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Ambiente urbano. Notizie sul governo di Babilonia sui territori urbanizzati e sulla loro governabilità di Carlo DonoloLa città è per natura una molteplicità… non solo la città è costituita da una pluralità di uomini, ma anche da uomini diversi specificamente, perché una città non nasce da uomini simili. …Babilonia e ogni altra città che abbia la configurazione di un popolo più che di un agglomerato urbano… Aristotele, Politica, II, 2, 1261 e III, 3, 1276
Non cercare di trovare troppo rapidamente una definizione della città; non è cosa da poco, e ci sono molte probabilità di sbagliarsi. Perec, Specie di spazi
La ville nous échappe… detto al convegno “Governare la città contemporanea
La città oggi equivale a un insieme di processi urbani, per i quali la governance è il solo governo possibile. Ma le condizioni di possibilità della governance urbana sono strettamente correlate alle nostre capacità di riconoscimento ed interpretazione della natura attuale dei processi urbani. Per una tematizzazione pertinente del problema della governabilità dell’urbano oggi il criterio dirimente è che i processi di governo possibile e desiderabile devono essere ricavati induttivamente dai caratteri dei processi urbani. Per il governo della città contemporanea si suppone che l’adozione del paradigma della razionalità economica sia felice e forse risolutivo. La città come macchina accumulativa, produttrice di plusvalore, in triplice veste: come supporto infrastrutturale alle attività profittevoli e come macchina di realizzazione del valore, come mercato; infine come medium del capitale sociale ed umano che si autovalorizza nel quadro del motivo del profitto. Poiché è vero che la città è al centro dei flussi di valorizzazione, è inevitabile che essa sia governata in primo luogo come “economia”. Vediamo in formule sintetiche quali aspetti dei processi urbani potrebbero invece (cioè come alternativa neo-moderna e capace di incorporare forme di razionalità più complessa) suggerire elementi per un nuovo paradigma del governo urbano, che risulti fedele all’opzione metodologica e normativa centrale: i processi politici devono co-rispondere ai processi urbani. L’evoluzione del fenomeno città, dopo la città moderna, va nella direzione della proliferazione dell’urbano al di là della forma della città, come urbs e come civitas. Si tratta di vasti territori urbanizzati con emergenze propriamente urbane e metropolitane: città di città, corpi territoriali, territori metropolitanizzati, megalopoli, città-regione ed altro. Ci sono configurazioni molto diverse, a seconda della presenza o meno di molteplici centralità, della densità del costruito, oltre agli aspetti demografici, economici e culturali. I tipi principali o più descritti sono: la città-regione (monocentrica, ma diffusa); la città diffusa e infinita ovvero il territorio variamente ma densamente urbanizzato; la rete di città regionali, policentrica. Ma non è escluso che i tipi si sovrappongano, specie sui loro margini. Rilevante è la dimensione, la forma o struttura, le funzioni. Impossibile generalizzare in questa materia, e più che una tipologia sarebbe importante di volta in volta l’interpretazione delle specificità del territorio urbano. Mentre molte parti della città – il down town, il centro direzionale, l’harbour front – oltre ovviamente i quartieri dormitorio – tendono ad assomigliarsi tutti e sempre di più (questa omogeneizzazione non è curata adeguatamente neppure dalla presenza di opere architettoniche emergenti), i territori restano diversi. Non tanto però il livello micro ma l’area vasta, ovvero l’intreccio delle varietà territoriali funzionalmente interconnesse o coinvolte visibilmente insieme nel Maelstrom dell’urbanizzazione. Quando nei piani strategici si opera per lo sviluppo di una visione condivisa ci si riferisce a questo livello, dalla città medio-grande si finisce per investire cognitivamente e simbolicamente la città-regione circostante, e anche nella città medio-piccola conurbazione e reti fisiche, pendolarismi e nuove centralità tipo outlet impongono il passaggio ad una scala per esempio provinciale. I processi urbani hanno oggi bisogno di questo contesto più ampio, già per la loro estrema differenziazione. Lo si coglie anche nel sovrapporsi delle velocità e dei tempi nei diversi spazi urbani, e nei diversi cicli di attivismo e rilassamento tipici della città. Questa città-territorio è caratterizzata proprio dallo scarto sistematico tra qualità (ambientali, sociali, urbane) richieste e offerte, possibili/reali. Questa è la fonte di conflitti e tensioni, illusioni e frustrazioni, di continui tentativi di governo dei processi, spesso fallimentari. Forse la città vive di questi scarti sistematici, ma