SDG, i Sustainable Development
Goals, un'idea "di ricambio" dei sudamericani che andrà a scadenza entro
il 2015, come la trattativa sulla lotta ai cambiamenti climatici.
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La
Legambiente è da sempre un sostenitore della transizione verso la
Green economy come passo obbligato verso lo sviluppo sostenibile e come
chiave per il superamento della crisi economica oltre che ambientale e
occupazionale. Ne parla in maniera convincente il Presidente Cogliati Dezza
in un filmato "Rischi
ed opportunità della Green economy".
La Green economy
coniuga l’esigenza di ridurre le emissioni di gas serra con la creazione di
nuove opportunità di impresa e la domanda di prodotti con caratteristiche di
sostenibilità radicalmente diverse rispetto al passato. Include la
generazione di energie rinnovabili e il risparmio energetico che scaturisce
dal miglioramento dell’efficienza. Ma tocca anche settori tradizionali come
la produzione di automobili, con la forte riduzione nelle emissioni di
anidride carbonica, l’introduzione di combustibili alternativi come il
metano e l’idrogeno, la diffusione delle auto elettriche.
Alla Green economy
si possono attribuire nel 2010 nuovi posti di lavoro, 3,5 milioni solo in
Europa, e tutti gli osservatori ritengono che questa tendenza potrà incidere
positivamente sull’economia mondiale. Esiste infatti una domanda crescente
di beni e servizi sostenibili, che si abbina all’ingente investimento di
aziende e istituzioni nella lotta al global warming. Questo fa della
Green economy uno dei pochi comparti sostanzialmente immuni dalla crisi
economica. Puntare sulla Green economy è un imperativo condiviso e
questa consapevolezza sta iniziando a diffondersi anche laddove da sempre
esistevano resistenze fortissime, a cominciare dalla Cina. Occorre
sottolineare che qualunque sia il paradigma economico che si vuole adottare
l’economia ecologica non ha e non può avere un cuore anti-industrialista
nonostante ne riconosca i danni fatti nel passato e nel presente. La
Green economy quindi non è la fine dell’industria bensì un cammino di
riconversione che conduce alla sostenibilità ambientale e sociale
dell’industria. La ricetta è nota: bisogna aumentare gli investimenti in
ricerca e sviluppo, il sostegno alle aziende che investono in energia e
prodotti verdi e concedere maggiori incentivi ai consumi green. Le
ragioni più vere dell’ambiente devono coincidere con quelle dello sviluppo e
della modernità. Il sogno verde che sta attraversando l’economia mondiale
fiaccata dalla recessione, insomma, non è un’ipotesi ma una realtà che
genera profitti.
Non v’è dubbio che la testa pensante in
materia di Green economy è
la Fondazione Symbola, cui
Legambiente ha dato infiniti contributi di idee e di buone pratiche,
che pubblica annualmente il rapporto Green Italy. Nell’edizione 2012
si evidenzia come la profondità della crisi abbia indotto l’intero sistema
economico italiano a un radicale ripensamento del modello di sviluppo in
direzione della sostenibilità, di una maggiore innovazione, della qualità e
dell’efficienza. Con una valutazione forse un po’ ottimistica, basta infatti
un solo addetto classificabile come titolare di un green job, il
Rapporto valuta che un’impresa su quattro (il 23,6%, 360mila imprese, oltre
144mila industrie e circa 214mila servizi) ha realizzato negli ultimi tre
anni, o realizzerà entro quest’anno, investimenti in prodotti e tecnologie
che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto
ambientale. Tra le nuove imprese (circa 103mila) individuate nei primi sei
mesi del 2012, il 14% ha già realizzato nella prima parte dell’anno o
realizzerà entro il 2013 investimenti green.
Le declinazioni della Green economy
italiana vanno dalla chimica alla farmaceutica, dal legno-arredo all’high
tech, dalla concia alla nautica, passando per l’agroalimentare, l’industria
cartaria, tessile, edilizia, minerali non metalliferi, per la meccanica,
l’elettronica e i servizi. Si aggiungono i più classici settori delle fonti
rinnovabili, dell’efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della
protezione della natura. In sostanza tutti i settori della nostra economia,
compresi quelli più maturi e tradizionali.