dove essi generano sofferenza ed ingiustizia sollecitano domande ed offerte di “soluzione”. Si dovrebbe parlare piuttosto di terapie prolungate e insistenti, di cura, attenzione, proporzionalità e verifica dei poteri. Non a caso la coesione sociale è il tema centrale del governo urbano oggi. Ma spesso quelle divisioni incidono sulle capacitazioni degli attori (cittadini, organizzazioni, imprese), che sono bloccate, incomplete o continuamente frustrate. Così coesione si coniuga necessariamente a capacitazione, i problemi distributivi o di accesso à la Rifkin con quelli di civilizzazione. A queste condizioni un progetto neo-moderno, di rilancio di una modernità riflessiva fuori dalle paludi della retorica postmoderna, sostanzialmente apologetica, è possibile. Rispetto alle dimensioni dell’urbano nelle sue forme attuali che fanno problema e insieme costituiscono la nostra risorsa essenziale per il futuro, tale rilancio è doveroso e anche possibile. Ci si può chiedere alla fine: ma questo processo di governo per realtà altamente processuali e reticolari, sarà mai possibile? I processi in atto rispondano veramente ai bisogni più profondi della nostra epoca, intesi come bisogno di completamento del progetto moderno, come modernizzazione ecologica dei territori, come socializzazione? (> Leggi l'intero studio).
Città intelligenti e sostenibili di Toni Federico La città intelligente, la Smart City, non è una filosofia quanto piuttosto un patto d’azione in rete. Il concetto di Smart city è diventato pervasivo nella scena politica negli ultimi anni senza essere così puntuale da costituire un vincolo per gli amministratori locali né soprattutto costringerli a schierarsi nel fronte ambientalista o in altri fronti. Smart sta per efficiente, capace, inclusivo, moderno, come tutte le città vorrebbero essere. Resta da vedere se sta anche per sostenibile. La principale focalizzazione del paradigma Smart City in origine può sembrare essere stata verso lo sviluppo delle infrastrutture per l’informazione, il controllo e la comunicazione basato sulle tecnologie informatiche ICT, ma in realtà riscontriamo oggi nel network ormai mondiale delle Smart City atteggiamenti ed interessi anche molto diversi: molta ricerca è stata promossa sul miglioramento del capitale umano, quindi sull’istruzione, sulla capacitazione (Sen, Nussbaum) e sul long life learning. Anche sul capitale sociale e relazionale urbano si sta investendo molto, nella convinzione che qui si trovino, come nelle qualità ambientali della città e nel livello di training dei cittadini, i fattori più importanti del progresso e della prosperità cittadine. A distanza di anni dalla nascita il concetto di Smart city è ormai cambiato incontrando i principi e le prospettive dello sviluppo sostenibile. Si potrebbe dire che la New economy, fallimentare in quanto tale, è andata dieci anni dopo ad un promettente appuntamento con la Green economy sulla base dell’urgenza dell’innovazione ecologica per salvare l’economia, per dare ai cittadini una qualità della vita migliore ed infine per tentare una via nuova per perseguire, a partire dalle città, l’obiettivo ambizioso della sostenibilità che può salvare il pianeta dal cambiamento climatico e dalla scarsità di energia e di materia. L’Europa ha svolto un ruolo essenziale in questo ricongiungimento. Questa curvatura del corso degli eventi è stata determinata in generale dalla autorevole ripresa dell’iniziativa politico-sociale da parte delle città, un tipo di istituzione sociale che ha scritto gran parte della storia dell’Europa, e dal programma Europa 2020. Due momenti meritano di essere chiamati a rappresentazione di questa evoluzione: i progetti di ricerca e sviluppo che, fioriti in molte città europee con il sostegno prevalente della Comunità, hanno avuto la capacità di ibridare la dimensione tecnologica con quelle della capacitazione e dell’inclusività sociale, con la razionalizzazione dell’uso delle risorse e con la qualità ambientale urbana nel quadro della strategia EU-2020. Le città europee del network smart sono spesso le stesse che hanno sottoscrittoo il Covenant of Mayors, un patto a rete di impegni più ambiziosi ancora di EU2020 per lottare contro i cambiamenti climatici. Subito a valle della strategia 2020 l’Europa ha varato il SET-Plan (SEC (2009), 1295), il Piano strategico delle tecnologie energetiche, lanciato con lo scopo di colmare le lacune del settimo Programma quadro per la ricerca (FP7), insufficiente come supporto alla strategia EU 2020, ma anche con lo scopo di contrastare la crisi economica nelle fasi della sua prima manifestazione. Il SET-Plan ha aperto alcuni nuovi sentieri dell’innovazione tecnologica. Uno di essi è la Smart Cities Initiative inclusa nel SET-Plan, con il quale la Commissione europea si propone di "Progredire entro il 2020 verso una riduzione del 40% delle emissioni di gas a effetto serra attraverso l'uso e la produzione sostenibile dell’energia", richiedendo "approcci sistemici e innovazione organizzativa, che comprende efficienza energetica, tecnologie a basse emissioni e la gestione intelligente della domanda e dell'offerta". La Fondazione per lo sviluppo sostenibile ha prodotto uno studio sulle Smart City basato sul pieno recupero delle dimensioni dell’ambiente, della qualità della vita e della sostenibilità entro i processi smart di pianificazione cittadina, sviluppando un approccio “per indicatori” capace di fissare i temi strategici del programma urbano, di rinnovare le variabili controllate rispetto ai tradizionali approcci del problema della qualità urbana, rivelatisi piuttosto spesso meramente descrittivi e deboli sul piano della programmazione e del monitoraggio dei progressi nel tempo. Lo studio “Città intelligenti e sostenibili” introduce i primi elementi dei nuovi concetti di benessere che, introdotti dal lavoro decennale dell’OCSE, dal Rapporto Stiglitz e dalla stessa iniziativa comunitaria nota con il nome di Beyond GDP (EU, 2007), solo ora stanno trovando applicazione nella definizione di nuovi indicatori e nella raccolta di nuovi dati statistici economici sociali ed ambientali finora ignorati. Lo studio propone una metodologia di forte integrazione tra principi, programmi ed obiettivi mediante la scelta di un sistema di indicatori di target e di tempi di attuazione delle politiche e di una algoritmica per valutare le performance negli spazi multidimensionali complessi. Lo studio è disponibile (> Leggi lo studio) ed è disponibile anche la prima applicazione del metodo alla Città di Piacenza, presentata all’amministrazione ed ai cittadini il 22 marzo 2012 (> Consulta il Rapporto “Piacenza Smart City” della Fondazione). Smart city, Europa e questione meridionale di Carlo Donolo e Toni Federico Smart city vuol dire Europa. L’Europa è oggi la sede di una crisi economica, politica ed ecologica difficile da decifrare ed ancor più difficile da risolvere. È molto probabile che siamo al centro di una trasformazione che avrà per esito quanto meno il passaggio ad oriente dei tradizionali ruoli guida dell’occidente. Ma due convinzioni restano incontrovertibili a dispetto di molte opinioni oggi dilaganti: che nessun paese europeo potrà da solo riprendere il ruolo internazionale ed i livelli di benessere desiderati e che, al netto di ogni pur giustificata critica, nel decennio trascorso l’Europa ha intrapreso una strada ambiziosa che ha per obiettivo lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici e la pone ai vertici mondiali nel difficile confronto internazionale. L’effetto di trascinamento di questa scelta sui paesi come il nostro è ancora un patrimonio del quale non possiamo permetterci di fare a meno. L’Europa sta tentando una strategia mista che ricerca tutte le possibili alleanze per un modello di sviluppo che garantisca la sostenibilità globale e conservi all’Europa gli attuali livelli di benessere e di qualità ambientale ma anche prospettive e ruoli quanto meno di comprimario nel prossimo futuro. Per questo il prezzo da pagare è il riordino interno e l’allineamento delle politiche di tutti i paesi europei a programmi comuni e condivisi di corretta gestione dell’economia, di inclusione sociale e di recupero delle criticità ambientali. Il percorso è duplice e prevede una serie crescente di obiettivi di sviluppo definiti per legge, essenzialmente la Strategia EU 2020 e lo schema cap&trade EU-ETS per la lotta ai cambiamenti climatici, l’adozione di standard industriali ambientali e normativi sicuramente di alto livello e la promozione di iniziative volontarie di largo respiro. Il ruolo delle città europee lungo questi assi programmatici è decisivo e crescente. Quello delle città italiane è in discussione. Molti sono già stati i tentativi per il mainstreaming della sostenibilità e altrettanti probabilmente i fallimenti. Guardando ad Agenda 21, l’approccio nazionale è stato totalmente top-down e, al di la della sua inutilità, non ha mai avuto la capacità di integrarsi con il movimento delle Agende 21 locali che negli stessi anni e con molto maggior successo si è sviluppato a livello locale in particolare in Italia. È evidente la incompatibilità tra il modello europeo della democrazia rappresentativa e il modello della democrazia partecipativa delle Agende 21. Se queste, come è accaduto, non vengono trasformate in leggi, sono destinate a rimanere documenti di pura testimonianza. Oggi lo strumento è ormai logorato, e le amministrazioni pubbliche per aprirsi ai principi della partecipazione non meramente consultativa hanno bisogno di altri stimoli