La Green economy comporta la
riconversione anche dei comparti tradizionali dell’industria italiana di
punta. Il Paese incrocia le vocazioni delle comunità con la tecnologia e la
banda larga, la filiera agroalimentare di qualità legata al territorio con
il made in Italy e la cultura. Circa il 30% delle assunzioni non
stagionali programmate complessivamente dalle imprese del settore privato
per il 2012 è per figure professionali legate alla sostenibilità. La
rivoluzione verde già oggi interessa il 23,6% delle imprese industriali e
terziarie con almeno un dipendente che tra il 2009 e il 2012 hanno
investito o investiranno in tecnologie e prodotti green. Le imprese
della green Italy sono quelle che hanno la maggiore propensione
all’innovazione: il 37,9% delle imprese che investono nella sostenibilità
hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011,
contro il 18,3% delle imprese che non investono green. Idem dicasi
per la propensione all’export: il 37,4% delle imprese green
vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non
investono nell’ambiente.
Per far ripartire il Paese non basta
fronteggiare la crisi. Affrontare i nostri mali antichi: il debito pubblico,
l’illegalità e l’evasione fiscale, le diseguaglianze nella distribuzione
della ricchezza, il sud che perde contatto, una burocrazia speso soffocante.
Serve una visione in grado di mobilitare le migliori energie per affrontare
le sfide del futuro. È necessario difendere la coesione sociale non
lasciando indietro nessuno, e scommettere sull’innovazione, sulla
conoscenza, sull’identità dei territori: su una Green economy
tricolore che incrocia la vocazione italiana alla qualità e si lega alla
forza del made in Italy. È necessario cambiare partendo dai talenti
dell’Italia che c’è.
La Green economy
può rappresentare una chiave strategica
per superare questa lunga crisi, uscendone più forti e meglio in grado di
costruire un futuro diverso, sostenibile e più ricco di possibilità. Grazie
ad un modello di sviluppo che si fonda sui valori tradizionali dei territori
e dei sistemi produttivi italiani di piccola impresa: qualità, innovazione,
eco-efficienza, rispetto dell’ambiente. Una ricetta che oggi dimostra di
saper sposare i valori etici alla competitività e che ha il grande
merito di favorire la coesione tra i territori.
Il
modello green individuato dalla Fondazione si basa sui seguenti paradigmi:
Logica di rete. Nello sviluppo di comportamenti virtuosi in campo green una
leva sempre più utilizzata dalle imprese è quella dello sviluppo di una
progettualità comune, secondo una logica a rete e di integrazione di
filiera.
Propensione all’export.
La Green economy è un investimento strategico anche sul fronte della
competitività, prova ne sia la maggiore presenza sui mercati esteri delle
imprese che puntano sulla sostenibilità. Ben il 37,4% delle imprese che
investono in tecnologie green vantano una presenza sui mercati
esteri, contro il 22,2% di quelle che non investono.
Propensione all’innovazione.
La competitività richiede anche una buona dose di capacità innovativa. Anche
su questo fronte le aziende che investono green hanno una marcia in
più: il 37,9% delle imprese che realizzino investimenti green hanno
introdotto nel 2011 innovazioni di prodotto o di servizio, a fronte del
18,3% riferito alle altre.
I settori della green Italy.
Questo approccio strategico in risposta alla crisi è più diffuso nella
manifattura, dove la quota di imprese che realizzano investimenti green
supera il 27% a fronte di un più ridotto 21,7% nel terziario. Tra le
attività manifatturiere, e alle attività sostanzialmente connesse
all’energia (prodotti petroliferi e public utilities), spiccano la filiera
della gomma e della plastica, la lavorazione dei minerali non metalliferi,
quelle della carta e della stampa, della meccanica, mezzi di trasporto,
dell’elettronica e strumentazione di precisione, dove la quota di imprese
che realizzano investimenti green va oltre la media, con una punta
record del 41% nel caso del comparto chimico-farmaceutico.
Geografia dell’economia verde.
La classifica regionale per quota delle imprese green è guidata dalla
Lombardia (69 mila imprese), seconda posizione per il Veneto con 34 mila,
terza per il Lazio con 33 mila. Seguono Emilia Romagna con 30 mila imprese,
Campania con 26 mila, Toscana con 24 mila, Piemonte con 23 mila come la
Sicilia, poco più della Puglia, infine le Marche con 10 mila.
Occupazione verde. La green economy sembra possedere una marcia in più e tenere meglio
ai venti della crisi, tanto che il 38,2% delle assunzioni complessive
programmate (stagionali inclusi) da tutte le imprese italiane dell’industria
e dei servizi per l’anno in corso si deve alle aziende che investono in
tecnologie green. Guardando ai numeri assoluti, ciò significa che sul
toltale di oltre 631 mila assunzioni complessive programmate, oltre 241 mila
sono ascrivibili ad imprese che credono nella Green economy.