e di smartness. In Europa il problema si è posto sotto una forma diversa. Tutta la pianificazione strategica dei fondi strutturali si basa sull’assunto della pianificazione sostenibile. In assenza di una strumentazione adeguata le amministrazioni regionali e locali hanno dovuto fare da sé con risultati spesso insufficienti e i fondi sono andati in economia. Grandi risultati non sono venuti nemmeno dal recepimento delle norme della Valutazione ambientale strategica dei Piani e dei Programmi, pur riformate nel 2008 dallo sciagurato DL 152, e connesse a Piani nazionali e regionali per lo sviluppo sostenibile che sono rimasti in mente Dei. Il passo avanti è effettivamente la Strategia EU 2020, che integra per obiettivi obbligatori le istanze economiche, sociali ed ambientali e costituisce il nuovo paradigma per la pianificazione strategica dello sviluppo sostenibile in Europa. Ad essa si affiancano le iniziative volontarie delle città europee che hanno tradizioni storiche e cultura da vendere. Veri nuclei dell’organizzazione degli stati, è ragionevole che siano esse a porsi all’avanguardia dei processi di trasformazioni energetiche, climatiche, sociali ed ambientali tra i più delicati ed incerti della storia. Ne sono prototipi il Covenant of Majors, iniziativa autonoma dei comuni d’Europa in favore della mitigazione delle emissioni serra e le smart City promosso dal programma strategico per le tecnologie energetiche SET-Plan. Benché originata da tutt’altra esperienza, la smart City europea sta evolvendo il mood delle Agende 21 locali in una strategia per obiettivi di molto maggior concretezza. Il minor accento che smart City pone sulla fase della condivisione e della discussione rispetto alle Agende 21 è più che compensato dalla miglior finalizzazione delle azioni intraprese e dall’impegno diretto delle amministrazioni locali.
È noto da tempo che – almeno a partire dagli anni '70 – la Questione meridionale è diventata questione urbana. Le aree urbane contengono infatti non solo la maggior parte della popolazione, ma anche i maggiori problemi: economici, sociali, istituzionali. Allo stesso modo, e in parallelo, è possibile affermare che la Questione meridionale è diventata sempre più questione istituzionale, cioè un insieme di problemi connessi all'amministrazione, al governo locale, alle regolazioni territoriali, al capitale sociale, alla cultura delle regole. Già prima, storicamente il Sud era dotato in modo molto variabile di un'infrastruttura urbana: di più in Sicilia e in Puglia, di meno in Calabria e in Sardegna. Si trattava o di città contadine, in presenza di campagne non appoderate o di centri amministrativi. E non c'erano solo i capoluoghi, ma anche in certi territori una diffusa maglia di centri urbani. Nuova non è quindi l'esperienza urbana, ma invece l'esperienza metropolitana, o meglio la concentrazione della popolazione in vaste aree urbanizzate, o città-regioni, come nel caso della linea Caserta-Napoli-Salerno, o del continuum urbano costiero della Puglia o della Sicilia orientale. Quando oggi parliamo di città meridionale intendiamo riferirci in primo luogo alle grandi aree urbane, grandi sia per demografia che per estensione territoriale, sia per concentrazione di attività. In queste aree si concentrano gli aspetti più ostici del mancato sviluppo e del degrado, ma certamente anche le risorse strategiche per un diverso sviluppo. Da qui l'interesse per i processi urbani, per le economie in cerca di città, per “nuove occasioni” per tutto il Sud, quindi anche per la smart city, a partire da un governo delle città per lo sviluppo. Il nostro oggetto ristretto è costituito allora dai sistemi urbani a carattere metropolitano, anche se necessariamente parleremo genericamente di città: la conurbazione barese, l'area costiera campana, lo Stretto, il palermitano. In queste aree si concentra quasi la metà della popolazione meridionale. Il resto vive o in campagne, peraltro esse stesse sempre più urbanizzate, anche in assenza di sprawling intenso, o ancor più nella maglia di città piccole e medie, così caratteristiche di aree quali il Salento e l'Alta Murgia, oppure la Sicilia interna, o ancora la Basilicata interna e la costa calabra tirrenica meridionale. Nell'insieme in questi centri minori vi è il maggior equilibrio tra dotazioni e attivazione, tra tradizione e innovazione, e soprattutto una migliore qualità della vita (nel quadro e nei limiti degli standard meridionali). In essi anche le forme più recenti di progettazione urbana sembrano aver raggiunto qualche risultato. Anche le grandi aree metropolitane o meglio le città-regione che coprono vasti territori in Campania o in Puglia o in Sicilia sono state oggetto di diverse sperimentazioni di governo innovativo: dai piani strategici agli Urban, dai PIT ai PRUSST. Qui però sono anche stati raggiunti i minori risultati, maggiore è stato lo spreco di risorse, più difficile la continuità programmatica degli interventi, maggiore la confusione e la corruzione. Nell'insieme queste grandi aree restano delle grandi malate: per degrado urbano e sociale, entità della marginalità, della disoccupazione, del malaffare e della criminalità organizzata. In queste aree è anche maggiore il coinvolgimento della politica e dell'amministrazione in pratiche clientelari, spartitorie, se non direttamente criminali. Gli “scandali” e quindi gli interventi della magistratura scandiscono la vita amministrativa dei grandi comuni. In assenza di politiche urbane nazionali e di buon governo locale, i tentativi fatti per una diversa qualità urbana sono blandi, parziali, interstiziali e non in grado di modificare la traiettoria di questi territori. Proprio qui infatti è più difficile sviluppare forme innovative di governance urbana, che richiede appunto ciò che più manca: buona amministrazione, condivisione di regole e standard, affidabilità degli attori, fiducia istituzionale, cultura della cooperazione, o anche semplice rispetto della legge. Anche la ricerca Casavola-Trigilia mostra che, pur a parità di dotazioni (beni ambientali e culturali, capitale sociale e cognitivo), l'attivazione e mobilitazione delle risorse locali dipende proprio da quei fattori di governo ed autogoverno che sono carenti. Ovviamente vi è una varietà di situazioni, ma nell'insieme prevale la cronicità dei problemi, che hanno anche assunto nel tempo dimensioni drammatiche: criminalità organizzata, grado di violazione sistematica delle regole, abusivismi, marginalità e degrado, il tutto sulla base e sullo sfondo di cifre inquietanti di disoccupazione (femminile e giovanile soprattutto) che non ha eguali in Europa. Le grandi aree urbane sembrano riprodurre i loro mali su scala allargata, e divorare ogni risorsa o esperimento di buon governo urbano.
Il concetto di smart city è diventato pervasivo nella scena politica degli ultimi anni senza essere così puntuale da costituire un sentiero stretto per gli amministratori locali. smart sta per efficiente, capace, inclusivo, moderno, sostenibile. smart è stato dapprincipio un paradigma dell’industria delle telecomunicazioni, ma ora si è contaminato con le strategie della sostenibilità e con la green economy, soprattutto per l’iniziativa dell’Europa: molta ricerca è stata promossa sul miglioramento del capitale umano, quindi sull’istruzione, sulla capacitazione (Sen, Nussbaum) e sul long life learning. Anche sul capitale sociale e relazionale si sta investendo molto, nella convinzione che qui si trovino i fattori più importanti della crescita[9] urbana. Un recente progetto individua sei assi principali per le smart city europee:
Una città è smart (Nijkamp) quando gli investimenti in capitale umano e sociale, le infrastrutture di comunicazione tradizionali (trasporti) e moderne (ICT), alimentano una crescita economica sostenibile e una elevata qualità di vita, con una sapiente gestione delle risorse naturali, praticando una governance partecipativa. Smart city non rimanda necessariamente ad una visione complessiva od olistica (Lombardi), ma a vari aspetti che vanno dalla disseminazione delle ICT, ad un capitale umano in accrescimento, ad un rapporto tra governo della città e cittadini (smart governance). C'è quasi sempre un forte riferimento alla penetrazione delle tecnologie informatiche di monitoraggio e controllo nella vita quotidiana, alla connettività in rete, a infrastrutture, sistemi di trasporto e ad una logistica più moderni, alle energia rinnovabile ed all’efficienza. Una smart city, se non è già una città sostenibile, per lo meno è una comunità sociale in evoluzione, mobilitata per crescere e per durare, ed anche per progredire in fatto di economia, benessere ed inclusione sociale. La forza dell’iniziativa si accresce con obiettivi di lunga lena: migliorare l'efficienza energetica, rafforzare la diffusione urbana delle energie rinnovabili e potenziare gli obiettivi della politica sul cambiamento climatico in misura superiore, in Europa, ai livelli previsti dalla Strategia EU 2020. Un rapido progresso a livello locale verso gli obiettivi energetici e climatici può dimostrare ai cittadini che la qualità della loro vita e delle economie locali può essere migliorata attraverso gli investimenti in efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di carbonio. Ciò richiederà approcci sistemici e innovazione organizzativa, maggiore efficienza energetica, più tecnologie a basse emissioni e la gestione intelligente della domanda e dell'offerta mediante, in particolare, misure sugli edifici, sulle reti energetiche locali e sulla mobilità.