L’imprenditoria legata all’ambiente dimostra di avere una dinamicità in
campo occupazionale: delle 358
mila imprese che hanno investito negli ultimi tre anni - o lo faranno
quest’anno - in tecnologie green, ben il 20% prevede nel 2012 di
assumere, laddove per le altre imprese non investitrici la quota quasi si
dimezza. (12,6%). Inoltre circa il
30% delle assunzioni complessive non stagionali programmate per il 2012 è
per figure professionali legate alla sostenibilità.
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2013 Gianfranco Bologna del WWF Italia (fonti varie).
Mentre la crisi persiste, sembra
diffondersi, ancora con grande fatica e in forme e modi diversi,
l'impostazione di una Green Economy che si presenta come
un'alternativa allo status quo attuale. L'enfasi predominante che viene data
alla Green Economy è basata su due aspetti centrali: uno spostamento
degli investimenti da attività produttive dannose all'ambiente (ad esempio
l'utilizzo dei combustibili fossili) a quelle più virtuose (ad esempio le
energie rinnovabili) ed una maggiore efficienza nell'utilizzo di energia e
materie prime in tutti i processi produttivi. Si tratta di due aspetti molto
importanti e significativi nelle politiche correnti che devono certamente
essere affrontati e risolti ma che devono essere considerati delle
componenti di una Green Economy, non certo l'essenza centrale della
stessa. Impostare una Green Economy significa impostare una nuova
economia che sia basata almeno sui seguenti punti fondamentali:
1.1.
Gli straordinari sistemi naturali (la
ricchezza degli ecosistemi e della biodiversità presente sul pianeta) ed i
servizi che essi offrono gratuitamente e quotidianamente allo sviluppo ed al
benessere delle società umane costituiscono la base essenziale dei processi
economici. Il capitale naturale non può essere di fatto "invisibile"
all'economia come avviene attualmente, ma è centrale e fondamentale per
l'umanità, dobbiamo quindi "mettere in conto" la natura, riconoscerle un
valore. La contabilità economica deve essere assolutamente affiancata da una
contabilità ecologica. Il valore del capitale naturale deve influenzare i
processi di decision making politico-economici.
2 2. Il sistema economico non può costituire il sistema
centrale del nostro mondo come oggi avviene. E' invece un sottosistema
dell'ecosistema globale del pianeta e non può quindi essere gestito come se
fosse indipendente da esso. L'umanità deriva e dipende dalla natura, ne fa
parte, è costituita dagli stessi elementi fondamentali che compongono
l'intero universo, la Terra e la vita, non può vivere al di fuori di essa.
3. I modelli economici perseguiti dalle
società umane non possono quindi operare al di fuori dei limiti biofisici
che i sistemi naturali presentano. Le capacità rigenerative e ricettive dei
sistemi naturali rispetto alla continua e crescente pressione umana
presentano dei limiti evidenti. La conoscenza scientifica ha ormai fatto
avanzamenti significativi in questo ambito e si stanno approfondendo i
cosidetti Planetary Boundaries (i confini planetari che l'intervento
umano non dovrebbe sorpassare, pena il prodursi di effetti disastrosi
sull'intera umanità).
3 4. I modelli economici dovrebbero perseguire modelli
di produzione e consumo che imitino i meccanismi della natura e della
vita (che ha ormai 3.8 miliardi di anni di esperienza sulla Terra), attuando
una vera e propria Industrial Ecology basata sulla biomimesi,
che consenta, per quanto possibile, di trasformare gli attuali processi
produttivi lineari, alla fine dei quali si produce lo scarto,
l'inquinamento, in processi circolari come quelli che hanno, da sempre,
luogo nei processi naturali.
5. Nelle politiche attuative di una
Green Economy occorre ridurre i livelli di consumo e migliorarne la
qualità, in particolare nei paesi dove si consuma il superfluo.
Ma cosa significa veramente
green economy? È un ennesimo aspetto di quello
che, sin dalla fine degli anni Ottanta, si definiva
“greenwashing”, e cioè un tentativo di far
credere che una “tinteggiatura” di verde delle
attività produttive delle corporation – ben
divulgata dal marketing e dalla comunicazione
– potesse renderle più sostenibili per i sistemi
naturali? E’ un semplice spostamento di investimenti
da attività chiaramente negative per la salute e la
vitalità dei sistemi naturali e sociali, come
l’utilizzo dei combustibili fossili, ad altre più
sostenibili come l’uso delle energie rinnovabili,
del tipo eolico e fotovoltaico? Oppure è
l’impostazione di una nuova modalità di fare
economia che dia finalmente valore al capitale
naturale e che ne faccia discendere prassi operative
conseguenti?
A monte di questo dibattito è
fortemente presente la straordinaria importanza che
le culture delle nostre società attribuiscono alla
continua crescita materiale dell’economia che, non a
caso, ha prodotto anche modifiche dello stesso
termine green economy in green growth
o green growth economy.
E’ di
tutta evidenza che
l’impostazione dell’economia
del futuro non può
assolutamente essere la
normale prosecuzione di
quella attuale. Come ci
ricordano Rockstrom e Sachs
in un intervento sull'
Agenda per lo sviluppo
post-2015 delle Nazioni
Unite, (>
leggi il Rapporto)
se il reddito dei paesi
attualmente a livello medio
e basso dovesse salire a
quello dei paesi ad alto
reddito (che si aggira
intorno ai 41.000 dollari
pro capite annui) l’economia
globale dovrebbe crescere di
3,4 volte passando dagli
attuali 87.000 miliardi di
dollari a 290.000 miliardi
di dollari annui. Le
possibilità rigenerative e
quelle ricettive dei sistemi
naturali, per fare fronte
sia all’utilizzo di risorse
sia alla produzione di
scarti da parte dei
metabolismi delle società
umane sono limitate, e
proseguire su questa strada
è impossibile. Ecco quindi
che la green economy
dovrebbe muoversi
nell’ambito di una
complessiva reimpostazione
dell’attuale sistema
economico che certamente non
può considerare la crescita
materiale e quantitativa
come un obiettivo futuro
perseguibile.
2012
Sezione inglese del WWF: "Building
green economies. Creating prosperity for people and planet".
Il Rapporto segna una decisa
apertura verso le Green economies come si legge nel messaggio di
apertura: " The transition to green economies is essential both to
protect nature for its own sake, and to maintain the conditions required for
humanity to thrive". Le parole Economia
e Ecologia
condividono la stessa radice del greco
parola, oikos, che significa casa.Come suggeriscono i nomi, i due
campi sono strettamente collegati, ma per troppo tempo
economisti e ambientalisti non sono riusciti a
trovare un linguaggio comune.
L'agenda della Green economy mira a colmare questa lacuna.
Essa affronta il nodo
centrale della sfida politica ed economica dei
nostri tempi che è anche una opportunità
imperdibile per tornare a vivere entro i limiti delle
nostre risorse ed entro le frontiere ecologiche planetarie, e per tentare
l'eliminazione della povertà e il miglioramento del
benessere per tutti.
Tuttavia, la stagnazione economica e l'instabilità in
molte parti
del mondo, compreso il Regno Unito e gli altri paesi
europei, stanno rafforzando la opposizione alla
politiche ambientali che alcuni percepiscono come la
causa che impedisce la ripresa.
Altri attribuiscono la colpa dei nostri problemi
attuali
alla sola questione della crisi economica
ignorando le criticità sociali e ambientali.
Questi diversi punti di vista condividono la
convinzione di fondo che ci sia un
conflitto fondamentale tra l'economia e l'ambiente
che non può essere risolto. Il ostro parere è che abbiamo l'imperativo di praticare un
approccio
alternativo
che riconosce che la prosperità economica e il
benessere
umano
dipendono essenzialmente dallo stato di salute del
mondo naturale.
La transizione verso la Green economy è
essenziale sia per la protezione della natura per se stessa, che per mantenere le
condizioni necessarie perché
l'umanità possa prosperare.
La scienza ci dice che abbiamo bisogno di niente di
meno che di
una profonda trasformazione delle nostre economie,
delle politiche, delle tecnologie e delle
modalità di produzione e consumo.
In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite
sullo sviluppo sostenibile
a Rio nel giugno 2012 si è manifestata
nella assemblea plenaria una sostanziale mancanza di volontà politica e
di leadership .
Ma gli eventi paralleli al Summit, sono stati ricchi
di idee, di energia e d'impegno delle comunità, delle
città e delle
aziende che stanno già iniziando a costruire un mondo
sostenibile.
Il Rapporto del WWF inglese illustra le prospettive
delle economie verdi - perché c'è
bisogno di loro, quello che sono, e come arrivarci - e
mostra come il WWF
sta lavorando in tutto il mondo per fare il passaggio
alle economie verdi.
Abbiamo anche da suggerire alcune azioni prioritarie
che i governi
dovrebbero adottare per promuovere le
innovazioni sostenibili che consentano di attuare le condizioni per lo
sviluppo sia delle
aziende che delle nostre comunità.
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