La smart city non è dunque un ritorno alla new economy di fine secolo, peraltro fallimentare. Le ICT che furono il core business della new economy non sono più evocate come la spina dorsale del rilancio dell’economia, né della economia della conoscenza (Lisbona 2000), quanto piuttosto uno dei driver di una società nella quale le città sono i nodi intelligenti e propulsivi di una pluralità di politiche e di strategie messe in campo per una transizione soft da un sistema fortemente dissipativo in termini di risorse naturali verso un sistema diverso, molto più dinamico, efficiente, circolare, ricco di conoscenza e di nuove articolazioni, capace di perseguire lo sviluppo sostenibile ed il benessere dei cittadini al di là dei consumi, al di là del PIL, investendo in capacitazione e relazioni sociali. Prima di incontrare lo sviluppo sostenibile, il pensiero smart si era dotato di una propria strumentazione concettuale attraverso il modello della tripla elica che utilizza l’ingegneria dei sistemi per l’analisi dei processi di innovazione basati sulla conoscenza. Il modello mette in relazione i tre driver interdipendenti della creazione della conoscenza e della sua capitalizzazione: la ricerca scientifica, l’industria e la governance. La città smart in questo modello formale è il luogo della densificazione della rete, un luogo di concentrazione delle attività e della conoscenza. Il recente inserimento della società civile come quarta elica del processo urbano in cui l’impegno civile arricchisce la dotazione culturale e sociale (relazionale) determinando, piuttosto che venendo determinata dalle interazioni tra ricerca, industria e governo locale. La città è un ecosistema con un sistema nervoso fatto di reti e di relazioni e dotato di un programma, quindi dotato di intelligenza, di cultura e di conoscenza, smart appunto. L’ecosistema urbano è dominato dall’uomo ma include l’ecosistema naturale, lo condiziona, lo usa, ma ne interiorizza i limiti fisici, tanto da fare di essi la guida all’innovazione green che dovrà essere capace di assicurare il progresso e la prosperità senza venirne travolto, togliendo alla città la linfa che attraverso la natura, l’acqua, l’aria e le risorse le consente di vivere. I sistemi urbani, forse i più complessi tra gli ecosistemi terrestri, sono fatti di macchine ed automi costruiti dall’uomo ma sono anche sistemi viventi nei quali agiscono animali, piante e persone. Gli ecosistemi urbani sono dunque sistemi naturali nei quali agiscono organismi viventi e uomini, entrambi con i loro apporti di capacità di trasformazione e costruzione di artefatti, di macchine, con la loro capacità cognitiva fatta di sensibilità, intelligenza, memoria ed una peculiare capacità evolutiva, fatta di attitudini alla riflessività ed all’adattamento dei propri comportamenti all’ambiente e di capacità emergenti di pianificare obiettivi e di aggiungere altra organizzazione e progredire. La dimensione antropocentrica delle città aggiunge complessità ed erode risorse naturali (World Bank),mettendo a rischio la sostenibilità generale. |
Comitato Scientifico della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile via dei Laghi 12, 00198, Roma Tel.: +39 06 8414815 www.fondazione svilupposostenibile.org |
Coordinatore: Toni Federico (email:federico@susdef.it) Storia e tendenze dello sviluppo sostenibile La Green economy Clima Energia Trasporti Territorio |